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Autore: Menade Danzante    08/06/2022    4 recensioni
[Missing Moment 2x02 | T.W.: scene di guerra (solo menzionate), depressione, suicidio.]
"Thomas sa cosa voglia dire chiudere gli occhi e vedere la trincea esplodergli in faccia e i commilitoni morirgli davanti, con una frase a metà e un sorriso dimenticato su labbra ignare che non ne avrebbero più prodotti. Sa cosa significhi assistere a una fotografia dell'orrore tanto vivida da essere ascoltata: il fischio delle granate, gli ordini urlati senza posa, le grida lanciate senza più speranza. Sa anche fino a quanto possa spingersi la memoria, sempre pronta a resuscitare gli odori acidi, pungenti, intossicanti della morte e dell'incuria, del fuoco e del fango, della pioggia e del sangue.
Ma mentre si avvicina al tenente Courtenay e gli parla cordiale, superando la stretta alla gola che sa di lacrime, quello che non riesce proprio a immaginare è non poterli riaprire più, gli occhi, per sfuggire al ricordo."
[Questa storia partecipa alla challenge “Downton Abbey in cerca d'autori” indetta sul forum "Ferisce più la penna" da Lisbeth Salander e Rosmary.]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Sybil Crawley-Branson, Thomas Barrow
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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[T.W.: scene di guerra (solo menzionate), depressione, suicidio.]


Malinconia





Thomas sa cosa voglia dire chiudere gli occhi e vedere la trincea esplodergli in faccia e i commilitoni morirgli davanti, con una frase a metà e un sorriso dimenticato su labbra ignare che non ne avrebbero più prodotti. Sa cosa significhi assistere a una fotografia dell'orrore tanto vivida da essere ascoltata: il fischio delle granate, gli ordini urlati senza posa, le grida lanciate senza più speranza. Sa anche fino a quanto possa spingersi la memoria, sempre pronta a resuscitare gli odori acidi, pungenti, intossicanti della morte e dell'incuria, del fuoco e del fango, della pioggia e del sangue.

Ma mentre si avvicina al tenente Courtenay e gli parla cordiale, superando la stretta alla gola che sa di lacrime, quello che non riesce proprio a immaginare è non poterli riaprire più, gli occhi, per sfuggire al ricordo.

Le iridi del tenente non possono vederlo arrivare, né possono assecondarlo spontaneamente mentre gli somministra le medicine, ma Thomas non gli chiede niente, non pretende niente: lo sistema a sedere, lo guida e lo informa con cura di ogni sua azione per facilitare il processo il più possibile. L'uomo non è altrettanto comunicativo, si limita a vaghi cenni del capo e monosillabi, lasciando Thomas a chiedersi se per caso non stia facendo qualcosa di sbagliato. Ma il tenente non dà segni di fastidio nei suoi confronti. È seccato, sì, ma il modo in cui le sue mani di tanto in tanto corrono a toccare il bendaggio intorno alla testa suggerisce al caporale di non essere la fonte del disagio. Non fa in tempo a sentirsi sollevato che già se ne vergogna e quasi chiede scusa.

Quando ha finito e il tenente lo ringrazia flebile, Thomas vorrebbe dirgli che gli dispiace per quello che gli è successo, ma il viso dell'uomo è troppo pallido e la sua voce troppo lontana perché il caporale abbia il coraggio di farlo. Tornerò a farvi visita più tardi, dice invece, prima di allontanarsi, le nocche sbiancate intorno alle pareti del bicchiere.


«Credete che potrà recuperare la vista?»
«È difficile dirlo, Thomas... È molto grave.»
«C'è speranza?
»
«È tutto quello che abbiamo.»


Ci sono volte in cui il tenente sobbalza quando Thomas arriva al suo capezzale per curarlo o anche solo per parlare. Il suo udito è ancora poco allenato, si è detto il caporale, ma da quando le bende sono sparite e gli occhi spenti si appuntano su superfici che non possono guardare, Thomas è sempre più convinto che la sua agitazione non sia mai davvero rivolta al personale dell'infermeria: quello che Courtenay teme è che i fantasmi della sua mente diventino all'improvviso corpi di carne e sangue pronti a dilaniarlo e a sottrargli altri sensi, lasciandolo senza vita su quel letto a cui è ancorato da giorni. Thomas vorrebbe trovare un modo più efficace per annunciarsi senza spaventarlo, ma il massimo che può fare è parlare: gli dice chi è, quando è vicino, se gira intorno al materasso per sistemare un cuscino, se ha il permesso di toccarlo. A quel punto l'espressione vigile e disciplinata del tenente si distende e non sembra più che si trovi ancora sotto il fuoco delle bombe a dare ordini, né a difendersi da nemici invisibili fatti di ombre e cenere: Courtenay diventa il paziente che è, ferito nel corpo e nello spirito, ma che si offre all'aiuto degli altri senza aspettarsi più trappole.

Thomas vorrebbe vederlo reagire di più, vorrebbe accelerare i tempi di guarigione e vorrebbe fare a pezzi quel muro di tristezza e rassegnazione che gli grava addosso, ma sa che la fretta in questi casi funziona meno delle bugie.

Questo, tuttavia, non gli impedisce di incoraggiarlo come può. C'è di più nella vita, tenente, credetemi, gli dice un giorno mentre tra le dita stropiccia l'ennesima lettera del fratello minore e con gli occhi osserva infuriato la maschera di umiliazione e rabbia che è il volto dell'altro. Come lo sai? Ci deve essere, sono tornato dal fronte per questo. E se ti sbagliassi?

Thomas deglutisce e prende un respiro tremante intanto che si chiede come si possa spiegare una certezza a chi non la condivide. Thomas lo sa e basta che c'è altro dopo l'inferno in terra in cui si sono ritrovati a strisciare in nome di qualcosa che non li ha mai riguardati da vicino. Sa che c'è vita dopo la morte a cui sono riusciti a scappare. Sa che non è la fine, non ancora, ma non ha prove, non ha esperienza, non ha niente al di là della pressante e incrollabile sensazione che ognuno di loro potrà raccogliere i pezzi in cui è stato frantumato e ricomporli insieme in un mosaico nuovo, con le crepe del passato ancora visibili, ma comunque tutto intero. Di nuovo intero.

Almeno sono qui, come voi, dice alla fine, e vorrebbe stringergli la spalla in un gesto rassicurante, ma non osa annullare le distanze fisiche tra loro. È già molto, non vi pare?

Il tenente si prende un momento interminabile per fissare in un angolo del letto immagini che Thomas non può vedere, ma poi, tenue, arriva un cenno di assenso. Ciò che porta il caporale sull'orlo delle lacrime, tuttavia, è il timido sorriso che solleva gli angoli della bocca di Courtenay subito dopo. Un battito di ciglia e già non c'è più, ma ne rimane una traccia impigliata nei suoi muscoli facciali così a lungo che Thomas è certo di non averlo immaginato.

Spero che tu abbia ragione. Io ho sempre ragione, tenente.

Courtenay sbuffa e Thomas sa che quella è una risata.


«Stai facendo un ottimo lavoro con lui.»
«Gli faccio solo compagnia, Milady. Tutto qui.»
«Stavo pensando... Te la sentiresti di... di fare
di più
«Di più? Sì, certo. Che cosa avevate in mente?»


Lady Sybil è spaesata quanto Thomas quando preparano percorsi a ostacoli via via più complessi per far allenare il tenente, ma almeno è più intraprendente di lui e tra i due è colei che per prima riesce a recuperare il tono gioviale e fiducioso dopo gli errori di valutazione più rischiosi del paziente, anche quelli che farebbero rovinare Courtenay a terra se non fosse per la prontezza di entrambi nel sorreggerlo. Thomas la invidia e la ammira allo stesso tempo, ed è sempre più convinto che, se non fosse stato per la sua presenza di spirito e per la sua instancabile voglia di salvare gli altri, per lui non sarebbe stata un'impresa facile, soprattutto durante i primi tentativi, quando ogni sbaglio fiaccava le aspettative del tenente e ne frustrava la determinazione oltre ogni dire. Adesso è migliorato, insieme a loro, e la sua dedizione alla pratica si è fatta più solida, anche se Thomas può giurare, almeno a sé stesso, che ogni volta che Courtenay inciampa in una sedia che non ha localizzato bene con il bastone o quando rimane immobile, disorientato dal buio che lo avvolge o dalla fatica, nella mente del tenente ha luogo una lotta tra i propositi più positivi e il desiderio autodistruttivo di mollare tutto, di tornare in infermeria a contemplare il destino e gli incubi che la guerra gli ha lasciato davanti a sé. È negli sguardi allarmati che si scambia con Lady Sybil in quei momenti che sa quanto anche lei ne sia istintivamente al corrente. La consapevolezza spinge sempre entrambi a intervenire prontamente con una parola gentile, con un invito a riposare per riprendere più tardi, o anche solo con un tocco leggero sul braccio che riporti Courtenay al presente, al giardino che profuma di erba bagnata, alla speranza di uscire da quel posto che odora di medicinali e sudore e che non fa che ricordargli costantemente cosa ha passato.

A volte Thomas si chiede in che direzione stiano andando, se stiano facendo bene, se lui e Lady Sybil siano le persone adatte per portare avanti una riabilitazione come quella, ma il tenente sembra sorridere di più e più a lungo rispetto a prima, ed è sempre meno turbato quando qualcuno gli si avvicina senza che lui se lo aspetti. L'infermiera e il caporale non ne parlano mai apertamente, ma Thomas è convinto che anche lei lo consideri un miglioramento encomiabile, il segno tangibile della grandiosità di quello che stanno facendo, ma più di ogni altra cosa la prova di quanto il tenente abbia dato loro completa fiducia in così poco tempo.

Voi siete i miei salvatori, dice loro una mattina qualunque mentre riposa seduto sulla sedia contro cui ha picchiato il piede anziché il bastone. Facciamo solo il nostro lavoro, risponde Lady Sybil a capo chino, ma una spruzzata di rosa le colora il volto d'orgoglio. Ma siete gli unici accanto a me, e mi state salvando, grazie.

La donna distoglie lo sguardo e Thomas fa per riempire il silenzio, ma si accorge che gli mancano le parole per farlo. Ha passato la vita a essere attaccato per le sue inclinazioni e ad attaccare di rimando per non essere calpestato; ha fatto del sopruso e della manipolazione il suo lasciapassare nel mondo e nell'alta società; ha umiliato rabbioso i suoi sottoposti ogni volta che ne ha avuto l'occasione, facendolo sembrare un gioco, un divertimento, una goliardia; è sempre stato un mostro e un codardo quando avrebbe potuto scegliere di diventare qualcos'altro, di fare la cosa giusta. E Thomas lo sa. Sa di non essere una brava persona, sa di aver fatto cose sbagliate – di essere sbagliato.

Come può qualcuno chiamarlo salvatore? Come può qualcuno vedere questo, in lui?

La domanda non trova risposta nella sua mente, non ne ha il tempo: quando il tenente dà segno di volersi alzare di nuovo per riprendere l'allenamento, il caporale gli è accanto per mantenerlo in equilibrio. Per un attimo lo attraversa il pensiero che, se Courtenay sapesse tutto di Thomas, proverebbe ribrezzo nell'essere sfiorato da una persona come lui e lo scaccerebbe via senza esitare. Ma poi il tenente sorride e inclina la testa in muta riconoscenza per l'aiuto e Thomas si concede il lusso di pensare che no, non accadrebbe niente del genere, perché quello che ha davanti è un brav'uomo che si fida di lui e che non ha avuto nemmeno bisogno di vederlo in faccia per farlo.

Grazie, Thomas. Grazie a voi, vorrebbe dire. Non c'è di che, risponde invece.


«Il dottor Clarkson non aveva alcun diritto di dirlo davanti a lui. Avrebbe dovuto avvisarvi prima, chiedervi come stesse andando–»
«Lo so. È tardi ormai, non ci ascolterà. Ma dobbiamo trovare una soluzione: non possiamo mandarlo via così, Thomas, non adesso. Ha bisogno di noi.»
«Deve avere l'opportunità di sentirsi al sicuro e di prendersi tutto il tempo di cui ha bisogno. Non è meno importante dei feriti di Arras.»
«Il tempo. Non c'è, non ne abbiamo nemmeno noi. Domani mattina–»


Il letto è stato ripulito – Thomas l'ha ripulito. Lady Sybil ha insistito perché fosse lei a farlo e Thomas sa perché – perché lei ha visto quanto ci tenesse, quanto volesse salvare il tenente dai ricordi che lo stavano spezzando, quanto quell'uomo lo avesse colpito nel profondo –, ma il caporale è stato irremovibile: era compito suo. È stato lui a lasciarlo solo dopo che Clarkson ha dato loro la notizia che l'ha sconvolto. È stato lui a non pensare che, nel suo stato precario, non fosse ragionevole riportarlo in infermeria, con un bicchiere d'acqua e una coperta come compagni anziché persone vive, in carne e ossa. È stato lui a rimangiarsi le obiezioni di fronte al maggiore che faceva valere i suoi gradi sull'empatia, mentre s'innalzava al di sopra della nobiltà, sovrano avido di un regno di anime stanche che vorrebbero solo anestetici e dignità – e morte. È colpa sua se il tenente Courtenay si è tagliato le vene e ha preferito abbandonare la vita che aveva, che avrebbe potuto avere piuttosto che rimanere senza di loro, senza i suoi salvatori, senza le sole due persone che gli avevano mostrato compassione e interesse, che lo avevano aiutato a risollevarsi, a camminare da solo con un bastone al posto degli occhi – che gli avevano dato speranza.

Thomas aveva pensato che lavando via il sangue dal pavimento e cambiando le lenzuola scarlatte avrebbe purificato anche sé stesso, avrebbe espiato la sua colpa, ma solo adesso che ha la testa appoggiata al muro e il corpo scosso dai singhiozzi si rende conto del vuoto che gli riempie i polmoni e la mente, che gli stringe lo stomaco in una morsa assassina di rimpianto e dolore a mano a mano che la consapevolezza di quello che è accaduto si fa più accesa dentro lui: non lo ha protetto abbastanza. Ha lasciato che la guerra e le sue logiche reclamassero anche chi era stato abbastanza fortunato da tornare a casa, lontano dalla morte, dalla distruzione, dal dubbio di vedere il sole sorgere nuovamente all'orizzonte. Ha tradito la fiducia di un uomo buono a cui non sarebbe mancato il tempo di guarire se solo lui non fosse stato così negligente, così preso dalle discussioni, dalle gerarchie, dal timore di essere accusato di insubordinazione, dal panico.

Se solo l'avesse salvato in tempo.

Ma non l'ha fatto.

Thomas sapeva già cosa volesse dire vedere le persone morire davanti ai propri occhi senza riuscire a reprimere il terrore di poter essere il prossimo a non tornare a casa sano e salvo.

Ma adesso Thomas sa anche quanto faccia male sopravvivere con addosso il peso di non aver saputo scongiurare la morte di una persona che l'aveva trattato con gentilezza, che gli si era affidata e che non gli aveva chiesto altro se non di essere aiutata.


«Credi che abbiamo fatto del nostro meglio?»
«Non lo so, Milady. Non è bastato.»
«Avremmo potuto prevedere–?»
«Sì.»
«Thomas.»
«Non ha più importanza.»




Angolino di Menade Danzante:

Salve!
Questa storia partecipa alla challenge “Downton Abbey in cerca d'autori” indetta sul forum Ferisce più la penna da Lisbeth Salander e Rosmary.
Ho voluto analizzare con tanto dolore uno degli episodi che più mi hanno fatto amare Thomas Barrow e che tuttora me lo fanno annoverare tra i miei personaggi preferiti di tutta la serie. Spero di avergli reso giustizia e di aver trattato gli argomenti delicati qui presenti in modo adeguato e rispettoso.
Prima di lasciarvi, faccio una piccola nota sulle formule di cortesia usate in questa storia: ho mantenuto quello che restituiva il doppiaggio italiano, che fa usare il voi a Thomas per tutta la loro interazione, mentre il tenente usa il tu, cosa che contrasta in parte con i sottotitoli, sempre in italiano, forniti da Prime: oltre alla mancata corrispondenza tra quello che viene detto e quello che viene scritto, i due personaggi non usano mai il voi ma passano dal reciproco lei iniziale al tu quando il rapporto diventa più confidenziale. Nella confusione generale di questa situazione, ho tenuto il parlato come riferimento perché credo possa essere il mezzo più diffuso attraverso cui abbiamo fruito la serie. Invece ho preferito mantenere l'inglese “saviour” piuttosto che l'italiano “angeli custodi” perché a mio avviso rende meglio la rete di supporto che Thomas e Sybil sono riusciti a diventare nel tentativo di curare la depressione di Courtenay e nel fargli riacquistare autonomia nella deambulazione. Angelo custode mi dà più l'idea di qualcuno che osserva da fuori, magari facendo il tifo, ma senza intervenire attivamente. Invece qui abbiamo un caporale e un'infermiera che hanno deciso di fare qualcosa al di là delle loro competenze per aiutare un paziente, proprio con la volontà attiva di salvarlo.
Chiudo qui lo sproloquio linguistico e ringrazio innanzitutto le promotrici dell'iniziativa per avermi dato l'occasione di scrivere su un personaggio che amo, e infine – ma non per importanza – ringrazio di cuore tutt* voi per aver letto!
Un abbraccio,

Menade Danzante

   
 
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