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Autore: _etriet_    09/06/2022    0 recensioni
La vita è fatta di morali, di discorsi silenziosi che si imparano e si fanno man mano che si vive, un po' a gesti, un po' a parole, e poi un po' con tutti e due.
Come una scalinata fatta in silenzio, in cui i gradini appena fatti si cancellano autodistruggendosi dopo pochi secondi, e non rimane nient'altro se non la scelta di continuare, o rischiare di perdere l'equilibrio fermandosi.
Perché ad ogni passo avanti corrisponde uno sbilanciamento, fisico, morale e psicologico.
Veronica Lisi è sempre stata di idee chiare, ha sempre basato la propria vita su principi fondamentali, come quello che il passato non si cancella, si descrive, che il presente non va guardato, va vissuto, e che il futuro non deve essere sognato, ma costruito; mette tutta se stessa per portare avanti le cose al meglio.
La sua quotidianità, tuttavia, viene sconvolta nel giro di nemmeno un mese, e pur di vedere sua madre felice, cambia tutte le carte in tavola, prende, fa le valige e parte verso qualcosa a lei sconosciuto.
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Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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A Leonardo era già partita male la giornata dalle prime luce dell'alba, quando si era svegliato dopo nell'ennesimo ricordo tramutato in sogno, e, in quel momento, aveva la netta sensazione che di lì a poco le cose sarebbero peggiorante, non tanto perché era lui, non tanto perché era lei, ma tanto di più perché erano loro. Quel loro che nella mente di lui stava assumendo molteplici significati, molteplici immagini, ricordi, sensazioni, emozioni. Leonardo non sapeva come prenderlo, quel loro. Metterli insieme per un progetto di coppia non era stata una scelta intelligente da parte del professore di italiano, decisamente no. Eppure, a volte, a Leonardo sembrava quasi che lui lo facesse apposta, che avesse intuito cose che non doveva affatto intuire. Ecco perché Leonardo, quel sabato mattina del quindici di dicembre, guardava Veronica e il suo compagno per il progetto con uno sguardo che aveva fatto rabbrividire un po' tutti nella classe. I suoi amici, in particolare, si erano lanciati uno sguardo di intesa, e gli si erano avvicinati come se avessero paura. Leonardo, però, aveva addosso una calma glaciale in completa contraddizione con i suoi occhi, in cui infervorava un fuoco che nessuno gli aveva mai visto. Damiano e Alessandro, comunque, lo avevano affiancato e allora avevano notato cosa in realtà il ragazzo guardasse. Leonardo, dacché non si era mai interessato a nessuna persona che non rientrasse in una cerchia di pochi eletti, stava guardando il sorriso di Veronica come se volesse divorarlo. In realtà, dentro di sé, voleva solo che lei si girasse e gli sorridesse così, che le sue attenzioni fossero per lui, non per il loro compagno di classe, che la sua bocca pronunciasse il suo nome, chiamandolo, che le sua mani sfiorassero le sue di braccia per attirare la sua attenzione. Leonardo era geloso, e lo aveva ammesso a sé stesso solo in quel momento. Non era geloso perché possessivo, era geloso perché lei, solo lei, gli era entrata nella testa al pari dei ritornelli delle canzoni estive, e per quanto provasse, per quanto si sforzasse, Leonardo aveva il sorriso di Veronica impresso nella mente come un magnete era attaccato a un frigo, la leggerezza del suo tocco sulla pelle, i suoi occhi luminosi come monito per come dovevano sempre essere, e non poteva farci nulla se non desiderare che lei gli rivolgesse sempre il suo sorriso, che lo guardasse sempre con gli occhi luminosi e che non smettesse di toccarlo, di abbracciarlo senza il suo permesso, di sfiorarlo quando ne sentiva il bisogno, come ad assicurarsi che lui fosse lì. Sapeva che non poteva esser la stessa cosa con qualcun altro, ma spesso si domandava se invece per lei avrebbe potuto esserlo, se lui fosse sostituibile, cambiabile. Era quasi del tutto certo di no, che anche per lei lui fosse qualcuno di importante. Solo che provava un immenso e inqualificabile fastidio a vederla insieme ad qualcun altro. Sapeva anche che era ingiusta quella gelosia, Leonardo lo sapeva, Veronica aveva il diritto di parlare con chi volesse, quando volesse, che questa persona fosse maschio o femmina non importava, e lui non glielo avrebbe mai impedito, anche perché in un caso o nell'altro lui non aveva nessun diritto su di lei, però lo sguardo che aveva Luca quando guardava Veronica era fin troppo simile a quello che aveva Caterina quando guardava lui. Gli dava fastidio, e non ci poteva fare nulla se non stare in silenzio e sperare che Veronica non guardasse mai il loro compagno di classe come lui guardava lei. Se avesse ammesso a sé stesso la completa verità si sarebbe anche detto che in realtà era lui non voleva che lei guardasse qualcuno così perché desiderava, in modo ardente, che guardasse lui in quella maniera, che era, ad essere sinceri, lo stesso modo in cui lui guardava lei, sempre.  Leonardo, seduto sul proprio banco con una gamba a penzoli, continuava a guardare Veronica e il petto gli faceva male, lo stomaco gli bruciava e aveva la gola secca, nessuna sensazione che riuscisse a riconoscere come qualcosa che aveva già provato. Era diversa dalla gelosia che aveva provato per suo fratello, era qualcosa di più viscerale e profondo, qualcosa che non dipendeva del tutto dal fatto che qualcuno cercasse l'attenzione di una persona di cui Leonardo stesso voleva attenzione, ma dipendeva più dal fatto che fosse a rischio qualcosa che non era nemmeno cominciato, qualcosa che lui nemmeno sapeva di volere se non in modo inconscio. Aveva smesso di guardarli, concentrandosi su qualcos'altro, cercando di non girarsi. Più li guardava più il petto gli doleva. Era sceso dal banco, aveva acciuffato da terra zaino e sacca da ginnastica, e aveva avvisato Alessandro e Damiano che sarebbe andato da Andrea, e così aveva fatto. Avrebbero avuto educazione fisica nelle due ore successive che correvano a Italiano, come ogni altro sabato, ma a nessuno importava veramente di arrivare in orario o meno, anche perché la maggior parte delle volte era lo stesso professore più in ritardo di loro.

Leonardo era uscito dall'aula senza guardare in faccia nessuno, con la sacca da ginnastica e lo zaino in spalla, e si era diretto a passo svelto verso il secondo piano, non gli importava se qualcuno di sarebbe chiesto se fosse pazzo, e nemmeno degli occhi azzurri che sentiva bruciare sulla schiena.

Veronica non sapeva cosa Leonardo avesse quella mattina. Lei si era svegliata come tutte le mattina con Francesco che la spronava a fare in fretta, anche se in realtà non ce ne era affatto bisogno perché l'aveva svegliata talmente presto che lei si sarebbe potuta fare due docce e sarebbe andato comunque tutto bene. Anzi, sarebbero comunque arrivati in anticipo. Veronica si era comunque alzata cinque minuti dopo e, ancora con il pigiama, era scesa in cucina per fare colazione. Leonardo era già vestito e profumato, i capelli biondi erano bagnati e tirati all'indietro, in un modo che lui non utilizzava mai quando erano asciutti. Non le aveva parlato, o almeno: l'aveva salutata, ma senza degnarla veramente di uno sguardo e quella era stata tutta loro conversazione, perché poi lui era tornato a scrivere sul cellulare un messaggio e aveva ripreso a discutere con chicche fosse, non che le importasse ovviamente. Era passata una settimana e qualcosa di più da quando loro erano andati al mare, e in quella settimana non era accaduto nulla di sconcertante: nessun passo avanti, nessun passo indietro; da parte di nessuno dei due. Veronica non si era avvicinata a lui più di quanto non fosse già e a lui sembrava che avvicinarsi di più l'avrebbe solo fatta scappare via. Quindi era rimasto nella sua situazione di indecisione e introspezione. Dal canto suo Veronica sapeva solo che voleva Leonardo vicino a se, fisicamente, emotivamente e psicologicamente, in qualsiasi modo fosse possibile e in ogni situazione che lasciasse loro la possibilità di essere insieme. Per questo, quando il professore di italiano, che aveva sostituito quello di religione, aveva detto loro che avrebbero fatto dei lavori a coppie e trii veronica aveva subito puntato lo sguardo su Leonardo, e aveva scoperto che lui stesso la stava già guardando. Poi, tuttavia, era stato il professore a decidere chi doveva stare con chi e così Veronica si era trovata insieme a Luca, che non aveva conosciuto più di tanto in quei mesi in cui era lì, e Leonardo era finito con Anna. Veronica aveva provato fastidio allo stomaco, la stessa sensazione che anche quella volta, prima della partenza per la gita a Verona, quando aveva visto Leonardo insieme a quella ragazza che poi le aveva detto di aver rifiutato. Non capiva cosa fosse e aveva anche completamente ignorato la sensazione, mettendosi al lavoro con Luca per finire il progetto entro l'ora. Era un semplice power point sulla dipendenza dal fumo di sigaretta, e, aggiungendo anche alcuni effetti, erano riusciti a finire la prima stesura proprio prima che la campanella suonasse. Lei era rimasta a parlare un po' con il ragazzo che, facendo qualche battuta, l'aveva fatta ridere. Inconsciamente, o anche in minima parte consciamente, aveva voluto che Leonardo provasse quello che provava lei, quello che aveva provato lei, e quando lo aveva visto andarsene si era rimasta abbastanza male. Anche perché, a conti fatti e guardando anche le prime due ore di scuola, quelle in cui avevano avuto storia dell'arte, e solo storia dell'arte per fortuna e non anche disegno tecnico, lui l'aveva ignorata tutto il giorno, senza mai guardarla. Lei però voleva che lui la guardasse.

Era una cosa reciproca, anche se nessuno dei due lo sapeva.

Leonardo aveva fatto le scale con abbastanza calma: era sceso al secondo piano, dacché si trovava al terzo, e aveva atteso, vicino al bagno, che Andrea uscisse dalla proprio aula. In quel frangente il ragazzo castano aveva latino, ma era una materia per cui era portato, come le lingue in generale, e quindi anche se saltava quindici minuti nessuno avrebbe realmente fatto caso alla cosa o di certo lui avrebbe comunque capito a casa, messa la testa sui libri, quello che il professore aveva spiegato in classe senza nessuna difficoltà, e, anche se ce l'avesse avuto, aveva conosceva comunque abbastanza gente al liceo classico da poter chiedere, almeno ad uno, o una, un favore. Quando Andrea era arrivato Leonardo non gli aveva detto nulla delle sensazioni che aveva provato pochi minuti prima perché sapeva che, trai due, quello ad aver più bisogno dell'altro era proprio il castano e quindi si era concentrato su ciò che gli stava raccontando Andrea. A quanto pareva sua madre aveva avuto pochi contatti, se non nessuno, con suo padre, ma con i figli non si era mai fatta sentire, nemmeno una volta, cosa che aveva reso Andrea ancora più arrabbiato e nervoso. Capiva che sua madre potesse essere una donna senza istinto materno o che in realtà non avesse davvero voluto i propri figli, poiché, spesso, nella generazione X, per una donna essere madre era una condizione socialmente imposta che probabilmente, per far felici a loro volta le loro di madri, rispettavano. Andrea era quasi sicuro che sua madre rientrasse in quella categoria di "mamme", quelle che pensavano che solo il sostegno economico potesse vale anche come amore, che il portare a casa qualcosa da mangiare equivalesse anche al calore di un abbraccio. Tralasciando poi il fatto che avesse usato come collante i propri figli per una matrimonio che, in una maniera o nell'altra, era comunque finito male. Suo padre, che aveva appena trovato un lavoro, gli aveva chiesto la gentilezza di occuparsi dei fratelli e lui aveva accettato. Andrea doveva sempre fare buona faccia a cattivo gioco con i suoi fratelli, doveva calmarli quando li lasciava a scuola dicendo loro che sarebbe certamente tornato a prenderli, rassicurarli quando usciva con gli amici o quando portava loro dagli amichetti, anche se nessuno, se non Leonardo, Damiano e Alessandro si assicurava di fare lo stesso per lui. Dall'altro canto Andrea sapeva bene quanto sua padre stesse facendo per loro, anche se quando tornava a casa era stanco chiedeva comunque ai figli se avessero bisogno di aiuto per i compiti e se c'era bisogno li aiutava, lo chiedeva anche ad Andrea che però non dai mai, in nessuna occasione, una risposta positiva. Leonardo, a quelle rivelazioni, si era chiesto se non fosse stato anche lui una sorta di peso per sua fratello, qualcosa che non gli facesse comprendere quello che stava passando e subendo, mentalmente palando, se fosse stato, in qualche modo, causa di ulteriori malesseri. Leonardo aveva tuttavia ignorato quei pensieri, cercando di essere il più oggettivo possibile e di pensare al suo amico e non a sé stesso; aveva confortato e cercato di rassicurare Andrea come meglio aveva potuto, lo aveva abbracciato, una delle poche volte che lo faceva, e poi, solo nel momento in cui si era assicurato che andasse tutto bene, che fosse tranquillo e un po' meno pieno di tutte quelle emozioni che si stava portando dentro, e dietro, da troppo tempo, lo aveva lasciato, anche perché si sarebbero visti sia nella ricreazione che interrompeva le due ore di educazione fisica sia dopo, alla fine della scuola, in autobus.

Leonardo era sceso con tutta calma in palestra, arrivando circa una quindicina di minuti dopo, il tempo di scendere fino agli spogliatoi, cambiarsi e salire in palestra, aveva notato subito che Veronica e Luca, con cui era prima, non c'erano. Si era avvicinato a Damiano e Alessandro che, nel frattempo, erano in piedi e appoggiati con la schiena al muro che guardavano gli altri fare degli esercizi o il proprio telefono.

«Dove eri?» Damiano si era girato verso di lui quando la distanza tra di loro era ancora di due o tre passi

«Da Andrea» Lo sguardo di Alessandro era subito passato dal cellulare a lui

«Come sta?» Leonardo aveva fatto spallucce se si era portato i capelli biondi indietro con una mano

«Stanco, stressato, non compreso, cerca di essere il meglio ma non si sente abbastanza» Alessandro aveva annuito, lo sguardo basso e un po' rammaricato.

«Sabato prossimo c'è una festa a casa di Gianluca Franchetti, potremmo portarcelo -Leonardo aveva annuito ad Alessandro- tanto saremmo comunque invitati, devo solo dargli la conferma» Franchetti era un compagno di squadra di Alessandro, ed era un rappresentate di istituto (la scuola superava i cinquecento studenti, e quindi c'erano quattro rappresentati: due ragazze e due ragazzi), e spesso organizzava feste a cui invitava chiunque conoscesse, e ogni persona poteva portare un più uno, quindi la quantità di persone che c'erano alle sue feste erano ingenti. Ma era quel tipo di persona che se lo poteva permettere.

«Bon, così lo facciamo svagare un po'. Magari portiamo anche Veronica e Giada, no?» Il corpo di Leonardo aveva tremato sentendo il nuove della ragazza.

«Ad Andrea Giada piace, quindi direi che siamo a cavallo.» Alessandro aveva guardato Damiano con sguardo convinto e complice.

«Non credete che portare Giada sarebbe troppo? Dovrebbe svagarsi, non morirle dietro» Damiano lo aveva guardato male

«Magari si svaga con lei» «Faccio finta di non aver sentito» «Non è che se a te sta sul cazzo debba essere antipatica a tutti quanti, Leo. Tu puoi considerarla una stronza e Andrea fantastica. È il princio dei rapporti alla fine.» Leonardo aveva annuito distrattamente al moro, mentre con lo sguardo seguiva Veronica rientrare, e con lei anche Luca. Stavano portando dei materiale che, pensando in modo logico, avrebbero usato quello stesso giorno quel qualsiasi cosa il loro professore avesse voluto far loro fare. .

Damiano e Alessandro avevano seguito i suoi occhi e si erano guardati stralunati.

«Cosa c'è che non va?» Alessandro aveva appoggiato unaa mano sulla spalla dell'amico, che però si era discostato.

«Nulla. Assolutamente nulla.» E aveva smesso di guardare la ragazza, concentrandosi, o cercando di concentrarsi, su altro in questo caso il riscaldamento che il professore, appena arrivato, stava dicendo a tutti loro di fare.

Leonardo non era un patito di sport, farne o meno non gli interessava, ma, nella sua breve vita, ne aveva fatti molti. Aveva giocato a basket per oltre quindici anni, smettendo di giocare solo a giugno di quell'anno, e nel mentre aveva provato pallavolo, karate, arrampicata e tennis. Calcio non gli era mai interessato veramente, suo padre non lo aveva mai introdotto a quel mondo, non che lo avesse introdotto a qualcosa, e suo fratello non aveva mai tifato nulla, aveva giocato alle elementari, ma principalmente perché se no non sapeva che fare. D'estate spesso o faceva dei giri in bicicletta o andava a correre, oppure si ritrovavano in un parco qualsiasi lui e i suoi amici a giocare a basket o calcio, dipendeva un po' sempre dagli altri che da lui. Non sapeva bene perché non avesse di nuovo fatto l'iscrizione a Basket, era bravo e non aveva nulla da competere con nessuno, però in ogni caso era come se gli fosse passata la voglia, come se ci fosse stato uno squarcio. Magari l'anno successivo avrebbe ripreso, ma quello non era sicuro, anche perché il campionato, ormai, era già cominciato e lui non si allenava in modo serio da troppo tempo. Avrebbe potuto andare in palestra, nel frattempo, ogni tanto, per mantenere il fisico, ma al momento faceva esercizi a casa quando gli andava.

Il professore, quando aveva visto che era arrivato, lo aveva chiamato in disparte per parlargli e Leonardo si era inventato, a caso, che fosse stato male. Una scusa pessima che aveva funzionato per modo di dire, però poi il professore lo aveva lasciato andare e aveva detto a tutti di iniziare a correre. Veronica e Luca, nel frattempo, continuavano a parlare, e lui continuava ad essere geloso. Che cosa avevano tanto da dirsi poi? Aveva pensato lui, anche se aveva cercato di non concentrarsi su loro due ma più sulla spinta che si dava sulle gambe per correre. Non si era nemmeno accorto di aver aumentato velocità fino a quando non aveva sentito Damiano annaspare, nemmeno fosse sott'acqua, per stargli dietro. Lui no che non aveva mai fatto nessuno sport. Damiano non amava sudare, nemmeno quando era piccolo. Motivo per il quale non aveva mai voluto fare nulla. Anche solo il concetto di dover fare fatica, sudare, puzzare per poi lavarsi e ripetere la cosa due o tre giorni a settimana gli dava fastidio. Aveva fatto nuoto per un po' di tempo, perché almeno l'acqua nella piscina era fredda, ma appena gli avevano chiesto di entrare in agonistica si era tirato indietro come un riccio. La competizione non gli piaceva mai. 

«Sei sicuro che vada tutto bene? -Leonardo aveva guardato lui per non guardare Veronica e Luca e aveva annuito, anche se la tensione dei muscoli facciali e lo sguardo cupo ammettevano tutt'altro- Se lo ammettessi sarebbe più semplice sai?» Anche Alessandro si era unito a loro due

«Se ammettessi cosa?»

«Che ti da fastidio vederli insieme» Damiano sapeva che era la verità, ma sapeva che Leonardo gli avrebbe riso in faccia. Era quello che stava per fare, se l'insegnate non lo avesse preso in contropiedi. 

«In cerchio!» Aveva urlato il professore, fermando i quasi dieci minuti di corsa che avevano fatto.

Avevano fatto stretching e esercizi di riscaldamento muscolare per almeno quindici minuti, e in quei quindici minuti almeno quattro volte a Leonardo era venuto da alzarsi, prendere Luca per la cottola, nemmeno fosse Akimi da piccola che gli mordicchiava i libri mentre li leggeva, e dargli un pugno in faccia assestato su quegli occhi castani. Capiva che Luca fosse un maschio sessualmente attivo o che avesse degli istinti, ma almeno che la smettesse di guardare Veronica, o comunque la curva delle sue natiche, come se non stesse solo facendo un piegamento in avanti ma si stesse spogliando davanti a lui. Era una cosa che a Leonardo dava moltissimo fastidio, perché lo sguardo di Luca non era lo sguardo di una persona a cui piaceva la persona di Veronica nel suo complesso ma solo il suo corpo, e Leonardo stava veramente per prendere e alzarsi per andare da lui con nessuna buona intenzione in mente. 

«Lo guardi come se lo volessi ammazzare» «Magari è proprio quello che voglio fare...» Damiano lo aveva guardato con uno sguardo che non prometteva nulla di buono. Avevano lasciato perdere l'argomento entrambi. Leonardo non sapeva come giustificare ai suoi amici quello che provava e i suoi amici non volevano assolutamente farlo arrabbiare più di quanto già non fosse.

Dopo il riscaldamento aveva aiutato alcuni suoi compagni a mettere a posto le reti per volano, anche se in realtà non capiva perché stessero facendo proprio quello sport, non dubitava comunque del fatto che, anche andando a chiedere, non avrebbe avuto una risposta sufficiente, come del resto tutto quello che quel professore diceva loro. Aveva spiegato loro poco o niente del gioco e poi li aveva messi a fare esercizi preparatori come far rimbalzare il volano sulla racchetta, prima camminando in avanti e poi indietro con la mano destra, dopo lo stesso esercizio ma con la mano sinistra. Dopo dieci minuti di esercizi del genere, come far rimbalzare il volano ma ruotando la racchetta prima in un verso e poi nell'altro, sempre camminando, li aveva messi a fare delle piccole partire. Alessandro e Damiano si erano messi contro di lui e Anna, che era una delle amiche di Veronica nella sua classe.

Leonardo si era spostato all'indietro, alzando la racchetta per colpire il volano e farlo andare dall'altra parte, ma lo aveva colpito con troppa forza e Alessandro, competitivo fin oltre l'immaginabile, era corso per prenderlo, Damiano, intercettato il volando in aria, lo aveva colpito come se fosse una schiacciata di pallavolo e Anna non era riuscita a prenderlo in tempo che la piccola pallina era a terra. Damiano si era avvicinato a lei, che era seduta a terra un po' sconfortata, per dirle che andava tutto bene, e Leonardo avrebbe seguito la loro conversazione, davvero, ma un urlo, o quello che sembrava, proveniente da una voce che conosceva gli aveva fatto gelare lo stomaco. I muscoli degli addominali si erano contratti e la dita delle mani avevano avuto uno spasmo. Gli era sembrato di non vedere niente mentre si girava verso Veronica, stesa a terra, che si teneva una mano sulla nuca.

Damiano gli si era avvicinato rapido, perché aveva capito che il suo sguardo era passato dalla ragazza a Luca che, oltrepassata la rete, si stava dirigendo verso di lei, insieme a Giada.

«Leonardo, non fare nulla di stu-» ma lui non lo stava affatto ascoltando. Giada doveva aver sentito che qualcuno stava guardando da quella parte, perché aveva alzato lo sguardo verso di lui. A Leonardo non capitava spesso di arrabbiarsi sul serio, tratteneva la rabbia perché sapeva quanto poteva essere distruttiva da come la utilizzava suo padre, ma la sentiva sempre e comunque dentro di sé anche se non la esprimeva mai. Come suo fratello, da arrabbiato, era terrificante. Il quel momento, mentre Luca non guardava affatto Veronica distesa ai suoi piedi con nessuna preoccupazione in volto, come se non fosse appena caduta sbattendo la testa per terra, Leonardo aveva avuto la certezza di odiarlo, odiarlo quasi come aveva odiato suo padre.

Veronica, distesa a terra, si era rialzata in fretta quando aveva visto che troppe persone stavano cominciando ad avvicinarsi, e, semplicemente, aveva mimato a Luca e Giada che era tutto a posto. Anche se, in realtà, non lo era affatto. Sentiva la testa girarle, vedeva ancora le stelle e, infatti, per quei pochi minuti di partita che rimanevano, poiché mancavano solo due punti a Luca per vincere, lei non aveva fatto nulla. Quando il moro dall'altro lato della rete aveva esultato si era diretta in bagno, il passo un po' instabile e incerto, rassicurando Giada di non aver bisogno di lei. Era stata stupida a cercare di recuperare un lancio del genere, lo aveva capito tardi quando aveva colpito il volano ma le scarpe erano scivolate sul pavimento liscio della palestra. Era caduta come una pera, sbattendo la testa proprio sulla nuca, dove, per giunta, avrebbe potuto fare più male. Veronica aveva sentito qualcuno discutere fuori, ma non ci aveva fatto caso, intenta a mettere la testa sotto l'acqua fredda, cercando di far passare il dolore. Odiava perdere, quello era il motivo per cui si era buttata così, ma non credeva certo che avrebbe tentato di raggiungere i suoi parenti per un gioco a scuola. Si era rialzata, guardandosi allo specchio e sciacquandosi il viso un'altra volta, quando aveva alzato lo sguardo dal lavabo e aveva incontrato gli occhi di Leonardo, più scuri, arrabbiati, e poi aveva fatto passare lo sguardo sul suo viso teso, i muscoli della faccia in tensione e la mandibola, leggermente squadrata, serrata. Le mani del ragazzo avevano trovato la sua vita, e lui se la era stretta addosso, il viso nei suoi capelli. L'avrebbe quasi abbracciato a sua volta se non le fosse venuto in mente che Leonardo non l'aveva quasi considerata per tutto il giorno; e ora si permetteva di essere arrabbiato e preoccupato?

«Ma fai sul serio? -Veronica si era divincolata e, nonostante il giramento di testa, si era tenuta al bordo del lavandino. Ora erano faccia a faccia.- Non mi guardi per tutto il giorno, sparisci prima della lezione, non mi consideri, non mi rivolgi la parola da ieri sera e ora fai l'arrabbiato e il preoccupato? Come se ne avessi qualche diritto?» Leonardo aveva appoggiato i palmi delle proprie mani appena un po' più in la delle sue, e quindi si era ritrovata tra lui e il lavabo.

«Ti ho guardata per tutto il giorno.» Aveva detto lui, il tono basso, e lo sguardo nel suo.

«Ma davvero?» «Non sarei qui, non credi?» Veronica era avvampata, il calore si era sparso dalle orecchie fino alle guance. Leonardo amava quando arrossiva, Leonardo amava qualsiasi cosa facesse lei: dall'accarezzare il gatto al guardarlo da sotto le ciglia scure.

«Non hai... non hai -aveva balbettato, la lingua incastrata- Non hai comunque il diritto di arrabbiarti! Io avrò anche fatto una cazzata ma tu chi cazzo sei Leonardo? O chi cazzo ti credi di essere?»

Aveva sentito il petto fargli male quando aveva ascoltato quelle parole, era arrabbiato, preoccupato, terrorizzato e ora era anche ferito, ferito di uno squarcio che Veronica, solo guardandolo, aveva capito di aver fatto. Si era allontanato da lei, aveva riposto le mani nelle tasche dei pantaloni ed aveva sostenuto il suo sguardo. Le dispiaceva, lo vedeva, lo sentiva, lo percepiva ma lui aveva fatto un passo indietro.

«Io non... Non volevo dire...» Leonardo, alle parole di lei, aveva fatto un altro passo indietro, poi ancora uno, e ancora, fino a cinque passi. Il numero delle parole che lei aveva detto.

«Sai quale è la verità Veronica? È che se non sai usare le parole dovresti anche smettere di farlo. Tu avrai anche fatto una cazzata ma io sono venuto a vedere se stavi bene, non quella sottospecie di lumaca che oggi hai attaccata al culo, io. Entrando nello spogliatoio femminile, per giunta. Rischio di prendere una nota disciplinare, io per te. Ma tranquilla, posso anche non farlo più, non preoccuparmi più per te, se proprio non mi consideri o non mi vuoi.»

«Leonardo no, aspetta. Per favore.» Veronica si era mossa verso di lui. La testa le girava in una maniera che non comprendeva, e per giunta lui indietreggiava. Ma la porta dello spogliatoio era chiusa, erano bloccati lì e lui poteva solo ascoltarla.

Odiava vederla stare male, ma lei gli aveva fatto altrettanto male e non avrebbe fatto un passo verso di lei, non lo avrebbe fatto per nessun motivo. L'orgoglio glielo impediva nonostante il cuore, perché sfortunatamente ne aveva uno, gli stesse dicendo di andare da lei e prenderla tra le braccia, sostenerla. Aveva cercato di aprire la porta, ma questa rimaneva bloccata.

Lui l'aveva fulminata mentre lei camminava verso di lui.

«Che cazzo significa?»

Veronica aveva fatto un mezzo sorriso, anche se sbieco e dolorante «È il motivo per cui ho fatto tardi quella volta, mesi fa, al primo allenamento, con Cecilia. Ti ricordi no? Avevamo litigato giorni prima, quasi come ora. La porta, se si chiude, dall'interno non si apre. -Leonardo aveva sentito il cuore mancargli di un battito quando lei aveva finito la frase e gli si era appoggiata contro- Dovremmo stare qui fino a quando Giada non verrà, e spera che non decida di darti un pugno.»

«Sono morto. Stai scherzando, vero? Lo sai cosa succede se non viene Giada, che per quanto possa starmi sulle palle è abbastanza intelligente da stare zitta, ma qualcun altro?» Veronica gli aveva sorriso, male, per via del dolore, e si era aggrappata alla sua maglietta.

«Ti mettono una nota?»

«Possono anche sospendermi. Sono un ragazzo, chiuso nello spogliatoio femminile, con te così. Cosa pensi che penseranno?»

«Cosa intendi con così?» «Ti stai aggrappando a me perché non ti tieni in piedi, è pure fraintendibile come situazione.» «Non mi stai toccando tu, però» «E non credi però che potrebbero pensare che lo abbia fatto?»

Veronica lo aveva guardato male.

«Sei venuto tu qui, con quella tua faccia da incazzato. Non ti ho di certo chiamato io.»

«Infatti dovevo farmi i cazzi miei e lasciare che la sanguisuga ti seguisse. Anzi no lo avrei-» Leonardo si era interrotto perché le gambe di Veronica avevano ceduto, e lui, per quanto arrabbiato e ferito, si era prodigato a circondarle il corpo con le braccia, per poi scivolare lungo la parete con lei tra le gambe.

«Sai perché mi piace essere abbracciata da te? -Leonardo aveva scosso la testa, nemmeno sicuro di volerlo sapere.- Perché mi sento al sicuro, tra le tue braccia. Dalla prima volta che mi hai abbracciata provo sempre le stesse emozioni: sollievo, benessere, tranquillità, euforia anche. Scompare tutto quando mi abbracci, scompare che non sono a casa mia, scompare che non sono nella mia città, che mia madre sia dall'altra parte del globo e che la mia migliore amica sia a tre ore di treno da qua. Scompare il pensiero di non essere stata una brava sorella e una brava figlia. Scompare tutto ed esisti solo tu. Tu con tutti i difetti che hai, tu.»

Il cuore di Leonardo aveva mancato non sapeva quanti battiti e gli era quasi venuto un infarto. Non se lo aspettava, non se lo aspettava proprio. Lei stava abbattendo una ad una tutte le sue insicurezze e lui glielo stava facendo fare, forse perché voleva che lo facesse. Leonardo, in quel momento, moriva dalla voglia di baciarla. Perché era tutto troppo intimo e un abbraccio non bastava, avere lei tra le sue braccia non bastava. Leonardo la voleva in un modo disperato e urgente, come non gli era mai successo, ma aveva paura che si stesse solo facendo troppi fil mentali, che stesse volando di fantasia. Lui non ne era il tipo, ma ormai aveva capito che Veronica, anche solo la sua vicinanza, lo faceva cambiare. Aveva scosso la testa, le avrebbe risposto dopo, non poteva certo rimanere seduto per terra con lei sopra. Aveva fatto passare un braccio sotto le ginocchia di Veronica e l'altro sotto le sue spalle, l'aveva avvicinata al proprio petto e si era alzato senza nessuna fatica. Le braccia di lei gli avevano circondato il collo, e una mano era finita tra i suoi capelli biondi, attorcigliandosi ciocche intorno alle dita. L'aveva distesa su una panca e poi si era messo di fianco a lei, la testa della ragazza appoggiata ad una sua gamba. Aveva tirato fuori il cellulare dalla tasca, e aveva provato a vedere se c'era campo, ma nulla era servito e, per quanti messaggi, circa cinque, avesse provato a mandare a Damiano e Alessandro, nessuno di quelli era stato inviato. Nemmeno una volta, nemmeno per sbaglio.

«Non sei lucida.»

«Sono abbastanza ludica da sapere quello che dico.» Leonardo aveva roteato gli occhi al cielo.

«Hai sbattuto la testa per terra in modo violento, e mi sei caduta davanti, addosso. Non ti reggevi in piedi, e scommetto che avevi anche la visione alterata. Sai cosa sono? I sintomi di un bel trauma cranico. E non mi importa quello che dici, appena qualcuno arriva, e prega sia Giada, ti porto in ospedale.» Veronica aveva annuito, e Leonardo aveva preso ad accarezzarle i capelli, cercando di darle sollievo.

«Ho mal di testa» «È un sintomo anche questo, spero solo non sia un trauma grave.» «Mi dispiace per quello che ho detto prima, non lo intendevo sul serio, però comunque non puoi arrabbiarti per una cosa del genere.»

Leonardo aveva sospirato, si era passato una mano tra i capelli e aveva lasciato a Veronica l'altra, che ne frattempo teneva stretta.

«Non ero arrabbiato con te, non lo sono, non così tanto come pensi almeno. Tu sei competitiva, Luca lo ha capito e pensava di fare impressione, e ti ha fatto solo male. Sono arrabbiato con lui perché è una testa di cazzo.»

Veronica non aveva detto nulla, aveva solo annuito, poi aveva intrecciato le loro dita e aveva strusciato il naso contro il suo stomaco piatto. Leonardo aveva desiderato solamente che Giada, o chiunque, a questo punto, arrivasse il prima possibile. Capiva che Veronica non fosse completamente in sè al memento, ma Leonardo era comunque un ragazzo. Voleva spostarsi lui, allontanarsi e mettersi il più lontano possibile per non pensare al volto di Veronica così vicino alla pata dei suoi pantaloni. Poteva anche non avere nessuna esperienza lui personalmente, ma alle feste si sentiva e si vedeva più di quanto, a volte, si desiderava, e lui ne aveva frequentate abbastanza da aver visto e aver sentito molto più di quanto lui stesso voleva. Non era ingenuo, inesperto sulla pratica forse, ma teoricamente sapeva tutto meglio di quanto volesse. Aveva preso di nuovo il cellulare dalla tasca dei pantaloni, e, per la prima volta da quando aveva il suo numero, aveva scritto a Giada. Il messaggio era stato inviato, ricevuto, la ragazza era entrata online e poi ne era uscita. Leonardo aveva capito che era salvo, certo, Veronica e la sua semi-erezione no, ma era un altro discorso. L'aveva presa in braccio di nuovo, e, appena due secondi dopo, la porta dello spogliatoio si era aperta, rivelando una Giada sconvolta e terrorizzata. Leonardo aveva risposto a tutte le due domande nel modo più calmo possibile, cercando, per una volta, data la situazione, di essere comprensivo verso i sentimenti che la ragazza stava provando.

Perché, per una volta, poteva riconoscere nel suo sguardo ciò che anche lui provava in quel momento.

Il professore, tanto era stupido e concentrato su qualcosa al telefono, non si era nemmeno accorto della mancanza dei due ragazzi, o della caduta di lei, e quando si era ritrovato Leonardo davanti con Veronica tra le braccia, cosciente ma frastornata e non del tutto lucida, la prima cosa che aveva fatto era stata chiamare la tutrice legale della ragazza. Era entrato in panico, aveva fatto portare due buste del ghiaccio ed aveva permesso ai tre ragazzi, e successivamente anche a Damiano e Alessandro, che avevano portato loro zaini e sacche (quel sabato era uno dei pochi in cui non avevano dovuto portarsi anche la cartellina da disegno, visto che il professore aveva deciso di fare due ore di storia dell'arte perché erano indietro con il programma), si andare ad attendere vicino alla segreteria dove c'era una piccola sala d'aspetto. In realtà altro non era che una stanza quadrata, non molto grande, dalle pareti grige e con due divani da due, quattro poltrone e una macchinetta per le bevande. Leonardo si era seduto, Veronica in braccio a lui. Giada si era seduta vicina, ma non lo aveva toccato e aveva conversato solamente con Veronica per un po', accarezzandole il viso o tenendole una mano mentre aspettavano. Poco dopo era arrivato anche Francesco che, da bravo pseudo-fratello maggiore quale era le fatto tutte le domande del caso a Veronica che gli aveva risposto. Gli occhi della ragazza erano un po' lucidi, come se avesse pianto, e Leonardo odiava immensamente vederli così. L'istinto di andare da Luca e strozzarlo era fin troppo forte e, se lei avesse continuato a guardarlo, l'avrebbe lasciata a suo fratello e avrebbe preso a pugni il suo compagno di classe. Sarebbe stata la prima volta che lo faceva? Si sarebbe beccato una nota? Non gli importava, nulla, nulla, era più importate di lei. Leonardo non lo aveva fatto solo perché era arrivata sua madre che, firmati i due permessi di uscita di entrambi i ragazzi, si era trattenuta molto dall'urlare contro a Leonardo. Era ancora arrabbiata per un il lunedì prima quando erano andati al mare, il fatto che Veronica ora si fosse fatta male l'aveva fatta alterare ancora di più.

«Possibile che quando è con te faccia cose stupide?» Gli aveva detto ad un certo punto, mentre guidava veloce.

«Non era con me sta volta, io non l'ho istigata mai a nulla. Mi ha chiesto lei, per la vent'esima volta, di andare al mare Lunedì e oggi mica le ho detto "cadi", anzi, ero da tutt'altra parte.»

«E perché?»

Perché sono geloso del ragazzo che le va dietro, lo aveva pensato ma non lo aveva detto. Anche perché a sua madre sarebbe venuto un infarto e Veronica era sveglia, sentiva il suo sguardo addosso. Era curiosa, voleva sapere anche lei, e Leonardo stava cercando una mezza verità, una bugia bianca, che fosse quantomeno convincente.

«Perché stavo parlando con Alessandro e Damiano di Andrea, sai no, la situazione...»

Negli occhi di Angela era passato un guizzo di dispiacere, di pietà.

«Certo, la madre... Io non avrei avuto il coraggio. Ma suo padre come fa?» Leonardo aveva alzato le spalle «Ha già lavorato per tipo venticinque anni quindi soldi ne ha ancora, adesso ha trovato un lavoro e Andrea sta dietro ai fratelli»

Veronica gli aveva stretto la maglietta

«Che è successo ad Andrea?»

«La madre è una...» «Leonardo!» «...poco cortese donna. Li ha abbandonati, Andrea e gli altri due figli..» «Esattamente -Angela aveva annuito- Tranne che se ne è andata quando Andrea era in casa no? Un gesto pessimo, povero ragazzo.»

«È bruttissimo...» «Lo so chatte noire, lo so» Veronica aveva cercato la mano di Leonardo, e lui gliela aveva fatta trovare, le loro dita si erano intrecciate e lei aveva stretto forte la presa, appoggiandosi meglio alla sua spalla.

«Andrea sta molto male?» «Meno male di quanto starebbe se non avesse noi. Per questo oggi non c'ero in al cambio dell'ora, sono andato da lui.»

Veronica aveva annuito con la testa bassa. Lui le aveva accarezzato la testa, sistemandole i capelli che si erano arruffati. Sapeva che sua madre, dallo specchietto retrovisore, lo stava guardando e che stava giungendo alle proprie conclusioni, ma a Leonardo non importava. Lui pensava solo a lei, al fatto che stesse bene, che stesse comoda, che si sentisse al sicuro.

«Non devi preoccuparti di quello che hai detto prima...» Glielo aveva sussurrato all'orecchio, se no sua madre avrebbe fatto loro un sacco di domande e lui avrebbe dovuto rispondere a tutte quante.

«Eri da Andrea che passa un brutto periodo e io come una stupida...» Veronica aveva lasciato andare un singhiozzo, e Angela si era messa in allerta.

Leonardo si era allontanato un po'. Erano troppo, troppo, troppo vicini. La tentazione di baciarla era sempre più presente, ed era più forte più piccola era la distanza tra i loro corpi. In più c'era sua madre, che, in ogni caso, prima lo avrebbe picchiato e poi gli avrebbe dato modo di spiegarsi.

Leonardo le aveva raccolto una lacrima, l'unica che era scesa, e le aveva accarezzato una guancia.

«Come ti senti?» Aveva cambiato argomento.

«Ho mal di testa, ma vedo abbastanza bene...» Leonardo aveva annuito, e anche Angela.

Erano arrivati pochi minuti dopo. Leonardo aveva lasciato che Veronica si reggesse a lui per camminare dentro al pronto soccorso, poi, quando avevano avuto il codice di emergenza erano andati a sedersi. Angela era arrivata poco dopo con altro ghiaccio visto che quello che era stato dato loro a scuola si era anche totalmente sciolto nel frattempo. Avevano aspettato un po' di tempo prima che Veronica facesse degli esami, circa due ore. Poi un'infermiera era venuta a chiamarli, Veronica era stata messa su una carrozzina ed era stata portava via, Angela era, ovviamente, andata con lei. Leonardo era dovuto rimanere fuori, impaziente camminava avanti e indietro come se fosse un marito apprensivo che aspettava la nascita di suo figlio. Una signora, li a fianco, gli aveva pure detto di stare tranquillo per la sua ragazza, che sarebbe andato tutto bene e che lei sarebbe tornata da lui. Leonardo questo lo sapeva, non ne dubitava. Veronica sarebbe tornata da lui, oppure lui sarebbe andato a cercarla, semplice. Facile. Il cuore gli era comunque sprofondato nel petto quando la nonnina aveva pronunciato le parole "la tua ragazza". Leonardo, in quella situazione, non aveva voglia di farsi un esame di coscienza e capire per quale motivo sentirla definire così fosse stato un sollievo e il sapere che non lo fosse la distruzione del proprio cuore. Angela era tornata circa quaranta minuti dopo, quaranta minuti in cui Leonardo, pur di non pensare, aveva fatto sul serio amicizia con la nonnina la di fianco, ed aveva detto a Leonardo che Veronica sarebbe rimasta quella notte in osservazione, per essere sicuri che fosse tutto a posto visto che la caduta e la botta erano state considerevoli. Era stato costretto da sua madre a tornare a casa; era rimasto tacito, silenzioso e imbronciato per tutto il viaggio di ritorno. L'unica volta che aveva pronunciato parola era stata quando sua madre gli aveva fatto delle domande specifiche, e allora lui aveva risposto bonariamente ma in modo veloce, senza sprecare troppe parole. Appena erano arrivati a casa Leonardo era stata assalito dal fratello che, ovviamente, gli aveva fatto circa un milione di domande, evidentemente quello era il giorno in cui si erano messi tutti d'accordo per farlo parlare il più possibile, alle quali lui aveva risposto, nonostante volesse solo distendersi a letto e dormire, non gli importava nemmeno dei compiti per il giorno dopo. Sua madre, nel frattempo, era entrata e uscita di casa con uno zainetto contenente il cambio per la notte di Veronica. Quando Francesco lo aveva lasciato andare Leonardo aveva prima portato il proprio zaino, con relativa sacca, in camera e poi le cose di Veronica in camera sua. Lì dentro, ovviamente, tutto profumava di lei. Di cioccolato e caffè, quel maledetto profumo che la ragazza si metteva sempre, in qualsiasi posto della casa. All'inizio, come ogni cosa di lei, non lo sopportava, poi, piano piano, aveva cominciato ad apprezzarlo, probabilmente perché aveva cominciato ad apprezzare lei, e poi aveva cominciato a piacergli. Leonardo si era disteso sul letto di Veronica cinque minuti, giusto il tempo affinché la sua mente si rilassasse, quando però aveva intuito che stava per addormentarsi si era tirato su, era uscito da quella camera chiudendo la porta e si era diretto veloce in camera sua. Una volta lì si era disteso a letto, ed aveva chiuso gli occhi.

Il bambino di quattro anni aveva guardato fuori dal finestrino, le macchine gli passavano a fianco, suo padre guidava, sua madre si truccava e suo fratello faceva i compiti, non capiva come riuscisse a leggere e a scrivere in macchina, lui non faceva niente e gli veniva da vomitare! Il bambino guardò i cartelli stradali

«To ri no -aveva detto, leggendo piano il nome della città -mamma cos'è Torinio?- la donna si era girata verso di lui, un occhio aveva le ciglia nere e l'altro le aveva ramate.

«Torino, tesoro, è la città dov'è nata tua madre, andiamo a trovare i nonni, amore»

«Sperando che tua madre abbia fatto le lasagne, le vengono bene, a lei» Suo padre aveva preso la strada per Torino, mentre sua madre sbuffava.

«Stai mettendo in discussione le mie capacità cullinari?» «Mai e poi mai».

Il bambino di dieci anni aveva guardato il palazzo davanti a lui, lo stabile era completamente bianco e l'unica cosa colorata erano i balconi, di un azzurro brillante, una di quegli azzurri che si potevano vedere in quelle giornate senza nuvole, in quelle mattine in cui il sole filtrava indisturbato nella sua camera, attraversando i vetri e le tende bianche. La madre gli aveva stretto la mano quasi ad assicurasi che lui fosse li, poi lo gli aveva spiegato che quello non era un palazzo qualunque, quella era un biblioteca, e le biblioteche erano quei posti dove si potevano trovare i libri, ma non era una biblioteca per bambini come lui, era una biblioteca per persone più grandi, una biblioteca dove si trovavano libri più difficili rispetto a quelli a cui era abituato lui. «Sai i ragazzi che vedi uscire dalla scuola di fianco alla tua? -gli chiese la madre, lui annuì, con gli occhi che gli brillavano- ecco, loro vengono a fare le ricerche qui, quando ne hanno bisogno.» Era stata sua madre ad insegnargli a leggere, gli aveva insegnato lettera per lettera, dalla A alla Z.

«C'è posto per una persona in più?» Francesco era apparso davanti al suo letto.

«Si, c'è posto». Il bambino di dieci anni si era spostato leggermente più in là mentre quello di undici era salito sul letto e era messo sotto le coperte. «Fra?»

«Si?»

«Mamma non si è rifatta una vita. Lui è in Francia, beato, e mamma ha ancora quella cicatrice.»

«Non sempre le cose vanno come vogliamo che vadano noi, Leo, non tutto andrà come vuoi tu, non tutto andrà sempre bene, ci saranno anche dei momenti in cui dovrai capire che hai sbagliato e risolvere gli errori che hai fatto. Papà non ha mai avuto intenzione di risolverli, per questo è lì. Ma la mamma fa del suo meglio».

«Vorrei solo che fosse felice...»

«Anche io». Leonardo fissò le stelle sul soffitto , erano decisamente meglio le stelle della faccia di suo fratello in quel momento.

Leonardo odiava sognare ricordi, odiava quei ricordi. Erano le quattro di mattina quando si era svegliato, sudato, con i vestiti del giorno prima attaccati alla pelle e i capelli incollati alla fronte. Era andato in bagno, aveva aperto l'acqua della doccia e, dopo essersi spogliato, ci si era buttato dentro senza curarsi se fosse già calda o meno. Odiava quell'emozione che provava nel petto, quella preoccupazione che tanto era vera, tanto era profonda, che quasi sembrava tangibile. Era uno di quei sentimenti che Leonardo non provava spesso e soprattutto non così intensamente. Non sapeva per cosa fosse preoccupato, o meglio: sapeva alcune delle cose per le quali era preoccupato ma il resto era una sensazione generale che si diffondeva uniformemente per tutto il suo corpo, come se nella preoccupazione ci stesse annegando. Era preoccupato per Veronica, per Andrea, per quello che provava e non capiva, e forse era proprio quel non capire, quel non mettere in chiaro ciò che sentiva, che lo portava a quella sensazione di irrisolto che poi gli metteva ansia. Si era passato convulsamente le mani nei capelli, tirando qualche ciocca in avanti e facendoli cadere piatti sulla fronte, poi aveva recuperato un asciugamano, se lo era legato alla vita ed era andato in camera a vestirsi. Tanto, in ogni caso, anche se ci avesse provato, non sarebbe comunque riuscito ad addormentarsi. Si era infilato dei semplici pantaloni di tuta neri, una maglia e una felpa al buio, tanto chi diavolo doveva vederlo? In più non aveva capi eccessivamente colorati in armadio, quindi il massimo era che si fosse preso una felpa blu o grigia, o, se proprio era, beige o marrone chiaro. Leonardo aveva passato le successive ore al cellulare, guardando video o stando sui vari social. Ad un certo punto si era messo a guardare una serie che lo aveva anche particolarmente incuriosito, e infatti per poco non gli era venuto un infarto, quando, quasi per sbaglio, aveva buttato l'occhio sull'orario che segnava il computer, e aveva visto che erano le sette e quaranta. Aveva già immaginato suo fratello ucciderlo, però, poi, si era ricordato che fosse domenica e che, quindi, nessuno sarebbe stato ucciso da nessuno, il che era stata una grande consolazione. Leonardo era comunque sceso in cucina per mangiare qualcosa, e infatti aveva rubato tre biscotti dal loro sacchetto, e poi era tornato in camera sua. Durante la mattinata nessuno era venuto a disturbarlo, a parte Francesco che lo avvertiva che sarebbe andato al supermercato e gli chiedeva se volesse accompagnarlo, ovviamente la risposta era stata no, e sua madre che gli diceva di essere tornata. Leonardo, preso dal desiderio di non pensare assolutamente a nulla, si era guardato la serie nelle ore della mattinata, finendo gli episodi, circa dieci, entro le dieci di quella mattina. Si era quindi alzato dal letto e aveva quindi rimesso il computer nel suo posto originale, quindi la scrivania davanti al letto, aveva ripreso il cellulare e, risposto a Damiano, Alessandro e Andrea, si in privato sia nel gruppo, aveva aperto la chat con Veronica. Non si scrivevano spesso, perché non avevano il concreto bisogno di farlo, insomma: vivano nella stessa casa, erano in classe insieme e avevano anche gli stessi amici, non era quasi mai necessario scrivere un messaggio per parlarsi l'un l'altro, anche solo il fatto di vivere nella stessa casa rendeva la cosa sinteticamente inutile, essere nella classe la rendeva una cosa stupida da fare. Quindi, tralasciando per quelle volte in cui Veronica lo avvisava che sarebbe tornata dopo da allenamento, che l'avrebbe accompagnata a casa Cecilia perché i suoi avevano deciso di darle un passaggio o che gli chiedeva di venirla a prendere, la cosa succedeva spesso nell'ultimo periodo quando il sole scendeva prima e alle nove era già tutto buio, non c'erano particolari o memorabili conversazioni. In più Leonardo scriveva per primo raramente agli altri, quasi mai, quindi, quel semplice "come stai?" che le aveva mandato era stato il primo in assoluto che inviava alla ragazza. Non era servito nelle ore precedenti perché o erano insieme oppure Leonardo sapeva che sua madre era in ospedale e che Veronica avesse qualcuno di vicino lì, in quel caso, però, sua madre era a casa e Veronica era lì da sola, e conoscendo le sue scarse capacità amicali e la sua freddezza iniziale non credeva che si fosse fatta qualche amico, o amica, nel giro di meno di ventiquattro ore. Aveva lasciato il cellulare sul letto ed era sceso in salotto dove sua madre stava parlando con Francesco che era appena rientrato. Quando era arrivato lui entrambi lo avevano guardato e gli avevano semplicemente detto:

«Guarda che tra cinque minuti andiamo in ospedale.»

Esattamente cinque minuti dopo si trovavano in macchina, l'unica cosa che aveva dovuto fare Leonardo era stata mettersi i calzini e le scarpe. Ci avevano messo una decina di minuti ad arrivare e una decina di minuti a raggiungere la camera di Veronica. L'ospedale di Treviso era grande, dopo il check in posto fuori si doveva scendere una rampa di scale non molto lunghe, in cui i gradini erano bassi e distanziati tra loro di almeno sessanta centimetri (c'era anche la rampa in discesa, che diventava in salita quando si usciva, per coloro che erano in carrozzina), dopo quello le porte della struttura, alta e divisa in piani per specialistica, c'erano al lato sinistro degli uffici per il pubblico e al lato destro i bagni e un bar, poi il corridoio di divideva in due e cominciava la suddivisione. Avevano dovuto salire circa quattro piani prima di raggiungere neurologia. In realtà era stata Angela a chiedere che Veronica rimanesse lì almeno un giorno, per farsi dire con sicurezza se fosse tutto a posto oppure se ci fossero ripercussioni da tenere sotto controllo, il collega aveva accettato solo perché doveva ad Angela un favore, ma era stato meglio così. La donna, in ogni caso, aveva fatto un saluto veloce alla ragazza ma solo perché non erano passate nemmeno sei ore dall'ultima volta che l'aveva vista, e poi aveva lasciato spazio ai suoi figlia, andando a parlare in corridoio con il collega.

Leonardo aveva visto Francesco scompigliare i capelli di Veronica in modo affettuoso, e lei gli aveva sorriso. Lui stesso aveva sorriso sbieco.

«Hanno detto che è tutto a posto, posso anche tornare a casa con voi anche adesso. Non ho mostrato segni di perdita di memoria, nessun danno alle funzioni cognitive o sensoriali.» Lei e Francesco avevano parlato per un po', fino a quando il ragazzo non si era allontanato per andare in bagno. C'erano stati alcuni attimi di silenzio.

«Chatte-noir ti sta proprio bene come nomignolo, sei sfortunata come un gatto nero.» Veronica aveva sospirato divertita, poi gli aveva affettato la felpa e lo aveva trascinato verso di sé. Lui aveva soppesato il peso sulle braccia per non gravarle addosso, ma si era lasciato abbracciare e aveva ricambiato, portando il braccio destro sotto la sua vita e spingendosela addosso.

«Sarei ancora più sfortunata se non ci fossi tu al mio fianco.» E a Leonardo erano mancati più battiti di quanti avesse voluto.

 

   
 
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