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Autore: Melisanna    04/06/2022    2 recensioni
Aveva piovuto per tutto il funerale.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James ’Bucky’ Barnes, Steve Rogers
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Questo racconto è stato scritto in occasione della challenge May I write della pagina di Facebook Non solo Sherlock - gruppo eventi multifandom



Aveva piovuto per tutto il funerale.

Pioveva, mentre erano in Chiesa, seduti nella prima fila di panche, uno accanto all’altro, nei lisi completi scuri. Aveva prestato il suo a Steve e lui indossava quello di suo padre, così entrambi affondavano dentro a quegli abiti di misura sbagliata, la punta delle dita che sbucava appena dalle maniche, i pantaloni appesi alle bretelle. Il ticchettio della pioggia sul tetto echeggiava tormentoso per le navate.

Pioveva mentre portavano la bara al cimitero, l’odore dell’incenso soffocato dall’umidità, le parole del pastore che si perdevano tra gli scrosci d’acqua.

Pioveva mentre porgevano l’ultimo saluto e mentre ricoprivamo la tomba. Se i vicini si erano attardati fino all’ultimo per aiutarli e nessuno si era affrettato a concludere il rito, nonostante fossero zuppi, era solo perché tutti avevano amato la signora Rogers. Perciò erano rimasti lì, con i cappelli da cui si rovesciavano rivoli d’acqua, a riempire la tomba di terra fangosa, le scarpe buone che si rovinavano e i pantaloni irrimediabilmente macchiati. Perché la signora Rogers era stata un angelo. Tutti l’avevano amata.

Pioveva adesso, che erano rimasti solo lui e Steve, fianco a fianco, come sempre. Sotto un ombrello solo, perché Steve non ce l’aveva e anche se lo avesse avuto, se lo sarebbe scordato, perché Steve era fatto così e non si sarebbe mai ricordato di prendere l’ombrello il giorno del funerale di sua madre. Bucky copriva entrambi con il suo e, se aveva un fianco ormai completamente fradicio, non era un problema, purché Steve fosse asciutto. Non era un problema, se aveva un fianco completamente fradicio: non si ammalava mai, lui.

Steve non aveva detto una parola per tutto il tempo, né in Chiesa, né al cimitero e neppure adesso, che erano rimasti loro due soli. Non sembrava neppure accorgersi che era lì e lo copriva con l’ombrello, come non si sarebbe accorto della pioggia, se lui non ci fosse stato. Non piangeva nemmeno, si limitava a fissare la tomba fangosa senza muoversi, incredulo.

– Cosa pensi di fare, ora? – Si azzardò a chiedere, sperando di risvegliarlo da quello stato di stupefazione.

Steve sbatté le palpebre e si voltò a fissarlo, sorpreso di trovarlo lì.

– Io… non so. Fare cosa?

– Non puoi pagare l’affitto da solo. Non puoi farcela Stevie.

Pioveva mentre un’espressione sconcertata si allargava sul volto pallido di Steve. Bucky era sicuro che non si fosse mai posto il problema, nelle lunghe settimane di malattia di sua madre. Ma Bucky sì. Era preoccupato per la signora Rogers, sapeva che alla tubercolosi non si sfugge, ma era ancora più preoccupato per Steve. Da solo non sarebbe mai riuscito a cavarsela.

– Farò in qualche modo. Tu ci riesci, Buck.

Ed era vero, lui ci riusciva e riusciva anche ad aiutare sua madre e sua sorella. Ma a quindici anni Bucky era ormai alto quasi quanto lo era stato suo padre ed altrettanto massiccio. Era sempre stato forte ed atletico. E poi piaceva alla gente e tutti erano pronti ad assumerlo.

Steve, invece, era combina guai non più alto di un bambino di dodici e magro come un gatto randagio. Quando si spogliava, Bucky poteva contargli le costole. Consegnava i giornali e aiutava il signor Jones con la contabilità del negozio, ma nessuno l’avrebbe mai assunto per lavorare al porto o scaricare le casse al mercato.

E poi Steve doveva studiare. Non era un testone come lui. Era uno in gamba Steve, uno che sarebbe diventato una persona importante, anche se veniva dai bassifondi. Avrebbe potuto aprire una bottega, di quelle dove vanno le signore ricche o persino diventare un dottore.

Steve gli appoggiò una mano sul braccio.

– Non ti preoccupare Buck, so cavarmela. Mi basta poco.

Forse. Fino a quando non fosse stato male di nuovo e avesse dovuto comprare la penicillina. L’ultima volta era stato a letto un mese e Bucky ricordava ogni singolo giorno. Ricordava il sibilo nel respiro di Steve e i rantoli che si sentivano dalla stanza accanto e la tosse che lo squassava. Ma erano state le allucinazioni a spaventarlo più di tutto, quando Steve l’aveva guardato fisso in volto e gli aveva parlato come se non lo conoscesse, ma in modo così sensato, così ragionevole che non sembrava proprio che stesse delirando. Aveva preso altri due lavori per poter aiutare la signora Rogers a pagare le spese e non aveva frequentato mai così spesso la Chiesa come in quel periodo.

Pioveva e Bucky aveva pensato molto a quel giorno. Ne aveva parlato con sua madre e con Meg e loro erano state d’accordo che Steve non sarebbe stato in grado di pagare l’affitto e mantenersi da solo, di sicuro non se fosse stato male di nuovo. La decisione era stata ovvia.

– Vieni a vivere da me. Parteciperai alle spese, ma risparmierai comunque.

Bucky si era aspettato che Steve mettesse su il suo solito muso orgoglioso e di dover discutere per convincerlo e aveva già tutte le parole pronte. Invece pioveva e Steve abbassò il volto e appoggiò la fronte alla sua spalla e rimase fermo, così, senza dire niente, né muovere un muscolo, finché Bucky non si accorse che piangeva.

L’ombrello gli cadde di mano, mentre lo abbracciava e tra i singhiozzi soffocati, lo sentì ripetere come una cantilena – Grazie Buck, grazie, scusami.

E Steve piangeva e Bucky lo abbracciava e la terra fresca sulla tomba era una trappola di fango. Non pioveva più e dalle nuvole filtrava un raggio di sole.
  
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