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Autore: Stillathogwarts    02/06/2022    2 recensioni
Una Susan post The Last Battle che viene a patti con il suo passato e il suo futuro, mentre affronta il periodo più buio della sua vita.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aslan, Susan Pevensie
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: I personaggi e il mondo di Narnia in generale non mi appartengono. La storia è stata scritta senza nessuno scopo di lucro.

Susan di Narnia
 
 



Susan si fermò ad osservare il vestito nero appeso nel suo armadio e trasse un respiro profondo; tirò sul con il naso, come per farsi coraggio, poi si avvicinò lentamente all’indumento. Ne sfiorò il tessuto con le mani, lo sguardo perso e il cuore che pareva potesse scoppiarle da un momento all’altro.
Non riusciva a respirare, Susan. Chiuse gli occhi e iniziò a singhiozzare. Silenziose, le lacrime solcavano il suo dolce e delicato viso, per la prima volta dopo tanto tempo privo di trucco.
Si fece forza, tirò giù il vestito e lo indossò.
 
La funzione le parve durare in eterno.
La sua figura spiccava tra la gente riunita in Chiesa e su essa si posavano costantemente e insistentemente gli sguardi dei presenti. Sembrava che tutti ponessero la massima attenzione alle sue reazioni, che studiassero ogni sua mossa e la giudicassero. O compatissero.
«Poverina, perdere tutta la sua famiglia in quel modo…»
«Una tragedia. È davvero una tragedia. Lei e i suoi fratelli erano così uniti, una volta…»
Susan poteva sentire i mormorii delle persone attorno a lei; strinse i pugni e pregò di trovare la forza in sé stessa di non fuggire via prima della fine della messa, di non scappare in un posto qualunque dove sarebbe stata lontana da tutto e da tutti.
Non stava davvero ascoltando le parole del sacerdote; non ne sentì neanche una. Nella sua testa risuonavano le ultime parole che Peter le aveva rivolto e il tono scocciato con cui lei gli aveva risposto, agitando le mani con veemenza. Se solo avessi saputo che non l’avrei mai più rivisto, che non avrei mai più rivisto nessuno di loro…
Susan era l’unica persona rimasta al termine della funzione; non si era neanche accorta che la messa era finita, che la Chiesa si era svuotata, che era rimasta solo lei, inginocchiata, con la testa tra le mani, a singhiozzare.
«Signorina, mi dispiace interromperla, ma devo chiudere la porta.»
La voce del custode si insinuò prepotente tra i suoi pensieri e Susan alzò lo sguardo, scoprendosi per un momento disorientata. Si ricordò di essere ancora in Chiesa, al funerale della sua famiglia.
Si ricompose, si schiarì la gola e mormorò un flebile e rauco «Mi scusi.», poi si voltò e andò via, distrutta, ma senza perdere il suo andamento regale. Appena uscita dal luogo, Susan notò la grossa statua di un leone situata proprio difronte all’entrata, con l’animale che pareva scrutarla attentamente. Una rabbia cieca le attraversò il corpo e riverberò nelle sue ossa.
«Se pensavi che in questo modo mi sarei riavvicinata a te, ti sei sbagliato.» sussurrò più a sé stessa che alla statua, «Mi hai chiesto di seguirti in guerra per sconfiggere la Strega Bianca, ed io l’ho fatto. Mi hai richiamata per riportare la pace a Narnia e liberare gli abitanti dalle angherie di Miraz, ed io l’ho fatto. Mi detto che non sarei potuta più tornare, che avrei dovuto imparare a vivere nel mio mondo. E io l’ho fatto. E questo è il ringraziamento che ottengo? Dove ho sbagliato? Non ho mai smesso di credere in Narnia, ho solo evitato di pensarci perché mi faceva male l’idea di non rivedere mai più la Terra che mi aveva reso grande. Ma adesso, Aslan, dopo che mi hai portato via tutto, di nuovo, lasciandomi sola in questo mondo… Come pensi possa tornare ad avere fiducia in te?»
Susan strinse le mani in un pugno, talmente tanto forte che le unghie lasciarono dei segni sui suoi palmi. Alzò la testa e lanciò un’ultima occhiata truce alla statua.
Poi andò via.
 
Sistemate le ultime faccende con i notai, Susan afferrò la sua valigia e strinse le mani alla coppia a cui aveva affittato la vecchia casa dei suoi genitori. Si soffermò sull’uscio per un secondo e scrutò con malinconia i loro figli giocare nel giardino; la sua mente volò immediatamente ad altri tempi, pervasa da ricordi di giorni più felici e spensierati.
Trasse un profondo respiro, Susan, e raggiunse il suo taxi senza guardarsi indietro: aveva un volo da prendere.
 
Susan aveva terminato i suoi studi negli Stati Uniti.
Si era laureata in Letteratura Inglese e un anno dopo le era stato offerto un posto come insegnante presso la sua vecchia università. L’aveva accettato, come aveva accettato tanti anni prima che non sarebbe mai più tornata in Inghilterra. E aveva anche deciso che non avrebbe cercato di costruirsi una famiglia tutta sua.
Poi Susan era andata ad una festa di Halloween con delle colleghe di lavoro e aveva bevuto un po’ troppo, perché quel giorno non aveva fatto altro che pensare ai suoi fratelli e non voleva che il suo umore cupo rovinasse a tutti la serata. Così Susan aveva ingurgitato un bicchiere dopo l’altro, finché non aveva smesso di pensare e si era recata in pista a ballare.
Tutto ciò che ricordò in seguito di quella notte fu la pista su cui si stava scatenando con le sue colleghe, un paio di occhi azzurri come il limpido mare di Narnia e il letto sfatto su cui si era svegliata la mattina seguente.
 
«Non capisco perché dobbiamo tornare in Inghilterra, mamma!» sbuffò un bambino di circa nove anni, piantando i piedi sul pavimento.
«Mi è stato offerto un lavoro ad Oxford, ed è un’occasione che non posso rifiutare», rispose pazientemente la madre, sorridendogli dolcemente.
«Ma a me piace qui» insistette lui, gli occhi azzurri velati da un accenno di lacrime.
Susan gli scompigliò i capelli biondi e sospirò.
Era stata punita tre volte nel corso della sua vita: la prima, quando le era stato detto che era troppo adulta per tornare a Narnia; la seconda, quando tutta la sua famiglia le era stata portata via e lei era stata lasciata indietro; la terza, quando suo figlio era cresciuto diventando la fotocopia di Peter, ma con il carattere di Edmund, costringendola a vivere il dolore della perdita subìta anni prima ogni giorno della sua vita.
«Ti piacerà anche lì. Te lo prometto, Peter Edmund Pevensie.»
 
Tornare nella vecchia casa della sua famiglia dopo tanti anni le fece più male di quello che si era aspettata, ma non poteva permettersi una villa nuova e non aveva intenzione di vendere quella in cui era cresciuta. Quando gli inquilini della casa l’avevano contattata per terminare il contratto di locazione, il giorno dopo aver ricevuto l’offerta di lavoro, Susan aveva interpretato le tempistiche come un segno e aveva deciso che forse, finalmente, era giunto il momento di tornare a casa.
Il primo giorno di scuola di Peter, Susan trovò nella cantina un vecchio diario, un taccuino dalle pagine ingiallite che riportava le iniziali E.S. sulla copertina: il taccuino di suo cugino Eustachio, nelle cui pagine aveva scritto dell’avventura ai confini del mondo che aveva vissuto anni addietro con Edmund e Lucy.
Quella mattina, Susan si recò al cimitero. Non ci era più andata, dopo il funerale. Si ritrovò a piangere sulla tomba dei suoi fratelli, che aveva fatto seppellire insieme in modo che restassero uniti come erano sempre stati.
«Mi mancate. Mi mancate tanto.»
 
Quel giorno Peter tornò a casa imbronciato come non lo era mai stato prima.
«Cosa succede, piccolo?» gli chiese dolcemente.
«Odio la nuova scuola. C’è una bambina, Martha Hastings, non ha fatto altro che vantarsi di conoscere le storie più belle, delle quali nessun altro ha mai sentito parlare» le aveva spiegato il bambino con le braccia incrociate in segno di disappunto. «Anche io voglio conoscere storie di questo tipo.»
Susan si lasciò cadere contro lo schienale del divano e chiuse gli occhi per un attimo; poi alzò lo sguardo verso il figlio e, con un mezzo sorriso misto a rassegnazione, mormorò: «che ne dici se ti racconto la storia più bella di tutte?»
Lo sguardo di Peter si illuminò e il bambino si fiondò sulle sue gambe.
«Ti prego, mamma!»
Susan si schiarì la gola.
«C’erano una volta, quattro bambini che si chiamavano Peter, Susan, Edmund e Lucy…»
 
Il giorno dopo, una volta ultimata la sua prima lezione, Susan andò in Chiesa.
Non ci si era più recata dopo la funzione con cui aveva detto addio alla sua famiglia. Attraversò la navata lentamente, a testa alta, come una regina; si inginocchiò e si fece il segno della croce.
«Peter è nato ad Agosto» fu la prima cosa che disse, con il tono di chi aveva capito tutto, «Nel segno zodiacale del Leone. Tu lo sapevi che mi avrebbe riportata a Narnia.»
Susan sorrise amaramente. «Adesso, ho capito. E chiedo perdono per aver fatto finta di non sentire quella chiamata, per aver voltato le spalle a Narnia solo per ripicca, perché Narnia non mi aveva più voluta e allora io non avrei più voluto Narnia. Adesso ricordo veramente, cosa vuol dire essere una Regina di Narnia. Farò del mio meglio in questo mondo, nella speranza di poter tornare nel tuo.»
Una brezza calda le sfiorò il volto e Susan giurò di aver sentito l’eco in lontananza del ruggito di un leone.
«Signorina» esordì una voce, schiarendosi la gola. «È venuta per confessarsi?»
«No, sono sicura di aver avuto già tutto il perdono di cui avevo bisogno.»
 
«Mamma» le disse Peter all’età di sedici anni, «perché non ti sei mai sposata? Perché rifiuti tutti gli uomini che ti si avvicinano?»
Susan sorrise.
«Perché, semplicemente, mi basti tu, tesoro» gli rispose, dandogli un buffetto sulla guancia.
«Ma io tra poco sarò maggiorenne e un giorno andrò via. Non ti spaventa l’idea di restare sola?»
«No, Peter. Perché io non sono mai sola. E poi,» sussurrò flebilmente, «potrei ricevere una chiamata da un momento all’altro e la mia presenza potrebbe essere richiesta altrove.»
Susan gli aveva spiegato allora che una volta arrivato quel giorno, lui non avrebbe dovuto essere triste perché ciò avrebbe significato, per sua madre, il ricongiungimento con la sua famiglia.
 
Susan stava preparando le sue cose per la partenza.
Peter le aveva mandato una foto della sua bambina nata prematuramente, annunciandole che aveva deciso di chiamarla Lucy in onore di sua zia, la stessa zia che aveva imparato a conoscere tramite le storie di sua madre. E allora Susan aveva sorriso, con il cuore che quasi le scoppiava dalla gioia e aveva stretto al petto la foto della famiglia felice che suo figlio si era costruito; aveva pianto di gratitudine. Il giorno seguente aveva prenotato un volo per gli Stati Uniti, impaziente di andare a conoscerla.
Ma c’era una cosa che doveva fare prima, un appuntamento che non poteva rimandare di qualche settimana.
«Benvenuta, signora Pevensie. L’ho contattata perché ho ritrovato dei vecchi archivi, da cui ho appreso che ha trascorso un periodo della sua vita significante qui. Pensavo volesse vedere per l’ultima volta questa casa, dal momento che i nuovi proprietari hanno deciso di demolirla.»
Queste, le parole con cui una giovane donna ben vestita e dal sorriso smagliante l’aveva accolta una volta giunta in quella che un tempo era stata la casa del Professor Kirke.
«Come mai?»
«Non sono riusciti a venderla e non possono permettersela. Vogliono costruirci qualcosa di nuovo»
Susan tirò su col naso.
«Potrei restare sola per un po’? Questo posto ha significato tanto per me e la mia famiglia e merita un addio come si deve.»
La donna le sorrise e annuì. «Certamente. Mi chiami appena è pronta ad andare, la aspetterò al cancello.»
 
Susan attraversò una ad una le stanze dell’abitazione, ripercorrendo i ricordi della sua infanzia; poteva sentire l’eco delle risate dei suoi fratelli, il rumore della pioggia sui vetri.
«Giochiamo a nascondino, Peter, ti prego…»
Aveva lasciato per ultima la stanza più importante. Ne aprì timidamente la porta e dopo un attimo di esitazione vi entrò.
«La Stanza Vuota!» mormorò con un filo di voce.
Era rimasta immutata, come se il tempo lì si fosse formato.
Si avvicinò all’imponente armadio che una volta aveva portato lei e tutti i suoi fratelli a Narnia e ne aprì la porta.
Tutto ciò che Susan vide fu una luce abbagliante e la sagoma di un leone ruggente che la osservava in lontananza.
«Ben tornata a casa, Susan, figlia di Eva, Regina di Narnia.»
 
Le testate giornalistiche parlarono per giorni di come la vecchia casa di campagna del Professore Digory Kirke, deceduto anni addietro, era esplosa all’improvviso e di come nell’incidente aveva perso la vita una rinomata professoressa e ricercatrice di Oxford, la signorina Susan Pevensie.



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Salve a tutti!
Ho scritto questa OS un paio di anni fa, ma non l'ho mai pubblicata; ho deciso di farlo ora. 
Ho sempre amato il personaggio di Susan e ho sempre avuto l'amaro in bocca per come è stata lasciata nella storia originale; C.S. Lewis ha detto di provare ad immaginare cosa le sarebbe successo dopo TLB, immaginare il suo percorso e vedere se sarebbe o meno riuscita a tornare a Narnia. Io le ho voluto dare questa opportunità in questa fanfiction.
Spero che vi sia piaciuta! Se vi va lasciatemi una recensione per dirmi cosa ne pensate, mi farebbe molto piacere!
Volevo inoltre dirvi che mi trovate anche su Wattpad con lo stesso nick (stillathogwarts)! ;)
A presto!
Stillathogwarts

 
   
 
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