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Autore: Mel_mel98    08/06/2022    0 recensioni
Nel momento esatto in cui io stavo spiccando il volo, sognando la vita post triennale, tu eri lì. Tra un bicchiere di vino bianco fin troppo pieno, una fontana non particolarmente evidente ma suggestiva e un sorpasso azzardato di un trattore con balle di fieno.
Oggi ti prepari per saltare verso vette ancora più alte, ma io non ho più paura di guardare. Non vedo l’ora di accompagnarti, fisicamente e metaforicamente. Per questo non posso fare altro che regalarti il biglietto di sola andata verso un futuro a portata di Italo.
| questo è un regalo per una persona speciale, il mondo non capirà, ma lei sì, anche se non legge fanfiction |
Genere: Commedia, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Spicca il volo, ape

a te, che sei la fanfiction più bella in cui potessi imbattermi


G. è bionda, riccia, un raggio di sole. Con la sua energia potresti alimentare il mondo, ma non tutti dispongono della tecnologia adeguata.
Si prepara per l’ennesima giornata in università nel bagno piccolo all’ultimo piano di casa sua. Rassetta i capelli, si lava i denti, un velo di crema idratante. Manca giusto l’ultimo tocco di matita per sopracciglia, quando il suo telefono inizia a vibrare.
A. è mora, liscia, un filo in cui passa corrente ad alta tensione. Se non la maneggi con cura rischi di friggerti il cervello. O di friggere il suo, più probabilmente.
Le sue dita tamburellano sul volante della piccola macchina rossa che guida da quando ha preso la patente. Ha solo tre porte (compresa quella della bauliera), manca il contagiri e ha una fiancata offesa da un brutto incontro con un muretto del parcheggio del Penny Market, eppure quando si guarda questo bolide non si può che volergli bene.
A. clicca sul contatto “Ape Giuliva” e mette il vivavoce.
“Ci sono” dice quando finalmente finisce il suono di attesa della risposta.
“Arrivo, ho quasi fatto”
Sorride. Lei sa di essere in anticipo, ma ciò nonostante la voglia di entrare in FI PI LI la mangia da dentro. G. è l’unica a cui perdona i ritardi, forse per abitudine (un cognome una garanzia, dicono a casa sua), più probabilmente per affetto.
“Vai, ti aspetto”.
E nel frattempo, controlla per l’ennesima volta la situazione del traffico su Google Maps e quale sia la strada migliore da percorre per raggiungere il Polo Fibonacci.
G. di solito a Pisa ci va in treno. Scelta comoda fino ad un certo punto, a seconda della sede in cui si svolgono le lezioni del giorno, ma sicuramente ecologica. A. ci va in macchina da diverse settimane, anche se delle due è quella che ha la parola "ambiente" nel nome del corso di laurea e ha la tendenza ad agitarsi facilmente quando guida.
E si può dire che frequentare la FI PI LI alle 7:30 non sia il miglior modo per far partire la giornata tranquilla.
In due però fa tutto più ridere.
L’enorme tir che sfareggia alle spalle delle due protagoniste, il camion ballerina, la salita prima della rotonda vicina a San Rossore. Il tutto condito dal breve racconto di giornate del tutto ordinarie, di piani a breve termine, una veloce parentesi sulla vita dell’altra che rimane sospesa tra l’asfalto e la nebbia mattutina.
Nonostante l’angoscia latente dovuta al dover guidare a 90 km/h in mezzo ad auto e camion, A. si lascia cullare da quei racconti di quotidianità e quando accosta per far scendere G., un po’ di sole rimane nell’abitacolo, e sospira quando è costretta anche lei ad uscire e dirigersi verso il dipartimento di chimica.

 
Sono ancora in macchina, è il 20 maggio 2019 e non piove, ma l’umore oggi è nero. Ma neanche, il nero è un colore troppo deciso per descrivere la situazione. L’umore è di quel colore che assumono i capi neri dopo troppi lavaggi in lavatrice. Incerto, stufo, sbiadito. Stanco.
G. non dovrebbe essere lì, non ha veramente niente da fare a Pisa in questo lunedì mattina, e si sarebbe volentieri risparmiata questa levataccia alle 7. Soprattutto visto che a mezzanotte del giorno precedente era ancora a casa di A., quindi le ore di sonno accumulate non sono poi così tante.
Mentre in un momento di smarrimento si chiede cosa diavolo le sia saltato in mente, getta lo sguardo sulla guidatrice e pur alzando gli occhi al cielo, sa di aver fatto la cosa giusta.
“Non ho il coraggio di andarci da sola” ha detto A. la sera prima, dopo aver passato attimi infiniti a contemplare le parole velatamente minacciose ricevute da parte del Biondino. “Ho… paura” e non riesce neppure lei a credere a ciò che sta dicendo.
“Ti accompagno io” ha replicato G.
E l’altra non se l’è fatto ripetere due volte.
Quando alle 10:30 A. si dirige verso il luogo di incontro, G. rimane nel parcheggio, chiedendosi cosa potrà mai succedere adesso.
Per l’ora di pranzo sono di nuovo chiuse in macchina, a valutare ciò che quel mistico incontro ha portato.
Da scene degne di un drama coreano, a Ragazze mi sono locusta, fino a vaghi pensieri riguardo il chiamare la polizia visto che la conversazione si è protratta per più tempo del previsto e al riparo dallo sguardo di G.
Per la fine del racconto, il biglietto del bus su cui la criptica frase è stata impressa è distrutto. A. lo ha ridotto in pezzi sempre più piccoli, inconsciamente, bruciando così l’unica vera prova con cui potrà dimostrare da lì in avanti che quella discussione con il Biondino è davvero avvenuta.
Ma va bene così. Lei e G. saranno le uniche custodi di quel momento folle. Non c’è bisogno di portarsi nel cuore nient’altro che quel “Ti accompagno io” di quel giorno. Il Ragazze mi sono locusta è solo un bagaglio collaterale molto divertente.


Sono ancora in macchina, in un tardo pomeriggio di settembre del 2020, direzione Livorno, quando il mondo e la vita prendono una piega inaspettata. Inaspettata solo per A. che è un po’ ingenua e basa le sue previsioni su come vanno le trame delle fanfiction che legge, che alla fine sono tutte uguali.
Stavolta guida G. e non sono sole: c’è anche Sara con loro, seduta dietro.
Ad un certo punto, la conversazione diventa strana, di difficile comprensione per chi non sa il contesto. Tipo A., che naviga nell’ignoranza.
Sara domanda a G., forse percependo della confusione nella ragazza seduta al posto del passeggero, “Glielo hai detto ad A., no?”, proprio mentre la superstrada finisce e il mare è vicino.
G. continua a guidare, sorride nell’imbarazzo, e nel bel mezzo dello svincolo dice “Quando andiamo a trovare Ross in Trentino io poi resto là. Più o meno fino a Natale.”
È un concetto molto semplice, è un pensiero assolutamente logico, ha tutto proprio senso. Ma A. si sente esplodere per un milione di motivi diversi, e comunque non saprebbe in quel momento nominarne neppure uno. Per un attimo c’è un improvviso calo di tensione. Guarda avanti, Livorno è alle porte e tra poco bisognerà pensare al traffico, al parcheggio, a procacciarsi del cibo. Questa frase e poco altro sarà tutto ciò a cui dovrà aggrapparsi quando ripenserà a come ha saputo della partenza.
Ma non c’è comunque niente che A. possa fare, obiettivamente, se non annuire. La vita quotidiana cambia di tanto in tanto. Si passa dal sabato sera off limits di Peter, alle cene nel fienile di Ross ed è giusto così. Ora, il salto sembra più grande solo perché è qualcosa di nuovo. Il cuore le scoppia irrazionalmente, con i denti vorrebbe aggrapparsi alla quotidianità che tanto le piace ma… non sarebbe giusto.
Non è la distanza il problema. Si conoscono praticamente da tutta la vita e non sono mai state insieme per più di due giorni di fila se non in vacanza. E va bene così. Il problema è l’idea di cosa quella distanza rappresenta. L’idea che il suo raggio di sole stia spiccando il volo, andando a dare e cercare energia dove il suo cuore la chiama.
Guarda G. guidare relativamente serena e pensa che è così che vuole vederla per sempre: tranquilla mentre è impegnata in cose che ad A. fanno drizzare i peli sulle braccia (o pezzare le ascelle, situazione meno elegante ma sicuramente più realistica) per l’agitazione. E quindi fa quello che sa fare meglio: ingoia quel sentimento che le è nato nel petto e che ancora non capisce bene, tende le labbra e mormora “Fai bene, se non lo fai ora, quando?”
Non è falsità, lo pensa davvero. Ma allo stesso tempo A. si sente incredibilmente idiota per aver parlato per mezzo viaggio dei suoi problemi di esami accavallati come fossero lo scoglio della vita, mentre G. si preparava mentalmente a fare armi e bagagli per iniziare di fatto una nuova vita. È quella, la distanza che teme. 


Il primo viaggio di ritorno dal Trentino, in effetti, è il più duro di tutti. C’è ancora Sara accanto ad A. e ad un certo punto, per qualche minuto, A. deve avere una faccia così strana che l’altra finisce per stringerle la mano, un modo silenzioso di consolare una persona che conosce appena, ma che evidentemente ha qualcosa che non va.
Il giorno lentamente volge al termine e il sole scompare all’orizzonte. A. lo sa che la luce tornerà, è solo il naturale corso degli eventi. E ha imparato una cosa: le brave signore sanno ballare la lap dance e non se ne vergognano. Ma le brave amiche sanno accompagnarsi dove devono andare, per poi indietreggiare in punta di piedi. E si vergognano di aver solo sfiorato l’idea di non guardare mentre l’altra spicca il volo.
Perché se non guardi in alto rischi di non fare in tempo a goderti lo splendore della scena, o a tendere la mano in caso di bisogno.


Di viaggi fisici insieme, G. ed A. ne hanno fatti parecchi, prima e dopo i fatti qui riportati. Dalla Pasqua con le nutrie del WWF, alla missione speciale a Roma alla ricerca di Paul Dano (scortate dal body guard di fiducia, sennò forse si sarebbero perse in stazione), ad incredibili vacanze in campeggio o in ville sperdute nelle colline liguri. Hanno viaggiato per boschi in torridi pomeriggi di Ferragosto, sulle mura di Lucca per Pasquetta, o su vette di montagne così immacolate che per la troppa luce le polaroid vengono abbagliate.
Però forse ancora più iconici sono stati i viaggi mentali che hanno permesso loro di vivere intensamente anche le giornate più banali. Sono partite con Carlo Conti e Barbara D’Urso in limousine, passando a salutare Babbo Natale sulla sua slitta (che poi è un porta valige da aeroporto ma sssh, lasciatelo sognare) e Giorrò che si è imbarcato clandestinamente su una nave diretta negli Stati Uniti.
E quando si è ancora in grado di ridere come matte guardando quella disgraziata di Barbie Killer, non c’è distanza fisica che tenga. Perché la vicinanza mentale è più forte.
Perché ovunque si trovino, un raggio di sole e un filo della corrente, se presi da soli alla fine sono uguali: ti scaldano. Ma il bello è che quando sono insieme, fanno scintille.


 
Nel momento esatto in cui, molto più tardi di quel viaggio in Trentino, io stavo spiccando il volo, sognando la vita post triennale, tu eri lì.
Tra un bicchiere di vino bianco fin troppo pieno, una fontana non particolarmente evidente ma suggestiva e un sorpasso azzardato di un trattore con balle di fieno.

Oggi tu ti prepari per saltare verso vette ancora più alte, ma io non ho più paura di guardare. Non vedo l’ora di accompagnarti, fisicamente e metaforicamente.
Per questo non posso fare altro che regalarti il biglietto di sola andata verso un futuro a portata di Italo.
Con la promessa che quando vorrai, ti raggiungerò.
Tua,
A(pe)
   
 
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