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Autore: Calipso19    06/06/2022    0 recensioni
Sequel di UVAPDM 1: l'alba del mito.
L'intreccio della storia a partire dal 1985, quando Michael e Jackie sono sulla cresta dell'onda grazie al successo di Thriller. Ma le cose stanno per cambiare: tutto cambia, in continuazione. E nel tentativo di fermare il tempo costruendo Neverland, Michael dovrà affrontare i contraccolpi negativi del proprio successo, accettare il proprio fisico mutabile e combattere contro un mondo che vuole sopraffarlo. Jackie sarà al suo fianco per aiutarlo, ma anche con lei le cose stanno per cambiare. Perchè, quando la guarda, gli sembra di avere occhi diversi? Perché, quando è con lei, si sente come se fosse uno specchio in frantumi?
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Katherine Jackson, Michael Jackson, Nuovo personaggio, Tatiana Thumbtzen
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Lascia che sia.

Una domenica l’intera famiglia Jackson si riunì in casa a Encino, come stabiliva la volontà di Katherine nel tenere unita la famiglia.
Le piaceva creare eventi che tutti i membri potessero apprezzare per stare insieme, dalla grigliata con barbecue e musica dal vivo per ballare, a prestigiatori per i nipotini.
Era bello godere di quelle possibilità, soprattutto per lei che ben ricordava la loro umile casa a Gary e gli anni di povertà. Ringraziava Dio ogni giorno per poter passare il tempo con i suoi figli e per quella agiatezza economica.
Certo, aveva delle preoccupazioni, come la costante rivalità fra i suoi figli per il successo, o Tito, che ultimamente si comportava in modo strano e aveva già accumulato alcune denunce. O Jermaine, che stava passando un difficile periodo al lavoro, i cui dettagli lei non sapeva ma di cui era certa che lui fosse stato raggirato.
Aveva educato bene i suoi figli.
Michael era quello che gli dava più preoccupazioni.
Sapeva che da tempo stava progettando la sua nuova casa poiché stare a Encino gli stava stretto, e lei già soffriva per la sua partenza. Gli sarebbe mancato averlo li. Inoltre, col cuore in lacrime, sapeva che gli altri fratelli lo puntavano, invidiosi del suo successo. Persino Janet, che lo assillava per carpirgli idee coreografiche.
Joseph era severo come sempre, e sembrava non avergli mai perdonato nulla. Nè l’essere il più bravo e il più ribelle, né il fatto di averlo abbandonato professionalmente.
Per quanto Katherine avesse visto il cambiamento in Michael e la sua rinnovata tranquillità dopo quella decisione, non poteva evitare di pregare perché ritornasse sui propri passi. Per il bene della famiglia.

Si mise a osservarlo. Anche quel giorno sembrava assorto. Indossava gli occhiali per nascondere alla vista degli altri i propri occhi e i propri pensieri. Cercò di capire cosa stesse guardando. Seguì la linea del suo sguardo. Incontrò Jackie, che teneva in braccio il piccolissimo TJ.
Disse mentalmente una preghiera anche per lei, come ogni volta che la vedeva vicino a un bambino, lei che era una disgraziata, che per volontà di Dio non poteva averne. Katherine sapeva che Jackie soffriva tantissimo per questa privazione.
Che Michael stesse empatizzando questo sentimento? Eppure Katherine non poteva allontanare il pensiero che l’interesse del figlio per Jackie nascondesse qualcosa di diverso. Qualcosa che lei per anni aveva sospettato ma che, dopo la scoperta della sterilità di Jackie, aveva sperato non accadesse.
Eppure, se Dio lo vuole, che sia così.
Qualcuno alzò il volume della musica. Era un brano di Fred Astaire.
Michael fece un’espressione di piacere e mosse le labbra come se canticchiasse il motivetto.
Katherine lo vide alzarsi e camminare e scorse Jackie mettere giù TJ, muovendosi a ritmo.
Con un gesto teatrale, occhi brillanti e canticchiando il brano, Jackie lo invitò a ballare.
Michael prese la sua mano e le fece fare una piroetta, prima di afferrarla e farla volteggiare con destrezza.
Da ospite timoroso si era trasformato nell’anima della festa.
Qualche amico si girò a guardarli ammirato. Katherine non potè non fare lo stesso, deliziata dalla coppia che danzava con sintonia.
Se Dio vuole, che stiano insieme.
 
———

 
Aveva voluto iniziare anticipatamente almeno le riprese per il video di Dirty Diana.
Alcune clip comprendevano la sagoma di una donna che camminava per strada al buio.  
Fecero i provini e Lisa Dean venne scelta come modella.
Non doveva rimanere molto con loro, svolgendo solo una minima parte del progetto, ma sin dal primo momento strinse amicizia con Jackie.
Certo, pensò Michael, senza stupirsene. Come avrebbe potuto non farlo.

Avevano concluso qualche ripresa del videoclip, Michael era nel camerino ancora con i vestiti di scena addosso.
Era stanco ma doveva concentrarsi. Stavano lavorando da giorni e non avevano ancora finito.
Bevve un pò di tè dalla bottiglia e chiuse gli occhi un momento, rilassandosi contro la sedia.
Anche Karen lo aveva lasciato solo per farlo riprendere un attimo.
Ma non c’era silenzio. Poteva sentire il chiacchiericcio della sala macchine lì vicino, parole che divennero sempre più distinte.
Riconobbe le voci di John, Jordan e Michael, e anche Alfred. Erano i nuovi stagisti e l’ultimo era il curatore scelto da DiLeo. Stavano parlando fra loro e ridacchiando.
Per qualche motivo, percepì che la conversazione non gli sarebbe piaciuta.
- Eeeeh - che suono fastidioso - Le paghi tu la cena?
- Se basta per portarmela a letto, anche due!
- Con la Dean! Ahahah!
- E’ una gran gnocca!
- Mi farei chilometri sulle sue gambe con la lingua.
Altri schiamazzi. Fece un’espressione disgustata.
- E la Foster?
Trasalì.
- Parliamo della Foster. Ha un fondoschiena da urlo!
- Ma l’hai vista?
- Si. Io quando l’ho vista in faccia mi sono innamorato. Perso, ragazzi. Poi appena è comparso il resto del corpo e mi sono reso conto di quanto fosse alta, mi si è retroflesso il pisello.
Schiamazzi.
Trattenne il respiro dallo stupore, inorridito.
Strabuzzò gli occhi.
- Ma dai, esagerato!
- Ma per favore, è alta come un soldo di cacio. Sembra una bambina!
- Però ha un bel culo e una bella faccia.
- E nemmeno un minimo di seno.
- Ha una vagina, quindi mi va bene. Ahahaha!
- Prima ci siamo parlati. Appena ha aperto bocca mi è venuta voglia di richiuderla, capite cosa intendo.
Altre risa. Rumori di movimento.
- Qui, si! Godi, godi troia!
- Ma che ci fa una così in questo posto?
- E’ la compositrice di Thriller e altri brani, è anche tour manager e sound technic.
- Dicono che sia un’amica di lunga data di Michael Jackson.
- Ma va, è una scusa. Secondo me ha dato più volte il culo per stare qui.
Aveva sentito abbastanza.
Furibondo si alzò e uscì dal camerino, deciso a dare una lezione a quegli maiali. Non appena fu fuori però, vide Jackie.
Era in piedi, gli dava le spalle, accanto all’ingresso della stanza dove quegli idioti stavano schiamazzando.
Il cuore gli cadde nei piedi: intuì che aveva sentito tutto.
Jackie uscì dall’immobilità e si girò di scatto, finendogli quasi addosso.
Aveva in mano un vassoio con del caffè.
Lo stava portando a quegli imbecilli.
Lo faceva sempre con chi lavorava con loro da poco, per farli sentire a proprio agio.
Il suo viso era una maschera di umiliazione.
Lo vide, ma distolse subito lo sguardo e cercò di superarlo.
La bloccò per le spalle.
- Jackie!
L’avrebbe abbracciata, se non avesse avuto quel vassoio in mano.
- Devo andare - rispose con voce lugubre.
- Dimentica quello che hai sentito - rispose lui - Sono degli idioti, dei meschini, non sono dei veri uomini. Ti prego.
- Non preoccuparti per me.
Aveva gli occhi neri e lucidi. Sì, che era preoccupato.
- Tesoro, non fare così.
Le accarezzò una guancia e cercò di farle alzare lo sguardo. Lei chiuse gli occhi, lui vide spuntarle le lacrime negli angoli.
- Fammi andare, per favore.
Non voleva piangere davanti a lui. Quanto cavolo era testarda.
- Va bene - La lasciò - Ma ti raggiungo subito.
Jackie andò via, e lui si diresse verso la stanza, dove gli schiamazzi erano stranamente cessati.
Li guardò in faccia uno ad uno.
Si ripromise che sarebbe passato diverso tempo prima che quelli avessero riso ancora.

Karen aveva visto la scena e inseguì Jackie.
La trovò in cucina, che si stava versando il caffè che stava precedentemente portando.
- Tesoro.
La castana si girò e la guardò. Chiunque avrebbe capito che stava contenendo il pianto.
- Salve - Le porse la caraffa - Caffè?
Karen scrollò le spalle.
- Sei sconvolta - si avvicinò - Che è successo?
Jackie sospirò, pensando che se avesse deciso di confidarsi sarebbe stato solo per non offendere Karen.
Aveva solo voglia di fuggire, ma non poteva farlo. Era adulta, doveva reagire con forza, o non sarebbe più riuscita nemmeno a guardarsi allo specchio.
Anche se sentire quelle cattiverie rivolte a lei e poi vedere Michael venirle incontro, bello come un Dio nel suo vestito di scena, era stato troppo e l’aveva fatta sentire ancora peggio.

Sentirono il vociare riguardo tre lettere di licenziamento redatte nell’arco di pochi minuti quando ritornarono nella sala principale. Fra pochissimo avrebbero dovuto ricominciare con le riprese.
I quattro uomini della sua umiliazione uscirono dalla loro saletta, in fila come dei bravi soldatini, borse in spalla e morale a terra, diretti verso l’uscita.
Dietro di loro spuntò Michael, nero di rabbia ma contenuto in una posa minacciosa.
Li guardò con le braccia incrociate.
Raramente gli si era vista quell’espressione torva dipinta sul viso sempre gentile.
Tutti gli altri si zittirono e nessuno osò emettere un fiato.
- Non state dimenticando qualcosa? - urlò Michael, prima che i quattro raggiunsero l’uscita.
Si fermarono, come vinti da mille forze, e con altrettanta fatica fecero dietrofront.
Michael la guardò, e per qualche motivo lei capì che doveva asciugarsi i segni della lacrime e darsi un contegno.
Lo fece, e se li ritrovò davanti.
- Scusa - dissero tutti.
- Abbiamo detto delle cattiverie che non meritavi. Ci dispiace.
Li guardò in silenzio. Erano supplichevoli.
Michael li guardava, e Jackie capì che tutto il controllo era passato a lei.
- Ti porgiamo le nostre scuse.
- Non accadrà mai più.
- Non pensiamo davvero quelle cose, stavamo solo scherzando.
- Si è vero, non si può giudicare una persona senza conoscerla, no?
Jackie li guardò. Aveva la decisione.
Dalle loro espressioni intuì che si aspettavano una specie di grazia.
Dopotutto, le avevano chiesto scusa, ma lei sapeva di contare meno di zero per loro.
Qualunque cosa avesse fatto, non avrebbe mai ottenuto il loro rispetto.
Almeno, non come una persona.
- Scuse accettate - disse, e loro la guardarono con gli occhi spalancati e dei sorrisi nascenti - Ora potete andare.
I sorrisi si spensero e quella che era stata una dimostrazione di supplica e riverenza si trasformò in un insieme di sguardi d’odio che grugniti, che divennero meno visibili quando Michael affiancò Jackie.
- Conoscete l’uscita. - disse, e loro si dileguarono.
Una volta fuori, si udirono ancora gli insulti.

Quella sera, la questione era stata accantonata.
Prima di andare, Michael cercò Jackie, come al solito.
La trovò vicino agli spogliatoi.
- Ti va di cenare insieme stasera? - propose allegro, ma si spense non appena vide la sua espressione - Che succede? - aggiunse preoccupato.
La fece voltare verso di sé, ma fece in tempo a vederla asciugarsi una lacrima clandestina.
- Niente. - rispose prontamente. - Meglio di no, comunque. Non mi sento benissimo, non vorrei attaccarti l’influenza.
Sciocchezze, stava benissimo.
La prese per le spalle e la guardò, in attesa.
- Dimmi che succede, per favore - disse con voce dolce, inclinò il viso - A cosa stai pensando?
- A niente…
- Pensi a oggi vero?
- Beh, quei ragazzi non avevano proprio tutti i torti.
- Che vuoi dire?
- Beh, non sono proprio una figura da spettacolo. E’ vero che sono bassa tanto da sembrare una bambina, è vero che non ho seno… Cioè lo sapevo prima di sentirlo da loro, però dire certe cattiverie con tanta leggerezza mi ha lasciato… Non so… Non ho scelto io di nascere in questo corpo.
Grato per quello spiraglio di debolezza che lei aveva lasciato scorgere, le strinse le spalle.
- Te l’ho già detto e non mi stancherò di ripeterlo - Disse, sorridendo - Tu sei bellissima e perfetta così come sei.
- Questa frase la si dice alle bambine brutte.
- Sbagliato, perché tu sei bellissima. E poi non esistono bambine brutte.
Sapeva che i complimenti la imbarazzavano, e infatti si era ammutolita. La lasciò.
- Ti aspetto in macchina, stasera pizza!

Quando fu fuori dalla portata del suo sguardo, il suo volto sorridente si accartocciò in una maschera di costernazione. Oggi era stato orribile.
Era stato terribile vedere Jackie in quello stato. Era stato terribile assistere a un evento simile e non aver potuto fare poco più di nulla per aiutarla. Avrebbe voluto fare di più per farla stare meglio, e non poteva nulla più di un invito a cena e qualche magra consolazione.
Salì in auto con gesti rapidi e scontrosi.
Avrebbe voluto avere la possibilità di proteggerla di più di quello che poteva fare ora.
Se fosse dipeso solo da lui, avrebbe preso Jackie prima che riuscisse a versare una lacrima e l’avrebbe abbracciata. L’avrebbe chiusa in una stanza, afferrata, stretta. L’avrebbe sfiorata e accarezzata fino a non farle sentire altro che le proprie mani addosso.
Sbuffò. In cosa si stava trasformando?
Il drago ruggente dentro di sè stava risvegliandosi dal torpore, soffocando l’uomo, alimentato da soli pensieri.
Cosa ne sarebbe stato di lui se avesse continuato così?

 
——


Quei sentimenti si rivelarono molto forti anche al matrimonio di Albert, dove la gioia nel vedere il proprio caro amico sposarsi passava quasi in secondo piano di fronte alla donna fasciata nel suo vestito chiaro da damigella d’onore.
Pauline era radiosa nel suo abito bianco, e Albert emanava una felicità senza pari.
Il matrimonio si svolgeva all’aperto, sotto il cielo. Nell’aria vi era gioia e contemplazione.
Nonostante la celebrità, nessuno degli invitati gli rivolgeva attenzione, perché erano stati avvisati preventivamente del suo arrivo e poiché era stata l’esplicita richiesta di Albert, quella di dare a lui la sua privacy, che ci teneva alla sua presenza ma che non voleva che per lui quel giorno fosse un incubo.
Era stato un bel gesto e Michael gliene era grato.
Era bello sentirsi parte di quel momento memorabile, ed era ancora più bello perché Jackie era meravigliosa e lui poteva guardarla quanto gli pareva.
Non riusciva a capacitarsi di quello che provava ogni giorno che passava vicino a lei.
Come aveva fatto a vivere senza quei sentimenti per tutti gli anni della sua vita? Ma era davvero successo?

Jackie quel giorno era sorridente e radiosa.
Pauline aveva scelto per lei l’abito della damigella d’onore, un velo unico rosa pastello che la faceva sembrare una principessa dei cartoni animati. Quel vestito faceva risaltare la sua carnagione, più scura rispetto al tessuto, e cadeva su di lei come dei petali in procinto di sbocciare.
Non poteva che credere che sarebbe partita per l’Italia a breve e che non l’avrebbe vista per diverso tempo.

Ricordò con imbarazzo quella notte in cui era rimasto a ballare fino a tardi e l’aveva trovata addormentata nella palestra. L’aveva portata a letto, erroneamente nella propria stanza, e aveva desiderato baciarla.
Era un ricordo che lo destabilizzava, perché raramente aveva desiderato qualcosa così intensamente.
Dopo quell’episodio, aveva più volte indugiato in quella memoria e nelle sensazioni ad essa associate. Più volte lo avevano tenuto sveglio la notte in preda a lussuriosi bollori. Ma lo avevano fatto anche riflettere. D’altronde, era un gentiluomo, non solo una bestia umana senza pudore e in preda agli impulsi.
Si era chiesto a cosa fossero dovuti quegli improvvisi desideri, perché da quando erano comparsi non trovavano più soddisfazione nel pensiero di nessun’altra donna.
Si era anche sentito a lungo in colpa. Non voleva che Jackie fosse solo il mero catino in cui si riversavano le sue liquide voglie, nemmeno nei suoi pensieri. Lei era di più, meritava di più. E anche il proprio cuore, che perdeva sempre più battiti man mano che ci pensava, sembrava d’accordo.

 
———
 

Un’altra domenica a casa Encino.
Aveva la sensazione che da qualche tempo sua madre avesse messo Jackie sotto un’attenta analisi. Il perché di ciò, francamente, lo ignorava e, a sensazione, non se la sentiva di approfondire l’argomento nemmeno riflettendoci.
Non poteva però non notare di come la sua anziana genitrice cercasse di passare più tempo possibile con la propria amica, di come osservasse lei e di come osservasse lui stesso. Curiosamente, non si sentiva infastidito.
Chissà Katherine cosa stava pensando.
- Ho saputo che ti sei iscritta all’università. - Le disse, mentre erano seduti in giardino di fronte allo stagno a bere delle bibite.
-Sì, un pò fuoricorso, però ci tenevo a farlo. Sai, per mia conoscenza personale e nel caso un giorno decidessi di fare qualcos’altro, qualcosa di completamente diverso da ora. Vorrei avere una preparazione in qualcosa.
- Ottimo. Sono molto contenta di questa scelta. - Non poteva non esserlo. - Che cosa è?
- Filosofia.
Katherine aggrottò le sopracciglia.
- Filosofia? Davvero?
- Si.
- Come mai proprio filosofia?
- E’ una materia interessante, mi piace molto impararla e spiegarla a chi non la conosce. Inoltre sono del parere che apre tantissimo la mente e amplia il modo di pensare.
- Io non lo credo. Almeno… Non così tanto. - E si allontanò con la faccia scura.
Michael, che aveva assistito a quello scambio, guardò Jackie con aria rassicurante.
- Non badare alla mamma. Non è arrabbiata con te. Ha solo paura che tu possa relegare in un angolo ciò che fa parte di tutto.
- Ti riferisci a Dio?
- Ovviamente.
- Può darsi, ma non vuol dire che chi la studia non possa avere un proprio fondamento religioso. Io voglio ampliare la mia mente. Voglio vivere libera, oltre le nostre imposizioni mentali.
- Che intendi?
- Che non voglio avere tabù, non più.
Ripensò a quando, parlando con Guglielmo qualche anno prima, si era resa conto che non era così scontato che una donna si dovesse sposare. Si sentiva una vera sciocca a ripensare a quel momento. Rabbrividì, disturbata dalla propria ignoranza e chiusura mentale.
- Voglio conoscere tutto. Voglio essere libera di esprimermi senza che ci sia qualcuno a fermarmi, e voglio poter parlare di tutto e, se necessario, metterlo in discussione. Tu mi capisci vero?
- Certo che ti capisco. Sono dello stesso parere. Voglio poter fare tutto, ma in nome di Dio e per Dio. Io sono un suo strumento. Tutti noi lo siamo, anche chi non lo sa.
- Può darsi, ma io vorrei ragionarci sopra e capire se ci credo davvero. - Sorrise, a metà fra il serio e lo scherzoso. - Posso farlo senza avere il tuo rancore?
- Perché? Hai paura che mi possa offendere? Sei libera, e non me la prendo se vorrai continuare a discutere certe cose con me. Rafforzerà la nostra fede.
- La nostra?
- Si. Anche se diventerai una filosofa, so che non rinuncerai mai a Dio.
Ebbe un momento di riflessione. Michael l’aveva detto in quel modo perentorio come se dovesse convincere lei, o sé stesso, di qualcosa. Non ne era sicura. In quel momento si sentiva avida di scoperte e limitarsi a Dio come risposta per tutto le dava una sensazione di fastidio.
- Forse è vero - rispose più per dargli soddisfazione che altro.
Lui parve accorgersene e per un solo attimo si irritò. Ma quella scintilla scomparve subito, e i suoi occhi tornarono ad esprimere serenità.
- Ma anche se decidessi di farlo, io continuerò a pregare per te. - Aggiunse tranquillo. Lei ridacchiò.
- Grazie Mike, molto gentile.
Tornarono a guardare lo stagno. La superficie dell’acqua in quel momento non rifletteva alcuna luce. Potevano vedere il fondale con nitidezza e gli storioni ornamentali che nuotavano placidamente nel loro mondo parallelo fatto d’acqua. La pace in quel momento era così penetrante che persino il silenzio faceva rumore.
- Ti ricordi quando ti ho parlato della tua volontà di vivere senza riserve?
- Si.
- Voglio farlo anch’io. E non solo. Voglio farlo per gli altri. Voglio approfittare del fatto che posso permettermelo per fare del bene. Cioè, ti rendi conto di quanta gente abbia bisogno in questo momento?
Al solo pensiero di quelle situazioni, gli occhi di Michael diventavano fiammeggianti. Jackie ne fu quasi travolta. La pace prima percepita sembrava essersi dissolta per via di quell’increspatura.
- Di quanta gente soffre, si ammala e muore senza poter far nulla per evitarlo perché semplicemente è nata povera? Perché non fare nulla per loro se ne ho la possibilità? Altrimenti, che me ne faccio io di tutto questo denaro?
- E’ bellissimo Mike.
Non sapeva se si stava riferendo all’intento appena espresso o a lui stesso. Ormai, quello che provava per lui si sovrappone con quello che lui dimostrava di essere e di volere, incarnandosi in esso. A volte, Jackie faceva fatica a capire dove iniziassero e finissero i confini emotivi che li separavano, che separano ogni individuo dall’altro. Si concentrò su sè stessa, su come si sentiva a riguardo del discorso corrente. - Anche io voglio fare così, voglio vivere in questo modo. E voglio avere la mente aperta a qualsiasi cosa chiunque possa dirmi. - Si zittì per un attimo, colta da un’idea. - Sai cosa sarebbe davvero bello?
- Cosa?
- Risalire l’Africa da sud a nord con un camioncino pieno di vestiti e medicine, e andare nei villaggi vicini alle città occidentali a distribuire queste cose. Non in quelli tribali o di chi vive secondo tradizione, ma in quelli che subiscono l’influenza della nostra società industriale dell’Occidente. Questo… Questo mi piacerebbe davvero.
- E’ un’idea meravigliosa Jackie. Facciamolo. Possiamo partire domani, sarai di ritorno per l’arrivo di Guglielmo e poi partiremo ancora e staremo via un mese.
- Che? Michael aspetta!
- Non mi ci vuole nulla a organizzare tutto. Posso far venire le medicine dall’Europa e il cibo da Città del Capo, e per il resto ci riforniremo localmente.
- Mike aspetta! Non possiamo partire ora!
- Perché no? Certo che possiamo! Sarà bellissimo, non sto più nella pelle!
- Lo vedo, ma cerca di calmarti. Non prendiamo decisioni affrettate. Inoltre ora sei impegnato con Q, non puoi lasciarlo solo. E’ il momento di concentrarsi e poi, quando saremo liberi, ti prometto che andremo.
- Uhm… Ok. E io ti prometto che ti porterò a fare il viaggio in Africa che hai sempre desiderato fare.
Grazie Mike… Che Dio ti benedica.

 
——


Jackie si sentiva piacevolmente immobile quando tornava a casa dai suoi famigliari.
La sua permanenza da loro, circondata da un clima più fresco e quieto, le risultava estremamente riposante rispetto alla vita frenetica, quasi finta, che conduceva dall’altro capo del mondo.
Ma quella tranquillità non poteva durare, poiché da ferma poteva riflettere meglio e più approfonditamente riguardo alcuni eventi all’inizio della propria vita.
L’assassinio della madre sarebbe stato traumatico per chiunque, figurarsi per lei la quale aveva assistito a ciò ed era stata portata poi via da tutto ciò che conosceva da suo padre, un uomo con cui non aveva mai legato e che era morto senza nemmeno suscitarle un pò di tristezza o attaccamento. Un uomo colpevole di delitto.
Il passato non si poteva cambiare, eppure le cause di quella vicenda rimanevano oscure per lei.
Aveva già chiesto più volte alla propria famiglia qualche spiegazione in più, ma non c’erano prove che incolpassero George né tracce del movente e il caso era stato archiviato dopo diversi anni.
Jackie aveva smesso di chiedere, poiché vedeva che a ogni nuova domanda, uno dei suoi fratelli, il nonno o la zia soffrivano terribilmente.
Non aveva nemmeno avuto il coraggio di parlarne con loro, se non per lettera, sul fatto che l’assassino era suo padre. Ciò che aveva era una confessione di cui non aveva prove, e di cui non avrebbe più potuto averne.
Avrebbe tanto voluto sapere il perché di quel gesto più che sconsiderato.
Forse c’era solo una persona che avrebbe potuto rispondere alle sue domande: Giada, la migliore amica della mamma.

Era una persona solitaria e burbera, frequentava le peggiori compagnie nei più pessimi bar, ma a Jackie non dava fastidio. Sapeva che quello, in qualche oscuro modo, era la sua maniera di combattere il dolore.
Aveva visto le vecchie foto di Giada e della mamma: erano due donne graziose, tutte veli e fiori.
Sua mamma era immortale per sempre in quelli immagini, ma Giada aveva potuto dare agli altri modo di vedere l’altra sè stessa.

Jackie trovò il coraggio di chiederle qualcosa in più.
Purtroppo, nemmeno la madre di Josephine, la quale stava accanto a loro durante quella conversazione, pur non ascoltando, aveva saputo dirle qualcosa in più sull’assassino e il movente.
Ciò che Giada sapeva era una cosa sola.
- Detestavo tuo padre. - Ammise. - Non capivo proprio cosa Anna ci trovasse in quel bifolco. Era il tipico turista americano maleducato e superiore. Un arrivista, un mezz’uomo meschino. Per fortuna che hai preso tutto da tua madre. Di lui hai davvero poco, a malapena la forma del naso. Credo, non me lo ricordo molto bene. Hai detto che è morto, no? Il mondo conta una bestia in meno.  
Le si fece più vicina, come per dirle un segreto. I suoi occhi sembravano due spilli scintillanti.
- Vuoi un consiglio, Jackie? Lascia perdere questa storia, non ne vale la pena.
Trasalì. Prima di rendersene conto, una furia cieca assolutamente estranea e sbagliata si impossessò di lei.
- Come sarebbe a dire? - strillò, incapace di contenersi. - Era la tua migliore amica!
- Non mi fraintendere, ragazza. - rispose Giada, senza cambiare tono di voce. - Pensi che con questo voglia dire che non me ne importi più nulla? Voglio farti capire che questo tuo accanimento non servirà a nulla e di certo non riporterà in vita tua madre. - Fece una breve pausa. - Servirà soltanto ad avvelenarti l’anima per qualcosa che non puoi risolvere. Non ci sono più tracce, non ci sono mai stati testimoni. Il caso è archiviato.
Le carezzò un braccio, il suo tocco dolce rispetto alle sue parole.
- Impara a lasciare andare Jackie.
La castana strinse le labbra, la mente piena di pensieri torbidi. L’ultima frase la risvegliò dal torpore. I suoi occhi puntarono la donna.
- Tu l’hai fatto, Giada? - chiese. - Hai lasciato andare?
Chiunque si sarebbe sentito intimida di fronte a quello sguardo, ma non la donna.
Anzi, sembrò accogliere quegli occhi come una benedizione, e vi si perse. Jackie potè scorgere in lei una dolcezza e un amore puro che per un attimo fecero sembrare Giada una persona completamente diversa. Arrossì.
- Anna era tutta la mia vita, piccola ficcanaso. - Rispose. - Mentirei se ti dicessi che ho seguito alla lettera il mio stesso consiglio, ma per me è una faccenda diversa. - Sospirò, e distolse lo sguardo. - Forse una parte di me è morta con lei, ed è rinata quando è nata Josephine.
Entrambe guardarono la ragazza vicino a loro, che a sua volta guardava persa fuori dalla finestra. Chissà a cosa stava pensando. - Come vedi, per andare avanti si trova sempre il modo. - E come mai Josephine parla solo francese? Non ho mai trovato il modo di chiedertelo meno direttamente. - Dopo quello che ti successe, come potevo rimanere qui? Abitare nella stessa città in cui io e tua madre siamo cresciute insieme? Non avrei potuto farcela. Così ho mollato tutto e sono partita. Sono andata a Lione e Josephine è nata là. Mi sono sposata con un uomo onesto e buono, che ci ha dato tutto e ha amato Josephine cose se fosse figlia sua. Ci siamo separati quando ha trovato un’altra donna. Josephine è nata il 3 luglio 1961, dieci anni prima che Jim Morrison venne trovato morto nella sua vasca da bagno. Al che sono tornata in Italia, dove sono le mie origini. E qui si vive bene.
 
——

- Puoi non credermi, ma ti assicuro che per è estremamente rassicurante il fatto di non essere riconosciuta qui. Non che a Los Angeles venga perseguitata dalla folla come certe mie conoscenze, ma ti giuro che sono più che felice di questa tranquillità.
Paolo sollevò un sopracciglio così tanto che parve quasi staccarsi dalla faccia e prendere il volo.
- Ed è per questa estrema soddisfazione che mi stai chiedendo di darti un lavoro?
Jackie sbottò.
- Mi annoio! Cioè, sono grata per questa vacanza, ma è un pò troppo per me! Sono già stata al mare e in montagna, ho visitato i dintorni, letto tutto quello che c’era da leggere a casa. Ho provato anche tutti i bar del circondario. Qui tutti lavorano, e non posso nemmeno andare in giro con Josephine perché a quanto pare - Adocchiò la mora non discreto rancore - Non le piace come guido, e sono un pò stufa di stare di sola.
- E quindi hai pensato di chiedere a me di assumerti per qualche giorno nel ristorante di mio padre? A fare la cameriera? Davvero non ti è venuto niente di meglio?
- Senti, per qualche giorno vorrei provare a fare finta di essere una normale ragazza, donna, italiana, con un lavoro che non sia il mio. Coraggio, cosa hai da perdere?
Paolo sbuffò. Sembrava di avere di fronte una ragazzina e non una donna anche più anziana di lui.
- Tutto, se non fai bene il tuo lavoro.
Jackie sorrise.
- Questo significa che mi assumi? - Lui rise di gusto.
- Diciamo che si tratta di un periodo di prova che durerà fino a quando non partirai.

Paolo lavorava nel ristorante di suo padre da quando aveva smesso preventivamente la scuola. Non aveva grandi pretese per il futuro, nessuna voglia di studiare e nessun interesse nel viaggiare o conoscere nuove cose. La sua sistemazione attuale gli piaceva e prometteva bene.
Nonostante l’età e il fatto che non avesse visto molte cose, non si stupiva facilmente di nulla.
Dovette ricredersi quando vide lavorare Jackie. Si divertiva come una bambina pur mantenendo riserbo ed eleganza alquanto professionali, ben più di quanto si adducessero a quella mansione.
Chiacchierava con i clienti abituali, era cortese con i turisti e rapida nelle ordinazioni.
Era divertente averla lì.

Da un giorno solo era arrivato un nuovo cliente, un tipo alquanto stravagante.
Era venuto a mangiare da loro a tutti i pasti, persino a colazione, in cui servivano nella zona predisposta a bar, una sala secondaria separata dal ristorante e collegata a un cortile interno.
Era una zona che normalmente i clienti non amavano frequentare, perché alte mura chiudevano ogni possibile visuale sulla strada, non c’erano finestre sui muri e il sole picchiava forte a una certa ora.
Invece il nuovo arrivato sembrava aver apprezzato quella sistemazione. Si era fatto sistemare un ombrellone per poter stare all’ombra e da allora quello era diventato il suo posto abituale. Nessuno glielo rubava, neanche lo avesse esplicitamente riservato.
Nessuno capiva quanti anni avesse quel tipo. Poteva benissimo essere un vecchio come un quarantenne molto provato. Era gobbo, col torace gonfio e le gambe scheletriche a confronto. Indossava vestiti umili ma dai tessuti morbidi e ricercati. Doveva essere per forza benestante. Aveva occhiali molto spessi e una barba folta e disordinata.
Era spesso accompagnato da un secondo uomo, che si era presentato come il suo assistente.
Nonostante la sua stravaganza, passava indisturbato. Forse per il suo modo di muoversi e di porsi, schivo e riservato.
Ciò che lo aveva più colpito, comunque, non era la bizzarra del nuovo venuto. Figuriamoci, era abituato a ben altra eccentricità, assai più manifesta e americaneggiante. No. Lo aveva stupido l’improvviso cambio di registro di Jackie.
Da quando quel nuovo cliente aveva fatto la sua comparsa, lei sembrava strana. Sembrava che guardasse quel tipo come si osservano i vermi dentro una forma di formaggio.
Voleva fare qualcosa per frenare quell’atteggiamento.

L’odore di quel tipo le ricordava una forma di formaggio. Eppure era qualcosa che aveva già sentito, o annusato.
Qualcosa di chimico, di industriale, un profumo fatto apposta per essere puzzolente e nascondere un’altra essenza.
Dove aveva già sentito quell’odore?
Inoltre, quel tipo le ricordava qualcuno. Le ricordava troppo Michael, nonostante fossero persone molto diverse. Per qualche attimo, più e più volte nel corso della giornata, un dubbio preciso di era manifestato nella sua mente, ma lei lo aveva allontanato con la stessa facilità con cui si allontana una mosca fastidiosa.
Impossibile, continuava a ripetersi. Non può assolutamente essere lui. Non ha alcun senso.
Michael le mancava, come ogni volta che tornava in Italia.
Lo pensava sempre, ogni volta che vedeva un panorama che avrebbe voluto mostrargli, ogni volta che assaggiava una pietanza particolarmente buona.
Ogni volta che andava a dormire, e si chiedeva se a Michael sarebbe piaciuta la morbidezza di quel cuscino, nonostante fosse un oggetto datato e di tela ruvida.
Si sentiva un pò sciocca, ma si consolava del fatto che il suo immaginario fosse di sua esclusività, e che nessuno avrebbe mai potuto saperlo.
- Jackie, per favore, andresti tu a ritirare le tazze del cliente sul retro?
Il tipo bizzarro che sapeva di formaggio.
- Certo, vado io.
Era distratta, e la colpa era sua. E di Michael, indirettamente.
Ridacchiò, e troppo tardi si rese conto che il cliente l’aveva notato.
Soffocò il sorriso, cercando di contenersi in un’espressione cordiale ed educata.
Si avvicinò per disporre il tavolo, ma in quel momento qualcosa si chiuse attorno al suo polso.
Una presa ferrea, decisa ma anche tanto, tanto familiare.
Ebbe appena il tempo di sobbalzare che si ritrovò coinvolta in una giravolta e poi, come una bambola, malamente seduta addosso al tipo, il braccio dell’uomo avvolto attorno a lei come una cintura di sicurezza.
L’odore di formaggio era così intenso che le penetrò nel cervello, ma riuscì a percepire anche l’essenza dietro quel tanfo consistente: avrebbe riconosciuto quella colonia senza difficoltà anche in un negozio di profumi.
I suoi occhi si ritrovarono incatenati ad altri due marroni che la fissavano con intensità, meraviglia e gioioso divertimento. Erano ancora più belli dietro quel travestimento. E anche il suo sorriso, bianco e sincero e circondato da barba finta.
Avrebbe voluto urlare, parlare, ridere, fargli un sacco di domande.
Perché sei qui? Ti ha visto qualcuno? Come stai? Come hai fatto a trovarmi?
Ma non riuscì a fare nulla di ciò. Il suo cervello era in tilt, paralizzato da quella inaspettata visita, dalla loro improvvisa ed intensa vicinanza fisica e da come la stava guardando, estasiato ma in attesa di una sua mossa.
- Respira. - Le disse dopo un minuto di stasi, e lei si rese conto di non averlo più fatto.
- Oh mio Dio! - Si riscosse e gli gettò le braccia al collo. Lui ricambiò l’abbraccio immediatamente e la strinse maggiormente a sè, forzandola più comodamente seduta su di lui.
- Cosa ci fai qui? - riuscì a chiedere lei dopo un pò. Lui girò appena il viso per sussurrarle all’orecchio.
- Volevo vederti. - Le disse. Si sentì e gli sembrò d’essere stato languido senza volerlo. Giurò tuttavia di averla sentita rabbrividire per tutta la schiena, e ciò gli procurò piacere a sua volta. Continuò a stringerla, in preda a un batticuore e uno stordimento che lo rendevano incapace di percepire l’ambiente circostante.
In quel momento non se ne preoccupava, perché Rent era lì apposta per tenerlo d’occhio e al sicuro, e poi perché il mondo non avrebbe potuto interessargli di meno quando aveva Jackie lì fra le sue braccia.
Giurò anche che l’avrebbe voluta baciare quando lei si era incantata a guardarlo incredula, Dio solo sapeva quanto.

- Ma come è possibile?
- Ho preso un aereo e sono venuto qui.
- Ma come facevi a sapere che…?
- Che tu ci creda o no, è stata una coincidenza fortunata. Ti ha trovato Rent. Mi ha preceduto di qualche giorno per fare un sopralluogo. Perdonami se ti ho fatta seguire per un pò, ma volevo farti una sorpresa.
- Tu sei matto.
- Che sta succedendo qui?
Trasalirono entrambi.
Paolo era sulla soglia del cortile, un manico di scopa brandito come una mazza, il viso paonazzo di fronte all’ultima scena che si aspettava di vedere. E dire che non era un tipo di facile stupore.
- Oh.
Jackie si staccò leggermente, ma non si alzò. Era troppo bello quel contatto con Michael.
Ma doveva a Paolo delle spiegazioni.
Doveva essersi spaventato, doveva aver pensato che il cliente l’aveva aggredita.
Il ragazzo però non stava guardando lei.
- Ma quello… Quello è…

 
———


Si domandava se presentare Michael alla propria famiglia sarebbe stato più o meno semplice rispetto che farlo conoscere a Paolo senza che il ragazzo avesse una crisi isterica.
Fortunatamente, l’amico di Josephine aveva sufficiente sale in zucca per contenersi nel momento più appropriato, al fine di non attirare l’attenzione degli altri clienti presenti nel locale e, dopo essersi ripreso brevemente, fece accomodare Michael in una stanza privata, in modo che potesse rilassarsi senza alcuna preoccupazione di poter essere visto. Si presentò e si rivelò cordiale, oltre che discreto nell’inglese.
Si stupirono entrambi, Paolo e Jackie, del fatto che Michael avesse imparato un minimo di italiano appositamente per quel viaggio.
Il cantante americano, nonostante si trovasse all’estero e in balia di gente sconosciuta e potenzialmente letale per lui, era felice ed emanava calma e serenità. Sembrava assolutamente convinto di voler essere lì dov’era.
E ciò faceva sciogliere il cuore di Jackie.
Michael inoltre, sembrava non avere occhi che per lei. Ogni parola che rivolgeva a qualcun altro possedeva un gesto silenzioso per lei, ad ogni parola che le diceva i suoi occhi emanavano luce.
- Ho preso una camera in un hotel inimmaginabile proprio in questa piazza. - Le rivelò.
- Perché inimmaginabile?
- Perché nessuno si aspetterebbe che io possa alloggiare al Tre Stelle Pensione da Maria Grazia.
Jackie scoppiò a ridere.
- Non posso credere che nessuno ti abbia scoperto, come non posso credere che siate solo tu e Rent.
- E va bene, ci sono altri quattro loschi individui vestiti da avvocati in viaggio di lavoro che mi stanno dando una mano, ma questa descrizione rende meno eroico il mio gesto. - Borbottò fintamente arrabbiato.
- E’ fantastico che tu sia qui. - Disse lei, chiedendosi fin dove potesse spingersi con le confessioni. Non voleva diventare strana nei confronti di Michael. Non voleva reprimersi troppo. Lo guardò in viso, con l’intento di fargli vedere quanto fosse felice. Ma quando incontrò i suoi occhi, l’espressione stessa sul viso di Michael le si ritorse contro. Da quanto i suoi occhi la guardavano con quella luce? Cosa voleva dire?

Due giorni dopo decise di portarlo a conoscere la famiglia.
Lo disse prima ai propri parenti, in modo da non scatenare reazioni di shock quando Michael avrebbe varcato la soglia.
Luca e Fabiana erano grandissimi fan, e ci misero diverso tempo a digerire l’eccitazione, promettendo di comportarsi adeguatamente ma storcendo la promessa di un autografo.
Così Jackie, dopo aver passato le ultime due serate in compagnia di Michael, una a cena in privato e una in camera d’albergo a danzare e mangiare pizza d’asporto, lo passò a prendere in auto e lo accompagnò alla villa dov’erano nate le sue antenate, sua madre, sua zia, sua nonna fino alla tris-nonna, Giacomina Artemisia Burraschi, sposata Flint.

Erano tutti ad aspettarli in giardino, e nel contorno del crepuscolo serale, sotto il profumo delle camelie in fiore, Michael conobbe la famiglia di Jackie.

 
———


Più tardi erano tutti in casa ad aspettare la cena. Il forno e tutti i fornelli erano in funzione, Caterina e Fabiana indaffarate fra mille vapori.
In salotto, Guglielmo e Andrew discorrevano piacevolmente con Michael, il primo che fungeva da interprete poiché il nonno non era molto bravo con l’inglese. La pop star, dal canto suo, aveva inizialmente stupito tutti con un pò di conoscenza della lingua, ma necessitava assolutamente del supporto dell’avvocato spagnolo per farsi capire e discutere piacevolmente del più e del meno.
Ora, per esempio, si stava facendo spiegare da Andrew com’era la situazione politica in Italia in quel momento.
Era bellissimo Michael, il suo interessarsi sinceramente ad ogni argomento anche quelli che meno lo riguardavano, e voler conoscere tutto alla perfezione.
Era bellissimo come si fosse offerto subito di firmare gli autografi per i suoi fratelli ed era stato bellissimo quando lui e Luca si erano guardati per la prima volta. Suo fratello aveva il volto e il corpo costellato di poche cicatrici ma molto evidenti. Quella condizione era dovuta ad anni di bullismo scolastico, di cui lui era stato vittima. Gli altri ragazzi lo prendevano in giro perché a differenza loro non aveva più una madre, e Luca rispondeva a cazzotti. Michael aveva certamente notato le cicatrici, ma il suo sguardo non era stato di disgusto o di pietà, bensì di comprensione ed empatia. Luca se n’era accorto, e ciò doveva averli legati.
Era bellissimo quello scenario, che mai avrebbe creduto di vedere di fronte a sé, nemmeno immaginata, tanto era surreale vedere Michael nel proprio salotto, nella vecchia casa italiana, con la sua famiglia.
Incredibile.
- Ehi Jackie, vieni un attimo per favore? Vado a prendere del vino in cantina e mi serve una mano - la chiamò Luca, sulla soglia della porta.
- Certo.
Seguì il fratello giù per le ripide scale, nelle stanze umide, piene di cianfrusaglie. Non riusciva a togliersi quel sorriso dalla faccia e neanche a non essere soprappensiero.
Con la coda dell’occhio vide Luca, con in mano una bottiglia di vino, girarsi e guardarla, ridacchiare e ridare attenzione alla bottiglia.
- Non desiderare mai di essere la sua serva, Jaqueline.
Il suo nome la fece catapultare di nuovo sulla terra, insieme a quella strana frase. La serva di cosa?
- Come scusa?
- E’ palese - disse posando la bottiglia e dando a lei tutta la propria attenzione - che lo ami e che faresti tutto per lui. Saresti disposta a gettarti da un palazzo di trenta piani se lui te lo chiedesse. Quello che voglio dirti è di non perdere mai te stessa, la tua integrità, per lui. Non annullarti mai per quanto tu possa amarlo.
Lei lo guardò seriamente preoccupata.
Luca era un burlaccione, non era il tipo da mettersi a parlare seriamente di sciocchezze come i sentimenti e l’interiorità umana nel modo in cui invece stava facendo.
Sentiva forse il peso degli anni? Si era persa il momento in cui il bambino era diventato un uomo?
- Di chi stai parlando? E perché mi dici questa cosa? - chiese mentre, due bottiglie in mano per uno, ritornavano su.
- Ho ritenuto opportuno farlo. - rispose, quando rientrarono nell’anticamera buia.
- Ma perché?
Non c’erano luci, ma la stanza riceveva il riverbero dell’illuminazione del salotto, dove si stava consumando quella scena di intimità familiare. Michael era al centro di quella scena, come il protagonista di un film, sulla comoda poltrona con davanti i due uomini. Dietro di lui, appoggiata allo schienale, Fabiana si era unita alla conversazione, e in quel momento stava ridendo di qualcosa.
Tutti stavano ridendo.
Jackie sorrise, piena d’amore, nel vedere quanto Michael sembrasse a suo agio in quel momento.
Non era in guardia, o con qualche pensiero nella testa, o non manifestava quella timidezza tipica del suo carattere riservato.
Era perfettamente a suo agio, stava bene. Era divertito, spensierato quasi. Felice.
Quel volto sereno le illuminò il cuore, e sorrise guardandolo.
Luca la fissava.
- Per questo.
Lo guardò, di nuovo preoccupata.
- Questo cosa?
- Davvero pensi che non me ne sia accorto?
- Di cosa? - chiese preoccupata. Luca sbatté le palpebre una volta prima di rispondere.
- Jaqueline, tu ami Michael, vero? - sussurrò, fissandola negli occhi. - Ce ne siamo accorti tutti. - aggiunse, di fronte al suo sguardo ammutolito.
Tutte le sue parole erano scivolate via insieme al sangue, e Jackie si ritrovò muta.
Quelle parole, quella frase, erano stranissime da sentire, la facevano tremare tutta, e avrebbe voluto essere sorda piuttosto che essere costretta ad affrontarle. Ma come poteva negare l’evidenza, ciò che sapeva essere sfacciatamente vero?
Quella sua condizione interiore doveva essere tale che persino Mister Insensibilità doveva essersene accorto, tanto che assunse un’espressione preoccupata. Mise le bottiglie su un tavolino lì accanto e le strinse una spalla in modo rassicurante.
- Ehi ehi - le sussurrò più dolcemente - non volevo farti venire un infarto. Sembri un pomodoro maturo.
Jackie si strinse a lui, mentre Luca le toglieva le bottiglie dalle mani e lei cercava di non piangere, dandosi della stupida per via di ciò che stava manifestando dopo aver sentito una semplice frase.
- Scusa Lu.. E’ che non è facile, e la situazione mi sconvolge.
- L’amore non è mai facile, ma non è sbagliato. Ti comporti come se lo fosse.. Che succede?
- Non è facile, ti dico. Ed è lunga da spiegare. - Lo liquidò , ma non sapeva esattamente cosa ci fosse da spiegare. Si asciugò gli occhi, cercando di darsi un contegno, quando un pensiero la disturbò e la fece sobbalzare.
- Che c’è? - chiese Luca, che aveva notato quel suo irrigidirsi.
- Si.. Si vede tanto?
Che tragedia. Se se n’era accorto Luca, che era una balena priva di sensibilità, doveva essersene accorto anche Michael, che la conosceva benissimo ed era un acuto osservatore. Se così fosse stato, allora non andava bene. Non andava affatto bene.
- Che cosa si vede?
- Che lui mi piace. E’ tanto evidente? - si morse il labbro. Era difficile ammettere che ‘le piaceva Michael’.
Luca sbuffò, e la guardò come se dovesse rimproverarla.
- Tesorina, si vede lontano un miglio che lui è il tuo eroe, il tuo mondo. Sprizzi adorazione da tutti i pori e se non lo vedi con gli occhi, credimi, lo percepisci nell’aria, tanto è forte.
Una doccia di cubi di ghiaccio l’avrebbe fatta tremare di meno, anche perché Luca era tutto fuorché un poeta, e quelle parole dovevano essere fuoriuscite dall’etere piuttosto che da lui.
Restò in balìa di quella rivelazione senza riuscire a muovere un muscolo facciale, senza più sentirsi gambe e braccia, rigida lungo tutto il tronco.
- Non  pensavo che.. - Espirò rumorosamente per nascondere un singhiozzo. - Ed è qui soltanto da qualche ora!
E quel che è peggio.. Era che se lo avevano notato i propri parenti, anche Michael doveva per forza averlo fatto!
- Cerca di recuperare il colore sorellina, sei passata dal rosso al bianco cencio in un batter d’occhio. Te manca giusto ‘r verde e diventi la nostra bandiera.
Quel commento in accento romano ruppe l’espressione di profondo disagio che lei aveva dipinta sul volto in una mezza risata, ma la disperazione non l’abbandonò.
- Oh Luca - piagnucolò - Sono nei guai. Lui non deve saperlo, e se l’avete notato voi…
- Eh? Michael? Cosa non deve sapere?
- Questo! - sussurrò stizzita. - Che a me piace lui!
- Allora, lui non ti piace Jackie. Te sei persa male per uno come …
- Si si - lo interruppe sbrigativa - Ma non voglio che lo sappia, ed è un casino se..
- Ma perché? - la interruppe, confuso e quasi infastidito dalla sua agitazione.
- Perché non voglio! Non è semplice.
Lui sollevò un sopracciglio.
- C’è.. C’è un’altra in mezzo? O è per via della sua carriera?
- Eh?
- Ci sarà un motivo per cui sei così stressata e per cui questa situazione è, a detta tua, così complicata.
- Si ma.. E’ lunga, e adesso si staranno chiedendo perché non siamo ancora tornati con il vino. Non possiamo parlarne ora.
Lui lasciò andare la tensione delle spalle, d’accordo con lei.
- Va bene Jackie, ma devo dirti solo un’ultima cosa prima di andare.
- Cosa?
- Che sarebbe anche il motivo per cui ti ho detto quella cosa all’inizio.
- Non intendo essere la serva di nessuno Luca - disse, cercando di essere rassicurante. - Qualunque cosa tu intenda.
- Sarà - borbottò lui poco convinto - Da quando sei entrata hai una luce negli occhi, quando lo guardi, che ti abbaglia. Davvero. Diventi ancora più bella quando c’è lui.
Quel commento la mise in estremo imbarazzo, e abbassò lo sguardo, sentendo le guance colorarsi rapidamente.
- Secondo te.. Secondo te devo trattenermi? Non devo più guardarlo? Non voglio che veda quello che avete scoperto voi.
- Tranquilla Jackie - rispose Luca, mettendole le mani sulle spalle protettivo - Lui non lo può sapere.
- Perché?
- Perché ti guarda allo stesso modo.
Se il cuore le si fosse fermato in quell’istante, non se ne sarebbe accorta.
Se la terra le fosse crollata da sotto i piedi in quel momento, lei non avrebbe avuto reazione comunque.
Rimase a guardare il fratello, immobile, come se nel mondo fosse rimasto solo lui, e Luca si sentì libero di spiegarsi.
- Ti guarda esattamente come tu guardi lui. Con le stesse emozioni, la stessa intensità. Non ha occhi che per te.
- Non è possibile.
- E’ così, credimi. Gli si illumina il volto quando ti vede e sembra addirittura più in forma quando ci sei tu. Ti adora, se non ti ama. E io credo che ti ami.
- Ti stai sbagliando.
- Allora mi sbaglio anche su di te, se non è così.
Lei chiuse la bocca con uno scatto.
Luca non aveva sbagliato su di lei, l’aveva colta in pieno.
Poteva averlo fatto anche con Michael? Come poteva essere possibile?
Luca continuò a parlare. Non sembrava volerla convincere, sembrava sincero.
- Fidati Jaqueline. Per questo ti dico che lui non può saperlo: è impegnato a guardarti allo stesso modo e a nasconderti la stessa cosa. E’ strano, anzi, assurdo che non ve ne siate accorti l’uno dell’altra. Eppure vi conoscete così bene e da tantissimo tempo. - La fissò più intensamente. - Nulla ti ha mai fatto pensare a una cosa del genere da parte sua?
Lei ripensò alla sera prima: era salita nella camera dell’hotel, lui l’aveva accolta al buio, come un’amante. Avevano riso, mangiato insieme, guardato la vita cittadina dall’alto del balcone e poi avevano ballato. Abbracciati. Lui l’aveva stretta, e lei aveva sentito il suo bacino sfiorarle il proprio, come una carezza.
Ripensò a una delle tante occasioni in cui aveva notato qualcosa di nuovo nel suo sguardo, una scintilla che non c’era prima, tutte le volte in cui aveva percepito i suoi occhi seguirla più del dovuto, soffermarsi con sentimento nuovo su quelle parti di lei, del suo corpo che lui prima, da gentiluomo, evitava o al massimo, da ragazzo, aveva guardato con curiosità.
Si sentì molto stupida. E molto emozionata.
E l’emozione la pervase a tal punto che se ne sentì sopraffatta, e cercò di allontanare quell’ondata di fuoco e acqua e lava e spade, o sarebbe morta, senza respiro, strozzata, pervasa da amore, dolore, odio, piacere sessuale e estasi.
E vide di nuovo Luca, nel buio della stanza, che la guardava in attesa di una risposta, una risposta di una domanda che non ricordava. Non ricordava più chi era, qual era la domanda.
Perché erano lì.
Luca colmò quel vuoto.
- Credimi, è visibilmente perso. Solo voi due, l’uno dell’altra, non riuscite a vederlo. Non so, forse siete troppo coinvolti. Che sta succedendo Jackie? E’ perché è complicato?
Lo percepiva.
Voleva capire, cercava di aiutarla, di comprendere la sua situazione.
Aveva visto che la cosa la toccava nel profondo, aveva visto quanto quella faccenda la faceva star male.
La sua razionalità riemerse per permetterle di rispondere in maniera umana e comprensibile, e insieme ad essa ritornò anche una paura celata.
Un divieto interiore, un’angoscia, un respiro mozzato, un urlo di diniego. Il pianto di un bambino.
- Secondo me ti stai sbagliando, Luca. Non è possibile che lui provi quello che provo io. - Strizzò gli occhi e a parlò duramente, perché la sua voce non tradisse il suo stato interno. Doveva allontanare subito tutte quelle sciocchezze che involontariamente le erano venute in mente.
- E comunque - aggiunse appena lo vide prepararsi a risponderle - Non se ne fa nulla. E soprattutto, lui non deve saperlo. Quindi non fare allusioni d’ora in poi, promettimelo. Facciamo finta di non aver mai parlato di questa cosa.
Luca non disse nulla. Si limitò a fare un cenno d’assenso per nulla convinto, e lei credette di averla avuta vinta.
Lui non avrebbe ribattuto.
Si pizzicò le guance e deterse le labbra cercando di assumere un’espressione facciale normale, e mentre i suoi passi la riportavano dalla famiglia, ebbe appena la sensazione di aver udito una risposta.
- Non puoi scappare da te stessa, Jackie.

 
  
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