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Autore: Zobeyde    30/05/2022    5 recensioni
New Orleans, 1933.
In un mondo sempre più arido di magia, il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley si sposta attraverso l’America colpita dalla Grande Depressione con il suo baraccone di prodigi e mostri. Tra loro c’è Jim Doherty, l’unico a possedere capacità straordinarie: è giovane, irrequieto e vorrebbe spingere i propri numeri oltre i limiti imposti dal burbero direttore.
La sua vita cambia quando incontra Solomon Blake, che gli propone di diventare suo apprendista: egli è l’Arcistregone dell’Ovest e proviene da un mondo in cui la magia non ha mai smesso di esistere, ma viene custodita gelosamente tra pochi a scapito di molti.
Ma chi è davvero Mr. Blake? Cosa nasconde dietro i modi raffinati, l’immensa cultura e la spropositata ricchezza? E soprattutto, cosa ha visto realmente in Jim?
Nell’epoca del Proibizionismo, dei gangster e del jazz, il giovane allievo dovrà imparare a sopravvivere in una nuova realtà dove tutto sembra possibile ma niente è come appare, per salvare ciò che ama da un nemico che lo osserva da anni dietro agli specchi...
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IL BESTIARIO

 




Jim si svegliò di soprassalto, col volto affondato in un cuscino; giaceva supino su un sofà e un rivolo di saliva gli pendeva dall’angolo della bocca. Strizzò gli occhi con un grugnito, per proteggerli dalla luce accecante che inondava un enorme atrio dal pavimento a scacchiera, dove alcune scope stavano ammucchiando da sole coriandoli, vetri rotti e altri residui della festa.
Il ragazzo si issò a sedere reggendosi la testa e cercò di fare mente locale per capire come fosse finito lì, ma per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare quasi nulla della sera prima…l’unica cosa che al momento gli pareva molto chiara era l’emicrania, come se un tizzone ardente gli si fosse conficcato in mezzo agli occhi. Dannazione, doveva aver preso la sbronza più memorabile della sua vita…!
«Ben svegliato, pulcino.»
Per poco non gli venne un infarto. Una Duval sedeva in una poltrona e lo osservava coi suoi inquietanti occhi da gatto e un piatto di cupcake perfettamente glassati in grembo.
«Ehm, s-salve.»
La Regina di Cuori sorrise in maniera rapace; anche di mattina indossava un elegantissimo vestito nero e oro, le mani avvolte in lunghi guanti di seta. A Jim ricordò una gigantesca vespa pungente.
«Ho pensato che volessi fare colazione» disse, con fare premuroso. «Prendi un cupcake, coraggio.»
Jim studiò i dolcetti, tutti dall’aria invitante. Era a digiuno dalla sera prima e il suo stomaco non mancò di ricordarglielo…ma Una sembrava il genere di strega che offre caramelle ai bambini per poi sbatterli dentro un forno.
«Ehm...grazie, non ho molta fame. Che ore sono?»
«Le due del pomeriggio.»
«Le due…» Da qualche parte nel suo cervello, intontito e dolorante, squillò un segnale d’allarme. Avevano perso il Meridiano delle dodici! Perché nessuno era venuto a svegliarlo?
«Dov’è il signor Blake?» chiese immediatamente. «Dobbiamo tornare subito a…»
Una gettò la testa all'indietro con una risata civettuola, da ragazzina. «Quanta fretta! Devo dedurre che la mia compagnia ti stia annoiando?»
Appoggiò i cupcake su un tavolino e si spostò sul sofà accanto a lui. «Un uccellino mi ha riferito che ieri hai fatto amicizia con una delle mie allieve.»
«Mei Lin, sì…ragazza simpatica.»
«Ha detto lo stesso di te. Del resto, sei allievo di un mago gentiluomo.»
Una accavallò le gambe e si allungò mollemente sulla spalliera del sofà. Jim mantenne le distanze in modo rispettoso, cercando di ignorare le fitte che continuavano a trapanargli il cranio. Chissà se in quel posto ce l’avevano un’aspirina.
«E a tal proposito, speravo che tu potessi aiutarmi» riprese la strega in tono confidenziale. «Conosco Solomon da quasi un secolo: quando arrivò ad Arcanta era un ragazzino cupo e scontroso, più interessato ai libri che alle persone e adesso guardalo, è diventato un’autentica leggenda. Molti giovani maghi ucciderebbero per averlo come maestro.»
Jim però riusciva ad ascoltarla solo in parte. Cristo santo, la testa…
«Ehm…sì, me lo hanno detto.»
Le labbra di Una si arricciarono. «Il fatto è che è sempre stato un uomo misterioso. In parte è anche il motivo del suo fascino non lo nego, ma i tempi sono cambiati: la Città ha vissuto una delle più tragiche pagine della sua storia e nessuno può più permettersi di nascondere qualcosa ai Decani, nemmeno il loro eroe. Capisci cosa voglio dire?»
«Mi creda, non so in che modo possa aiutarla» replicò Jim, cercando di mostrarsi calmo. «Non conosco così bene il signor Blake.»
«Sembra molto protettivo con te.»
«Be’ è il mio prozio e siamo amici, credo.»
«Amici» ripeté lei, annuendo. «E gli amici si sa, non hanno segreti.»
Jim non sapeva cosa rispondere e ormai la testa gli faceva così male che faticava a tenere gli occhi aperti; era come se dei chiodi arroventati gli stessero penetrando da parte a parte il cervello, proprio come il giorno prima alla Cittadella…
Gli si strinse lo stomaco: non erano i postumi della sbornia! Una stava esercitando il suo potere su di lui.
«Senta, si è fatto davvero tardi, devo andare…»
Provò ad alzarsi, ma delle mani invisibili lo trattennero. Mentre la preoccupazione si tramutava in panico Jim guardò Una, che aveva smesso di sorridere. I suoi occhi dorati, invece, ardevano come braci.
«Ho preso parte anch’io alla Guerra Civile» disse con voce tranquilla, sfilandosi un guanto. «Quando l’Eretica ha penetrato le difese della nostra Città. Normalmente alle donne è vietato combattere, la maggior parte furono trasferite nelle proprietà di famiglia, al sicuro. Dopotutto, la Corte dei Sussurri non plasma guerrieri o strateghi. Il mio compito è preparare le giovani mogli a occupare il posto che spetta loro nella società, a essere come gli uomini le desiderano: belle, sofisticate e inoffensive.»
Sentì la mano di lei scivolargli sul collo, un gesto così fulmineo che Jim non se ne avvide finché non fu troppo tardi.
«Ma ciò che gli uomini non sospettano» sussurrò Una, accarezzandogli la nuca. «È che nessuna delle mie ragazze è “inoffensiva”.»
La pelle di Jim si ricoprì di brividi e un gelo improvviso si spanse lungo le ramificazioni del midollo spinale, paralizzandolo completamente.
Lasciami entrare. Era un invito gentile. Più cercherai di opporti più sarà doloroso.
Jim percepì una presenza intrusa scavargli nella memoria, senza che potesse fare niente per impedirlo e man mano che cercava, faceva affiorare i suoi ricordi come bolle in superficie, dai più recenti ai più antichi. Strinse gli occhi con frustrazione, sforzandosi di respingere quell’invasione.
Fotogramma per fotogramma, ciò che aveva visto e sentito nelle ultime ore gli sfilò davanti come un film sulla vita di qualcun altro: il risveglio nell’atrio, il tentativo di Volkov di smascherarlo facendogli incontrare Roland Cavendish, il ballo con Mei Lin…e poi ancora lui e Alycia nascosti in quella nicchia, il dolore di essere stato respinto e poi ignorato da lei…
Noruggì un’altra voce, dal profondo del suo essere. Ora basta!
Fu come se di colpo qualcuno avesse tirato un calcio al proiettore e tutto tornò buio. Lo stupore di Una si sovrappose al suo, ma i suoi artigli si conficcarono più in profondità.
Non resistermi comandò, questa volta più autorevole. Lascia che io veda…
«Una!»
La sensazione di congelamento svanì all’istante, lasciando Jim tremante e con gli occhi pieni di lacrime, ma di nuovo libero di muoversi. Una aveva tolto la mano e si era voltata a guardare Macon, scalzo, avvolto in una vestaglia colorata e con una tazza in mano da cui si levava un ricciolo di vapore.
«Non aspettavo visite oggi» disse, la fronte aggrottata. «Come vedi, abbiamo fatto tutti le ore piccole.»
«Passavo da queste parti» spiegò lei, con fare innocuo. «Ma stavo per togliete il disturbo.»
«Sì, forse è il caso.»
La strega diede a Jim un buffetto sulla guancia. «Sei un osso duro.»
Dopodiché augurò buona giornata al collega e uscì.  Macon la seguì con lo sguardo, scuotendo piano la testa.
«Con lei in giro non si può mai star tranquilli. Mi auguro che non ti abbia strapazzato troppo.»
«Sto...» Jim avrebbe voluto dire “bene”, ma un conato lo costrinse a sporgersi oltre il bracciolo del sofà, dove Macon aveva prontamente fatto apparire un secchio.
«Meglio?»
Vergognandosi un po’, Jim si passò la manica dello smoking sulla bocca e annuì. In realtà si sentiva uno straccio, ma grazie al cielo l’emicrania aveva iniziato a dargli tregua da quando Una si era allontanata.
Macon gli porse la tazza. «Bevi, ti farà bene.»
«Non si offenda, ma l'ultima cosa che mi hanno offerto da bere non mi ha fatto molto bene.»
Lo stregone sospirò: «Coraggio figliolo, esistono modi più veloci ed eleganti per ucciderti senza perdere tempo con intrugli avvelenati. È solo tè allo zenzero con un po’ di limone.»
Non vedendo alternative, Jim decise di fidarsi e bevve prudentemente un paio di sorsi; in pochi minuti mal di testa e bruciore di stomaco si attenuarono.
«Non puoi dirti cittadino di Arcanta finché non prendi almeno una sbronza magica» ridacchiò Macon prendendo posto sulla poltrona prima occupata da Una. «Ho trascorso metà del mio apprendistato da ubriaco e l’altra metà a inventare nuove ricette per i cocktail. Il che era un bell’incentivo ad applicarmi in alchimia!»
Jim sorrise e finalmente riuscì a rilassarsi. Quel Macon doveva essere proprio un bel tipo da frequentare!
Con un gesto svolazzante, lo stregone fece apparire sul tavolino anche uova strapazzate, bacon, un cesto di frutta e una tazza di caffè per lui. «Allora, Winston, ti piace Arcanta? So che è la prima volta che la visiti.»
«Mi piace, anche se non è proprio come me l’aspettavo» confessò il ragazzo, piluccando un po’ di frutta. «Ho sempre l’impressione che qualunque cosa possa farmi impazzire o uccidermi.»
Lo stregone scoppiò a ridere. «Lo so, fa sempre questo effetto! Solomon te ne avrà parlato a lungo, anche se di sicuro avrà notato dei cambiamenti.»
Si lasciò sfuggire un piccolo sospiro e la sua fronte si increspò per un momento. «La Guerra Civile ha lasciato una ferita che non si è ancora del tutto rimarginata sulla gente di qui. Sono tutti più cupi, diffidenti. Ma credo che un po’ di sano svago abbia un potere curativo più forte della magia stessa! Perciò, spero sempre che vengano in tanti alle mie feste. Tu ti sei divertito ieri?»
«Certo…be’, per quello che mi ricordo.»
«Mi fa piacere.» Il sorriso contagioso tornò a illuminargli il volto. «E dimmi, che programmi hai per oggi?»
«Ecco, non saprei, il signor Blake e io dovevamo prendere il Meridiano delle dodici, ma l’abbiamo perso…»
Macon si sistemò a gambe incrociate e la vestaglia si scostò quel poco che bastava a far intuire a Jim che sotto non indossasse niente. «Siete di fretta dunque. Che peccato, mi avrebbe fatto piacere avervi qui ancora per un po’! Ci sono così tante cose che vorrei chiedervi sul Mondo di Fuori, è passata una vita dall’ultima volta che ci sono stato.»
«Forse posso aiutarla» disse Jim. «Cosa vuole sapere?»
Macon si sporse sulla poltrona. «Solomon mi ha detto che avete passato gli ultimi mesi negli Stati Uniti…è vero che da qualche parte in California c’è un bosco di agrifogli dove recitano commedie?»
«Ehm, intende Hollywood? Oh, eccome. Ci girano un sacco di film.»
«Lo sapevo!» Macon ridacchiò e si diede un colpetto sulla coscia. «Quando ci andai io a malapena sapevano cosa fosse un teatro! Avevano solo ranch, vacche e tizi a cavallo con buffi cappelli!»
«I cowboy ci sono ancora» replicò Jim, divertito. «Solo che adesso sono quasi tutti attori. Come Tom Mix o John Wayne.»
«John Wayne» ripeté Macon con aria sognante. «Ah, quanto mi sarebbe piaciuto fare l’attore! Chissà quali altre diavolerie si sono inventati i Mancanti di oggi. Oh, e anche tu sarai curioso di visitare per bene Arcanta immagino.»
In effetti Jim lo era eccome, ma qualcosa gli diceva che Solomon non ne sarebbe stato entusiasta. «Non so se avrò tempo.»
«Sono sicuro che quel vecchio brontolone del tuo maestro si lascerà convincere…»
«Winston!»
Macon e Jim si voltarono quando Solomon Blake irruppe nell’atrio, con aria un po’ arruffata e l’espressione furibonda. «È tutta la mattina che ti cerco, la planimetria di questo dannato posto continua a cambiare! Che cosa state facendo?»
«Colazione» rispose Macon serafico. «E non prendertela coi miei allievi, questa è sempre la loro scuola. Siediti, mangia un po’ d’uva...»
«Non abbiamo tempo!» lo interruppe lui, adirato. «Per colpa della tua festicciola abbiamo perso il Meridiano!»
«E allora? Restate qui un’altra notte e prendete quello di domani, che sarà mai!»
«No, è fuori discussione» tagliò corto Solomon, estraendo subito l’orologio. «Prederemo quello delle cinque per Tokyo.»
Macon si sporse verso Jim. «Ora capisci perché sono sempre sbronzo? Tu come riesci a sopportarlo..?»
«Con te è sempre la stessa storia, da quando eravamo allievi!» sbottò Solomon. «Uno ti dà un dito e poi finisce per svegliarsi dentro un baule, nudo e ricoperto di piume…non che a me sia capitato, ovviamente!» aggiunse con imbarazzo, mentre Jim se la rideva.
«E va bene» sbuffò Macon. «Se hai fretta di tornare alla tua vita da pensionato non vi trattengo. Ma almeno lascia che il ragazzo si goda quel che resta della giornata!»
Le rughe sulla fronte di Solomon ormai erano così marcate che ci si poteva seminare, ma Macon non demorse: «Stavo per mandare Nicodemo in Città per delle commissioni: è uno dei miei allievi migliori ed è totalmente affidabile. Gli farà fare un giro e te lo riporterà tutto intero per le quattro e mezza, che ne dici?»
«Dico che è una pessima idea.»
«Sol, andiamo!» disse Macon esasperato. «Piantala di essere così sospettoso, quante volte devo ripetertelo che di me puoi fidarti? Non mi interessa cosa tu stia combinando fuori Arcanta, sono solo contento di avere qui il mio vecchio amico. E lo stesso vale per il tuo apprendista.»
Solomon aprì e chiuse il coperchio dell’orologio producendo un frenetico tic-tac mentre ponderava la questione. Intercettò lo sguardo speranzoso di Jim: «E dai, solo un paio d’ore!»
Alla fine, dovette cedere: «D’accordo, avete vinto! Ma ti rivoglio qui per le quattro in punto, non un minuto di ritardo!»
Terminata la colazione e salutato Macon, Solomon però prese Jim in disparte. «Stanno facendo di tutto per farci perdere tempo, vedi di non dargliene ulteriori motivi, va bene? Una volta a Tokyo ci infileremo nel primo specchio e torneremo dritti a New Orleans.»
«Forse si sta preoccupando eccessivamente.» Jim evitò di riferirgli che, poco prima, Una aveva provato a farsi un giro tra i suoi ricordi; gli sembrava che avesse già i nervi abbastanza tesi. «Almeno Macon sembra un tipo a posto.»
Lui piegò la bocca, scettico fino alla fine, e Jim cercò di rassicurarlo: «Glielo prometto, faccio solo un giro veloce e torno. Ora vado, a dopo..!»
«Jim.» Solomon lo agguantò per una spalla prima che sgattaiolasse via. «Stai sempre all’erta, hai capito? E ti prego, cerca di non fare niente di stupido!»
 


Più tardi, Jim attraversò i giardini della Corte, meravigliandosi per la spettacolarità di certe illusioni. Vide anche alcuni allievi di Macon all’opera: c’era chi sfumava il fogliame, chi impreziosiva un cespuglio con nuovi fiori, chi spargeva qualche nuvola nel cielo. Erano estremamente concentrati su quel che facevano, proprio come artisti alle prese con una gigantesca tela.
Un paio di siepi più avanti, invece, si imbatté in Alycia, che leggeva un libro seduta sul bordo di una fontana. Lasciò che lui si avvicinasse senza alzare gli occhi dalle pagine, poi disse con voce piatta: «Sei sopravvissuto alla festa.»
«Sì e vorrei tanto ricordare come. È assurdo, credevo di aver bevuto solo un paio di drink!»
«Gli alcolici che servono qui sono forti» replicò lei, voltando pagina. «E poi volevi divertirti, no?»
«Ho già passato una brutta mattinata, non sono in vena di ramanzine» borbottò Jim. «Sto andando in Città, vuoi venire?»
Lei sollevò lo sguardo e una ruga di disappunto le segnò la fronte. «Non dovevate ripartire subito?»
«Tuo padre mi ha concesso un paio d’ore di libertà vigilata!» esalò lui, infastidito da quell’atteggiamento da mammina apprensiva. «Allora, vieni o no?»
Alycia chiuse il libro e lo infilò nella borsa. «D’accordo.»
Si incamminarono fino all’ingresso, in un silenzio gravido di non detti e Jim le scoccò un paio di occhiate furtive; dov’era finita la splendida complicità che avevano creato un paio di settimane prima? Non riusciva a capacitarsi che fosse bastata quella breve lontananza per farli tornare al punto di partenza! Magari una passeggiata da soli avrebbe aiutato a sciogliere la tensione…ma raggiunti i cancelli, ad attenderli trovarono Mei Lin.
«Ehilà!» li accolse sventolando la mano. Saltellò verso di loro e prese Jim a braccetto. «Ciao straniero, ti sono mancata?»
«Che ci fai ancora qui?» chiese Alycia, con un po’ troppa energia.
«Ho saputo che tuo cugino vuole vedere Arcanta» cinguettò lei. «Così Nikos e io abbiamo pensato che gli servissero delle guide.»
Indicò in alto e solo allora Jim si accorse del ragazzo sdraiato sul ramo di un grande sicomoro.
«Non fare l’asociale!» gli gridò Mei Lin. «Scendi e vieni a presentarti!»
Il ragazzo saltò agilmente, librandosi in aria fino a che i suoi sandali non toccarono terra; era allampanato, con la pelle olivastra e il naso appuntito, e i suoi capelli riccioluti erano di un biondo talmente chiaro che sembrava avesse una nuvola di cotone in testa. Contrariamente agli altri allievi di Macon non indossava l’uniforme, ma pantaloni e blusa di lino bianco che gli conferivano l’aspetto rilassato di un ospite in villeggiatura.
Studiò Jim coi suoi occhi violetti e annoiati e disse a Mei Lin: «Non è così carino. Ha le orecchie a sventola.»
Lui si portò immediatamente una mano all’orecchio e Mei Lin ridacchiò. «Non farci caso, dice sempre tutto quello che gli passa per la testa!»
«Buono a sapersi» replicò Jim. Non era sicuro che quel tipo gli stesse simpatico.
Il ragazzo gli porse educatamente una mano.  «Nicodemo Eliopoulos, ma tutti mi chiamano Nikos.»
«Piacere, Winston.»
«Il bastardo Cavendish» completò Nikos e quando Jim si tese aggiunse: «Oh, tranquillo, tutti qui potremmo essere frutto di una tresca: i maghi vivono a lungo, mica ci si aspetta che rimangano fedeli per sempre. E se ci scappa il marmocchio, basta rivolgersi a un bravo alchimista per far sparire somiglianze indesiderate e salvare le apparenze.»
Indicò i propri occhi viola e i capelli quasi albini e gli sorrise in un modo che poteva voler dire tutto e niente. «Comunque, ci voleva qualche faccia nuova da queste parti.»
Dopodiché fece un cenno ai cancelli della tenuta, che si aprirono senza far rumore. «Be’, diamoci una mossa, prima che i miei capelli passino di moda.»


 
Presero un velodrago che li riportasse in centro e finalmente si immersero nell’allegro andirivieni della Città.
Fu subito chiaro che l’uso della magia fosse all’ordine del giorno: i passanti sparivano all’improvviso, cambiavano abito o acconciatura, oppure si trasformavano in un gatto o in un uccello come fosse la cosa più naturale del mondo.
Guidati da Nikos e Mei Lin, il gruppetto percorse un dedalo di ponti, scale e vie lastricate con frammenti di minerali preziosi che portavano il nome di famosi alchimisti; ogni piazza era abbellita da una fontana monumentale o un obelisco e le dimore facevano a gara per sorprendere Jim con il loro gusto sontuoso ed eccentrico. Draghi, sfingi e centauri di pietra facevano la guardia agli ingressi e sulle facciate erano scolpite epigrafi con motti in greco e latino. Tutti gli edifici inoltre esibivano un’arnia, sebbene anche lì ci fosse molta inventiva per quanto riguardava le forme, le dimensioni e i colori. Il risultato era che c’erano api dappertutto, libere di entrare e uscire dalle abitazioni e il loro ronzio li accompagnava ovunque andassero.
«Le api sono sacre ad Arcanta» disse Nikos, osservando Jim che si sbracciava per allontanarne un paio. «Secondo la leggenda, i Fondatori vennero guidati in questa valle da uno sciame di api, che li rifocillarono col loro miele durante il viaggio. È una storia che ti raccontano sin da bambino.»
«Io ci feci una recita al terzo anno di Svezzamento!» intervenne Mei Lin con entusiasmo. «Fui scelta per interpretare la Regina delle Api, avevo un vestito bellissimo! Alycia, tu invece facevi il cespuglio. Ti ricordi?»
Lei sospirò. «Sì, mi ricordo.»
«Cos’è lo Svezzamento?» domandò Jim, che già iniziava a seguirli con fatica.
«Il periodo che i bambini passano lontani dalle famiglie prima di entrare in una Corte» spiegò Nikos. «Appena manifesti i primi guizzi di magia, i tuoi ti spediscono al Formatorio e ci resti per cinque anni: sei affidato a dei pedagoghi della Cittadella che ti insegnano i rudimenti, tipo a non ammazzare te stesso e il tuo compagno di banco…e iniziano a valutare le tue potenzialità.»
«E poi che succede?» volle sapere Jim. «Devi sostenere un esame?»
«Una specie: gli Arcistregoni vengono spesso in visita, ma si limitano a osservare. È solo al quinto anno che scelgono chi prendere come allievo.»
Un po’ come al mercato pensò Jim. O…in orfanotrofio. «E cosa accade a tutti gli altri?»
Nikos fece spallucce. «Vengono rispediti alle loro famiglie e continuano a studiare con loro. Anche se è sempre una grossa umiliazione per i genitori.»
«Ma sono solo dei bambini!» protestò Jim. «Come possono essere giudicati a quell’età per il resto della loro vita?»
«A un Arcistregone basta poco per riconoscere il talento: o ce l’hai o non ce l’hai.»
Jim non commentò, ma si chiese che ne sarebbe stato di lui se fosse stato un bambino magico tra tanti: Blake lo avrebbe scelto comunque? Anche se non fosse stato un Plasmavuoto? O gli avrebbe rivolto appena uno sguardo distratto, per poi passare oltre? La delusione sarebbe stata insopportabile.
Dopo un po’, attraversarono un affollato bazar che esponeva le chincaglierie più strampalate: bulbi oculari di varie forme e colori che si muovevano da soli; protesi d’oro e argento brunito, mani, braccia, gambe, dita, e poi ancora frutta fluttuante, stoffe che cinguettavano come uccelli, e cristalli al cui interno erano intrappolati minuscoli esserini con corna da diavoli.
Jim osservò Nikos mentre completava l’acquisto di alcune erbe per Macon, ma invece di pagare allungò al negoziante una piccola sfera di vetro dentro cui turbinava una sostanza viola e fumosa.
«Qui non usate il denaro?»
Nikos gli scoccò un’occhiata perplessa. «Certo che no! Ad Arcanta ognuno dispone di tutto gratuitamente e mette le proprie conoscenze al servizio della comunità: modestamente, le illusioni prodotte alla Corte dei Miraggi sono le più apprezzate. I Mancanti si sono scannati per secoli a causa della loro avidità, ma noi maghi aspiriamo a ben altro genere di ricchezza.»
«Ma loro non ottengono ciò di cui hanno bisogno schioccando le dita» replicò Jim. «Devono lavorare sodo. E nella maggior parte dei casi non basta comunque.»
«Sembra che tu lo abbia sperimentato sulla tua pelle» commentò Nikos. Non aveva l’aria di volerlo giudicare, ma sembrava sinceramente curioso. «Hai dovuto lavorare nel Mondo Esterno?»
«Ecco» fece Jim, alla ricerca di una giustificazione che non mandasse a monte la sua copertura. «Non lo chiamerei proprio “lavoro”: per un po’ mi sono finto un prestigiatore. Così, per mettermi alla prova. Una specie di esperimento, se vogliamo.»
«Prestigiatore?» ripeté Mei Lin. «E che cos’è?»
«In pratica è uno che finge di saper fare magie. Come un attore.»
«Ma tu sai fare magie» obiettò Nikos, confuso. «Perché fingevi?»
«Perché i Mancanti non lo sapevano. Perciò, facevo un po’ di scena per farli divertire.»
Nikos arricciò il naso. «Come un giullare?»
«No, non è la stessa cosa! Un prestigiatore è un artista. Come Houdini.»
«E chi è?» chiesero gli altri in coro. A Jim caddero le braccia.
«Harry Houdini! Il più grande mago di tutti i tempi! Cioè…» aggiunse poi, temendo di confonderli maggiormente. «È un Mancante, ma riesce a fare dei numeri incredibili e a farli sembrare magia! Come liberarsi da camicie di forza, catene o manette.»
«Non mi sembra che abbia molto senso» dichiarò Nikos. «Sei uno stregone, ma fingi di essere un umano senza poteri che finge di essere un mago attraverso dei trucchi?»
Jim non seppe cosa replicare: in effetti, detta così sembrava una cosa molto stupida. «Immagino sia più facile vederlo coi propri occhi che spiegarlo.»
«Io sono curiosa di vederti all’opera!» disse Mei Lin. Gli accarezzò il braccio e sussurrò al suo orecchio: «Si possono fare un sacco di cose interessanti con un paio di manette.»
Alycia tossicchiò per richiamare la sua attenzione. «Se non c’è altro che vuoi vedere, Winston, direi che è il momento di tornare a casa.»
«Oh, ma c’è il Bestiario!» strillò Mei Lin. «Tuo cugino non può andare via senza averlo visto!»
«Non credo che sia il caso…» obiettò Alycia, ma Mei Lin la scavalcò senza remore e rivolse a Jim un sorriso radioso. «Ti piacerà, sono sicura che da dove vieni non esiste niente del genere!»
Visto che gli altri sembravano d’accordo, si incamminarono in quella direzione. L’edificio che ospitava il Bestiario aveva un aspetto peculiare: una gigantesca cupola in vetro e acciaio, che rifletteva i raggi caldi del sole. Ma fu l’interno a lasciare Jim a bocca aperta.
Organizzato in dodici livelli, disponeva di terrazze che progredivano dal pavimento al soffitto. Ogni terrazza conteneva poi un centinaio di celle, dentro cui erano stati ricavati vari ecosistemi: foreste di bambù, praterie, deserti e habitat coperti di ghiaccio. Ricordava l’Arboreto, ma al posto delle piante lì erano ospitati animali. Animali che Jim aveva visto raffigurati solo sui libri di fiabe.
Si avvicinò a una balaustra, oltre la quale un branco di unicorni dal manto bianco-argenteo e barbette da capra brucavano placidamente sulle rive di un ruscello, scuotendo le criniere lucenti al sole.
A poca distanza vi era una grande distesa nevosa dove infuriava una tormenta: tra vento e neve, Jim scorse sagome enormi provviste di lunghe braccia e assottigliando lo sguardo si rese conto di cosa fossero. Yeti. Massicci, lenti e ricoperti da una folta pelliccia che permetteva loro di confondersi con l’ambiente. Un po’ ovunque c’erano cartelli che invitavano i visitatori a non oltrepassare la balaustra e non dare da mangiare alle creature.
«Il Bestiario raccoglie specie magiche provenienti da tutto il mondo» lo informò Nikos. «Nel Vecchio Mondo, i Mancanti hanno dato loro la caccia per paura, superstizione, per dimostrare il proprio coraggio o per profitto. Ma qui hanno finalmente un rifugio sicuro. E noi la possibilità di studiarle senza correre rischi.»
Visitarono altri habitat: un lago scozzese dalla cui superficie affioravano le squame di un gigantesco rettile acquatico; le rovine di un tempio nel deserto dove nidificavano le fenici; sdraiato sotto un albero in un bosco di betulle, un fauno impertinente si scaccolò e poi mostrò loro il dito medio.
«Allora, che ne pensi?» chiese Nikos dopo un po’. «Avevi mai visto niente del genere nel Mondo Esterno?»
Jim non rispose; si era fermato di fronte all’apertura di una grotta, dove era sdraiato un grosso felino con enormi ali a membrana piegate lungo i fianchi. La maggior parte del suo corpo aveva l’aspetto di un leone nero dalla folta criniera rossiccia, fatta eccezione per la coda da scorpione e per il muso, che aveva tratti simili a un volto umano. La strana creatura poggiava la testa sulle zampe anteriori e ricambiava lo sguardo di Jim con una fissità tale da metterlo a disagio. Forse era merito di quel suo muso così dannatamente umano, o della luce malinconica nei suoi occhi, la stessa che aveva visto centinaia di volte negli sguardi degli animali del circo, ma gli ricordava dolorosamente Joel King...
Un tempo, tutte quelle creature popolavano il suo mondo. Cacciate e perseguitate, sì, ma libere.  I maghi avrebbero potuto insegnare ai Mancanti a rispettarle, invece avevano preferito rinchiuderle in gabbia. 
Ora, quel che restava della loro essenza continuava a vivere attraverso i Dimenticati, ai limiti della società Mancante...
E cosa sarebbe accaduto ai suoi amici del circo se fossero venuti ad Arcanta in cerca di protezione? Sarebbero stati accolti da cittadini come i maghi, oppure rinchiusi in quella specie di zoo?
“A quelli come te e tuo padre in fondo piace prendere ordini da tutti..!”
Alycia comparve al suo fianco. «Stai bene? Sei pallido.»
«Sì, io…» Jim distolse lo sguardo dalla manticora e prese un paio di grossi respiri, perché tutt’a un tratto si sentiva soffocare. «È questo posto, fa dannatamente caldo …»
«Vuoi andare via?»
Lui riuscì solo ad annuire e si lasciò accompagnare da Alycia all’uscita
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