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Autore: fiorediloto40    11/06/2022    2 recensioni
Saga non poté evitare che lacrime amare gli attraversassero il volto. Era tutta colpa sua...
L’unica cosa che aveva potuto fare in tredici anni era stato permettergli di vivere lontano dal Santuario, cosicché la sua parte crudele non avesse la tentazione di ucciderlo...ma anche così, ora erano i suoi stessi compagni d’armi a condannarlo...

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I personaggi appartengono a Masami Kurumada, Toei e Bandai.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Aquarius Camus, Aries Mu, Gemini Saga, Gold Saints, Virgo Shaka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Infine Mu era giunto a destinazione. Ad onor del vero, non si era neanche reso conto del momento in cui era uscito dal perimetro delle case per percorrere il corridoio che portava alla sala patriarcale. Solo trovandosi di fronte all’ingresso si rese conto del tragitto fatto. Distratto da pensieri che turbinavano nella sua mente...
 
Le parole di Aphrodite rimbombavano ancora nella sua testa, e, malgrado ne fosse turbato, aveva cominciato ad elaborarne il significato. Sebbene non fosse arrivato a nessuna spiegazione logica. 
 
Chi non avrebbe dovuto portargli via? 
 
Mu non riusciva a pensare a nulla di sensato che lo portasse a conclusioni degne del loro nome. L’unica cosa chiara nella sua mente erano le ombre che vivevano all’interno del Santuario, muovendosi subdolamente tra le sue cupe mura. Ombre che, tutt’altro che discrete, agitavano gli animi dei guardiani di Atena.
 
E così, senza rendersene conto, era giunto innanzi al maestoso portone, dietro il quale la sala patriarcale si estendeva in tutta la sua solennità. Se la situazione non fosse stata drammatica, avrebbe persino potuto ridere del grottesco che ivi regnava...quel luogo aveva perso qualunque barlume di solennità da molto tempo. Esattamente da tredici anni, quando l’odore del sangue del suo maestro aveva impregnato gli spessi tessuti che ancora ornavano la sala principale e le stanze private di quel posto. Sangue che molti avevano finto di non vedere.
 
Sospirando, si annunciò alle guardie che presiedevano alla sicurezza, chiedendo loro il permesso di passare. Dentro di sé sorrise amaramente... fino ad ora aveva fatto solo quello...chiedere il passaggio. Per un attimo ripensò con nostalgia alla tranquillità e alla pace del Jamir. Era tornato solo da un giorno, e già non ne poteva più di quel luogo e di chi vi dimorava. Tuttavia, si costrinse ad essere pragmatico... il suo dovere ormai non era più quello di sorvegliare il Santuario a distanza, bensì di essere presente per ciò che stava per accadere.
 
Ormai si era abituato anche alla presenza riservata che lo seguiva dal sesto tempio. D’altronde quelli erano gli ordini del Patriarca, e, anche se la situazione sembrava del tutto surreale, avrebbero trascorso buona parte della giornata insieme. Tanto valeva farsene una ragione.
 
Probabilmente la Vergine aveva meno piacere di lui nell’obbedire all’ordine...
 
Si accigliò. A quell’idea, una punta di dispiacere gli strinse il cuore, tuttavia, si costrinse ad uscire dai suoi pensieri per concentrarsi sull’imminente incontro. Una distrazione era l’ultima cosa che poteva permettersi.
 
Saga era già seduto sul trono riservato alla massima autorità del Santuario, quando vide entrare Mu e percorrere lo spazio necessario per raggiungere lo scranno riservato al suo segno. Guardandolo avvicinarsi, allargò un celato sorriso soddisfatto...era un vero piacere godersi il suo ingresso e poterlo scrutare da cima a fondo come i suoi occhi bramosi chiedevano. Per quanto, in veste di Patriarca, non avesse mai avuto problemi a trovare una piacevole compagnia per soddisfare i suoi bisogni, l’Ariete, nel corso degli anni, era diventato la sua ossessione. Prima per un motivo e poi per un altro...
 
Il suo compiacimento, però, fu subito smorzato...il tempo di veder entrare la Vergine, ed il suo sorriso osceno gli morì sulle labbra. Dannato ficcanaso!Tuttavia, dovette riconoscere di aver impartito lui stesso quell’ordine, dunque, il cavaliere della sesta casa era più che legittimato ad essere presente.
 
Nessun inchino, nessuna deferenza.  Ripetendo l’atteggiamento del giorno prima, Mu si fermò in piedi davanti al falso Patriarca in attesa di ordini. Al contrario, Shaka si inginocchiò come da protocollo, alzandosi solo quando l’autorità glielo permise, con un semplice cenno della mano.
 
- Ariete! - a fatica, la voce di Saga suonò neutrale, anche se più cupa del solito - Immagino che tu stia andando in Jamir... - vide Mu annuire, chiudendo gli occhi per assentire alle sue parole - bene...questa sera, quando tornerai, voglio che ti presenti di nuovo innanzi a me, riportandomi l’esito del viaggio -.
 
Mu non rispose, limitandosi a fissare le orbite scure dietro alla maschera. Dopo alcuni secondi di attesa, annuì nuovamente, prima di voltarsi per uscire dalla sala, mettendo fine a quel brevissimo incontro. Sapeva perfettamente quanto irrispettoso fosse il suo comportamento, ma era più forte di lui...non ce la faceva, non riusciva a fingere ossequio. Per Mu il rispetto era un qualcosa di sacro che andava conquistato con fatica ed impegno, non un teatrino da inscenare per mero calcolo. Se Saga avesse voluto vendicarsi, avrebbe accettato la sua punizione, ma essere deferenti di fronte a lui era fuori discussione.
 
Provocando lo sconcerto della Vergine, che stava assistendo da spettatore a quella strana scena, Saga, però, fece finta di nulla, ignorando volutamente il pessimo comportamento dell’Ariete. Continuando a fissare di nascosto le spalle di Mu, parlò al sesto guardiano.
 
- Cavaliere... - vide Shaka voltarsi mantenendo le palpebre chiuse come sempre - per quanto ti riguarda, verrai domattina a riferirmi in merito alla tua missione! - dopodiché si alzò mettendo fine al loro incontro.
 
Pur non replicando al singolare atteggiamento del Patriarca, Shaka rimase interdetto. Si aspettava che gli desse le sue raccomandazioni, come faceva sempre prima di ogni missione, a maggior ragione considerato il fatto che si accingeva a spiare un cavaliere sospettato di tradimento ed il cui potere non era noto... ed invece nulla. Inoltre, perché gli aveva detto di andare l’indomani quando l’Ariete era stato convocato per quella sera stessa? 
 
Per un momento gli tornò in mente la scena della sera prima, quando aveva visto la massima autorità del Santuario raccogliere la ciocca di capelli di Mu...
 
Pieno di dubbi, ma determinato come sempre ad obbedire agli ordini del Patriarca, Shaka si avviò in direzione dell’uscita come aveva fatto Mu qualche istante prima.
 
Espirò leggermente irritato...già pensava di doverlo inseguire, immaginando che stesse scendendo rapidamente tra le case per raggiungere il limite del Santuario, dove il divieto di teletrasporto perdeva di ogni efficacia... 
 
Rimase di sasso quando lo trovò, in piedi, di spalle, fuori dal tredicesimo tempio. 
 
Lo stava aspettando? 
 
Stava proprio per fargli quella domanda, quando lo vide girarsi verso di lui e fissarlo per brevi istanti in modo indecifrabile... 
 
Shaka evitò persino di respirare quando, con un gesto rapido quanto inatteso che gli fece financo spalancare gli occhi, vide Mu prendere la sua mano e stringerla forte. Per un momento la sua mente fu invasa da un disordine tale da fargli dimenticare la missione. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva condiviso quel gesto intimo con Mu? La sua mano era calda e delicata come la ricordava...
 
Nel breve tempo di un battito di ciglia, scomparvero entrambi nel nulla.
 
Tempio del Patriarca
 
- Hai intenzione di fargliela passare liscia come al solito? -.
 
Quella voce, inquietante nella sua finta dolcezza, riecheggiò nel tempio scivolando sulla pietra scura e trasudando il livore del quale il suo proprietario era intriso.
 
Un’ombra nota a chi vi dimorava si insinuò nella greve penombra del luogo, rendendo l’ambiente ancora più lugubre di quanto già non fosse. Il suono pieno del metallo sul pavimento e l’isteria dei passi sarebbero, da soli, bastati ad annunciare il visitatore inatteso.
 
- Aphrodite... - la voce di Saga suonò stanca - cosa vuoi? -. Immaginava di cosa fosse venuto a parlare con lui il guardiano dei Pesci, e la verità era che non aveva alcuna intenzione di affrontare l’argomento. Né con lui né con nessun altro.
 
Un sorriso malizioso si delineò sul volto perfetto di fronte a lui. 
 
- Lo sai Saga...lo sai... - Aphrodite girò felino intorno al trono, tenendo lo sguardo fisso sul falso Patriarca - sai meglio di me che è vietato teletrasportarsi all’interno del Santuario, eppure... - tacque per qualche secondo per dare maggior enfasi alle sue parole - qualcuno ha appena trasgredito il divieto... -.
 
Il sorriso dello svedese svanì fermandosi di fronte a Saga - Lo punirai come dovresti...finalmente?! - la voce leggermente instabile tradì la rabbia del dodicesimo guardiano. Per quanto ancora avrebbe tollerato l’atteggiamento irrispettoso dell’Ariete?
 
Sebbene i nervi stessero quasi per tradirlo, Saga non poté tollerare l’atteggiamento di sfottò dei Pesci...
 
Alzandosi in tutta la sua imponenza, il falso Patriarca sovrastò l’ospite non gradito, costringendolo ad un istintivo passo indietro.
 
- Cavaliere... - la voce di Saga suonò bassa e dura - non ti ho mai dato il permesso né l’autorità di entrare nelle mie stanze private senza permesso, inoltre... - parlò lentamente affinché il suo interlocutore comprendesse - ...non discuto con te le mie decisioni...farai bene a ricordarlo...se non vuoi perdere i privilegi che ti ho dato in questi anni! -.
 
Aphrodite sbarrò gli occhi sconvolto. Saga non gli aveva mai parlato in questo modo, anzi...spesso si consigliava con lui sulle missioni, sugli allenamenti, sull’amministrazione del Santuario. Nonostante fosse Shaka il consigliere ufficiale del Patriarca, Saga preferiva di gran lunga confrontarsi con lui, temendo probabilmente di tradirsi di fronte all’uomo più vicino agli dei. Inoltre, la loro interazione in quegli anni non si era limitata esclusivamente alla reggenza del Santuario, spostandosi talvolta su un piano più privato...
 
Abbandonando l’atteggiamento provocatorio tenuto fino a qualche attimo prima, Aphrodite crollò, rivelando la vera ragione che lo aveva portato lì. 
 
- Sono giorni che non mi cerchi più... - allungò una mano per accarezzare una delle ciocche grigie che scendevano ribelli oltre le spalle - non senti la mia mancanza come io sento la tua? - la voce tradiva la sua emozione.
 
Saga spostò lo sguardo di lato, sentendosi a disagio. No, non sentiva la mancanza di Aphrodite. A dire il vero una parte di sé lo odiava da quando, insieme a Shura e Deathmask, gli aveva comunicato la volontà di indire una votazione sulla sorte dell’Ariete...
 
Nonostante, durante quei tredici anni, più volte quegli stessi cavalieri gli avessero chiesto il permesso di giustiziare colui che si rifiutava di adempiere al proprio dovere, Saga era sempre riuscito a respingere le loro richieste, giustificandole con la necessità di mantenere in vita l’unico riparatore di armature. Ma indire una votazione di tutti gli ori lo aveva privato dell’autorità decisionale...da quel momento, aveva congedato il dodicesimo cavaliere da qualunque servigio.
 
Un’altra parte di sé, invece, era consapevole di quanta cura e amorevolezza avesse per lui il guardiano dei Pesci. Probabilmente in quei lunghi anni era stato l’unico a comprendere la sua follia, a non condannarlo, ad accettarlo per com’era. Tuttavia, seppure a malincuore, era anche consapevole di non poter ricambiare i suoi sentimenti.
 
Sebbene non rispondesse, la postura di Saga tradì i suoi pensieri, portandolo istintivamente a staccarsi da quel contatto. Quel gesto liberò le lacrime duramente trattenute da Aphrodite. Ed insieme ad esse, tutta la rabbia accumulata negli ultimi tempi.
 
- È colpa sua vero?! - la voce si alzò tuonando nella sala - Dimmi che diavolo ci trovi! Non hai alcuna autorità su di lui, ti disprezza...lo sai perché è tornato, vero?! - il saliscendi del suo petto tradiva tutta la sua collera - Non ti difenderà mai, e appena potrà si vendicherà di quello che hai fatto a Shion... - una smorfia crudelmente ironica distorse il suo bel volto - Da quando... Saga? Da quando quel dannato Ariete ha prosciugato quel minimo di sanità mentale che avevi?! -.
 
- Non so di cosa tu stia parlando...Pesci... - la voce di Saga non tradì alcuna emozione, nonostante le parole di Aphrodite lo avessero colpito come uno schiaffo in faccia - se hai finito, puoi andare... -.
 
Tuttavia, le parole di Saga ebbero come unico risultato quello di gettare benzina sul fuoco che già stava bruciando la mente dello svedese, rompendo gli argini di ogni sua remora.
 
- Per anni Saga...per anni ti ho chiesto il permesso di liberarti da quella spina nel fianco, arrivando a coinvolgere anche Shura e Deathmask per realizzare i miei piani...ma niente, non ci hai mai neanche autorizzato ad avvicinarci... - ormai Aphrodite urlava, incurante anche dei soldati a guardia dell’ingresso - ho dovuto convocare tutti per riuscire a sbarazzarmi di Mu, e, quando avevo finalmente raggiunto il mio scopo, il dannato Camus ha rovinato tutto! - la collera gli rendeva difficoltoso respirare, ma continuò imperterrito - E tutto questo per cosa? Per renderti libero Saga...libero da ciò che ancora ti legava al tuo passato...libero dai sensi di colpa...libero di prenderti ciò che ti spettava e per cui hai sofferto... - ma non poté proseguire.
 
- Basta! - Saga tuonò con una voce tale da non ammettere repliche - Non provarci nemmeno Aphrodite! Non venire qui a parlarmi di giustizia… se dovessimo giudicare ciò che di giusto abbiamo fatto in questi anni, né io né tu avremmo un posto al mondo in cui nasconderci... - vide lo svedese sbarrare gli occhi esterrefatto - sei un ipocrita...proprio come me...ma non darmi ad intendere di tue intenzioni nobili, non dopo tutti i privilegi che ti ho concesso per tredici anni...non dopo tutto il male che abbiamo fatto... - dopodiché si voltò per lasciare la sala, mettendo fine alla discussione e lasciando Aphrodite attonito. 
 
Ma prima che potesse immergersi nuovamente nell’oscurità delle sue stanze, la voce del cavaliere lo raggiunse riecheggiando malinconica nel silenzio del tempio.
 
- Da quando...Saga? -.
 
Jamir
 
La distorsione spazio temporale era una cosa alla quale non si sarebbe mai abituato. Teletrasportarsi gli procurava sempre un effetto sgradevole anche se...dovette ammettere che questa volta non vi era stato nulla di spiacevole. Anzi.
 
Il vento sferzante delle cime himalayane lo colpì in modo del tutto inaspettato, facendolo rabbrividire leggermente. Era abituato a climi piuttosto caldi e la temperatura del Jamir non era esattamente piacevole. Anche se, ciò che seguì fece svanire qualunque sensazione di disagio.
 
- Va tutto bene... Shaka? -. Istintivamente, Mu gli strinse dolcemente un braccio per assicurarsi che tutto fosse a posto. 
 
Finalmente gli aveva rivolto la parola. Dopo tredici anni aveva potuto nuovamente sentire il suo nome pronunciato da Mu, suonando sempre nel modo caldo e confortante che ricordava.
 
- Sì...grazie Mu - nonostante apparisse impassibile come al solito, la voce sottile non riuscì a fingere indifferenza.
 
Se qualcuno dei loro compagni avesse ascoltato la Vergine dire grazie, probabilmente sarebbe rimasto di sasso...ma per Mu, che non aveva assistito al cambiamento che gli eventi avevano causato nel carattere del suo amico d’infanzia, non era una novità. Prima che il tempo e gli avvenimenti serrassero l’animo del sesto guardiano sigillando al suo interno le emozioni, Shaka era stato un bambino come tutti gli altri, magari un po' più riservato, ma premuroso con chi gli stava a cuore. Come l’uomo che ora gli stava di fronte.
 
Leggermente in apprensione, Mu guardò in direzione della torre. Fu interiormente sollevato quando realizzò che tutto era buio e silenzioso...evidentemente il suo discepolo aveva obbedito agli ordini...
 
- Sarà solo un attimo... - Mu offrì la sua mano a Shaka, accordandogli il permesso di entrare in casa sua ed incoraggiandolo al tempo stesso. Se ricordava bene, Shaka non amava molto il teletrasporto, ma, per sua sfortuna, era l’unico modo per poter entrare nella torre.
 
L’indiano annuì prendendo la mano di Mu. Avrebbe continuato a mal sopportare quel modo di spostarsi, tuttavia, non poté negare che quel giorno gli sembrasse insolitamente piacevole.
 
Quando furono dentro, la prima cosa che Mu fece fu accendere le candele con la telecinesi, dando una rapida occhiata per verificare che non vi fossero tracce evidenti del suo giovane allievo.
 
Sapeva bene che non vi erano impedimenti al fatto che un cavaliere d’oro avesse dei discepoli, al contrario... essendo sempre pronti a morire, era necessario formare dei successori degni dell’armatura. Infatti, anche alcuni suoi compagni d’armi ne avevano. Il problema è che non voleva che Kiki avesse contatti con il Santuario...era riuscito a tenerlo lontano da quel luogo dal momento in cui gli era stato affidato, e desiderava completare la sua formazione lontano dalla sua influenza. Persino Aiolia e Aldebaran non sapevano nulla del ragazzino, poiché Mu lo mandava sempre dal vecchio maestro quando andavano a trovarlo. Solo Camus era a conoscenza del fatto che avesse un allievo; pur non avendolo mai visto, aveva passato nella torre un tempo sufficiente per comprendere da piccoli dettagli che vi abitasse qualcun altro. Ma, avendo addestrato lui stesso dei discepoli lontano dal Santuario, comprendeva le remore di Mu.
 
Era pertanto essenziale che la Vergine non sapesse nulla di Kiki, altrimenti tutto lo sforzo fatto in otto anni sarebbe stato vano. Di certo lo avrebbe menzionato nel suo rapporto al Patriarca.
 
Senza particolari cerimonie, si diresse rapidamente verso la sua fucina con l’intenzione di prendere gli attrezzi che gli servivano per continuare il suo lavoro nel tempio dell’Ariete, e stava quasi per rilasciare l’aria che aveva trattenuto nei polmoni per la tensione, quando qualcosa gli gelò il sangue nelle vene.
 
Kiki doveva essere partito da poco, perché il suo piccolo cosmo aveva lasciato leggere tracce nell'aria. 
 
Se lo stava sentendo lui, le probabilità che lo sentisse anche Shaka erano altissime. Si mise automaticamente in allerta, accelerando il suo lavoro. Era essenziale portare la Vergine fuori dalla torre il prima possibile. 
 
Dal canto suo, Shaka si guardava intorno con la massima discrezione. 
 
Dunque era questo il luogo nel quale Mu si era rifugiato per tredici anni... 
 
Molte volte aveva provato ad immaginare come fosse la famosa torre del Jamir. Non osando avvicinarsi con il proprio cosmo, aveva ascoltato con attenzione i resoconti di Aldebaran e Aiolia al loro ritorno dalle missioni di riparazione delle armature, nel tentativo di carpire qualche particolare. 
 
Lui stesso non avrebbe saputo spiegare la propria morbosa curiosità, sapeva solo di invidiare segretamente i due compagni d’armi che potevano recarsi in Jamir quando volevano. Certo, non vi erano impedimenti nel recarvisi personalmente, tuttavia, non l’aveva mai fatto... il rancore era sempre stato più forte della sua curiosità.
 
Uscendo dai propri pensieri, Shaka osservò attentamente l’ambiente che lo circondava. Se non avesse avuto gli occhi chiusi come sempre, avrebbe comunque abbassato le palpebre per poter godere appieno della sensazione che provava...ogni pietra di quel luogo remoto era permeata del caldo cosmo dell’Ariete, ogni piccola particella d’aria tratteneva la calma e la pace che sembrava emanare naturalmente dal primo guardiano.
 
A giudicare dall’arredo, rustico e funzionale, il posto nel quale si erano trasportati doveva essere il soggiorno. Dal punto in cui si trovava poteva scorgere un’altra stanza che doveva essere la cucina, mentre alle sue spalle c’era la scalinata che portava ai piani superiori ed inferiori. Per un attimo pensò incuriosito a come dovesse essere la stanza da letto di Mu...
 
Quando si rese conto della direzione nella quale stavano andando i suoi pensieri, provò un forte imbarazzo, riportando immediatamente l’attenzione sullo scopo della sua missione.
 
Che ora lo stava fissando in modo indecifrabile.
 
- La fucina è all’ultimo piano in basso...ti faccio strada... - per quanto volesse sembrare distaccato, Mu non riusciva ad essere scortese con il sesto guardiano. Avrebbe tanto voluto che la sua voce suonasse fredda, e invece...le parole che riecheggiavano ferme nell’ambiente, avevano il tono caldo e gentile così tipico del tibetano.
 
Con un cenno affermativo del capo, Shaka si apprestò a seguirlo. Ma si era appena mosso, quando all’improvviso fermò i propri passi attirato da qualcosa che catturò completamente la sua attenzione.
 
Invisibile ed impercettibile, gli sembrò di distinguere nell’aria l’impalpabile presenza di un altro cosmo...
 
Sapeva perfettamente che non c’era nessun altro nella torre a parte loro due; avrebbe rilevato immediatamente una presenza di qualunque natura se ci fosse stata, eppure...
 
Quando lo vide fermarsi, Mu sentì un brivido percorrergli la spina dorsale, tuttavia cercò di dissimulare... continuando a fissarlo scrutando ogni minima reazione nel suo volto, lo invitò nuovamente, in silenzio, a seguirlo in direzione della fucina, cercando di sembrare il più naturale possibile.
 
Senza che il benché minimo turbamento fosse visibile sul suo volto, Shaka si mosse seguendo Mu.
 
Il piano inferiore al quale accedettero costituiva la biblioteca della torre del Jamir. Per un momento, Shaka ricordò le parole del vecchio Patriarca quando, da bambini, narrava loro dei testi antichi custoditi in quel luogo ancestrale e fuori dal mondo. Il piccolo Shaka era affascinato dai racconti di Shion...nella sua innocenza pensava che un giorno avrebbe potuto vedere quel posto, che ai suoi occhi ingenui appariva quasi magico...magari insieme a Mu.
 
Ironia della sorte, era proprio quello che stava accadendo. Anche se non era proprio come l’aveva immaginato...
 
Rimasto leggermente indietro rispetto a Mu, quando oltrepassò la biblioteca per immergersi ancora di più nelle viscere della torre, Shaka avvertì l’aria farsi sempre più pesante. L’odore acre della fuliggine solleticò le sue narici facendogli arricciare leggermente il naso... ma non ebbe il tempo di pensare, poiché, quando gli si aprì innanzi, la fucina catturò completamente la sua attenzione.
 
Grandi tavoli di legno, segnati dal martellare dei fabbri secolari del luogo, occupavano gran parte dello spazio, ancora leggermente in penombra.
 
Con l’aiuto della telecinesi, Mu aveva già acceso il camino per fare un po' di luce, che si riverberava nei riflessi rossastri proiettati sulla pietra delle spesse mura, e sui pezzi di armature disseminati qua e là sul pavimento.
 
Il tintinnio degli attrezzi, in parte sparsi sui tavoli ed in parte appesi al muro, indicava che si era già messo all’opera, recuperando ciò che gli era necessario per continuare il suo lavoro nel tempio dell’Ariete.
 
In un angolo, non lontano dal camino, c’era un vecchio divano logoro, che, Shaka pensò, dovesse servire al tibetano per riposarsi quando il lavoro assorbiva completamente le sue giornate.
 
In silenzio, mantenendo le sue palpebre celate, Shaka non perse neanche un dettaglio di quel luogo, e soprattutto del suo vecchio amico. Il profilo delicato, l’espressione serena, i gesti calmi e decisi allo stesso tempo, il movimento discreto delle labbra mentre rifletteva tra sé...per un attimo desiderò di poter fermare quel momento per sempre. 
 
Sebbene non vi fossero parole, nessuno dei due avvertiva il peso del silenzio, e d’altronde...era sempre stato così tra di loro. Potevano passare lunghe ore a parlare così come tacere e godersi la reciproca compagnia. 
 
In tutto il caos che era stata la loro vita in quei tredici lunghi anni, una sola cosa era chiara nella mente dell’indiano. Tornando indietro, non avrebbe mai permesso a Mu di andare via. Di abbandonarlo.
 
Tuttavia, tornando alla realtà, seppur con fatica, approfittò del lavoro del tibetano per approfondire ciò che aveva lasciato in sospeso al piano superiore. 
 
Con la massima discrezione, espanse il proprio cosmo per esplorare integralmente la torre, alla ricerca dell’origine del cosmo residuo che aveva percepito qualche minuto prima. Era sicuro che quel cosmo fosse di qualcun altro. Pur condividendo qualcosa con il cosmo di Mu, era sostanzialmente differente. Molto meno potente e molto più irrequieto...
 
Dapprima esplorò il piano superiore, l’unico al quale non aveva avuto accesso, osservandolo con attenzione. Le stanze erano arredate in maniera semplice, come il resto del luogo. In una stanza piccola, che doveva essere quella per gli ospiti, c’erano solo un letto, un comodino ed un armadio per riporre i vestiti, mentre in un’altra stanza più grande tutto era doppio. Pensò che quella dovesse essere la stanza del padrone di casa.
 
Un lieve rossore invase il suo viso imperturbabile, tuttavia, Mu era troppo concentrato sul suo lavoro per rendersi conto di ciò che stava accadendo al compagno.
 
Anche nel piano riservato alle stanze da letto, Shaka percepì l’eco di quel cosmo residuo.
 
Un cosmo delicato, impaziente, sfuggente...potrebbe essere...una donna?
 
Una strana sensazione lo fece vibrare da capo a piedi. Ormai era certo che il cavaliere dell’Ariete dividesse con qualcun altro lo spazio nella torre, però...anche la sua vita?
 
Nascondendo persino a se stesso il suo desiderio, in tutti quegli anni aveva segretamente sperato che Mu tornasse al Santuario per dargli spiegazioni, per dirgli che da parte sua non era cambiato nulla e che non era un traditore, o anche solo...per rivederlo. E invece...viveva la sua vita in Jamir come se niente fosse, condividendola con qualcun altro.
 
Un fastidio mai provato prima invase il suo cervello, insinuandosi nei pensieri più sottili, mentre una collera inusuale lottava per impossessarsi della sua lingua.
 
Con una calma tanto grave quanto inquietante, si avvicinò al tibetano intento a mettere via gli strumenti celesti, portandosi alle sue spalle.
 
Mu percepì la presenza dietro di lui, ma si mostrò concentrato sul suo lavoro. Sebbene la distanza ravvicinata gli procurasse una bella sensazione di calore nel petto, allo stesso tempo lo allarmò anche...perché la Vergine era così vicina? 
 
Pur allertando tutti i suoi sensi, si costrinse a mostrarsi tranquillo come sempre, nell’attesa che Shaka rivelasse le sue intenzioni.
 
Il solito silenzio regnava tra di loro, solo che stavolta non portava con sé la confortante e ben nota sensazione di imbarazzo o incomodo. Questa volta sembrava un preludio...e come ogni preludio, era carico della falsa quiete che stava per riversarsi con veemenza sull’Ariete.
 
- Dov’è? -.
 
Solo quando il respiro di Shaka gli accarezzò dolcemente la nuca Mu capì quanto fosse effettivamente vicina a lui la Vergine. Istintivamente, si voltò portando involontariamente il suo viso a pochi centimetri da quello dell’indiano... sebbene questo da un lato lo facesse rabbrividire sensibilizzando ogni centimetro della sua pelle, dall’altro durò il tempo di vedere due magnifiche iridi azzurre guardarlo come se volessero divorarlo.
 
- Dove la nascondi?! -. 
 
Una leggera vibrazione, insolita e curiosa nella voce di chi aveva appena parlato, tradiva in modo sottile la rabbia che provava. Solo chi conosceva bene il sesto guardiano poteva comprendere quanto fosse davvero arrabbiato...
 
Tempio dell’Acquario
 
Piacevolmente rilassato sul semplice e comodo divano del suo soggiorno, Camus si stava godendo la lettura di un libro che aveva assorbito pienamente la sua attenzione, quando sentì la presenza di un cosmo noto all’ingresso del suo tempio.
 
Sperando che il suo proprietario stesse solo chiedendo il passaggio, lo concesse nel tentativo di tornare a concentrarsi su ciò che stava facendo, tuttavia, quando si accorse che, al posto di passare, stava avanzando nella sua direzione, chiuse con rassegnazione il libro, facendo attenzione a mettere un segno tra le pagine.
 
Prese un respiro profondo, alzando gli occhi al cielo...di qualunque cosa si trattasse, sarebbe stato sicuramente un problema. Come tutto ciò che riguardava l’ottavo guardiano.
 
- È permesso? - Milo entrò quasi in punta di piedi. Conoscendo il carattere dell’Acquario, sospettava che autoinvitarsi in casa sua non fosse stata propriamente un’idea geniale, ma non potendo più rimandare, decise di tentare la sorte, nonché l’umore, dell’undicesimo guardiano.
 
- Buonasera Camus...disturbo? - domandò Milo rivolgendosi al francese che lo fissava in silenzio, immobile sul divano. 
 
Fu proprio quell’atteggiamento a confermare il timore di Milo. 
 
- Se ti dicessi di sì cosa cambierebbe? -. Sempre taglienti le parole di Camus. Pronunciate con il tono più distaccato possibile...
 
Milo sentì spegnersi il minuscolo lumicino di speranza che aveva riposto nel suo cuore. Camus era infastidito.
 
Il problema è che Camus era sempre infastidito. Quantomeno quando si trattava di lui. Quantomeno quando si trattava di dovergli prestare anche solo un minimo di attenzione. Era andato lì con le migliori intenzioni del mondo, eppure...il suo naso stava sbattendo contro la solita porta in faccia.
 
Un nuovo sentimento si fece strada nell’animo di Milo, serpeggiando nel suo stomaco e salendo fino ad insidiarsi nel suo cervello......esasperazione... e fu con esasperazione che batté pesantemente le mani sul tavolo di legno della cucina. Gli scricchiolii che echeggiarono nel tempio resero l’idea della forza che aveva impresso.
 
Camus non trasalì né sussultò, limitandosi a stringere gli occhi ed a stare in allerta nell’evenienza che Milo facesse qualche sciocchezza...
 
- Dannazione Camus! - la voce discreta di quando era entrato era già un lontano ricordo - Perché mi tratti sempre in questo modo?! -.
 
Milo strinse i pugni sul tavolo, nel difficile tentativo di trattenere le lacrime che spingevano contro le sue palpebre.
 
- Posso sapere che cosa ho fatto? Perché...credimi...non lo so... - allargò le braccia irritato facendo spaziare lo sguardo nella stanza, mentre l’Acquario continuava ad osservare la scena senza tradire la benché minima emozione.
 
- Potrei sapere in che modo ti tratto...se è lecito chiedere? -. Finalmente Camus mostrò il suo interesse.
 
Milo si domandò mentalmente se il francese lo stesse prendendo in giro. Alzando il mento in segno di sfida, rispose mantenendo lo stesso tono esasperato di prima.
 
- Come in che modo...Camus? Ti comporti sempre come se la mia presenza ti desse fastidio...se ti parlo mi rispondi a malapena... - mise le mani sui fianchi continuando a sfidarlo con lo sguardo - sono sempre io a doverti cercare, altrimenti non usciresti neanche da questo dannato tempio! -.
 
Camus si mosse solo per accavallare le gambe ed appoggiare la schiena al divano, continuando a fissare il compagno d’armi. Il quale si scoprì un po’ intimidito dal suo atteggiamento.
 
- E dimmi... Milo... - parlò incrociando le braccia - quando ti avrei chiesto tutto ciò? -.
 
Lo Scorpione rimase leggermente stupito, rendendosi conto di non avere la risposta pronta come al solito. 
 
- Ti sei mai chiesto se la tua presenza mi dia davvero fastidio? O la tua presunzione non concepisce il rifiuto? - davanti agli occhi spalancati del greco continuò - Mi hai mai chiesto il permesso di venirmi a trovare quando ti pare e piace? Mi hai mai chiesto il permesso di sconvolgere le mie abitudini come se fossero niente rispetto ai tuoi piani? -.
 
Milo cercò di rispondere ma dalla sua bocca non uscì alcun suono. Davanti a Camus che lo fissava come se non avesse appena detto quello che aveva detto, sentì i suoi occhi inumidirsi. Si costrinse a ricacciare indietro il dispiacere...non gli avrebbe dato questa soddisfazione.
 
- Non avrei mai pensato che trovassi così intollerabile la mia presenza... - ma Camus lo interruppe prima che potesse continuare.
 
- Infatti non ti trovo intollerabile...anzi... - il tono divenne leggermente meno duro - è solo che a volte vorrei poter essere libero di scegliere Milo... - l’ultima frase sembrò diretta più a se stesso che all’ottavo guardiano.
 
Milo rimase sorpreso da quella timida confessione. Costringendosi ad una pazienza che spesso non aveva, dovette riconoscere che forse, ma solo forse, Camus poteva avere le sue ragioni.
 
No, non si era mai preoccupato di chiedergli il permesso per invadere il suo spazio e costringerlo a fare ciò che piaceva a lui. Aveva sempre dato per scontato che, dopo i soliti brontolii, avrebbe abbozzato senza rifiutarsi. Solo ora si stava rendendo conto che no, non aveva mai pensato ai desideri di Camus...troppo concentrato sui propri evidentemente. Tuttavia, ciò che il francese aggiunse qualche istante dopo, alzandosi per porsi di fronte a lui, gli provocò una rabbia tale da smorzare ogni ragionamento logico.
 
- Possibile che io non sia neanche libero di parlare con uno dei nostri compagni senza doverti rendere conto di ciò che faccio? -.
 
Rivolgendo gli occhi al cielo in segno di fastidio, Camus si accorse troppo tardi di avere Milo quasi addosso...quel bagliore negli occhi che lo fissavano come se volessero sbranarlo, non lasciava presagire nulla di buono.
 
- Dunque è questa la ragione? - le parole sibilate tra i denti tradivano la sua collera - Il problema è che ho rovinato l’appuntamento con il tuo amico Mu, giusto?! - chiese prendendo Camus per un braccio.
 
Era evidente che in quel momento Milo non stesse affatto ragionando...altrimenti non avrebbe mai commesso la sciocchezza di sfidare Camus. Che chiaramente non gradiva di essere messo all’angolo...
 
- Sei un idiota Milo! -.
 
Un freddo improvviso partì dalla mano dell’ottavo guardiano diffondendosi via via in tutto il corpo. Il greco non era affatto abituato a quelle temperature e se avesse continuato ad insistere l’Acquario lo avrebbe congelato vivo, tuttavia...non dette il braccio per torcere.
 
Sebbene stesse soffrendo, non lasciò andare la presa su Camus, anzi, la rafforzò portando il francese contro il muro bloccandolo con il proprio corpo.
 
Sebbene istintivamente volesse battere i denti, la voce di Milo uscì roca e sensuale - Voglio sapere se il tuo amico è capace di farti questo... -
 
Spingendo di più il proprio corpo contro quello del francese, unì le loro labbra in un bacio disperato, carico della tristezza e dell’amarezza che lo Scorpione portava nel suo cuore. Sapeva che ciò che stava facendo non era corretto nei confronti dell’amico... era un gesto a tradimento, inoltre... non era così che aveva sognato il loro primo bacio...
 
Per diversi secondi, Camus rimase immobile, completamente spiazzato dal gesto di Milo...Che diavolo stava facendo?!
 
Tornando rapidamente in sé, si liberò dalla presa spingendo via il compagno. Per un tempo che sembrò eterno e fulmineo allo stesso tempo, i suoi occhi azzurri fiammeggiarono di collera fissando intensamente quelli color mare di Milo...che non osava dire niente né mascherare il proprio affanno.
 
Con il senno di poi, Milo si rese conto che no...anche questa volta aveva agito senza pensare, ma soprattutto, senza chiedere, ignorando per l’ennesima volta la volontà di Camus.
 
Senza aggiungere nulla alla rabbia e all’umiliazione che i suoi occhi e il suo respiro agitato esprimevano meglio di qualunque parola, Camus si limitò a voltarsi, dirigendosi nelle sue stanze private, lasciando il suo ospite in piedi a fissarlo. La porta che sbatté con violenza, facendo leggermente tremare i muri, mise fine a quel disastroso incontro.
 
Espirando rassegnato, chiudendo lentamente le palpebre, Milo capì di aver sbagliato tutto.
   
 
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