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Autore: paiton    06/06/2022    1 recensioni
Il racconto di questi giorni raccoglie un diario della mia esperienza in Costa Rica, quando mi sono confrontato con un mondo totalmente diverso da quello europeo sia per quanto riguarda le abitudini delle persone che ho incontrato sia per quanto riguarda il mondo naturale con cui sono entrato in strettissimo contatto. Dopo una vacanza di venti giorni in cui ho visitato la Nazione in lungo e in largo ho deciso di andare oltre all'oceano Atlantico per altre tre volte: le prime due volte ho vissuto con abitanti del luogo, in casa loro, confrontandomi direttamente con il loro stile di vita e con le tecniche di coltivazione dei frutti tropicali. Al momento sto progettando il prossimo viaggio che mi spingerà a comprare qualche ettaro di terreno da riforestare.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scroscia una bella pioggia mattutina
l’acqua scende calda e limpida dal cielo
e si raccoglie nelle conchette delle palme
dove la guaina si attacca al tronco.
Grosse gocce passano
sulla punta delle foglie
e volano in picchiata fino al suolo.
Una raganella dagli occhi rossi
scappa balzando lontano.

Mentre cammino nel podere rischio di spiaccicare una rana che, per fortuna, salta via. Non l'avevo nemmeno vista... Appena il cielo ha smesso di piangere è salita un’afa terribile.
 
Ho lavorato tutta la giornata raccogliendo avocado su alberi molto alti, arrampicandomi faticosamente su rami sempre più sottili tenendo in mano una lunga forbice da potatura. Tagliavo i frutti (che loro chiamano “pere”) e questi cadevano giù, a livello del terreno, dove Delroy lì prendeva al volo correndo a destra e a sinistra… beh, in realtà non li agguantava quasi mai… lui sosteneva che “rotti maturano prima”.
 
Dopo aver riempito varie casse in questo modo, abbiamo caricato il fuoristrada e finalmente, verso le tre del pomeriggio, ho raggiunto la mia solita spiaggetta attraversando in bici la foresta costiera. Lungo il sentiero ho raccolto tre o quattro noci di cocco dal terreno. Con l’esperienza ho imparato a scegliere quelle giuste evitando i parassiti microscopici che ti pizzicano peggio delle pulci e ti si attaccano addosso, sui vestiti e nel letto. Bisogna raccogliere solo quelle intere che hanno acqua all’interno: si ascolta lo scroscio scuotendole a fianco dell’orecchio, se contiene poca acqua vuol dire che è un frutto vecchio che sosta lì da chissà quanto tempo.

Spesso i turisti di passaggio utilizzavano la mia capanna… ovviamente lasciavo far loro quello che volevano. Tutti avevano sempre rispettato le mie fatiche, mai nessuno ha vandalizzato la creazione a cui tanto tengo: la utilizzavano per ripararsi dal sole cocente del pomeriggio.

Quando sono arrivato sulla spiaggia due ragazzi stavano seduti sotto la costruzione. Senza dire nulla ho lasciato lo zaino molto vicino a loro, mi sono seduto su di un grosso tronco e ho iniziato a tagliare, con il machete, il rivestimento esterno di una noce di cocco.

I due ragazzi non mi avevano sentito arrivare e si girano di scatto, il maschio si alza in piedi, un bonaccione che indossa una maglietta fluorescente con cerchi coloratissimi, capello lungo e occhiali da Harry Potter.

“Oh accidenti! Non sapevamo fosse la tua casa!” Si scusa un po’ impaurito, occhi attenti, parlando in inglese e cercando di capire se conosco la sua lingua.

“Non preoccuparti, l’ho costruita ma non è mia, è della spiaggia. Potete restare dove siete, adesso apro questo cocco se ne volete” gli rispondo con tranquillità nella sua stessa lingua. Forse si erano spaventati ma sinceramente non era mia intenzione... semplicemente non volevo disturbarli e sapevo bene che impiego molto tempo per aprire il frutto, nonostante abbia appreso la tecnica servono mesi di perfezionamento per togliere l’involucro fibroso che serve proteggere la noce di cocco vera e propria2.

Quando ho visto che stavano cercando di scappare il più in fretta possibile ho piantato il machete nel tronco, con un colpo secco, e mi sono avvicinato a loro lentamente e in maniera più inoffensiva possibile.
 
Mi sono presentato, ho spiegato loro che non vivo lì dentro anche se mi piacerebbe molto ma ho un monolocale a duecento metri, dentro alla foresta, sono in affitto da Francis, quello che cucina ottimi gamberetti nel suo semplice ristorante; ho spiegato loro che provengo dal nord Italia ma durante il giorno imparo a coltivare frutta tropicale supervisionato da abitanti autoctoni.

La ragazza è molto timida ma capisce che non sono un pericolo. Entrambi conoscono Ferrara e Bologna perché vengono dall’Austria! Sono molto giovani, hanno appena ventuno anni sulle spalle e sono due studenti fidanzatini in vacanza nel tropico!

Gli do qualche dritta su quali parti della nazione visitare perché decidono di giorno in giorno dove muoversi: Tortuguero, difficile da raggiungere ma bellissimo, Bahai Ballena molto interessante per il parco nazionale, Tamarindo, anche detto Tamagringo, è assolutamente da evitare perché troppo americanizzato anche se ottimo per il surf. Loro mi ascoltano incuriositi, mi raccontano le cose che hanno visto negli ultimi giorni ma alla fine non rimangono a mangiare il cocco di spiaggia, ringraziano e scappano.

Forse per loro è stato emotivamente troppo impattante vedere la lama da sessanta centimetri del mio coltellino portatile in una spiaggia praticamente deserta. Effettivamente chi non frequenta il Cetro/Sud America prova paura in simili situazioni ma qui tutti i lavoratori hanno il coltello affilato, serve per muoversi nel campo coltivato.
 
La natura è forte e dopo una settimana le foglie sono triplicate di volume, le liane hanno coperto i sentieri e sono addirittura nati nuovi alberi che crescono ad una velocità incredibile! È necessario farsi spazio tra le fronde per evitare che qualche ragno o serpente ti cammini in testa o peggio ancora ti morda!
 
Anche sugli autobus si possono portare le lame se vengono chiuse bene dentro alla fondina di cuoio.
I due ragazzi pensavano che vivessi in pianta stabile su quella spiaggia... bella come idea, magari un giorno ci proverò! Di certo la prova mi incuriosisce.
 
[2] Ho notato che la pianta di cocco utilizza una tecnica di riproduzione molto particolare. La noce marrone scuro (quella che tutti siamo abituati a vedere nei supermercati) sta all’interno di un involucro fibroso molto più voluminoso, di colore più chiaro e molto più difficile da aprire rispetto a quello che siamo abituati a vedere. La palma da cocco produce questo doppio strato protettivo, resistente e leggero che contiene acqua ma galleggia.
 
La noce di cocco cade nel terreno, molto spesso a causa del forte vento che si sviluppa durante le tempeste. Il mare la sposta su quella spiaggia oppure su altre spiagge.


Con l’acqua di mare, con l’attacco di parassiti, con gli animali selvatici e con il passare del tempo questo doppio strato protettivo si indebolisce (una noce di questo tipo si può mangiare anche sei mesi dopo che è caduta dalla palma, se integra). La noce interna all’involucro ha tre buchi e il primo germoglio della nuova palma nasce proprio sotto uno di questi tre buchi e inizia a spingere dall’interno per far nascere la prima foglia larga.
 
Inizialmente la palma utilizza l’acqua interna alla noce per far spuntare le prime foglie, il fusto e le radici. Successivamente la pianta sarà in grado, con le radici di prendere l’acqua piovana.
Si vedono sulla spiaggia centinaia di queste palmette nate dalle noci di cocco lasciate sulla spiaggia.
   
 
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