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Autore: Dian87    02/06/2022    0 recensioni
Franziskyra, un membro dei Dragersønnene, viene inviata ad Haleflamme per aiutare nelle ricerche di un principe disperso. Quel che troverà, però, sarà più di quanto chiunque nel Þrándheimr possa immaginare…
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Immagine di copertina di Bumper
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Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Gea'
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«Dai, spingi, Trude, non manca molto.» incitò la levatrice. «Mi sembra di vedere la testa.»

«Non ce la faccio…» mormorò la partoriente, con le lacrime agli occhi.

I bambini erano silenziosi, in piedi accanto al letto dove la madre stava cercando di dare al mondo il loro decimo fratello. Erano rimasti soltanto in cinque, dato che le malattie e i cattivi raccolti avevano falciato diversi di loro. La maggiore si attorcigliò una ciocca di capelli attorno al dito e quella di età subito inferiore si morse il labbro mentre la madre gridava di nuovo, spingendo.

«Locis, Maja, venite.» disse la levatrice, prendendo la donna e sollevandola. «Ora lasceremo che Degom aiuti Hetii e faccia uscire meglio il bambino.» spostò lo sguardo sugli altri due maschi.

«Andate a chiamare vostro padre, non ci vorrà molto affinché possa decidere se tenere o meno il nascituro.»

I due bambini corsero verso la porta della stanza e svanirono dietro alla pesante coperta che divideva quella stanza dal resto. Trude si appoggiò al letto e alla donna per mettersi seduto, mentre il pancione le ostacolava ogni movimento. Una contrazione la fece piegare e spinse più forte che poté.

La levatrice la sorresse e poi l'aiutò a mettersi in piedi, divaricandole le gambe.

«È il momento.» disse, lasciando che le figlie la prendessero per le braccia e prese un piccolo asciugamano ed un coltello dalla corta lama in mano, inginocchiandosi tra le sue cosce.

«Quando lo senti, spingi più forte che puoi. Le ave ti aiuteranno.»

«Adesso…» mugugnò la donna.

Un istante dopo, un fagotto rosso di sangue e con dei giri di cordone ombelicale attorno al collo vagiva nel sicuro dell'asciugamano, la placenta era ancora attaccata al fianco e alla gamba sinistra.

La donna sollevò lo sguardo verso la porta e vide il marito torreggiare su di questa.

«Un'altra femmina?» chiese lui, piegando in una smorfia di disgusto le labbra. «Che me ne dovrei fare?»

La levatrice porse il fagotto all'uomo e lo mise ai suoi piedi. «È nata nonostante queste condizioni.» lo informò, mentre la bambina continuava a vagire. «E sembra essere più sana di tutti i bambini che ho visto finora. »

Osservò con lo stesso disgusto la bambina, che agitava i pugni e cercava di trovare un capezzolo da ciucciare.

«Se sopravvivrà il suo primo anno, allora avrà un nome.» concesse, voltandosi e lasciando a terra la figlia.

 

***

 

«Affatt!» pianse la bambina. «La mia bambola!»

I capelli biondo cenere le ricadevano liberi sopra ai vestiti, arrivando alla cintura. Davanti a lei, un bambino con i capelli dello stesso colore ma tagliati molto corti, stava tenendo in alto una bambola.

«Dillo per bene e io te la darò.»

«Affatt, per favore.» pianse ancora, aggrappandosi al braccio del fratello. «Dammela.»

«Bambini.» la voce di una donna attraversò il cortile ed entrambi si fermarono.

Con i capelli raccolti in due lunghe trecce, la madre li stava guardano con aria seria.

«Venite qui, subito.»

I bambini palleggiarono lo sguardo dalla madre alla tinozza che aveva accanto alla lunga casa, una casa dal tetto ricoperto di terra ed erba e solo poche finestre chiuse dagli scuri. La bambina fu la prima a correre, lasciando a malincuore la bambola nelle mani del fratello, e a raggiungere la madre mentre l'erba le inumidiva i piedi scalzi. Il fratello, invece, lanciò alle sue spalle la bambola e camminò tranquillamente verso la madre, con le mani agganciate alla cintura.

«Hlara, vai al fiume e lava questa cesta.» le ordinò Trude, concedendole soltanto una breve occhiata. «Arfast, tu devi raccogliere la legna.»

Hlara abbassò lo sguardo sulla tinozza e sospirò lievemente. Sapeva che qualsiasi discussione sarebbe stata accompagnata dalle strilla della madre e le cinghiate prima di lei e dopo del padre. Prese un lato della tinozza e cominciò a trascinarla senza dire una singola parola. Arfast, invece, prese una cesta di vimini e si incamminò lungo il sentiero che portava verso un piccolo boschetto all'interno di una conca poco distante.

Le mani della bambina erano già piene di calli e vide il piccolo panetto di sapone in mezzo ai vestiti sporchi.

Da quando aveva imparato a camminare, la madre l'aveva portata al fiume e le aveva dato come compito il lavare le cose di tutta la famiglia e se, per caso, qualche vestito avesse avuto anche la minima macchia allora sarebbero state cinghiate. Non che per lei cambiasse qualcosa, per qualsiasi sgarro lo scotto era la cinghia.

Sospirò lievemente.

Sapeva che la colpa di qualsiasi cosa era sua, i genitori non facevano altro che ripeterle come il giorno in cui era nata aveva danneggiato sua madre, come non fossero nati altri bambini in quella casa sempre per colpa sua.

Lanciò un'occhiata alla bambola che Arfast aveva lanciato e poi una alla madre il cui sguardo le stava fulminando la schiena.

Non era altro che una bambola di stracci, una di quelle che Gunhild aveva abbandonato tempo prima perché aveva perso una gamba ed un braccio. I capelli della bambola erano radi per tutte le volte in cui la sorella li aveva tirati ed il vestito non era altro che un pezzetto di stoffa annodato. L'aveva preso dalla cesta del fuoco, quando la sorella aveva ottenuto una nuova bambola come regalo di Vetrarsólstöður dagli avi e aveva deciso che quella non era adatta a lei.

Aveva preso delle cinghiate per aver sottratto qualcosa che sarebbe servito per scaldarsi, ma l'aveva stretta così tanto che alla fine le avevano concesso di tenerla.

"Potrei andarmene ora, non lo saprebbero mai." pensò, raggiungendo il greto sassoso del fiume.

Alcuni cespugli si trovavano poco distanti da lei e la bambina sospirò. La terra era così spaventosa, di notte, e c'erano tutte quelle bestie pronte ad azzannarla. Almeno la maggior parte stavano a riposare durante il giorno e si muovevano maggiormente con le tenebre.

"Di giorno, però, mi vedrebbero di sicuro… e se chiedessero ai Dragersønnene di recuperarmi?" lanciò un'occhiata nervosa al cielo. "Perché dovrebbero farlo?"

Scosse lievemente la testa e si avvicinò al greto del fiume. Era così placido, nulla sarebbe mai cambiato un quel mondo così noioso, nemmeno il corso del fiume.

I panni erano sempre troppi e dopo un po' la bambina cominciò a canticchiare una melodia senza parole.

Uno schiocco la fece voltare.

Non era sicura che si trattasse di un rametto che si rompeva, ma il suono sembrava molto simile a quello, e davanti a lei vide un uomo con lunghi capelli mori ed il viso barbuto, la cosa che le risultava strana era il lungo abito verde che l'uomo stava indossando.

«Non volevo spaventarti.» sorrise l'uomo, porgendole la mano per rialzarsi.

Hlara non si era nemmeno resa conta di essere finita con il sedere a terra e accettò la mano. Era così lieve e soffice nella sua, segnata dai calli dei lavori più duri.

«Sto cercando la casa di Sigbrand, mi potresti aiutare?» il tono dell'uomo era molto gentile.

Osservò con attenzione gli occhi grigio-azzurri dell'uomo e alzò soltanto il braccio, indicando la direzione della casa.

«Molto gentile, potrei sapere il tuo nome?»

Molte risposte passarono davanti alle labbra della bambina.

«Hlara.» fu l'unica cosa che lei riuscì a sussurrare.

  
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