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Autore: DanieldervUniverse    11/06/2022    0 recensioni
[Coriolis - Il Terzo Orizzonte]
Un gruppo di tuttofare nello spazio devono concordare con la loro ultima datrice di lavoro il pagamento per i loro servigi.
Genere: Generale, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prompt: Non tutto è oro quel che luccica

Ci addentrammo nel tra vicoli stretti e tortuosi. Il Mulukhad, tra tutti i quartieri della stazione spaziale Coriolis, sembrava il più contraddittorio: tutti coloro che incrociammo tenevano il volto e il corpo celati. Le uniche eccezioni erano le cortigiane (che coprivano solo le labbra e le intimità) e alcuni robusti buttafuori che portavano grossi bastoni stordenti appesi alla cintura ed esibivano muscoli e cicatrici. Le piccole finestre degli appartamenti erano tutti sbarrate o coperte da panni e tendine, mentre gli ingressi dei casinò o dei locali a luci rosse erano annunciati da risate e larghi agglomerati di persone. L’aria era densa di miasmi di origini sconosciute che si mescolavano in zaffate di odori ripugnanti o esotiche fragranze di spezie provenienti da tutto l’Orizzonte. La luce delle lampade disegnava lunghe e contorte ombre mentre il neon delle insegne trasformava le vaghe nuvole di fumo e vapore in una strana nebbia colorata.
-Il nostro committente ci lascia sempre le missioni più interessanti- sussurrai.
-Che succede, il tuo gusto raffinato ti impedisce di stare tra la povera gente?- replicò Mahkmood, rivolgendomi un fugace sguardo da sopra la spalla. Non mi curai di rispondere.
In mezz’ora di silente avanzata il nostro gruppo raggiunse il ristorante Mudejar, che stonava ancora di più con il quartiere circostante per le ampie finestre, la facciata dipinta con colori sgargianti e soprattutto e la musica.
Come ombre ci tuffammo nel primo vicolo laterale, aggirando il grande edificio per raggiungere l’ingresso posteriore.
-Avete già un piano per trovare la porta nascosta?
-Perché non ce lo suggerisce lei, oh altezza?
-Ragazzi, piantatela- intervenne Kef, prendendo la guida e facendo danzare le dita. Si arrestò di colpo, e cominciò a tastare lungo la parete. Questa non sembrava diversa da quelle che avevano visto attraversando i vicoli: era scolorita e allo stesso tempo annerita dai vapori, era palesemente rigata e odorava di cibo rancido. Pochi sapevano tuttavia che l’entrata di servizio del grandioso Mudejar era celata in mezzo ai vicoli, e per accedervi era necessario trovare l’anfratto giusto, percepibile solo dalle mani più sensibili, nascosto per di più dietro ad un ologramma. Era praticamente impossibile trovarlo se qualcuno non ti informava della sua esistenza preventivamente.
Io continuai a spostare gli occhi dalle due estremità del vicolo alle finestre sopra di noi, fino ai tetti. Anche Mahkmood stava all’erta, tenendo una mano mollemente appoggiata al mantello vicino a dove teneva la fondina con la pistola.
Poi ci fu uno scatto metallico e Kef fece un passo indietro sorridendo.
-Prego signori- ci invitò con un gesto delle mani. La parete non si mosse ne tremolò, ma io non esitai due volte a infilarmi dove indicato, e per fortuna non battei la testa o inciampai in gradini imprevisti: sarebbe stato umiliante
Mi ritrovai nell’anticamera, avvolta nella penombra, circondato da locali ben illuminati: la cucina, i magazzini del cibo, e ovviamente la camera circolare al cui centro si trovava la scala che portava ai piani del ristorante.
In quel momento le uniche persone visibili erano un inserviente che portava fuori la spazzatura e un individuo che stava appoggiato al muro, in un angolo. I miei due compagni comparvero alle mie spalle dopo qualche secondo, al che l’individuo misterioso volse il capo verso di noi e io potei distinguere con le due linee blu che aveva disegnate al posto delle sopracciglia.
«Trovate un uomo con le sopracciglia blu…» dicevano le istruzioni. Toccai lievemente il gomito di Mahkmood con due dita per indicargli l’uomo prima di farmi avanti.
-Ha da accendere?- chiesi, estraendo un involto di tabak dalla tasca dei pantaloni. Era una piccola striscia di carta piena di tabak secco e triturato, leggermente alterato con qualche olio per dargli un gusto aromatico.
L’uomo mi squadrò. A quel punto potevo vedere che era ancora giovane, sulla tarda ventina, e che aveva il volto perfettamente rasato tranne per il pizzetto appuntito. Sul volto erano disegnati dei simboli in blu, che mi ricordavano una sorta di simbologia militare.
-Dipende. Lei ha qualcosa da offrirmi?
Io mi misi a frugare nell’altra tasca, scostando di proposito il braccio quanto bastava per mostrargli la valigetta che tenevo celata sotto al mantello. Estrassi un secondo involto di tabak e glielo offrii. Lui annuì lievemente e accettò.
-Andiamo, conosco un posto per fumare in pace- e senza aggiungere altro si diresse verso la parete opposta, dove una piccola ringhiera quasi invisibile celava una scaletta che scendeva. Lanciai uno sguardo rapido a Mahkmood e Kef per assicurarmi che mi seguissero.
La stanza dove arrivammo era silenziosa e ben illuminata. Era sostanzialmente composta da un ampio tavolo circolare circondato da un divano abbastanza confortevole sia per sedersi che per sdraiarsi, con diversi cuscini sparsi sopra. La luce proveniva da dei fari, incavati in un ripiano di legno attaccato al divano e coperti con delle lenti colorate, che proiettavano i loro caldi colori sulle sottili tende di lino adagiate attorno al mobile.
Sdraiata su un lato del divano, avvolta da soffici cuscini, c’era una donna. Indossava una ricca collana d’ambra legata da fili d’oro attorno al collo, sopra la modesta scollatura. Il suo kameez era color turchese con intarsi dorati, mentre il dhoti era di un azzurro accesso con intarsi argentati. Aveva i piedi nudi, esibendo una pelle liscia e color miele, e delle unghie lucidate e dipinte di indaco. La donna aveva ampio dupatta color del cielo adagiato sul capo e sulle spalle, nascondendo parte dei suoi lineamenti ma lasciando intravedere i suoi lunghi capelli corvini e le labbra color cioccolato. Era intenta a fumare da un narghilè che stava sul tavolo.
A guardarla mi tornò in mente la mia armatura da battaglia, lucida e splendente con le sue insegne militari. Desiderai ardentemente aver indossato quella invece dei miei anonimi abiti scuri.
Mahkmood dovette darmi una gomitata per farmi schiodare dal posto e fare spazio a tutti per sedersi sul divano, dirimpetto alla nostra interlocutrice.
-Benvenuti- ci salutò, riducendo la sua voce a poco più di un soave sussurro -Dunque voi sareste gli intrepidi che hanno recuperato la mia valigetta.
-In carne e ossa- rispose Mahkmood, sorridendo. Ad un suo gesto sollevai la suddetta valigetta. La donna annuì e prese un’altra boccata dal narghilè.
-Non è stata danneggiata durante il recupero, mi voglio augurare.
-Non le è stato fatto un graffio, come ha potuto vedere.
-Posso averla?
-Considerato che è sua, certo! Ma prima...- Mahkmood si protese verso la donna, incrociando le dita sul grembo.
-Un giusto compenso per un buon servizio. Giusto- la donna sorrise.
-Esattamente mia signora. Chai per tutti!
L’uomo che ci aveva accompagnati dentro attese che la donna facesse un segno d’assenso prima salire a prendere i rinfreschi. A quel punto la conversazione si spostò su questioni di tutti i giorni, dalle nuove trasmissioni del Notiziario ai recenti gossip delle celebrità. Kef interveniva ogni tanto per precisare qualche termine tecnico quando si parlava di tecnologia, mentre io tenni gli occhi fissi sulla donna, cercando di non farmi sfuggire un suo singolo gesto.
Quando l’uomo tornò era in compagnia di un elegante cameriere, ed entrambi recavano vassoi. Il cameriere pose davanti a noi una teiera e tre tazzine, un vassoio di datteri di Mira e una piccola porzione di falafel.
La donna venne invece servita dal misterioso individuo dal volto pitturato, sicuramente un suo servitore dalla premura con cui le servì il vino. Provveduto alla sua signora, appoggiò la bottiglia sul tavolo e si fece indietro.
Intanto Mahkmood cominciò a riempire le nostre tazze, partendo dalla mia. Come sempre. Assaggiai i datteri e li trovai veramente squisiti. Mira era veramente un pianeta benedetto dalle Icone.
-Dunque- esordì il mio compagno -Parliamo d’affari.
-Parliamo d’affari- gli fece eco la donna -Ho promesso al vostro mecenate 8mila birr se fosse riuscito a procurarmi la mercanzia entro due giorni.
-Direi che è stata accontentata- Mahkmood prese un sorso di chai ed emise un verso di soddisfazione. Per la prima volta da quando era entrato nella stanza abbandonò la posizione seduta e si adagiò sui cuscini, come un vero diplomatico.
-Ma dato che siete voi qui e non il vostro datore di lavoro posso presumere che vogliate dettare le vostre condizioni.
-Il signor Nasr ci ha dato carta bianca di gestire la transizione.
“Perché gli sono venute le gambe molli al pensiero di avventurarsi nel Mulukhad” pensai.
-Per cui credo possiamo chiedere da lei 10mila birr per il servizio compiuto con la massima efficienza e riserbo.
-Sembra un prezzo notevole.
-Ma ragionevole quando impiega i migliori.
-L’umiltà non vi manca.
-Facciamo il nostro lavoro, mostrarsi umili non ha senso.
Dato che Mahkmood era quello che sapeva come trattare con le persone di solito gli do carta bianca, ma in quel momento fui tentato di dargli una gomitata per farlo desistere. La donna non disse niente per alcuni secondi. Abbandonò la sua posa rilassata e si tirò a sedere. Il volto rimase parzialmente celato ma riuscii a intravedere il luccichio verde dei suoi occhi. Lanciai un’occhiata in direzione di Kef e notai che, nonostante tenesse lo sguardo fisso sulla cliente, le sue mani piene di dita si assicuravano che la sua bocca non fosse mai vuota.
-È vero, l’umiltà non vi si addice- commentò -Se proverete che il contenuto della valigetta non è stato danneggiato potrete avere i vostri 10mila.
Il servitore con la faccia dipinta si fece avanti e io gli offrii la valigetta dopo un rapido scambio di sguardi coi miei compagni. La donna l’aprì digitando una combinazione sul lucchetto elettronico e rimirò il contenuto per alcuni secondi. Dovetti concentrarmi per continuare a respirare regolarmente mentre aspettavo il suo responso. Alla fine sorrise, ma non di compiacimento: di trionfo.
-Molto bene- chiuse la valigetta con uno scatto -10mila birr. Come promesso.
Estrasse un tag dalla tasca del kameez e lo offrì al suo servitore, che lo passò a Kef che a sua volta lo nascose in una delle sue innumerevoli tasche.
-È una donna onesta, signora.
-C’erano dubbi?
-Beh sa, tutti i commercianti devono imparare che non è tutto oro quel che luccica.
Kef tossì rumorosamente, sputacchiando il falafel che aveva appena infilato in bocca. Io diedi una botta con le nocche al ginocchio di Mahkmood, che con i miei muscoli ciberneticamente potenziati era abbastanza da fare male.
-È così che vuole vederla?- domandò invece lei, facendo un sorriso radioso dopo aver scosso il capo.
-In che senso signora?
-Beh, ci sono quelli che pensano che non sia tutto oro quel che luccica… e quelli come me che pensano che non sia solo l’oro a luccicare.
Per un attimo mi parve che i suoi denti brillassero come nelle pubblicità. Solo per un attimo. Nessuno di noi fiatò.
-Insomma, è un po come vedere il bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno, non trovate?
Kef annuì con convinzione. Mahkmood fece un gesto di assenso col capo, senza tradire la sua compostezza. Io non seppi cosa dire.
-Potete andare.
Io mi alzai di scatto, in modo automatico, riaggiustando il caftano così da nascondermi il viso.
-È stato un piacere fare affari con lei- disse Mahkmood, lisciandosi i vestiti.
-È stato un piacere fare affari con voi, signori e signora.
In fila indiana seguimmo il servitore fuori dalla stanza e sfilammo attraverso il passaggio segreto di nuovo per le vie del Mulukhad.
-Quando devi trattare con i ricchi non sai trattenere una delle tue uscite, eh?- commentai.
-Tu certamente non sei stato d’aiuto! Sei rimasto a fissarla tutto il tempo, imbambolato come uno strafatto di opor! Ma che ti sei fumato!?
-Io volevo chiedere se potevamo portarci via i datteri, uffa- disse Kef, leccandosi le dita delle mani.

  
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