Fumetti/Cartoni americani > Batman
Segui la storia  |       
Autore: My Pride    04/06/2022    1 recensioni
Il silenzio cadde come un macigno, i muscoli di tutti loro si irrigidirono e il brivido che corse lungo le loro schiene li raggelò seduta stante. Nessuno sembrava voler credere a quelle parole, una bizzarra sensazione di dejavù si affacciò nelle loro menti e rese difficile respirare, quasi stessero annaspando sott’acqua per prendere aria. Persino Jason aveva allentato la presa e fatto cadere a terra le sue pistole, il cuore stretto in una morsa mentre gli mancava il fiato.
Genere: Angst, Avventura, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bat Family, Bruce Wayne, Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
4. Grace is just weakness Titolo: Only need the light when its burning low
Titolo del capitolo: Grace is just weakness

Autore: My Pride
Fandom: Super Sons, Batman
Tipologia: Long Fiction
Capitolo quattro: 2138 parole [info]fiumidiparole 

Personaggi: Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent, Bruce Wayne, Tim Drake, Dick Grayson, Jason Todd, Talia Al Ghul, Alfred Pennyworth, Barbara Gordon, Stephanie Brown, Cassandra Cain, Vari ed eventuali
Rating: Giallo
Genere: 
Angst and Hurt/Comfort, Emotional Hurt/Comfort, Smut, Avventura
Avvertimenti: Descrizioni di violenza, Slash


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.
 
    Damian alzò debolmente le palpebre, sentendo il dolore irradiarsi dietro la sua nuca.
    Provò istintivamente a sollevare una mano per toccarsi, ma scoprì ben presto di non poterlo fare, giacché le sue braccia erano ancorate ad un muro da pesanti catene che gli avvolgevano i polsi a tal punto che, se avesse provato a divincolarsi, avrebbero scorticato la pelle già resa rossa dallo sfregamento. Dov’era? Cos’era successo? E perché era legato a braccia e gambe spalancate contro una parete?
    Damian deglutì, cercando di fare mente locale. La testa gli doleva ad ogni pensiero e la sentiva scoppiare, senza contare il sangue incrostato che gli appiccicava la pelle e i capelli. Sentiva il corpo invaso dal dolore, e fu solo quando la vista si abituò a quella penombra che si rese conto di non indossare la parte superiore della sua tunica - persino la sua cintura multiuso era sparita, e non riusciva a capire come avessero fatto a sfilargliela senza essere fritti da una scarica elettrica - e che il suo petto era ricoperto di lividi e tagli che avevano smesso di sanguinare da un pezzo, lasciando però strisce rossastre sulla sua pelle.
    Quanto tempo era passato da quando si trovava prigioniero lì dentro, ovunque fosse quel lì? Non lo sapeva, ma stava cominciando ad avere sprazzi di ricordi e… Damian allargò le palpebre, cercando di liberarsi. Jon. Suo padre. Drake. Stavano combattendo contro Zehro e un uomo che aveva visto solo di sfuggita, ma che era abbastanza sicuro di aver già visto da qualche parte, però… non riusciva proprio a ricordare dove. E, più si sforzava, più il dolore alla testa gli martellava il cervello senza sosta.
    Damian gemette, sentendo le palpebre pesanti. Aveva la gola secca e aveva come la sensazione che fosse riarsa, le labbra erano talmente screpolate che si erano spaccate in più punti e bruciavano, per non parlare delle escoriazioni alle caviglie nonostante la calzamaglia strappata che ancora indossava. Come stavano gli altri? Dov’erano? Erano lì insieme a lui? Sperava solo che stessero bene perché, dannazione, aveva il terrore che fosse successo loro qualcosa e se così fosse stato non avrebbe retto.
    «Vedo che finalmente ti sei svegliato».
    Quella voce inaspettata lo fece trasalire, e dovette sbattere le palpebre per cercare di mettere a fuoco la figura che si stava avvicinando a lui.
    «Zehro!» ringhiò nel riconoscerlo, strattonando le catene del braccio destro per cercare di afferrare l’uomo, ignorando il dolore intorno ai polsi e le catene che lo ferivano a sangue. Ma l’uomo rise.
    «Non agitarti, mio piccolo demone», esordì. «Rischi solo di farti male. E c’è qualcun altro che vuole avere quell’onore».
    «Vile traditore…!»
    Zehro si accigliò. «Proprio tu mi parli di tradimento, Ibn al Xu’ffasch?» La sua espressione si fece cupa. «Tu per primo hai tradito quella sgualdrina di tua madre alleandoti con Batman. E parli a me di tradimento?» Zehro schioccò la lingua, scuotendo brevemente il capo prima di guardarlo. «No, giovane demone. Io sto ristabilendo l’ordine naturale delle cose. Sto consegnando la Lega a chi è degno di guidarla davvero».
    Damian digrignò i denti, incurante del dolore. «Non mi interessano i tuoi sproloqui, Zehro! Dove sono mio padre e gli altri?!» sbraitò nel sentire un peso opprimergli lo stomaco non appena Zehro, guardandolo, rise nuovamente.
    «Non dovrai più preoccuparti di loro».
    Quelle parole caddero su Damian come un macigno, facendogli sgranare gli occhi. «Stai mentendo».
    «Non ci ricaverei niente nel farlo».
    «Non ti credo», esordì ancora Damian, anche se una parte della sua mente, stanca di tutto quel dolore, stava cominciando a crederci. Ma non voleva pensare di aver perso le persone a lui care. Non voleva pensare di aver perso suo padre, Drake... Jon.
    Quando Zehro allungò una mano verso la sua guancia destra, Damian trasalì automaticamente, cercando di ritirarsi per allontanarsi da quel tocco e da quelle dita che parvero bruciare sulla pelle come fuoco vivo.
    «Manderò le schiave a prepararti. Non vorrai presentarti al cospetto del tuo futuro signore in queste condizioni, vero?» domandò mellifluo, e Damian gli sputò in faccia; l’uomo assottigliò le palpebre, colpendolo con un mal rovescio che gli fece sputare sangue, stavolta. «Forse imparerai come comportarti, dopo la cerimonia», affermò Zehro in tono schietto, tirando fuori qualcosa dalla manica della sua casacca e, alla vista di quella siringa, Damian cercò di divincolarsi. «Più continui a muoverti, più ti entrerà in circolo in fretta», lo informò, bucandogli il collo.
    Damian strinse i denti alla sensazione di quell’ago che lo pungeva, sentendo il contenuto cominciare a scorrergli nelle vene; lottò per tenere gli occhi aperti, ma il vuoto si impossessò di lui e tutto divenne sfocato e confuso, suoni e parole senza alcun significato e immagini che danzavano come fiammelle davanti ai suoi occhi. Forse si addormentò, Damian non ne fu davvero sicuro, ma gli parve di sentire l’odore di sali da bagno e di un sapone profumato, qualcosa che sembrava vagamente olio d’oliva con un sentore di alloro; mani callose che non conosceva percorrevano il suo corpo e, per quanto lui cercasse di aprire la bocca e parlare, di agitare le braccia e scacciare tutte le presenze che gli ballavano offuscate davanti agli occhi, che non facevano altro che toccarlo e strofinare spugne sulla sua pelle, Damian non riusciva a spiccicare una parola, stordito.
    Riprese conoscenza solo tempo dopo, nuovamente solo. Con la testa chinata in avanti, gli ci volle un momento di troppo per sollevare lo sguardo, sbattendo le palpebre per mettere a fuoco i dintorni. Si trovava in una stanza circolare, con i polsi legati ai braccioli della sedia su cui era accomodato, e le enormi pareti di pietra riflettevano la tiepida luce delle torce che tremolavano; grandi armature medievali si ergevano ai lati di un trono dai soffici cuscini rossi e dorati, e una moltitudine di pellicce percorreva il pavimento alla sua destra, dove un tavolo contenente un cesto di frutta e una daga facevano bella mostra di sé. Lui stesso, quando si gettò un'occhiata, sembrava vestito bene, con una lunga tunica verde dai rifinimenti dorati che mettevano in risalto la sua carnagione scura. Era simile ad uno degli abiti che aveva indossato quando, a nove anni, aveva partecipato all'Anno di Sangue, ma... cosa voleva significare?
    Damian si rese conto di essere su una piattaforma intorno cui c’era solo il vuoto, e un moto di panico si impossessò delle sue membra quando capì che non avrebbe potuto fare nulla per liberarsi. Non riusciva a muovere un muscolo e, per quanto solitamente fosse un maestro nell’arte della fuga, in quel momento si sentiva come se tutte le sue forze lo avessero abbandonato. Strattonò un braccio con un'imprecazione, riuscendo solo a ferirsi maggiomente il polso mentre si guardava intorno, forse alla ricerca di una via di fuga. Alla sua sinistra c'era un'entrata, ma era al di là del vuoto su cui si trovava lui, troppo distante da raggiungere anche solo se avesse provato a saltare con tutta la sedia; uno stormo di pipistrelli gli volò contro, ferendogli il viso con le zampette e sbattendo le ali sulla sua faccia, e fu nel seguirne la risalita che Damian si rese conto dello stendardo che pendeva sulla sua testa come una spada di Damocle. Scritto in arabo, con lettere un po' sbiadite e un angolo del tessuto ormai bruciato e macchiato di sangue, c'era scritto il suo vecchio nome: Damian Al Ghul.
    «Lieto che tu mi abbia degnato della tua presenza, nipote».
    Damian trasalì. Per quanto simile alla voce di suo nonno, sapeva che non era lui. Razionalmente, la sua mente continuava a ripetergli che Ra’s Al Ghul era morto, che l’uomo che aveva parlato non era lui, e fu infatti con un’espressione stralunata che Damian fissò il volto albino di suo zio.
    «Dusan…» sussurrò con un fil di voce, incredulo. Era davvero come guardare un fantasma, poiché anche lui avrebbe dovuto essere morto. L’ultima volta che aveva visto Dusan Al Ghul, dopotutto, era stato quando lui aveva solo dieci anni.
    «Sono sorpreso», esordì l’uomo. «Quella droga avrebbe dovuto farti dormire ancora per qualche ora. Giusto il tempo di finire i preparativi per la cerimonia».
    Cerimonia. Ancora quella cerimonia. Cosa stavano architettando Dusan e… «Ti sei alleato con Zehro, Dusan?» domandò immediatamente Damian, cercando di liberarsi. «E come fai ad essere vivo?»
    «Dal nipote del Demone non mi aspettavo inutili domande sulla resurrezione». Dusan emise un verso disgustato dal fondo della gola. «La tua sola esistenza ha sempre disonorato gli Al Ghul. Ho vissuto secoli per guadagnare il rispetto di mio padre… ho provato persino ad offrire il tuo corpo per far sì che ringiovanisse… ma mi sono reso conto che mi sbagliavo, non era questa la strada da seguire».
    Dusan si avvicinò, fermandosi esattamente sul bordo del precipizio su cui si trovava Damian. Nessuno dei due parlò per un lungo attimo, osservandosi come se temessero che proferire anche una singola parola potesse innescare una reazione a catena. Infine, Dusan sollevò un angolo della bocca in un sorriso sardonico.
    «Quando sono tornato dalla morte e ho scoperto che Ra’s non l'avrebbe più fatto… ho provato ad avere la mia occasione. Ma ho scoperto che mia sorella, quell’inutile donna che tu chiami madre, aveva reclamato la Lega per sé». Il disprezzo nella sua voce era evidente tanto quanto quello che si leggeva sul suo viso. «Così ho creato una Lega tutta mia per spazzare via il passato e dar spazio al mio presente… una Lega che si sarebbe liberata della stirpe corrotta degli Al Ghul e sarebbe sorta dalle ceneri come una fenice... puoi chiamarci Lazzaro».
    Damian schioccò la lingua sotto il palato, arricciando il naso. «Se stai cercando di farti compatire, sappi che non funziona», affermò schietto. «Liberami e affrontami, codardo».
    «E rischiare che tu possa scappare esattamente come ha fatto quella vigliacca di tua madre?»
    «Sei stato tu?» Gli occhi di Damian si allargarono. Aveva pensato che il colpevole fosse Zehro, ma… non importava. Avrebbero pagato entrambi. Ringhiando, Damian si agitò sulla sedia, chiudendo le mani a pugno così forte che si conficcò le unghie nella carne. «Ti ucciderò, bastardo!» berciò, sputando saliva in preda alla rabbia.
    Dusan rise, rise talmente forte che la sua risata rimbombò contro le pareti di pietra. «No, non lo farai», disse poi con calma estenuante. «Il codice morale di tuo padre ha offuscato la tua mente. Non alzerai mai più una spada per uccidere».
    «Vuoi mettermi alla prova?!»
    «Damian Al Ghul non esiste più. L’araldo del Demone, il bambino prodigio che ha affrontato l’Anno di Sangue, non ha più alcuno scopo. È un guscio vuoto che potrà essere rimodellato come creta da un artigiano sapiente».
    Damian non avrebbe voluto, ma a quelle parole deglutì sonoramente. Uno strano peso aveva cominciato ad opprimergli il petto, ma non aveva il coraggio di dare ad esso un nome. «Non la passerai liscia, Dusan», affermò con la voce più sicura che riuscì a trovare, riuscendo solo a farlo ridere ancora.
    «Sei proprio come tua madre. Inutile. Sentimentale». Dusan sorrise nel vedere l'espressione stranita del nipote, avanzando di qualche altro passo, praticamente ad una spanna da lui. Se non fosse stato per il vuoto che lo circondava, Damian era sicuro che avrebbe potuto toccarlo. «Se avesse avuto la stessa furia che l'ha sempre mossa in passato, non sarebbe finita così».
    Fu un lampo, poi una grossa bestia si lanciò verso Damian e lo attaccò con enormi artigli, prima che il giovane potesse sollevare le gambe e provare ad allontanarlo da sé; Damian imprecò e cercò di prendere a calci il Man-Bat che lo stava assalendo, riuscendo a colpirlo in faccia con un calcio ben assestato. Un grido selvaggio scappò dalle labbra di quell'enorme pipistrello, e ben presto lo raggiunsero altri, i quali non esitarono nemmeno per un attimo: sotto lo sguardo indifferente di Dusan, lo attaccarono senza sosta e non gli diedero tempo di contrattaccare, tanto che Damian dovette cercare di nascondere almeno il viso nell’incavo della spalla mentre grossi artigli lo laceravano.
    Uno di loro colpì le corde che lo legavano e lui, una volta libero, cercò di contrattaccare con le poche forze che gli erano rimaste, ma qualcosa lo afferrò alla caviglia; le palpebre si allargarono, vedendo un Man-Bat sbattere furentemente le ali prima di tirarlo giù, oltre un precipizio. Damian annaspò, afferrando la sporgenza il più velocemente possibile mentre gli altri Man-Bat volteggiavano su di lui come avvoltoi con grida spaventose.
    «Non temere, nipote. Servirai una causa più grande».
    La presa venne meno, la voce di Dusan si trasformò in un'eco lontana tra le pareti della grotta; Damian sgranò gli occhi e si sentì risucchiato dalla gravità, precipitando inesorabilmente verso l'abisso.






_Note inconcludenti dell'autrice
Allora, beh... fine del capitolo abbastanza drastico, ma si capiranno molte cose andando avanti con la lettura.
Due note veloci:
Ibn al Xu’ffasch vuole letteramente dire Figlio del Pipistrello in arabo, ed è uno dei nomi con cui veniva chiamato Damian oltre ad Hafid.
Qui ovviamente Damian ha avuto il suo incontro con un vecchio parente (il fratellastro di sua madre, per intenderci) che ha intenzione di prendere il potere in qualunque modo, quando si dice per l'appunto parenti serpenti... la stirpe degli Al Ghul ha una vasta storia alle proprie spalle e non si salva quasi nessuno a quanto pare. Avevano già avuto un incontro tempo addietro (Damian aveva dieci anni canonicamente), quindi la si può vedere come una rivalsa
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



Messaggio No Profit
Dona l'8% del tuo tempo alla causa pro-recensioni.
Farai felici milioni di scrittori.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > Batman / Vai alla pagina dell'autore: My Pride