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Autore: _Atlas_    06/06/2022    1 recensioni
1997.
Axel, Jake e Jenna vivono i loro vent’anni nella periferia di Mismar, ubriacandosi di concerti, risate e notti al sapore di Lucky Strikes. Ma la loro felicità è destinata a sgretolarsi il giorno in cui Jake viene trovato morto, spingendo gli altri nell’abisso di un’età adulta che non avrebbero mai voluto vivere.
Diciotto anni dopo, Axel è un affermato scrittore di graphic novel che fa ancora i conti col passato e con una storia di cui non riesce a scrivere la fine.
Ma come Dark Sirio ha bisogno del suo epilogo, così anche il passato richiede di essere risolto.
Genere: Generale, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo XIV

 
 
 
 

 
La prima mezz’ora di conferenza si era rivelata un incubo ed era quasi certo che qualche studente avesse colto da parte sua segnali di fatica, nonché le occhiaie che gli spegnevano lo sguardo. Solo quando si accorse che ciò che diceva stava realmente catturando l’attenzione di qualcuno parve destarsi, trovando uno slancio di motivazione che riattivò le sue energie.
Il secondo incontro prevedeva un focus sull’inventiva dell’artista e sulle tecniche di scrittura moderne, questioni che in passato avevano punzecchiato il suo approccio al disegno mettendo in discussione il suo stesso talento.
«…quindi non preoccupatevi se a primo impatto le vostre idee sembrano banali – stava spiegando-  potete sempre aggiungere dopo altri dettagli, modificarli o magari stravol-»
«Sì, ma cosa succede se l’idea non è così originale?» lo interruppe con una certa urgenza una studentessa dalla terza fila.
Axel accigliò lo sguardo, ancora non del tutto abituato a quegli scambi: «Cosa intendi per “originale”?»
«Un’idea che sia solo tua e basta, che non sia la brutta copia di qualcosa che esiste già» spiegò la giovane.
Il tempo che impiegò per formulare una risposta bastò a un altro studente per dire la propria sull’argomento.
«Sì, senza contare che è già stato detto praticamente tutto. Ti logori per mesi, pensi di aver trovato l’idea giusta e poi scopri che qualcuno è arrivato prima di te, e allora che senso ha…?»
Che senso ha? La domanda risuonò nella sua testa lasciandolo per qualche secondo incapace di replicare. Che senso ha? chiese a sé stesso, rammentando tutte le volte che in passato si era posto quel quesito senza trovare una risposta.
Aveva perso il conto delle giornate trascorse accompagnate da quel dubbio, un dubbio che ne abbracciava altri più grandi e che metteva in discussione anche il progetto più piccolo che osava immaginare.
Era stata la morte di Jake a rispondere per la prima volta a quella domanda, ma non poteva certo dire che era stato il senso di colpa a motivare la sua carriera.
«Ha senso solo quando capisci perché lo fai, a quel punto l’originalità passa in secondo piano» disse infine. «Tu perché disegni fumetti?» chiese poi al ragazzo che aveva fatto la domanda.
«Perché mi piace. E perché spero possano piacere anche alla gente…o una cosa del genere.»
«E allora fallo, il resto non conta un cazzo. E a meno che non si tratti di un plagio» specificò guardando il resto degli studenti «non c’è niente di male a prendere ispirazione da qualcosa che esiste già.»
«Da dove ha preso l’ispirazione per Dark Sirio?» chiese un’altra ragazza seduta in prima fila.
Axel tentennò un istante e si prese tutto il tempo per rispondere; aveva scoperto che concedersi piccole pause di quel tipo gli era utile per non morire soffocato dall’ansia.
«Da un fumetto di James O’Barr, Il Corvo. E se può alleggerirvi la coscienza, la prima versione di Dark Sirio era una copia spudorata del film uscito nel ’94» concluse con un’alzata di spalle che fece ridacchiare qualcuno.
 
 
 
Mentre gli studenti lasciavano l’aula, Axel intercettò il professor Layton ancora seduto tra i banchi dell’ultima fila mentre chiacchierava con qualche studente e poi con un’addetta alla segreteria.
«Il resto non conta un cazzo,» lo citò raggiungendolo poco dopo «certo che sai come comprarteli. Senza contare la chicca su Il Corvo, adesso si sentiranno autorizzati a scopiazzare a destra e a manca, lo sai?»
«E lei come al solito li farà rigare dritto. È aggiornato sui film del momento?»
«Come no, sto prendendo un dottorato sui Marvel Studios.»
Axel ridacchiò, accogliendo con sollievo la conclusione della mattinata. Non era andata male, anzi, rispetto al primo incontro poteva considerarsi un successo anche solo il fatto di non essere finito nei bagni a vomitare. Naturalmente Loraine avrebbe sentito un’altra versione dei fatti.
«Ah, ti cercavano dalla segreteria…un certo Jerry, o Darryl, ti vuole al telefono» lo informò il professore.
«Darryl?»
«Sì, dice di non avere il tuo numero e che ha urgenza di parlarti. Ci sono problemi?» gli chiese cogliendo evidentemente il suo improvviso turbamento.
«No» rispose andando verso la segreteria col fiato spezzato.
 
  

*

 
 
L’urgenza di Darryl non era altro che la porta cigolante dello scantinato del Lenox Blues, un danno insormontabile che Axel aveva riparato con una vecchia bottiglia di olio usato e qualche imprecazione di troppo.
«Grazie Axel, quella porta mi stava facendo ammattire» gli disse alla fine Darryl trascinandolo nel frattempo all’interno dello scantinato. «Vieni, devo mostrarti alcune cose.»
Lo seguì senza fiatare e cosciente di non potersi sottrarre più di tanto alle sensazioni che sarebbero inevitabilmente salite a galla.
L’umidità del locale lo fece rabbrividire e con lei tutto ciò che incontrò il suo sguardo: il palco lo ricordava più piccolo, ma era sempre lì, addossato a una parete con appese migliaia di fotografie, poster di eventi e murales di ogni tipo.
Anche i pavimenti erano gli stessi, mentre i lampadari erano stati sostituiti da luci più moderne e al passo coi tempi. Il ricordo di Margaret lo accarezzò facendolo sorridere, mentre la immaginava rimproverare qualche adolescente scalmanato che metteva a repentaglio gli arredi discutibili di quella stanza.
«Ecco qui» disse Darryl fermandosi poi davanti a un paio di scatoloni chiusi con almeno quattro giri di scotch. «Questa è roba tua, se te la riprendi mi fai un favore.»
«Roba mia?» Axel si grattò nervosamente la barba, non osando immaginare cosa potessero contenere quelle scatole.
«Sì, cianfrusaglie, foto, riviste…»
«Foto? No, Darryl…puoi buttarle, non mi interessa.»
L’uomo si tolse gli occhiali e li ripulì con un lembo del grembiule che indossava.
«Senti, conservo questa roba da diciotto anni e ora mi dici che dovrei buttarla?» gli chiese rimettendosi gli occhiali sul naso e guardandolo con un cipiglio nervoso.
«Non ti ho chiesto io di tenerla, Darryl. Non la voglio, chissà cosa…no, davvero. Puoi tenerla, bruciarla o farci quello che preferisci.»
Ancora una volta si sentì schiacciare dal suo sguardo, ma si ostinò a mantenere la sua posizione.
«Sei un cacasotto, Axel» lo redarguì infine l’uomo «Cosa pensi che ci sia dentro? Una lettera di Jake che ti accusa della sua morte? Guarda che lo so che cosa pensi.»
Non si aspettava quella provocazione e non ricordava quanto fosse spiazzante, a volte, il modo di fare che aveva. Il fatto che avesse ragione rendeva solo le cose più difficili. Fu sul punto di dirglielo, ma qualcuno si intromise tra loro spezzando il silenzio.
«È qui il mio skate?»
Riconobbe uno dei due ragazzi che la sera prima avevano rotto i bicchieri, e si chiese subito se con lui potesse esserci anche Jenna.
«No, Jenna l’ha fatto sparire» gli rispose Darryl.
«Cosa?! Perché??»
«Perché le hai fatto perdere duecento dollari di bicchieri, Lion.»
«Ma non l’ho fatto apposta! E poi è anche colpa di Mike!» si difese il giovane gesticolando e facendo inavvertitamente cadere a terra un pacchetto di sigarette e un accendino dalla tasca della felpa. «Cazzo.»
Ci fu un momento di tensione e Axel sentì chiaramente Darryl trattenere il fiato per una manciata di secondi, dopodiché lo vide avvicinarsi al ragazzo con una calma innaturale.
Non era la prima volta che assisteva a una scena simile e ricordava ancora lo sguardo che l’uomo aveva rivolto a Jake, una notte di fine maggio del ‘97, mentre lui teneva gli occhi bassi e cercava giustificazioni poco credibili.
«Lion, stammi a sentire» gli disse Darryl con voce piatta «Axel ha bisogno di una mano con quegli scatoloni, lo aiuteresti a portarli a casa?»
«Mamma mi aspetta per cena» rispose il ragazzo con tono seccato, ma comunque sul punto di cedere.
«Sono le tre del pomeriggio, Lion.»
Axel ebbe l’impulso di assecondare i capricci del ragazzo, ma lo sguardo che gli rivolse Darryl gli fece cambiare idea all’istante.
«Abito qui vicino, faremo presto» disse quindi controvoglia, pensando che i cassonetti della spazzatura fossero ancora più vicini.
«E va bene» si arrese anche Lion, prendendo uno scatolone e iniziando a incamminarsi.
Axel lo seguì, ma Darryl lo trattenne ancora qualche istante.
«Ridagliele, per favore» gli disse allungandogli le sigarette e l’accendino «Io non sono suo padre, e in ogni caso tra poco compie diciotto anni.»
«D’accordo» acconsentì Axel, guardandolo con un velo di tristezza.
«Come ti dicevo, non eravate poi così diversi.»
 
 
 
 
«Se Jenna lo scopre mi ammazza» borbottò Lion continuando a camminare con sguardo imbronciato. Axel stava al suo passo senza proferire parola e provando un vago senso di imbarazzo.
«Jenna non è mia madre, tanto per essere chiari. Ma mi ammazza lo stesso, lei è fatta così. È tipo una sorella rompicoglioni. Non dirle che te l’ho detto.»
«Non glielo dirò» assicurò Axel, pensando che in ogni caso non avrebbe avuto modo di parlare con lei di niente. Sentì lo sguardo di Lion posarsi su di sé, come a cercare una conferma che potesse fidarsi di lui.
«Tu sei quello di New York, vero? Darryl non fa che parlare di te.»
«Darryl sa essere sfiancante» commentò Axel con una punta di nervosismo, salendo le scale verso il sottotetto. L’insegna del negozio di smartphone si illuminò a intermittenza non appena svoltarono l’angolo dell’edificio.
«È com’è New York?» chiese ancora Lion.
«È grande, forse troppo. Lascia pure tutto qui, li porto dentro io» disse poggiando a terra lo scatolone e invitando il ragazzo a fare lo stesso.
«Tu vivi qui?» gli domandò quello guardandosi intorno con aria perplessa.
«Già, per un po’ di giorni. Fa schifo, lo so.»
«Non troppo schifo, e comunque c’è un bel panorama» valutò sporgendosi appena un po’ dalla terrazza che affacciava sulla città.
«Sì, più o meno. Tieni, queste sono tue» gli disse poi passandogli il pacchetto di sigarette con l’accendino.
«…e Darryl?» chiese Lion guardandolo interdetto.
«Dice di andarci piano.»
Lo vide rigirarsi il pacchetto tra le mani, per poi alzare le spalle e rimetterselo in tasca.
«Okay. Se riesci a recuperare anche il mio skateboard te ne sarò grato per sempre.»
Axel sbuffò divertito, ma decise comunque di assecondarlo: «Mi impegnerò.»
 
  

*

 

Decise che per il momento gli scatoloni potevano rimanere sul terrazzo, del resto averli tra i piedi dentro casa avrebbe solo reso più logorante la lotta tra il desiderio di aprirli e quelli di farli sparire per sempre. Certo, prima o poi avrebbe dovuto pensare a cosa farci, ma non era al momento una delle sue priorità.
Chiamare Loraine e aggiornarla sull’incontro con gli studenti era invece qualcosa che non avrebbe dovuto rimandare, ma non si rammaricò troppo quando continuò a trovare il telefono occupato.
Dormire. Doveva dormire, questo sì.
Ma forse per quello ci sarebbe stato il tempo, un giorno, tra le mura sicure e familiari della sua casa a New York, lontano da tutto ciò che ancora tormentava i suoi ricordi.

 

 

___________

 

 
NdA
Ssssera! Aggiornamento rapido e indolore con un capitolo di passaggio il cui scopo è rendere ancora più frustrato il nostro povero Axel.
E dire che ancora non è successo nulla…ehm.
In effetti dal prossimo qualcosa succederà. O forse no. Chissà.
 
Ok la smetto.
 
Come sempre un grazie infinito a chi si ferma a leggere e a chi ogni tanto aggiunge la storia nei preferiti.
 
_Atlas_

   
 
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