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Autore: Una_Ragazza_Qualunque    30/05/2022    0 recensioni
[Sukka; accenni Kataang; Maiko]
"Non che fare da guardia del corpo al Signore del Fuoco non fosse altrettanto soddisfacente. Senza distinzioni, cercava sempre di dare il meglio in ogni compito che le veniva assegnato. Era consapevole che il suo ruolo al palazzo era altrettanto importante ma, a volte, si chiedeva se lo stesse facendo di nuovo. Come era accaduto durante la guerra, sull’Isola Kyoshi; prima di incontrare Aang e gli altri, le sembrava di essersi rinchiusa in una bolla. Lo stare ferma sempre nello stesso luogo di nuovo, sembrava sbagliato."
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aang, Altro personaggio, Katara, Sokka, Suki | Coppie: Katara/Aang, Mai/Zuko, Suki/Sokka
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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NdA: Attenzione, in questa fan fiction ci sono riferimenti a eventi e personaggi presenti nei fumetti. Usciti in Italia e no. (“La Promessa”, “La Ricerca”, “La Frattura”, “Fumo e Ombra”, “North and South”, “Imbalance”, “Toph Beifong’s Metalbending Academy”; “Suki, Alone”; “Shells”)
Il primo capitolo prende luogo dopo gli avvenimenti di “Imbalance”.

 

 

 

 

 

 

We are (not) Alone

 

Capitolo 1: Cranefish Town (Suki’s POV)

 

 

 

I suoi occhi vagarono da una fila all’altra, concentrata. Muovendosi con le braccia dietro la schiena, lentamente, Suki si assicurava che ogni componente della riga avesse assunto la posizione corretta. Indossava un sorriso compiaciuto, sotto il sole della città, soddisfatta nel vedere i progressi della sicurezza prendere vita man mano che trascorrevano i giorni.

Erano passati due mesi da quando aveva iniziato ad allenare la nuova forza di polizia non-dominatori ed era contenta di vedere quanto imparassero in fretta, sempre desiderosi di conoscere nuove tecniche.

Alcune delle sue sorelle l’avevano raggiunta a Cranefish Town, come promesso; mentre altre erano rimaste al palazzo, e con il raggiungimento di tutti quei progressi era chiaro che fosse solo questione di tempo prima che ripartissero. Le Guerriere Kyoshi e, di conseguenza, anche lei. Quel pensiero le lasciò l’amaro in bocca.

Era divertente insegnare, ed era passato tanto tempo dall’ultima volta. Le piaceva farlo a casa, sull’Isola Kyoshi, e le piaceva farlo lì. Suki lo trovava soddisfacente e appagante. Per non parlare dell’espressione di gioia che prendeva forma nei visi dei suoi studenti, non appena la consapevolezza di aver eseguito una mossa in modo coretto li raggiungeva. Il rispetto con cui la guardavano e le amicizie che aveva stretto con loro, e doveva ammettere che erano davvero bravi. Inoltre, la città era ancora in subbuglio e non mancavano le occasioni per lei di entrare in azione e per i suoi studenti di mettere subito in pratica ciò che avevano imparato.

Non che fare da guardia del corpo al Signore del Fuoco non fosse altrettanto soddisfacente. Senza distinzioni, cercava sempre di dare il meglio in ogni compito che le veniva assegnato. Era consapevole che il suo ruolo al palazzo era altrettanto importante ma, a volte, si chiedeva se lo stesse facendo di nuovo. Come era accaduto durante la guerra, sull’Isola Kyoshi; prima di incontrare Aang e gli altri, le sembrava di essersi rinchiusa in una bolla. Lo stare ferma sempre nello stesso luogo di nuovo, sembrava sbagliato.

La guerra era finita, ma c’erano ancora molte problematiche da risolvere. Lei non si intendeva di politica e lasciava volentieri quel compito a chi di competenza ma, guardando Cranefish Town, non poteva fare a meno di chiedersi se altre città fossero in quella stessa situazione. Quante altre città avessero bisogno di aiuto.

Ci teneva a Zuko, e questo aveva contribuito a rendere meno pesante il suo incarico nel proteggerlo ma, per fortuna, non sempre al palazzo era richiesto il suo intervento e spesso si era ritrovata ad ascoltare discorsi di uomini importanti fatti ad altri uomini importanti. Non esattamente eccitante come l’azione su strada.

In più, essere amica del Signore del Fuoco aveva anche i suoi svantaggi. Come l’insistenza di Zuko nel non avere bisogno di tutta quella protezione, o almeno non sempre, e il suo chiederle di prendersi dei giorni di riposo anche se non richiesto. Quando accadeva, Suki non riusciva a frenarsi dall’innervosirsi. Non che non apprezzasse la preoccupazione dell’amico nei suoi confronti ma, esattamente come aveva detto a Sokka anni fa, era perfettamente in grado di cavarsela da sola e di capire quando il suo corpo avesse bisogno di riposo.

Non avrebbe mai accettato di prendersi una pausa, se non estremamente necessario. Forse, era quello il prezzo da pagare per essere dovuta diventare leader delle Guerriere Kyoshi quando era ancora solo un’adolescente. Per essere quello tutto ciò che conosceva fin da quando aveva otto anni. Il cercare sempre una nuova forma di adrenalina, il non sopportare che il proprio corpo stesse fermo troppo a lungo, il cercare la frenesia dello scontro.

Si chiese se prima o poi, con il trascorrere del tempo, quella ricerca sarebbe scemata fino a sparire. Lei sperava di sì. Si sentiva sporca ogni volta che riconosceva quella sensazione nascere nei meandri della sua mente. Avrebbe dovuto essere contenta che da un po’ di tempo nessuno avesse provato a fare irruzione al palazzo, eppure il suo corpo sembrava non capirlo.

O forse, era solo il suo modo di tenere la mente occupata. Le piaceva ancora divertirsi, quando non era in servizio ma, la notte, si sentiva come in costante attesa. Come se stesse aspettando che arrivasse qualcosa a destabilizzare la pace per la quale avevano tanto combattuto. Per questo non si era sentita di giudicare Zuko durante il suo crollo nei primi mesi da Signore del Fuoco, con il suo timore che ci fosse un assassino dietro a ogni angolo, ma gli era rimasta vicina come meglio le era stato possibile.

Non aveva mai trovato il coraggio di chiedere alle altre guerriere se anche loro si sentissero in quel modo. Se avesse scoperto che solo lei si sentiva così, se loro non avessero compreso? Forse c’era qualcosa che non andava in lei.

Le uniche ragioni per la quale si allontanava dal palazzo erano quella di tornare a casa di tanto in tanto, giusto il tempo di assicurarsi che il reclutamento e l’insegnamento delle nuove Guerriere Kyoshi stesse procedendo bene, e i suoi incontri con Sokka. Quella era l’altra motivazione per la quale si innervosiva quando Zuko le chiedeva di andare, perché una parte di lei era sempre tentata di dargliela vinta e correre ovunque il suo fidanzato si trovasse in quel momento. Ma non era giusto, e così lei non lo faceva mai.

Con rammarico, Suki si rese conto che la presenza di Sokka a Cranefish Town influenzava parecchio sul suo essere così restia a ripartire. Lui sarebbe rimasto ancora lì, mentre lei no.

Si diede della stupida. A cosa stava pensando?

Prima di iniziare la sua relazione con Sokka, si era sempre ripromessa che nessun ipotetico fidanzato si sarebbe mai messa tra lei e il suo dovere, con o senza guerra. Era stato così e lo era ancora. Prima di lui, però, non si era mai sentita così nei confronti di qualcuno.

Sokka la rispettava e aveva stima del suo lavoro, e lei ne era eternamente grata, ma questo non significava che rendesse le cose più facili.

Il loro prendere strade diverse non era certo una novità. Sapeva che il giorno della sua partenza sarebbe arrivato, prima o poi, perché era così che funzionava tra loro. Era stato così fin dal giorno in cui avevano deciso di portare avanti la loro relazione, nonostante la distanza a dividerli. Non avevano dovuto pensarci molto, in realtà, era stata una scelta del tutto naturale ma era stato comunque bello sentirselo dire, grati che condividessero lo stesso desiderio. Non avrebbero mai potuto mettere da parte ciò che avevano vissuto e condiviso durante la guerra ma, soprattutto, non sarebbero mai stati capaci di ignorare ciò che provavano l’uno per l’altra. Lo sapevano entrambi.

Aveva sempre saputo che quello che li legava era un sentimento profondo, che quello che provava per lui non era qualcosa di passeggero o leggero. Non una semplice cotta, ma qualcosa di duraturo nel tempo. Suki non aveva alcun dubbio che fosse amore. Lo aveva capito anni fa.

Se lo dicevano ogni volta ne avevano occasione, attraverso i gesti. Nel modo in cui si guardavano, nel non vergognarsi a mostrare la loro vulnerabilità l’uno all’altro e guadagnare forza quando si coprivano le spalle a vicenda, nel calore del tono che lui riservava solo a lei e nel sorriso che lei riservava solo a lui, attraverso i baci e le carezze, durante i loro momenti di passione.

Nonostante le difficoltà, nessuno dei due aveva mai chiesto all’altro di restare o di andare, ben consapevoli dei loro ruoli e del loro dovere, in quei quattro anni fatti di incontri a metà strada.

Anche lei era molto orgogliosa di ciò che lui stava facendo, dei suoi viaggi per dare una mano ad Aang a ricostruire un mondo uscito dalla guerra e delle riunioni che tenevano in città. Aveva avuto occasione di ascoltare qualche suo discorso, di tanto in tanto, in camera sua alla locanda in cui alloggiavano. Quando era così preso dal suo rimuginare da non accorgersi di starlo leggendo ad alta voce, intento ad apportare qualche modifica, o quando lo recitava deliberatamente di fronte a lei per vedere se funzionava. Si sentiva molto onorata, in quei momenti.

Aveva sempre pensato che Sokka fosse un ragazzo intelligente e ingegnoso. Aveva già dimostrato di essere un abile guerriero e stratega, rivelandosi una persona dalle mille sfaccettature. Suki era costantemente curiosa di scoprirne di nuove, e di vedere in quale altro modo lui volesse mettere la sua mente al servizio degli altri.

Scioccamente, durante i primi mesi della loro relazione, aveva pensato che si sarebbe potuta persino abituare a tutte le volte che avrebbero dovuto separarsi ma, invece, ogni volta era sempre più dolorosa dell’ultima. Non riuscivano nemmeno a dirselo, ‘addio’. Era solo una parola, dirla o meno non avrebbe cambiato il fatto che da lì a poco si sarebbero dovuti dividere, eppure non pronunciarla sembrava persino confortante.

Era consapevole che questa volta sarebbe stata devastante. Non erano mai stati così a lungo insieme, prima di doversi salutare di nuovo. Non che sarebbe cambiato poi molto. Anche solo poterlo vedere per pochi istanti le bastava per tornare di buon umore e farle tremare le ginocchia appena lui andava via ma, dopo essersi abituata a trovarlo accanto a lei la mattina e la sera quando andava a dormire per due mesi interi, sarebbe stata dura tornare alla normalità. Con quei loro piccoli e fugaci appuntamenti, quando entrambi avevano qualche minuto libero. A volte, si trattavano di attimi così brevi che non era certa di poterli chiamare tali; eppure, a lei non importava. Adorava ognuno di quei momenti.

Ripensò al giorno in cui si erano incontrati per strada, lei con le sue sorelle; al termine di una lezione, e lui accompagnato da Aang di ritorno da una riunione del consiglio d’affari. Lei gli aveva semplicemente sorriso mentre aveva continuato a camminare, consapevole che nessuno dei due poteva fermarsi ma non appena lo aveva superato, si era sentita picchiettare su una spalla. Si era girata e aveva trovato una peonia bianca a un soffio dal suo viso. D’istinto l’aveva presa, prima di alzare lo sguardo verso Sokka che le aveva mostrato un sorriso compiaciuto davanti alla sua espressione sorpresa. Si era avvicinato a posarle un bacio sulla guancia e poi, come se nulla fosse, aveva raggiunto Aang poco più avanti ed era sparito tra la folla.

Suki sorrise al ricordo. Non aveva mai pensato di essere una ragazza da fiori ma, forse, tutto stava nel chi fosse a regalarli.

Sokka non le dava mai l’opportunità di dimenticare quanto romantico lui fosse, e lei non perdeva mai l’occasione di dimostrargli quanto apprezzasse ogni suo gesto. Piccolo o grande che fosse.

Si portò una mano sul viso e si strofinò piano gli occhi, sospirando.

“Ancora una volta!” Intimò ad alta voce in modo da farsi sentire anche dal fondo della fila, allontanandosi di qualche passo per avere una chiara visione di ciò che aveva davanti.

Prese un respiro profondo mentre osservava gli ufficiali ripetere il movimento, finché sentì una voce familiare chiamarla da lontano.

“Ty Lee.” Suki la salutò, girandosi verso di lei, notando come il suo luminoso sorriso aveva iniziato a vacillare non appena i loro occhi si incontrarono. Si accigliò. “Cosa è successo?”

Lei scosse la testa, alzando le mani per cercare di rassicurarla, una volta raggiunta. “Non è successo nulla, volevo solo chiederti se andasse tutto bene.”

Suki inarcò un sopracciglio. “Cosa?”

Lei e Ty Lee passavano molto tempo insieme ormai, non solo perché erano le primarie guardie del corpo di Zuko ma anche durante il loro tempo libero, eppure rimaneva ancora un mistero il più delle volte. Nonostante le loro differenze, le piaceva la sua compagnia e la sua allegria la metteva di buon umore. Persino con quelle strane domande all’improvviso, era difficile annoiarsi con lei.

“La tua aura è un po’ blu.” Disse, facendo una smorfia.

“Mi piace il blu.” Suki mormorò, ancora confusa.

“Ma questo significa che stai rimuginando su qualcosa, tipo un sacco.”

E poi c’erano quei momenti, in cui sembrava impossibile poterle nascondere qualcosa.

Suki sbatté le palpebre. “Oh.”

Vide Ty Lee avvicinarsi, portandosi una mano all’angolo della bocca come a volerle confidare un segreto. “Sei sicura di stare bene?”

“Sì, sono sicura,” sussurrò a sua volta, chinandosi verso di lei per assecondarla “ma grazie.”

Ty Lee si allontanò di qualche passo ma dall’espressione che aveva assunto, Suki si rese conto di non essere riuscita a convincerla.

Si morse la lingua e fece vagare lo sguardo sulla figura dell’amica. Indossava l’uniforme da Guerriere Kyoshi. Suki aveva notato che spesso aveva la tendenza di tirarla dal tessuto del colletto come se soffocasse, o di strofinarsi le braccia come se le procurasse prurito, e si chiese se le desse ancora fastidio l’idea di vestire tutte allo stesso modo; a eccezione del copricapo a indicare il grado.

“Che mi dici di te?” Domandò, incrociando di nuovo il suo sguardo. “Come ti senti al pensiero di tornare a casa?”

“Alla grande!” Ty Lee esclamò battendo le mani, mentre un sorriso tornava sulle sue labbra. “Non vedo l’ora. La mia curiosità è stata del tutto appagata e mi manca tanto Mai.”

Suki ricambiò il sorriso, soddisfatta della risposta. Avrebbe dovuto immaginarlo. Se c’era una cosa che aveva imparato sull’ex acrobata era che teneva molto alle sue amicizie. Non era dunque una sorpresa che fosse emozionata all’idea di tornare al palazzo, dove vi era tutta la sua vita e una delle sue più care amiche.

Ricordava ancora la prima volta che l’aveva portata al dojo, per allenarla insieme alle nuove Guerriere Kyoshi e per imparare da lei come bloccare il chi. Si era fermata nel bel mezzo della lezione e le aveva chiesto se fossero amiche. Suki era rimasta sorpresa ma considerato tutto ciò che aveva passato, non la biasimava nel desiderare una conferma. Allora lei le aveva sorriso e le aveva detto che erano molto più di quello, erano sorelle. Ty Lee aveva distolto lo sguardo mentre un piccolo sorriso aveva preso forma sul suo viso. Diverso dai suoi soliti, ma sincero.

Suki alzò la testa socchiudendo gli occhi, quando i raggi del sole la colpirono. Era alto in cielo, senza alcuna nuvola a coprirlo. Probabilmente, doveva essere quasi ora di pranzo.

“Va bene,” Richiamò all’attenzione i suoi studenti, con lo stesso vigore di prima “facciamo una pausa.”

Un brusio si sollevò non appena lo disse e mentre loro erano intenti ad asciugarsi il sudore e a scherzare gli uni con gli altri, lei si girò di nuovo verso la sua amica. “Quando partiamo?”

Ty Lee fece spallucce. “Sei tu la leader.”

Annuì. Avrebbe chiesto alle altre ragazze cosa ne pensavano, o se avessero delle questioni in sospeso prima di tornare al palazzo. Anche se era la leader, le piaceva il confronto con le sue sorelle ed era sempre pronta a sentire cosa avessero da dire. Aveva sempre dato loro la libertà di scelta, anche quando in disaccordo, come era accaduto quando aveva annunciato di voler lasciare l’isola e alcune di loro avevano deciso di non seguirla.

Suki le sorrise. “Dovresti andare a riposare anche tu.”

“Non vieni a mangiare con noi?”

“Oh, no, scusami. Io,” ridacchiò, indicando con fare distratto alle sue spalle “io devo andare.”

Ty Lee le mostrò un sorrisetto sornione, prima di canticchiare. “Certo.”

Suki corrugò la fronte, ma non indagò. Era stanca e non vedeva l’ora di raggiungere un posto all’ombra. La sua mente era già altrove, persa a fantasticare sull’attimo in cui sarebbe salita in camera.

Salutò gli altri e si incamminò verso la strada principale, non riuscendo a frenare il sorriso che nacque sulle sue labbra.

Ty Lee la chiamò di nuovo, ridestandola dai suoi pensieri. Quando si girò, la trovò con un braccio alzato sventolandolo a destra e a sinistra per attirare l’attenzione su di sé.

“Saluta Sokka da parte mia.” Urlò, tanto da far girare alcuni degli ufficiali verso di loro.

Suki arrossì, lanciandole un’occhiataccia che sembrò non avere alcun effetto sull’amica. Scosse la testa e decise di ignorarla, accelerando il passo, mentre sentiva una risata risuonare alle sue spalle.

 

 

o o o

 

 

Lasciò che lo sguardo si soffermasse sulla porta della locanda, non appena si fermò davanti l’ingresso. Si trovava in una delle strade più colpite dalla rivolta, ancora in ricostruzione dopo gli attacchi dei seguaci di Liling.

C’era ancora tensione tra i dominatori stessi e i non-dominatori, e anche se in passato i cittadini di Cranefish Town avevano rifiutato il loro aiuto, era sembrata una buona idea aiutare almeno un po’ l’economia del luogo. Inoltre, era più facile tenere la situazione sotto controllo in quel modo, rispetto all’alloggiare in un quartiere d’alto bordo. Niente più lussi non necessari, con grande dispiacere da parte del suo fidanzato, ma ne valeva la pena.

Toph aveva deciso di continuare a passare le notti negli alloggi di suo padre, anche se trascorreva le giornate alla locanda con loro. Non era mai stata il tipo di persona che faceva caso a quel genere di cose; la aveva vista dormire persino a terra in passato, e Suki sospettava che lo facesse solo per fare un dispetto a Sokka e vantarsene la mattina successiva. Doveva ammetterlo, era un po’ divertente.

Si guardò intorno. La strada era affollata; piena di operari impegnati nelle riparazioni di alloggi e edifici nelle vicinanze, mentre i mercati avevano riaperto le loro attività e nella via riecheggiava il chiacchiericcio dei passanti. Sembrava tutto tranquillo, ed era bello vedere che la città stava cercando di riprendersi a poco a poco.

Entrò e ignorò gli occhi che si sentì addosso da parte di alcuni clienti, ancora davanti all’entrata, e salutò la locandiera dietro il bancone che ricambiò con un leggero cenno. Superò i tavoli e si diresse verso le scale per recarsi al piano superiore, dove si trovavano le stanze.

Ne avevano affittato tre, una per le ragazze; una per Sokka e un’ultima per Aang. Questa disposizione le permetteva di sgattaiolare fuori dalla camera, non appena Katara si addormentava, per passare la notte con Sokka. Suki non aveva idea di quale bugia lui avesse raccontato ad Aang per convincerlo a prendere una camera separata, ma non era nemmeno certa di volerlo sapere.

Nessuno dei due voleva sprecare l’opportunità di stare più tempo insieme e in più lui non avrebbe mai permesso che sua sorella e il suo fidanzato dormissero nella stessa stanza, da bravo fratello maggiore; a suo dire. Nonostante Aang fosse uno dei suoi amici più intimi, c’era un limite a ciò che riusciva a sopportare durante i loro viaggi.

Sentì i battiti del cuore accelerare, non appena si avvicinò alla porta della stanza di Sokka. Non importava quanto tempo fosse passato, riusciva ancora a sentire le farfalle nello stomaco.

Bussò e aspettò una risposta, prima di fare il suo ingresso. Quando superò la soglia, però, il sorriso le morì sulle labbra.

Si stupì di trovare la camera sottosopra, con indumenti e oggetti che Sokka portava nei suoi viaggi sparsi in giro, compreso l’elmo tipico della Tribù dell’Acqua che finalmente era riuscito ad acquistare e che le aveva mostrato con tanta fierezza. Non che Sokka fosse un maniaco dell’ordine ma sicuramente era un tipo organizzato. Forse, tra i due, lei era la più disordinata e lei era stata abituata fin da piccola, al dojo, a tenere tutti i suoi effetti personali a posto; dalle armi all’oggetto più futile. Suki lo trovava buffo, considerato che era l’esatto opposto del modo in cui lui dormiva.

Facendo vagare il suo sguardo nella stanza, l’armadio aperto e i cassettoni svuotati furono la prima cosa che saltarono all’occhio. Sopra il letto, invece, c’era una borsa mezza vuota e un paio di sacche già riempite. Quella che le era sembrata una risatina nervosa, attirò la sua attenzione e notò che Sokka si era congelato sul posto con in mano una coperta. La guardava sorpreso, come se non si aspettasse di vederla.

Suki avanzò di qualche passo, lasciando la porta aperta, e accennò un sorriso.

“Ehi.” Disse, cercando di utilizzare il più possibile un tono di voce neutro.

“Ehi.” Lui la imitò, lanciando la coperta sul materasso con fare distratto per potersi avvicinare a lei. “Scusa, devo aver perso la cognizione del tempo.”

“Non importa.” Lo rassicurò. Al momento, c’era un’altra questione che le premeva sapere di più al riguardo. “Stai andando via.”

Sokka sospirò, sollevando le mani per accarezzarle le braccia dolcemente. “Sì, mio padre ha mandato una lettera. Torno a casa per un po’.”

Per un po’, rifletté, non un tempo prestabilito. Non era un buon segno.

Suki annuì, stringendogli la tunica in risposta al suo gesto. D’istinto, anche lei alla ricerca di un contatto.

Distolse lo sguardo per rivolgerlo al tavolo, al centro della camera, dove vi era la peonia bianca che lui le aveva regalato, adagiata in un vaso. Aveva deciso lei di lasciarla nella sua camera, non solo perché era dove passava più tempo e ogni tanto le piaceva osservarla, ma anche per tenerla lontana da occhi indiscreti. Per quanto adorasse Katara, non aveva voglia di essere stuzzicata ogni volta che i suoi occhi ci finissero sopra o rischiare che Toph la facesse volare dalla finestra mentre era intenta a distruggere la camera quando si annoiava.

“Quando?” Domandò, non riuscendo a capire bene come si sentisse al riguardo. Era una notizia un po’ improvvisa. Non era quello il modo in cui pensava che si sarebbero separati, aveva sempre pensato che sarebbe stata lei quella ad andarsene per prima. Il suo cervello doveva ancora elaborare la novità.

“Domani mattina.” Sokka rispose, con un filo di voce. Poi, fece una smorfia. “Urgh, non volevo dirtelo così. Anche io l’ho scoperto poco fa.”

Suki emise una risatina e tornò a guardarlo. “Non fa niente. Parto anche io tra pochi giorni, ricordi?”

Lui alzò gli occhi al cielo per qualche secondo, prima di incontrare di nuovo i suoi. “Sì, ma avrei potuto organizzarmi meglio. Saremmo potuti uscire come in un vero appuntamento, prima di partire, e invece eccoci qua!”

Un calore familiare si espanse nel suo petto nel sentirlo, e dovette mordersi il labbro inferiore per evitare di lasciarsi sfuggire un lamento. Era dolce e sarebbe stata una bugia se avesse detto che l’idea la lasciava indifferente, ma sapeva che Sokka si sentiva sinceramente male al riguardo e non voleva in alcun modo peggiorare la situazione.

“Calmati, ragazzo pianificatore.” Cercò di sdrammatizzare, picchiettando un paio di volte con il palmo sul suo petto con fare giocoso, soddisfatta nel vederlo accennare un sorriso. “Sarebbe piaciuto anche a me. Magari la prossima volta.”

“Già, la prossima volta.” Sussurrò e a Suki si strinse il cuore nel riconoscere un velo di tristezza nel suo tono.

Spiriti, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di farlo sparire. Imbottigliare quel dolore e gettarlo via, ma anche lei conosceva fin troppo bene quella sensazione. A volte, anche lei non sapeva come fare a gestirla.

“Vieni qui.” Sokka aggiunse, tirandola delicatamente in un abbraccio.

Lei si lasciò avvolgere sentendosi subito sciogliere, non appena la avvicinò a sé. La tenne stretta mentre portava una mano tra i suoi capelli, provocandole un brivido. Suki adorava quando la stringeva tra le sue braccia in quel modo, passando le sue dita tra le ciocche. Avevano quello strano potere di darle l’impressione che stesse imparando a respirare di nuovo, non importava in quale situazione. Persino quando l’aveva abbracciata dentro la cella alla Boiling Rock, anni fa.

“Resti qui, stanotte?” Le chiese, a un soffio dall’orecchio.

“Certo.” Lei rispose, senza alcuna esitazione, facendo vagare una mano su e giù sulla schiena di lui.

Suki lo sentì tirare un sospiro di sollievo, mentre si lasciava cullare dalle sue carezze, e si distaccò per guardarlo in viso con affetto prima di posare le labbra sulla sua guancia. Lui sorrise, stringendole il fianco delicatamente. Quando i loro sguardi si incrociarono di nuovo, si incontrarono a metà strada in un bacio.

Era lento ed esigente allo stesso tempo, e Suki fece risalire le mani fino a intrecciarle dietro al suo collo per poterlo sentire il più possibile vicino a sé. Sokka fece ricadere l’altro braccio lentamente lungo il suo corpo, approfittandone per passare il palmo lungo le sue curve, fino a cingerle i fianchi, spinto dallo stesso desiderio.

Lui schiuse le labbra, e tutto le sembrò perfetto ai suoi occhi. Come se, all’improvviso, fosse facile non pensare al mondo al di fuori di quelle mura, come se esistessero solo loro. Soli, in quella stanza.

I due si distaccarono per riprendere fiato ma Sokka continuò a rubarle dei veloci baci sulle labbra, facendola ridacchiare. Suki girò la testa nel tentativo di riprendersi, con scarsi risultati e ridendo più forte quando ricevette un lungo e rumoroso bacio sulla guancia come risposta al gesto.

“Ehi, Sokka—whops.”

Nel sentire la voce di Aang, Suki si allontanò di scatto dando ancora le spalle alla porta mentre si portava una mano sul viso non appena sentì le guance scaldarsi.

“Scusate, non intendevo disturbare, la porta è aperta e pensavo…” Balbettò, in imbarazzo.

Sokka si schiarì la voce, interrompendo il suo borbottio, e lei si girò a guardarlo.

“Va tutto bene, Aang, non preoccuparti.” Lei lo rassicurò, sorridendogli. “Stavo giusto per andarmene.”

Suki spostò lo sguardo verso Sokka, allungando una mano verso la sua. “Ti aspetto al piano di sotto.”

Lui annuì stringendo la presa e lei non riuscì a fare a meno di notare il modo in cui esitò nel lasciarla andare, quando iniziò ad allontanarsi.

Salutò Aang con un veloce cenno e lo superò, uscendo dalla camera. Attraversò il corridoio in fretta e raggiunse le scale, fermandosi a metà della rampa.

Lo sapevi già, si ripeté, alla ricerca di conforto. Starai bene, concentrati sui tuoi doveri.

Prese un respiro profondo dal naso e lo lasciò andare dalla bocca, come se stesse cercando di riprendere fiato dopo un estenuante esercizio. Combatté contro il desiderio di girarsi e scese i restanti gradini.

 

 

o o o

 

 

“…E poi si è alzato un polverone per nulla, hanno continuato a respingere ogni proposta e nessuno ha voluto prendersi la responsabilità delle proprie azioni.”

Suki ascoltò con attenzione lo sfogo di Sokka, stringendogli la mano appoggiata sul materasso.

Entrambi erano sdraiati a letto, in quel loro piccolo rituale che si erano ripromessi di mantenere durante quei mesi. Ogni notte, quando finalmente liberi da ogni impegno, non importava quanto stanchi, avevano preso l’abitudine di raccontarsi come era andata la giornata o ciò che avevano fatto dall’ultima volta che si erano visti.

Lui fece intrecciare le loro dita e continuò. “C’è ancora così tanto da fare. So che tornerò qui con Aang, prima o poi.”

Lo vide abbassare lo sguardo per un’istante. Illuminato solo dalla luce proveniente dall’esterno, la guardava dall’alto con la testa appoggiata a un pugno e le lenzuola a coprirlo dalla vita in giù.

“Sembra dura.” Mormorò lei. Ogni volta che Sokka le raccontava delle discussioni che nascevano a quelle riunioni, lei non poteva fare a meno di visualizzare l’immagine di una persona che parlava al muro o a una folla inferocita composta da persone intente a coprirsi le orecchie per non ascoltare. A quanto sembrava, ai politici piaceva tanto lamentarsi ma senza lottare davvero per far sì che qualcosa cambiasse. Doveva essere frustrante. “Tu non hai nulla di cui rimproverarti. Hai proposto tutte ottime idee.”

“Lo so,” lui sospirò, poi sorrise “ma grazie. Mi importa della tua opinione, lo sai.”

“Certo,” Suki ricambiò il sorriso “come altro membro del team non-dominatore.”

Sokka corrugò la fronte. “No, cioè, sì. Mi capisci e sai cosa vorrei dire, ma non è solo questo.” Portò la sua mano alle labbra e gliela baciò. “Mi importa perché sei tu.”

Suki spalancò gli occhi, sorpresa. Non le era mai passato per la testa che potesse esserci un’altra ragione per la quale lui ci tenesse a farle sentire i suoi discorsi. Quel pensiero le fece saltare un battito.

Approfittando della vicinanza della sua mano al suo viso, gli accarezzò la guancia mentre lui chiudeva gli occhi per godersi la coccola. “Sei adorabile e nemmeno sai di esserlo.”

Sokka le mostrò un sorrisetto sornione, prima di scuotere leggermente la testa facendo muovere i capelli sciolti e posare la mano libera sul ginocchio per mettersi in posa. “Scusami, ma credo che tu volessi dire prestante.”

“No, ho usato la parola corretta.” Lei rise, sollevandosi per dargli un veloce bacio. “Ma, per tua fortuna, si può essere adorabili e prestanti allo stesso tempo.”

Sokka rise a sua volta e, quando Suki appoggiò di nuovo la testa sul cuscino, si girò verso di lei e disse: “È il tuo turno.”

“Nulla di nuovo, davvero.” Sospirò, poi ci pensò su. “Be’, credo che gli ufficiali siano pronti. Ho insegnato loro le basi e loro le insegneranno a chi entrerà in polizia, quando sarò andata via. Sono davvero bravi.”

“Non fatico a crederlo, con un insegnate così straordinaria.” Disse, orgoglioso.

“Grazie.” Suki sussurrò, avvicinandosi mentre teneva stretto il lenzuolo al petto. Era ancora strano sentire qualcuno, il suo fidanzato, parlare di lei con così tanta fierezza. Era imbarazzante, ma bello. Probabilmente, non si sarebbe mai abituata a quello.

“So di cosa parlo.” Lui aggiunse, attirando la sua attenzione.

Giusto. Aveva insegnato anche a Sokka, in passato, al dojo. Si ritrovò a pensare a quante cose erano cambiate da allora, a quanto avessero imparato l’uno dall’altro. Lui che le ragazze potessero essere anche loro delle guerriere e che per essere leader non si doveva necessariamente rinunciare a se stessi, all’adolescenza, concedendosi anche il lusso del divertimento ogni tanto; e lei che esisteva un mondo al di fuori dell’isola e che la loro scelta di rimanere isolati aveva delle conseguenze.

Non aveva mai pensato che sarebbe finita in quel modo. A letto, mezza nuda, con quel ragazzo che aveva avuto persino l’ardire di sfidarla. Ma aveva iniziato a sperarlo, quando aveva avuto l’occasione di conoscerlo meglio e quella era stata la prima volta che aveva desiderato qualcosa che non fosse legato ai suoi doveri, all’essere una guerriera e alla volontà dell’Avatar Kyoshi. Era lì, adesso, innamorata e amata ma incerta su quale fosse il prossimo passo da compiere sul suo cammino.

Era buffo ma sembrava persino che la bambina di otto anni che era stata un tempo, avesse le idee più chiare. Aveva sempre pensato che il suo essere una Guerriera Kyoshi l’avrebbe protetta dall’incertezza del futuro.

“È un peccato che tu te ne vada senza essere riuscito a dare un nuovo nome alla città.” Suki cantilenò, sentendo il desiderio di volersi distrare.

“Lo so, vero?” Sokka esclamò. “Hanno rifiutato anche quelli ed erano tutti ottimi nomi.”

“Oh, lo so, ho letto quella lista.” Sorrise. “Erano tutti molto… creativi. Semplicemente non colgono la tua vena artistica.”

Il suo viso si illuminò. “Esatto!” Poi si fermò, socchiudendo gli occhi. “Aspetta, ti stai prendendo gioco di me?”

Suki scosse la testa, ridacchiando. “No.”

“Sì, invece.” Sokka ribatté, fingendosi offeso. “Sai cosa succede ai traditori.”

Lo vide chinarsi su di lei e non riuscì a trattenere, adesso, una risata quando vide nascere un sorrisetto malizioso sulle sue labbra. E sì; sapeva bene cosa stesse per accadere ma, nonostante ciò, Suki non si mosse nemmeno quando le mani di lui si insinuarono sotto le lenzuola per raggiungere i suoi fianchi.

“Preparati ad assaggiare la mia temibile dominazione del solletico!”

Non appena le dita di Sokka scivolarono sulla sua pelle nuda, lei non riuscì a contenere la risata che riecheggiò per la stanza. Si dimenò, mentre la risata di lui si unì alla sua, lasciando che la sua mente si svuotasse.

“Basta, basta,” disse, con le lacrime agli occhi “finirai per svegliare tutti.”

“Io?”

“Sì,” Suki rispose, nonostante sapessero entrambi che, se solo avesse voluto, avrebbe potuto facilmente sottrarsi a quella punizione “sì, tu.”

Sokka diminuì i suoi movimenti fino ad arrestarli del tutto e, quando la risata di lei iniziò a scemare, posò le labbra sulla sua fronte.

“Sei bellissima.”

Lei fece incontrare i loro sguardi. “Sì?”

“Sì.” Lui ripeté, chinandosi a baciarla.

Era un bacio casto ma dolce e pieno di affetto. Le ricordava uno dei primi che si erano scambiati, come se stesse cercando di studiarla di nuovo, come se stesse cercando di assimilare ogni dettaglio per non dimenticarlo.

“Mi mancherà la tua risata.” Sokka sussurrò, ancora a un soffio dalle sue labbra.

L’espressione di Suki si addolcì, alzando un braccio per passare una mano tra i suoi capelli. Lo condusse verso il basso con delicatezza, fino a quando fu sdraiato completamente sopra di lei e il suo respiro le solleticava il collo.

“Mi mancherà il modo in cui mi fai ridere.”

Sentì il suo sorriso sulla pelle e lei riprese le sue carezze, mentre con l’altra mano faceva scorrere le dita su e giù lungo la sua spalla.

“Mmh.” Sokka mormorò. “Se non smetti, mi addormenterò.”

Suki rise. “Ed è un male?”

“Se mi addormento, la mattina arriverà più in fretta.” Farfugliò, chiaramente assonato.

“Te ne pentirai domani.” Rise di nuovo, sentendo le palpebre appesantirsi a sua volta.

“Dormirò su Appa.”

“Scomodo.” Suki considerò. “Quindi, Toph e Aang verranno con te e Katara?”

“Nah, Toph è impegnata con la sua accademia e Aang, non lo so, ci accompagnerà a casa ma non so se ha intenzione di restare. È ancora preoccupato per ciò che gli ha detto Liling anche se la situazione non sembra così grave, almeno per ora.”

Non faticava a crederlo. Tenere dibattiti politici; per quanto ad Aang non piacessero, erano una cosa ma un’altra guerra? Nessuno di loro voleva che accadesse.

Suki non rispose e il silenzio riempì la camera, tanto che credette che Sokka si fosse addormentato finché parlò di nuovo. “Pensi che mio padre voglia parlarmi dell’idea di prendere il suo posto, un giorno?”

Lei sbatté le palpebre più volte, cercando di riprendersi dal dormiveglia, nel tentativo di essere il più lucida possibile per affrontare l’argomento. Sorpresa, da quella domanda improvvisa.

Si ritrovò incapace di trovare una risposta, così domandò: “Pensi che possa essere una possibilità?”

“Dopo tutto quello che è successo l’ultima volta che sono stato lì, forse.”

Suki sapeva a cosa si stesse riferendo. Sokka le aveva raccontato di quanto fosse cambiata la Tribù dell’Acqua del Sud, non solo perché fosse diventata una vera e propria città, ma anche per i conflitti che si erano venuti a creare. Ancora non riusciva a credere che suo padre fosse stato accoltellato e che avesse rischiato di morire, da colui che una volta era stato un suo fratello d’armi per di più.

Forse era dovuto al fatto che lui era mezzo addormentato, ma Suki non riuscì a capire come Sokka si sentisse al riguardo. Dal suo tono di voce, era sembrato speranzoso ma anche spaventato.

Lei ingoiò, e non riuscì a frenare la domanda che le era nata in gola. “Lo vorresti?”

Suki aspettò, tenendo lo sguardo fisso sul soffitto. Il buio le impediva di metterlo a fuoco, costringendola a sbattere le palpebre più volte.

Il Polo Sud era lontano ma, in fin dei conti, cosa sarebbe cambiato? La loro era già una relazione a distanza. Si ritrovò a sorridere, con amarezza, quando un pensiero le sfiorò la mente. Era ironico, ma l’Isola Kyoshi era più vicina alla Tribù dell’Acqua del Sud rispetto alla Nazione del Fuoco dove lei passava la maggior parte del tempo adesso. Magari, avrebbe potuto persino usarla come scusa per passare più tempo a casa. In ogni caso, non spettava a lei decidere.

“Sokka?” Lo chiamò, quando si accorse di non aver ricevuto alcuna risposta.

Suki sorrise, non appena lo sentì russare. Un chiaro segno che quella conversazione fosse ormai giunta al termine.

Fece passare le dita tra le sue ciocche un’ultima volta, prima di chiudere gli occhi. “Buonanotte, ragazzo guerriero.”

 

 

o o o

 

 

Un bussare alla porta attirò la sua attenzione. Posò la borsa che aveva in mano sul tavolo e si girò verso l’entrata.

Era rimasta ormai sola, in quella camera. Katara aveva già portato via le sue cose ed era adesso fuori la locanda, occupata a posare i bagagli su Appa insieme agli altri.

Vedere la stanza mezza vuota le aveva procurato un certo fastidio che non era riuscita a spiegarsi e, così, aveva deciso di prepararsi anche lei all’imminente partenza.

“Avanti.”

La porta si aprì e Suki non poté fare a meno di sorridere. Quella era una sorpresa, una buona, e quando i suoi occhi incontrarono quelli della ragazza che le stava davanti, il suo sguardo si addolcì.

“Ru!”

“Ehi, Suki.” Lei sorrise. “Ty Lee mi ha detto che andrete via, sono passata a salutarti.”

“Non sarei mai partita senza incontrati prima.” Suki ammise, avvicinandosi. “Come te la stai passando?”

“Bene.” Ru rispose, ma il suo sorriso vacillò poco dopo. “È ancora tutto così… strano. Ho provato a parlare con mia madre e mia sorella, in prigione, ma non sembrano ancora capire. Sono ancora arrabbiate.”

“Mi dispiace.” Lei sussurrò, sincera.

“Non esserlo. Non è colpa tua.” Ru le prese le mani tra le sue. “Infatti, sono venuta a ringraziarti.”

Suki strinse la presa, cercando di donarle un po’ di conforto. Ammirava il suo coraggio e, per quanto fosse stata la cosa giusta da fare, poteva solo immaginare quanto le fosse costato doversi ribellare alla sua stessa famiglia. All’inizio, era rimasta sorpresa di sapere che Ru facesse loro visita. Non aveva mai nascosto la sua avversione verso la madre, dopo ciò che aveva fatto, eppure; sembrava determinata a cercare di fare capire loro il suo punto di vista.

In un certo senso, riusciva a capire quel desiderio. Suki era una persona orgogliosa, era a conoscenza del suo valore e non aveva paura di mostrarlo. Circondata da non-dominatori fin dall’infanzia, però, non aveva mai assistito a una discriminazione, prima di lasciare l’isola. Il fatto di essere una non-dominatrice, non l’aveva mai fermata dall’essere una grande guerriera ma non riusciva a vedersi sedere con un dominatore e cercare di spiegare che anche lei era degna di rispetto. Non utilizzando le parole, almeno.

Che importanza poteva mai avere se era una dominatrice o una non-dominatrice? Era una persona, non era già abbastanza?

Forse per Ru era diverso, spinta da un desiderio più grande. I rapporti famigliari la confondevano sempre.

Suki sperava che, col tempo, Ru potesse riuscire nel suo intento. Sapeva che non sarebbe stato facile, ma Suki credeva nel cambiamento nelle persone. Il passato le aveva insegnato che era possibile ma anche che, a volte, non c’era nulla da fare.

“Ho pensato a ciò che mi hai detto e avevi ragione. È inutile pensare alle cose che avrei potuto fare in passato, adesso ciò che verrà dipenderà unicamente da me. Tu e Sokka mi avete mostrato un mondo che non pensavo possibile per noi non-dominatori.” Un luminoso sorriso tornò sulle sue labbra. “Continuerò ad allenarmi e ti prometto che userò tutto ciò che mi hai insegnato a fin di bene. Noi tutti lo faremo. Grazie, Suki.”

Suki sentì gli occhi pizzicare e ricambiò il sorriso. Quello era inaspettato.

Essere una guerriera significava aiutare le persone. Era il suo dovere, agire le veniva d’istinto, era ciò che era. Era ciò che la gente si aspettava che facesse. Eppure; Suki non lo faceva mai per essere elogiata o per la gloria. Aveva sempre agito seguendo ciò che lei riteneva essere più giusto, i suoi valori e ciò che aveva imparato con l’esperienza, e proprio perché era ciò che la gente si aspettava da lei; spesso, non le veniva mostrata alcuna riconoscenza. In realtà, le volte in cui era stata ringraziata si potevano contare sulle dita di una mano ma a lei non era mai importato.

Ricordava il giorno in cui era stato richiesto il suo intervento sull’Isola Kyoshi per la prima volta. Ricordava lo sguardo di Oyaji su di lei, così diverso da quello che le aveva riservato da bambina.

Suki ingoiò il groppo che le si era formato in gola. Non era il momento adatto per pensarci.

“Prenditi cura di te, Ru.” Le raccomandò, tirandola in un abbraccio.

“Anche tu.” Ru sciolse l’abbraccio. “Adesso va’, lo so che c’è un’altra persona che vorresti salutare.”

Suki rise e la ringraziò, prima di avviarsi lungo il corridoio e scendere le scale di fretta.

Non appena mise piede fuori dalla locanda, delle voci familiari si distinsero dal chiacchiericcio dei passanti. Si girò verso le fonti e sorrise.

All’angolo della strada, Appa se ne stava sdraiato intento a sbadigliare ancora assonato. Accanto, Aang era girato verso Toph mentre Katara e Sokka, al lato opposto, erano impegnati in una discussione della quale le era impossibile conoscere l’oggetto, non riuscendo a distinguere le parole da lì. Guardandosi intorno, notò che, poco distante, c’era anche Ty Lee che osservava la scena ridendo.

“Se hai intenzione di fare così per tutto il tempo del viaggio, dillo subito.” Suki sentì Sokka borbottare, quando iniziò ad avvicinarsi.

“Oh, non sia mai che di grazia al principe qui presente si rovini il riposino di bellezza.” Ribatté Katara.

“Esatto, grazie per la considerazione.”

Suki scosse la testa, divertita. Per quanto strano potesse sembrare, sapeva che le sarebbe mancato assistere a quei battibecchi; ormai ci aveva fatto l’abitudine. A volte, iniziavano per le motivazioni più sciocche; eppure, bastava che passassero pochi minuti e tutto tornava esattamente come era prima. Doveva essere una cosa tra fratello e sorella.

Le era capitato di litigare con le sue sorelle, di tanto in tanto, ma non era la stessa cosa. Era un po’ più complicato di così, loro non avevano un vero legame di sangue. Non che a Suki fosse mai importato, in ogni caso. Non aveva mentito a Ty Lee, lei credeva davvero che il legame che unisse lei e le Guerriere Kyoshi fosse molto più profondo di un’amicizia o di un banale rapporto tra colleghe ma, a volte, si chiedeva cosa significasse quella parola di preciso. Nonostante con molte di loro avesse anche condiviso l’infanzia, in fondo, lei non aveva modo di comparare essendo figlia unica. Be’, che lei sapesse almeno.

Erano la sua famiglia. La sua versione di una famiglia, ma non per questo meno importante.

Katara alzò gli occhi al cielo, prima di incontrare i suoi. Un sorriso sornione nacque sulle sue labbra e, puntando un dito verso di lei, urlò. “Guarda, c’è Suki!”

Vide Sokka girare la testa di scatto nella direzione in cui sua sorella stava indicando e il suo viso si illuminò. Suki si fermò e aprì le braccia, in attesa, contagiata dall’allegria del suo fidanzato.

“Suki!” Lui esclamò, correndo verso di lei.

Lei sorrise. Non si sarebbe mai stancata di sentire il suo nome pronunciato da lui, non in quel modo.

Rise di cuore, non appena l’avvolse stretta tra le sue braccia. Quando i loro occhi si incontrarono di nuovo, però, vide il suo sguardo farsi più scuro come se si fosse ricordato solo in quel momento che lei non sarebbe venuta con loro.

Nel viso di Sokka comparve un’espressione avvilita, e la tirò subito in un altro abbraccio. Suki ricambiò con altrettanta energia, cercando di farsi il più vicina possibile. Ed era consapevole che la parte difficile doveva ancora arrivare.

Lui le prese delicatamente il viso tra le mani e le baciò i capelli, prima di prendere un respiro profondo, come a volersi impregnare con il suo profumo, mentre Suki chiudeva gli occhi lasciando che le accarezzasse gli zigomi con i pollici.

“Sokka.” Lo chiamò ma ancor prima che potesse dire qualcosa, lui la baciò. Una, due, tre volte, finché lei ebbe l’impressione di perdere il conto.

“Ti scriverò ogni giorno.” Lui promise.

“Questo è stupido, e lo sai.” Suki rise. “Devi aspettare che il falco messaggero arrivi a destinazione, Sokka. Non puoi mandare lettere ogni giorno.”

“Ho detto scrivere.” Sokka specificò, mostrando un sorriso compiaciuto. “Scriverò ogni giorno, poi aspetterò che il falco faccia ritorno e ti manderò quello che ho.”

“Questo è…” lei esitò “ancora stupido. Finirai solo per accumulare fogli.”

Lui alzò gli occhi al cielo. “Va bene, bene, ti scriverò ogni volta che posso.”

“Meglio.”

I due risero, poi Sokka le scostò i capelli dal viso e lei si appoggiò al suo palmo.

“Sei davvero importante per me, Suki.” Lui sussurrò e Suki sorrise, sapendo bene cosa intendesse dire davvero con quelle parole. Per un’istante, la sua mente tornò al giorno in cui se lo dissero per la prima volta. All’Isola Ember.

“Sei davvero, davvero, importante per me anche tu Sokka.”

Ti amo anche io.

Lui sorrise e la strinse tra le sue braccia di nuovo. Le passò una mano su e giù sulla sua schiena e lei lo strinse un’ultima volta, prima che entrambi sciolsero l’abbraccio.

“Lascia tutti senza parole, ragazzo intelligente.” Suki disse, mentre erano ancora mano nella mano.

“Prendi a calci qualche sedere, ragazza tosta.” Sokka rispose, facendola ridere.

Suki svuotò i polmoni in un sospiro, quando nessuno dei due si allontanò. Avrebbe potuto perdersi facilmente in quegli occhi che adorava tanto.

“Sokka!” La voce di Katara li raggiunse. Il suo tono non era esigente o impaziente; sapeva che era difficile per loro, ma era comunque un doloroso sollecito che il loro tempo a disposizione era finito.

“Arrivo!” Lui alzò la voce per far sì che sua sorella lo sentisse, senza voltarsi.

Sokka si chinò su di lei e posò le labbra sulle sue per un’ultima volta. Esitando, le assaporò piano e lei alzò un braccio per accarezzargli il viso.

Suki si sentì cingere i fianchi e il calore del corpo di lui, la avvolse ancora una volta finché, all’improvviso, sentì freddo. Aprì gli occhi e lo vide distaccarsi di colpo, come in dolore e, nonostante si fosse sporta in avanti, riuscì a soffocare il desiderio di seguirlo.

Sokka si girò e si diresse verso la direzione opposta, dove gli altri lo stavano aspettando.

Suki fece per girarsi a sua volta ma qualcosa, in lei, la frenò.

Avevano stabilito una regola, tempo fa. Era stupida, davvero, ma funzionava. Avevano stabilito che; ogni volta che dovevano prendere strade diverse, nessuno dei due avrebbe dovuto guardare indietro, una volta separati. Sapevano che, se la avessero fatto, il desiderio di corrersi di nuovo incontro avrebbe avuto la meglio e, dividersi, sarebbe stato solo più doloroso.

Suki abbassò lo sguardo. Non gli dava le spalle ancora del tutto ma, in quel modo, tecnicamente non stava infrangendo la regola.

I suoi pensieri tornarono di nuovo all’Isola Ember; a come entrambi avevano deciso di concedersi il lusso di un po’ di svago nonostante la guerra, nell’assecondare il desiderio di sentirsi adolescenti perché incerti su come sarebbe andata a finire, alla prima volta in cui avevano esplorato la loro intimità.

Era stato bello lasciarsi andare completamente alle emozioni.

Suki alzò lentamente lo sguardo e, immediatamente, ricordò perché quella regola fosse così importante. Non poteva vedere il viso di Sokka, mentre continuava a camminare ma non ce n’era bisogno, la sua postura parlava per lui. Aveva la testa leggermente china e le spalle curve e, non appena lo vide sollevare un braccio per portarsi una mano al viso, sentì gli occhi pizzicare.

Spostò lo sguardo velocemente e lo diresse verso gli altri, in attesa su Appa. Gli occhi di Katara erano fissi sul fratello. Sembrava dispiaciuta.

Suki sentì un macigno sprofondare nel petto e si guardò le mani.

I suoi ricordi vagarono ancora più indietro, al loro primo bacio, a quando aveva provato a scusarsi, e alla notte precedente quando gli aveva confessato i suoi sentimenti. Si chiese che fine avesse fatto quella ragazza. Sembrava così coraggiosa e sincera, e si ritrovò a invidiarla un po’.

Era stupido, era sempre lei ma, allo stesso tempo, sapeva che non lo era.

All’epoca, Suki si era ritrovata davanti il ragazzo che non era riuscita a togliersi dalla testa dopo la sua partenza. Era stato un puro caso o, forse, destino. A lei piaceva pensare che un po’ lo fosse stato. Eppure, non aveva avuto alcuna certezza che si sarebbero incontrati di nuovo. Aveva voluto rischiare mettendo in gioco il proprio cuore. E adesso?

Non c’era più la guerra, ma si sentiva ancora incerta sul futuro. Avevano riportato la pace, eppure rischiavano ancora la vita. Ancora una volta, a prendere strade diverse e sperare che nulla di brutto accadesse mentre non erano insieme a proteggersi le spalle a vicenda.

Durante il loro primo bacio, Sokka la aveva sorpresa. Ricordava ancora il batticuore ma anche la gioia quando la realizzazione di cosa era accaduto, la aveva raggiunta. Spesso si era chiesta se lei fosse mai riuscita a farlo sentire allo stesso modo, cosa avrebbe potuto fare per far sì che accadesse.

Quella ragazza era ancora lei. Era solo un po’ diversa, cresciuta e sperava che, forse, fosse diventata persino una versione migliore della vecchia lei. Doveva solo concedere a se stessa di lasciarsi andare alle emozioni, ancora una volta.

Nonostante sentisse ancora l’incertezza sul futuro, c’era sempre stata una cosa su cui non aveva mai avuto alcun dubbio.

Suki fece un passo in avanti e si fermò.

“Suki?” Sentì Ty Lee chiamarla, adesso accanto a lei. Non si volse verso l’amica, non voleva sapere di che colore fosse la sua aura. Non in quel momento.

Alzò la testa verso l’alto. Appa era già alto in cielo, ma riusciva ancora a vederli chiaramente. Sokka era rivolto verso l’orizzonte, dando le spalle alla città per continuare a rispettare la loro regola. Forse, sarebbe riuscito comunque a sentirla.

Suki prese un respiro profondo e, con uno slancio deciso, iniziò a correre.

“Suki!” Ty Lee esclamò, sorpresa, ma lei la ignorò.

Continuò a correre dritta difronte a lei alzando lo sguardo, di tanto in tanto, per assicurarsi che non fossero troppo lontani.

“Sokka!” Provò.

Nulla accadde ma Suki non si arrese continuando la sua corsa, evitando chiunque le si parasse davanti. Se non altro, lei era veloce.

Si fermò solo quando raggiunse il porto, obbligata dalla fine del pontile. Si morse il labbro inferiore e riempì i polmoni in un altro tentativo.

Sorrise quando Katara si mosse, chinandosi leggermente in avanti mentre guardava giù verso di lei. La vide girarsi e picchiettare la spalla del fratello.

Dopo qualche secondo di incertezza, Sokka si girò verso Katara. Da lì, le era impossibile sentire cosa si stessero dicendo ma riuscì a vedere Sokka affacciarsi quando Katara indicò il porto.

“Sokka!” Urlò, di nuovo, sentendo il cuore battere all’impazzata. Consapevole che non era dovuto alla corsa. Si portò le mani agli angoli della bocca, come se potesse aiutare a farsi sentire meglio, e gridò. “Ti amo!”

Lui rimase immobile per qualche secondo mentre Aang stava già tirando le redini per far segno ad Appa di tornare indietro, e lei si chiese se avesse capito cosa avesse detto, finché si sporse verso il basso così tanto che sembrava volesse buttarsi giù.

“Cosa?” Domandò ad alta voce, invece. “Non riesco a sentirti con il vento.”

Suki ridacchiò, presa dall’euforia della situazione. “Ho detto che ti amo!”

Lo vide tirarsi su di colpo e scuotere l’amico con vigore, come a intimarlo ad andare più veloce. Lei rise, indietreggiando quando Appa iniziò ad abbassarsi alla ricerca di un posto per atterrare.

Lo trovarono poco distante dal pontile e lei corse nella loro direzione, mentre Sokka si lasciava scivolare fino a terra. Lui prese a correre a sua volta verso di lei, con così tanta veemenza che quasi rischiò di inciampare sui suoi stessi passi.

Si scontrarono in un abbraccio, e Suki si accorse di star ancora ridendo.

“Ti amo.” Sokka disse, senza fiato, a un soffio dal suo orecchio mentre la teneva ancora stretta. “Ti amo così tanto.”

“Lo so,” lei disse “lo so.”

“Volevo essere io il primo a dirlo.” Lui si lamentò. Suki non poteva vederlo in viso, ma era certa che avesse una adorabile broncio.

“Allora, perché non lo hai fatto?” Lo stuzzicò ma Sokka si limitò a scuotere la testa, ancora sorpreso.

“Se stavi cercando di farmi rimanere, sta funzionando.” Lui aggiunse, senza alcuna cattiveria.

“Scusa.” Suki sorrise, un po’ colpevole ma sapeva che stava solo scherzando. Non sarebbe mai rimasto, per quanto, probabilmente, adesso gli dispiacesse un po’ di più partire.

Sokka sciolse l’abbraccio e la guardò negli occhi. “Sei fantastica.”

Lei scosse il capo, nonostante riuscì a sentire le guance scaldarsi. Non aveva idea di che espressione avesse in quel momento, ma era certa di sembrare sciocca. Riusciva a sentire i muscoli del viso dolere, per quanto stesse sorridendo, e così tanta energia in corpo da poter scalare una montagna.

È questo ciò che si prova a dirlo ad alta voce? E si chiese perché avesse atteso così tanto a farlo.

“Devo andare.”

“Sì, devi.” Suki concordò. “Devo andare anche io.”

Lui annuì e sorrise. La baciò, prima di dire ancora una volta: “Ti amo.”

“Ti amo anche io” Lei susurrò. Dirlo da così vicino era persino meglio.

Sokka rise, felice, e a Suki mancò un battito sentendo quella stessa felicità invaderle il petto.

Le diede un veloce bacio sulle labbra, poi le prese una mano e le baciò il dorso. Indietreggiò di qualche passo, continuando a tenere lo sguardo su di lei, prima di lasciarla e girarsi per tornare dagli altri.

Suki sentì dei passi raggiungerla e fu come risvegliarsi da un sogno. Arrossì, all’improvviso consapevole di aver urlato i suoi sentimenti nel bel mezzo della città, tenendo la testa bassa per evitare di incrociare lo sguardo di qualcuno.

“Immagino che partiremo anche noi, adesso.” Tirò un sospiro di sollievo nel vedere che si trattava solo di Ty Lee.

In effetti, Suki rifletté, sembra il momento ideale.

Le risse e i reati per strada erano diminuiti, e confidava nella forza di polizia non-dominatori a cui aveva insegnato. Sapeva che gli ufficiali e Ru sarebbero riusciti a cavarsela anche senza di lei, ormai. In più, rimandare non sarebbe servito a nulla. Le sarebbe mancato insegnare, ma sapeva anche che tornare al palazzo le avrebbe fatto bene. Doveva schiarirsi le idee.

“Sì,” sorrise, determinata, girandosi verso la sua amica “Zuko ci sta aspettando.”

Suki chiuse gli occhi per qualche secondo e prese un respiro profondo mentre lasciava che la brezza salmastra che le stava offrendo il porto, le riempisse i polmoni. Poi, si volse per avviarsi verso la strada e, questa volta, non si guardò indietro.

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA: Eccomi con la seconda lettera d’amore verso questi due. Questa sarà bella lunga.
In realtà, è una sorpresa anche per me. Avevo deciso di continuare a scrivere prima le one-shot che ho in mente ma questa storia premeva troppo per uscire dalla mia testa e, alla fine, ho deciso di accontentarla.
Sono molto emozionata. Ho un sacco di idee e spero che vi piacciano.
Quindi, che ne pensate di questo primo capitolo? Spero di aver spiegato bene tutti i concetti che ho inserito, inoltre mi piace pensare che a Suki piaccia davvero insegnare e che non lo faccia solo perché deve. In fondo, l’abbiamo vista insegnare così tante volte: alle reclute, a Sokka, a Giya, a Ty Lee (credo), agli ufficiali e a Ru. Insomma, mi piaceva l’idea ed è una cosa che ritornerà. L’incertezza sul futuro credo sia uno degli argomenti che più accomuna tutti i protagonisti di Atla (prima per la guerra e ora per la vastità delle possibilità).
L’headcanon che Suki sia orfana è semplicemente dovuta al fatto che non si vedano mai i suoi genitori in “Suki, Alone” nonostante vediamo la sua infanzia. Inoltre, mi piacciano le idee che ho creato per il suo background. Spero piaccia anche a voi. La famiglia è un altro argomento che tornerà spesso. Insieme, ovviamente, all’amore. Tanto amore, amore Sukka.
Fatemi sapere che ne pensate!
Grazie a tutti coloro che sono arrivati fin qui.
A presto!

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CURIOSITÀ SU QUESTO CAPITOLO:

Peonia bianca: dolcemente profumata e di lunga durata, viene definita “la rosa senza spine” dagli europei. In Oriente, essa è simbolo delle romantiche storie d’amore. Come per ogni fiore, il suo significato cambia a seconda del colore. In questo caso, la peonia bianca, è simbolo tradizionale delle giovani ragazze che si sono distinte per bellezza ma, soprattutto, per arguzia.
Inoltre, la peonia bianca viene molto utilizzata nei matrimoni.

Colore blu: Inizialmente, la ragione per la quale ho dato a Suki l’aura di colore blu era tutt’altra. Infatti, in Occidente il colore blu indica tristezza o, addirittura, depressione. Cercando su internet, però, ho scoperto che in Oriente il blu indica spiritualità, intelligenza e pensiero. Anche se avevo scelto questo colore perché avevo pensato alla tristezza, perché effettivamente Suki è un po’ triste in quel momento, ho deciso di lasciarlo e di fare dire a Ty Lee che le era chiaro che stesse rimugghiando su qualcosa e, quindi, pensando molto.

Soprannomi: Il fatto che loro non utilizzino soprannomi ma questo tipo di sincero complimento è un mio headcanon che potete leggere qui.

Fatto divertente 1: La scena in cui Suki e Sokka si dicono “ti amo” non era pensata per essere inserita nel primo capitolo ma mi dispiaceva finirlo con una nota amara, dove Sokka si portava la mano sul viso e Suki faceva un passo in avanti e poi si fermava. Non ci sono riuscita, sono debole. Per loro, sicuro.

Fatto divertente 2: “We are (not) Alone”, il titolo di questa fan fiction, è un riferimento al fumetto “Suki, Alone” e al ripetere di Suki di non essere sola. Tuttavia, questo titolo sarà collegato molto anche alla vita di Sokka in quanto, come detto prima, in questa storia ci sono molti temi (famiglia, futuro, amore ecc…) che faranno prendere ai due protagonisti decisioni come individui singoli e non.

   
 
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