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Autore: Doux_Ange    12/06/2022    0 recensioni
La storia di Anna e Marco, raccontata attraverso le voci dei personaggi intorno a loro.
Che ci racconteranno anche qualcosa in più su di sé.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Olivieri, Marco Nardi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sunshine - Elisa
 
Tutto prendeva luce da lei: era lei il sorriso che illuminava tutto, d’ogni intorno. […]
Scese, evitando di guardarla a lungo, come si fa col sole, ma vedeva lei, come si vede il sole, anche senza guardare.

~ Anna Karenina, Lev Tolstoj
 
Quando mi sono sposata, ormai poco più di trent’anni fa, non avrei mai immaginato che la mia vita avrebbe preso questa piega.

Da ragazzina, come tutte le mie amiche d’altronde, sognavo di incontrare il principe azzurro, quell’uomo perfetto che avrei poi un giorno sposato, con tanto di matrimonio in grande stile e col quale avrei formato una famiglia e vissuto una vita lunga e felice. Immaginavo nel mio futuro anche un lavoro che mi desse soddisfazioni e mi rendesse libera di essere me stessa.

Alcune di queste cose le ho avute, altre no, e non sempre per scelta.

Il principe azzurro però l’ho trovato - il mio amato Carlo lo era. L’amore di scuola, quello conosciuto tra i banchi, quello che nessuno si aspetta diventi poi l’amore di una vita intera, e invece…
Una volta finito entrambi il liceo, Carlo aveva iniziato a lavorare, con lo scopo di mettere da parte i soldi che ci sarebbero serviti con tutta calma per sposarci, non appena io avessi terminato gli studi, giacché avevo deciso di intraprendere la facoltà di giurisprudenza.
Volevo fare l’avvocato, era il mio sogno sin da bambina, e lui mi appoggiava. Credeva sarei diventata un'ottima donna di legge, per via del mio carattere forte e deciso.
La gravidanza era stata un ‘imprevisto' lungo il cammino.
E si sa, trent’anni fa le cose erano diverse. Certo, non stiamo parlando del Medioevo, ma la gente non esitava a spettegolare non appena scopriva di figli fuori dal matrimonio, un’onta per la società di allora, e la notizia della mia gravidanza non era ovviamente passata inosservata al gossip cittadino.
Carlo non aveva esitato, però, e si era rimboccato le maniche per poter dare una casa alla nostra bambina in arrivo e affrettato i tempi per sposarmi prima della sua nascita.
Inutile sottolineare che non avevamo una lira, anzi. Tra le spese per i miei studi e lui alla ricerca della sua vera strada lavorativa, i soldi a malapena bastavano.

Ci sposammo in fretta, o perlomeno più in fretta che potevamo. Alla festa c’erano giusto i nostri familiari più stretti e i testimoni. Perfino gli abiti li avevamo in prestito, perché non potevamo permetterci spese superflue con una neonata in arrivo. Il mio me lo aveva gentilmente prestato una mia amica, mi cadeva largo nonostante io fossi già oltre il sesto mese. Ma non mi importava, in quel momento, l’aver dovuto rinunciare al matrimonio da favola che avevo sempre sognato, alla Rolls Royce bianca, ai mille invitati e all’abito bianco, unico e fatto solo per me, che ogni bambina sogna fin da piccola.
C’era l’amore, e tanto bastava.

Dopo il matrimonio lasciai l’università nonostante mi mancassero ormai pochi esami alla laurea, ma quelle spese erano improponibili con l’ormai prossimo arrivo della mia bambina. Senza contare le eventuali voci di paese che avrebbero trovato un altro modo di alimentare il chiacchiericcio sulla mia famiglia, sul come potessi perdere tempo sui libri con una bambina piccola da crescere. Come ho già detto, erano altri tempi.
Ma tutte quelle rinunce non mi pesarono, quando dopo il parto strinsi per la prima volta tra le braccia Chiara. Tutto in quell’istante passò in secondo piano.
Carlo ed io eravamo felicissimi.
Ci ripromettemmo di darle tutto il possibile, e quando sarebbe stata abbastanza grande io avrei avuto modo e tempo di riprendere gli studi e compiere il mio sogno, se lo avessi voluto.
Non avevamo in programma di avere altri figli a breve.

Ma la vita decide da sé, ha spesso altri piani che non tengono quasi mai conto dei tuoi, e pochi mesi dopo la nascita di Chiara, scoprii di essere nuovamente incinta.
Stringemmo i denti un’altra volta, cos’altro potevamo fare?
Di fronte alla seconda gravidanza, chiusi definitivamente il cassetto dei sogni, calandomi completamente nel ruolo di mamma a tempo pieno. Quando è nata Anna, mi sono detta che era giusto così.
Avevo rinunciato ai miei sogni, ma i loro sorrisi e il loro amore valevano di più. Le loro manine attorno alle mie dita quando le cullavo per metterle a dormire, mi ripagavano della decisione presa. Allo stesso tempo, però, non volevo che i miei sacrifici fossero vani. E nemmeno Carlo lo voleva.
Fu chiaro a entrambi che era necessario da allora in poi fare tutto il possibile affinché le nostre figlie potessero realizzare i loro di sogni, affinché potessero raggiungere tutto ciò che volevano nella loro vita, senza i vincoli che erano toccati a me.
E allo stesso tempo sapevo anche che Carlo non mi avrebbe impedito, più avanti, di riaprire il cassetto dei sogni, se lo avessi desiderato. Anzi, mi incoraggiò più volte a ricominciare a studiare, quando le bambine si fecero più grandi, ma io ormai avevo fatto la mia scelta. E il sogno di vedermi con la toga è rimasto tale.

Ma, ancora giovani e con tanti progetti per il futuro, l’arrivo di due bambine nel giro di poco tempo aveva portato con sé anche i primi problemi nella nostra coppia: Carlo le amava moltissimo, ma non c’era mai a casa, soprattutto non dopo che aveva aperto la sua piccola fabbrica di scarpe e spesso stava via settimane intere per acquistare i materiali e imparare tecniche nuove.
Quando tornava dai suoi viaggi, cercava di recuperare soprattutto il tempo perduto con le nostre figlie. E con il tempo ci siamo allontanati. Mai avrei però pensato di scoprire che, in quei momenti lontani tra noi, lui mi potesse tradire. Mai.
Avevo ancora quella visione romantica che il nostro amore era perfetto e niente l’avrebbe mai scalfito. Che la nostra, nonostante tutto, fosse una storia da favola, di quelle che né spazio né tempo possono fermare. E invece…

È stato difficilissimo non far capire niente alle bambine, ancora troppo piccole per rendersi conto di cosa realmente stava accadendo. Ma ancora una volta decisi che loro avevano la precedenza: io, da sola, non avrei potuto dar loro un vero futuro, e Carlo mi aveva giurato che fosse stato uno sbaglio. Che non sarebbe ricapitato.
Era servito molto tempo perché lo accettassi, e soprattutto perché accettassi di essere ancora innamorata di mio marito, nonostante quel suo errore, nonostante il male che la scoperta del tradimento mi aveva arrecato.

Nessuno, fino a poco tempo fa, aveva mai saputo di quell’ostacolo che avevamo superato, e che non ho mai rimpianto.
E ho fatto bene, perché il destino toccato qualche anno più tardi a Carlo è stato troppo crudele. Non lo meritava.
Non con un tradimento così.
Non pugnalato alle spalle dal suo più caro amico, a cui aveva dato un lavoro quando più ne aveva bisogno.

So di aver reagito come non avrei dovuto alla morte di mio marito.
Ho lasciato da sole le mie bambine in una fase della loro vita già delicata, e non mi sono accorta che oltre all’amore della mia vita, stavo perdendo anche loro.
Loro che, per farcela, si erano aggrappate l’una all’altra, con reazioni opposte.
Chiara, facendo della sua vita un baluardo di leggerezza, per non legarsi troppo a nessuno, e non correre il rischio di essere abbandonata ancora, perché sarebbe stata lei a farlo in anticipo.
Anna, invece, scegliendo la via più dura. Regole su regole, per poter controllare ogni cosa, per non lasciare niente che non potesse tenere saldamente alle redini. Anna che non avrebbe mai più permesso a nessuno di scegliere al posto suo per la sua vita, perché almeno così avrebbe sbagliato con la sua testa, perché così avrebbe potuto scegliere chi avere nella sua vita.
Ma se la via percorsa da Chiara era incerta, cambiava in continuazione e io ne ero al corrente, di cosa Anna avesse deciso per sé, per il suo futuro, lo scoprii solo a conti fatti.
Quando aveva già presentato la domanda per l’Accademia.

Oppormi non è servito a niente, dopotutto era maggiorenne e aveva pagato tutto con i propri risparmi. Aveva le idee bene chiare in testa. Voleva giustizia per chi troppo spesso, come era successo a noi, non l’aveva avuta.
Non è servito a niente dirle che sarebbe stato pericoloso, che così non si sarebbe mai fatta una vita, una famiglia, che il suo carattere troppo intransigente le avrebbe precluso troppe cose, il futuro che io e suo padre avevamo immaginato per lei.
Anna non ne ha voluto sapere. È andata dritta per la sua strada senza ascoltare. Ha passato il test di accesso con il massimo dei voti, è diventata la migliore del suo corso e ha ottenuto tutti i requisiti per poter fare una carriera lampo brillante.

Ricordo ancora il giorno che la vidi per la prima volta con la divisa da carabiniere, ancor più quando la vidi con i gradi di Capitano. Non le ho mai detto quanto quel giorno fossi in realtà fiera di lei, del fatto che aveva perseguito il suo sogno e l’aveva raggiunto, con dedizione e sacrificio. Non le ho mai detto di quanto mi fossi emozionata a vederla lì, in quello che era evidente fosse il suo elemento, di quanto suo padre sarebbe stato orgoglioso di lei. Ero troppo impegnata a pensare al futuro che avevo immaginato io per lei al di fuori della carriera lavorativa, a quel futuro che ai miei occhi quella divisa le precludeva, per dirglielo.
Quando riusciva a tornare a casa, parlava poco e comunque senza ascoltare. Aveva un solo obiettivo: fare carriera, fare qualcosa di importante. Nel corso degli studi in Accademia aveva guadagnato il rispetto della persona giusta, un altrettanto brillante e giovane istruttore che aveva seguito il suo percorso e che era pronto ad aiutarla a raggiungere i suoi obiettivi.

Le mie parole risultavano totalmente vane ogni volta, e ogni volta rinviavo di complimentarmi, troppo preoccupata che il suo buttarsi a capofitto nel lavoro le precludesse l’opportunità di farsi una famiglia.
Nemmeno il suo fidanzato riusciva a smuoverla, e dire che Giovanni era un ragazzo molto a modo… a volte, fin troppo accondiscendente.
In cuor mio, sapevo che tra loro non sarebbe durata. Ma mi aggrappavo all’idea che mia figlia, nonostante la sua testardaggine, sarebbe riuscita laddove io avevo fallito: ad avere sì un lavoro che l’appagasse, ma al contempo una famiglia in cui rifugiarsi quando viene sera e torni a casa stanco dopo ore di lavoro. E se, con molta fatica, stavo pian piano accettando l’idea che fosse diventata un carabiniere, al tempo stesso temevo che se tra loro fosse terminata, mia figlia avrebbe rinunciato all’amore, buttandosi come sempre fa a capofitto nella carriera.
Perché Anna mi somiglia, ma a differenza mia, un tempo, non avrebbe mai sacrificato i suoi sogni per un matrimonio. Figuriamoci per una famiglia.

Non era esattamente un pensiero sbagliato, certo, ma io avevo il terrore che sarebbe rimasta sola.
Che se non avesse smussato gli angoli, non avrebbe mai trovato nessuno disposto a starle accanto, ad accettarla per come è. Perché non è niente male…
Ma sapevo anche che forzarla avrebbe avuto il risultato opposto.
E come previsto, lei e Giovanni si sono lasciati, perché avevano inevitabilmente intrapreso strade diverse.

Quello che non mi aspettavo però era che, sulla sua nuova strada, Anna avrebbe incontrato un uomo che tutto rappresentava per lei, tranne un principe azzurro.
Nemmeno uno con cui avere a che fare, a dirla tutta: Marco Nardi, il PM che collaborava – e collabora - con la caserma di Spoleto, con cui era obbligata a lavorare per forza di cose, ma con cui all’inizio era evidente a tutti non andasse molto d’accordo.
Non perdevano occasione di lanciarsi frecciate e infastidirsi a vicenda.
Superficialmente, anche io ero convinta che mal sopportassero la reciproca presenza, e non lo nascondevano.
Ma mai mi sarei aspettata che la verità fosse un’altra.
Che poco sotto quella superficie di antipatia apparente, si celasse un sentimento pronto a sbocciare.

Quella mattina in piazza, dopo che ho scoperto della fine della storia tra mia figlia e Giovanni, ho ascoltato un uomo difendere a spada tratta una donna che, dalle sue parole, non sembrava nemmeno mia figlia.
Che lui conosceva meglio di me.
Perché lui la conosceva davvero, anche se probabilmente non si rendeva pienamente conto di quanto, mentre io non avevo fatto neanche lo sforzo di capirla, mia figlia. Mi ero barricata dietro le mie convinzioni, sparando a zero su di lei.
Senza rendermene conto, le avevo addossato la colpa di aver avuto il coraggio di fare ciò che io, prima di lei, mi ero limitata a sognare.
L’avevo incolpata di avermi rubato un sogno, in un certo senso.
E di non aver ricambiato quell’amore che io le avevo dato, dedicando tutta la mia vita a lei e a sua sorella.
Non avevo capito che la realtà era diversa, che lei aveva sempre deciso da sola della sua vita per non darmi responsabilità che non sarebbe stato semplice accettare, dopo la morte di suo padre. Che preferiva sbagliare da sola, cadere da sola, perché era più facile deludere solo se stessa che non anche me. Perché sapeva dei sacrifici che avevo fatto, dei sogni a cui avevo rinunciato. E in qualche modo voleva dimostrarmi che non erano stati vani. Che avevo fatto un egregio lavoro a crescere lei e Chiara, da sola. Che ogni sua scelta era volta a sperare che fossi fiera di lei, della donna che era e stava diventando.
Non che questo cambiasse le cose, ma aveva sempre cercato di rendersi indipendente, anche lei per soffrire il meno possibile.

Perché anche con lei la vita ha poi scelto di giocare un gioco quasi crudele, mischiando le carte più volte e mettendola ripetutamente alla prova.
Non è stata una sorpresa scoprire poco tempo dopo che si fosse innamorata del suo collega, e che lui la ricambiasse.
Avevo accolto la loro storia d’amore con gioia, e con la certezza che sarebbe stato quell’amore maturo che entrambi cercavano, e che li avrebbe accompagnati per il resto della vita. Perché bastava guardarli insieme per capire che fossero fatti l’una per l’altro, come ripete sempre Nino.
Un amore inatteso, di quelli che non cerchi e che invece inevitabilmente ti trovano.

Un po’ come quello che è poi successo anche a me e Nino stesso.
Dopo la morte di Carlo, per moltissimi anni sono rimasta da sola, convinta che nessun altro uomo sarebbe mai stato all’altezza e anche perché, come sempre, avevo messo le mie figlie prima di tutto. Le mie amiche insistevano però che era giusto mi rifacessi una vita, che Chiara ed Anna avessero bisogno di una figura paterna che le guidasse.
Inutile dire che nessuna di quelle storie andò a buon fine.
Perché erano tutte relazioni ‘obbligate’, perché ogni nuovo uomo pretendeva di avere il comando delle nostre vite, di essere il maschio alpha della casa, di una casa che però lo vedeva come un ospite di turno.

Chiara non perdeva occasione di fare battutine antipatiche e di alzarsi e andarsene, se lo riteneva necessario, durante le cene. Anna invece si limitava a star zitta il più possibile, fin quando non arrivava il suo limite di sopportazione e diceva in faccia al malcapitato che non aveva il diritto di sindacare sulle nostre - ancor di più sulle loro - scelte, perché non era loro padre e mai avrebbe potuto sostituirsi a Carlo.
Sistematicamente, tutti fuggivano.

Non che le mie figlie avessero torto. Comportarsi a forza da genitore per sopperire a quella che secondo loro era una mancanza troppo dura non era certo il modo di conquistare due giovani ragazzine innamorate del padre, che il destino crudele e ingiusto gli aveva portato via.
Nessuno capiva veramente che noi non avevamo bisogno di un capofamiglia, che ce la cavavamo benissimo da sole. Che una nuova figura maschile in casa non era dettata da una mancanza o dovuta alla necessità di colmare un vuoto. Eravamo semplicemente alla ricerca di pace. Avevamo bisogno di comprensione e affetto sincero, senza per questo pretendere di voler sostituire qualcuno che non c’era più e che noi continuavamo ad amare, com’era giusto che fosse.

Per questo ci siamo tutte affezionate a Nino fin da subito.
Le ragazze in primis, e poi io.
Ma è stato tutto inaspettato, non forzato. Insomma, naturale.
Perché nessuno avrebbe mai potuto sospettare il dolore che lui avrebbe dovuto affrontare - la perdita dell’amata moglie, dopo quella di una figlia anni prima - e ognuno di noi aveva deciso di aiutarlo come poteva. Ci siamo strette attorno a lui come si fa in una famiglia. Una famiglia che non si è imposta con la forza, ma con amore e comprensione.
Perché anche io e le ragazze conoscevamo bene quella sofferenza, avendola provata sulla nostra pelle. Ma non mi aspettavo i risvolti che ci sono stati dopo.

Non mi aspettavo di innamorarmi di nuovo, a questa età, dopo così tanto tempo. E per di più non di un uomo che è maschilista, pensa sempre e solo al calcio e sembra non vedere mai oltre se stesso, quando invece ha un cuore d’oro e mi fa sempre ridere.
Sì, insomma, avevo smesso di cercarlo l’amore, e inizialmente non ero certa che fosse la cosa giusta, la mia storia con lui. Per mille motivi, non in ultimo la reazione di Anna.
Perché quando ha scoperto che io e il Maresciallo ci stavamo frequentando, non l’ha presa affatto bene.

C’è anche da dire che questa notizia le era arrivata in un momento per lei molto delicato, e la sua esitazione era dovuta principalmente a questo, perché in poco tempo ha poi accettato di buon grado quella nuova situazione.
In fondo era stata la prima a lasciarlo entrare nella sua vita. Aveva imparato, prima di me e di Chiara, a volergli bene, ad amarlo come un padre, perché era stato per lei la guida di cui aveva bisogno e di cui aveva mancanza. Nino era riuscito a fare capolino oltre la corazza dura che mia figlia si era costruita intorno, crescendo, per non soffrire. E lo ha fatto senza imporsi, senza pretendere, senza volersi sostituire a Carlo. Ma anzi, rispettandolo, apportando la sua esperienza per aiutare Anna quando lei si ritrovava persa e aveva bisogno di quella figura paterna che per anni non aveva avuto.

E allora sì, ho poi capito che era giusto. Che aprendomi a un nuovo amore, a un nuovo uomo, non stavo facendo nulla di male. Che rinunciare a qualcosa che mi faceva e fa stare bene non era un sacrificio che ero tenuta a fare. Che questa volta potevo scegliere di mettere me prima del resto. Perché facendolo non sottraevo spazio e tempo all’amore per le mie figlie, ma anzi ricreavo un nucleo famigliare nuovo, che non sostituisce quello vecchio, ma lo completa senza cancellarne il ricordo. E che anche loro, stavolta, desideravano.
Finalmente quell’amore che non cercavo era arrivato, dopo molto tempo, anche per me. E con un uomo che era l’opposto di ciò che io pensavo di volere.

Anche la mia Anna ha avuto un’esperienza simile: ha trovato l’amore laddove era certa di non poterlo nemmeno considerare.
Tra le braccia di quel PM ironico e gentile che le aveva rapito il cuore senza che lei nemmeno se ne accorgesse. Che le aveva donato quella dose di leggerezza di cui aveva bisogno estremo. E che, contrariamente a cosa si può pensare, voleva, desiderava. Perché legarsi a qualcuno è sempre una scelta.
E anche se la vita li ha poi messi alla prova tentando di dividerli più volte, hanno sempre trovato il modo di ricongiungersi.
Ed è sempre stato chiaro che non poteva essere altrimenti.

Dopo aver avuto modo di conoscere meglio Marco, nel corso del tempo, ero certa che fosse l’uomo giusto per Anna e che niente – e nessuno - avrebbe mai potuto dividerli.
Certo, nella vita possono succedere tante cose – e così è stato -, ma il vero amore vince contro tutto.
E io non avevo mai visto Anna così felice come da quando lo aveva conosciuto. Non l’avevo mai vista sciogliersi così facilmente in una risata, o lasciarsi coccolare senza riserve.
Mi piaceva e mi piace, Marco, ed ecco perché mi ci era voluto poco a convincermi che fosse l’uomo perfetto per lei.
E questa convinzione non è mai venuta meno, neanche quando sono venuta a conoscenza della ragione per cui, la mattina del matrimonio, Anna era fuggita dalla chiesa.
Per la prima volta, avevo visto mia figlia piangere davvero. Sperimentare cosa sia il vero dolore. Nessuna madre, nessun genitore, vorrebbe mai vedere soffrire i propri figli. Perché non puoi prenderti il loro dolore, non puoi fare niente di concreto per aiutarli se non star loro accanto e sperare che passi presto.

E, quella mattina più che mai, mi ero rivista in lei. Nel suo dolore, nella sua disperazione, nella sua incapacità di comprendere come fosse potuto succedere.
Nel terrore di essere sbagliata, di essere tu il problema, che è colpa tua se è successo che l’uomo che ami è finito, anche solo per una notte, tra le braccia di un’altra.
Non avrei mai voluto raccontarle quella storia, non avrei mai voluto dirle che anche suo padre, come il suo sposo, mi aveva tradita. Ma credevo e credo tutt’oggi che fosse necessario. Che per quanto difficile, come io avevo perdonato suo padre perché lo amavo nonostante tutto e non avrei sacrificato la gioia di anni per la debolezza di un momento, anche lei, prima di qualsiasi scelta, poteva provare a guardare oltre l’errore, domandarsi se ci fosse modo di riparare quello squarcio.

Lei, però, aveva capito anche che nella mia decisione lei e sua sorella avevano contribuito ad essere l’ago della bilancia. Che le nostre situazioni erano simili, ma non uguali.
E capivo il suo dolore, e il tentativo - inutile - di allontanare Marco dalla sua vita, buttandosi a capofitto in una relazione che con lei non c’entrava nulla. Che le avrebbe solo provocato ulteriori ferite.
E lo sapeva bene anche lei, ma è ostinata, e ha continuato dritta per una strada che si era imposta.
Una strada che, inevitabilmente, aveva continuato però a condividere anche con Marco. Perché non era riuscita a tagliarlo completamente fuori dalla sua vita, non ce l’avrebbe mai fatta, e quando quel ragazzo è entrato in carcere, è stato inevitabile per lei riavvicinarsi a Nardi, senza neanche rendersene conto.

Perlomeno non fino a quando ha dovuto iniziare con la bugia degli amici.
Non ci credeva neanche lei, ma mettendoci sopra un’etichetta definita avrebbe potuto cercare di attenervisi.
Un’altra sevizia autoimposta delle sue.
Marco, nel frattempo, non aveva mai lasciato il suo fianco.
Sempre accanto a lei, sempre un passo indietro, sempre lì.
Accettando perfino un ruolo doloroso pur di poterle stare accanto. Accontentandosi. Ingoiando la fiele ogni volta che il discorso virava su Sergio e sulla vita che, fosse andata come previsto, non lo avrebbe più compreso.
Ma se ai loro occhi tutto era normale e lecito a prescindere, con la scusa che gli amici l’uno per l’altra ci sono sempre, a chiunque altro non sfuggiva il sottotesto di un amore mai svanito.
La Cava aveva solo fatto un favore ad andarsene, anticipando l’inevitabile.

Perché solo così Anna è riuscita finalmente a riaprire gli occhi. A capire cosa aveva sempre voluto, nonostante il dolore, nonostante la paura che continuava a farla da padrona. Perché non era bastato ammettere a me di essere ancora innamorata di Marco per riprovarci, per tentare di ricucire la ferita e ripartire insieme lungo la strada che avevano scelto di percorrere uno accanto all’altra anni prima.
Perché anche Marco, come lei, aveva il terrore che sarebbero tornati a commettere gli stessi errori, e aveva cercato di voltare pagina.
Nessuno dei due si era accorto però che quegli ostacoli tanto temuti li avevano già superati tutti, insieme.
Tutti quei problemi che si erano presentati lungo il loro percorso li avevano risolti uno a uno venendosi incontro. Smussando reciprocamente gli angoli che in precedenza avevano provocato la frattura tra loro.

Marco non è mai riuscito a celare l’amore per mia figlia. Per quanto ci abbia provato, non è servito.
Osservandolo, mi è tornata in mente una citazione da un romanzo che adoravo, da ragazza: Anna Karenina. Sì, il nome di mia figlia trae spunto proprio dalla protagonista nata dalla penna del grande autore russo.
Mi sono ricordata di un passaggio in cui il conte Vronskij spiegava la portata del suo amore per Anna. Paragonandola al sole che, sebbene non possa essere guardato direttamente, sai comunque che è lì e non puoi farne a meno. Che la sua luce è necessaria, che non potresti vivere senza. Che una lontananza forzata non avrebbe fatto spegnere il sentimento.
E per Marco e la mia Anna è sempre stato lo stesso. Avevano cercato entrambi di fare a meno l’uno dell’altra e viceversa, ma senza successo.
Anna aveva provato ad odiare Marco, a spingerlo via, a legarsi a qualcun altro, ma invano. Perché quel filo rosso ti riporta sempre a casa.
Marco, invece, aveva provato ad andare avanti, a dimenticarla, a riprendere in mano la sua vita e accettare di essere solo un personaggio secondario nella trama della vita di Anna, e non più il co-protagonista.

Ma nonostante i loro caratteri diversi, che spesso li hanno portati allo scontro, divisi sono persi e non possono stare.
Ed è stato chiaro che, dopo un riavvicinamento che tutti avevamo notato, qualcosa nuovamente si era ripresentato a bloccarli, a farli esitare, quando Sergio si era dato alla ‘fuga' e l’ostacolo apparentemente più grande non c’era più.
Intuii che potesse essere tornata prepotente la questione lavoro a insinuarsi tra loro, perché a pensarci bene in fondo era l’ultimo punto irrisolto. Almeno in apparenza.
Tuttavia, ne ebbi conferma solo dopo l’incidente della doccia – di cui Nino mi ha spiegato l’accaduto in seguito.
Marco quella notte era rimasto a casa di mia figlia.
Lo so perché dopo essersi spostati tutti e tre a casa sua, per spiegarle cosa fosse successo, Nino era in seguito rientrato al suo appartamento, ma la porta di casa di mia figlia non si è riaperta fino alla mattina dopo.
E quando si è aperta, ho visto uscire Marco, vestito come la sera prima e con un’espressione cupa in volto. Quasi disperata.
La stessa espressione che ho intravisto sul viso di mia figlia mezz’ora più tardi.
Era evidente che fosse successo qualcosa. Qualcosa che dopo averli visti più vicini che mai, li aveva riallontanati in un battito di ciglia. Qualcosa che li spaventava, che che aveva contribuito a far probabilmente etichettare come un errore, come avevano fatto col loro primo bacio.
Ero rimasta molto stupita dal fatto che Anna, diversamente dal solito, avesse voluto parlarne con me. Ed è stato in quel momento che mi sono resa conto che mia figlia era cambiata, cresciuta.

Che c’entrasse il lavoro lo avevo intuito soprattutto dalla frequenza delle visite del Tenente Colonnello Valente. E Anna me lo ha confermato una volta chiarito tutto: aveva ricevuto dal superiore una proposta di lavoro per la Siria, a cui lei aveva inizialmente evitato di dare una risposta netta, sebbene avesse già le idee chiare. Sarebbe partita per paura di restare, non perché lo volesse realmente.
Ebbene sì: quella ragazza ventenne decisa a fare carriera a qualsiasi costo non esisteva più, aveva lasciato spazio a una donna che non voleva più porsi dei limiti, ma ascoltare il cuore, seguendolo laddove l’avesse condotta.
Consapevole che, in ogni caso, in ogni modo, il suo posto sarebbe stato accanto a Marco.

Marco che, d’altro canto, aveva già messo fine da diversi giorni alla storia con la giovane Anceschi. Inutile fingere o tentare strade senza uscita, anche per lui. L’unica che voleva era Anna, anche se convinto che non le sarebbe mai bastato.
Quando un paio di giorni dopo, ho visto avvicinarsi la Rolls Royce bianca, con Nino in alta uniforme e mia figlia alla guida, mi ero sentita come in un sogno a occhi aperti. Non potevo credere che uno dei miei desideri si stesse concretizzando. E quasi come nei film, quando l’auto si è prima fermata, lontano da me, e poi è ripartita tirando dritto, mi sono sentita invece come in un incubo.

Sul momento non avevo capito perché si fossero allontanati in tutta fretta. Ma mi era bastato ripensare un istante allo sguardo sul viso di mia figlia per realizzare.
Uno sguardo pensieroso, distante, colmo di lacrime, che dopo poco si è   riempito di gioia, fino a quando sul suo volto non si è poi sciolto un sorriso.
Lì, a quel sorriso, avevo capito quale fosse la destinazione di quella corsa improvvisa: la caserma in Piazza Duomo.
Marco.

Presi a correre anch’io, a scendere la scalinata più in fretta che potevo, seguita da Don Massimo.
Anche lui, come Don Matteo, aveva intuito tutto, forse fin dal suo arrivo. O magari era stato proprio il suo predecessore a informarlo, chissà.
“Guarda!” ho esclamato rivolta a Nino, una volta giunta in fondo alla scalinata, portandomi le mani davanti alla bocca per trattenere l’emozione di fronte alla scena che stavo vedendo.
Perché finalmente, finalmente, mia figlia aveva preso la sua decisione.
Amare.
Ricevere, dare.
Smettere di giocare da sola.
Gridare al mondo ciò che ama di quell’uomo impossibile che è sempre rimasto al suo fianco. Perché si ama anche ciò che a volte apparentemente si detesta.
Voglio giocare con te per tutta la vita”, gli ha sussurrato alla fine di una dichiarazione di quelle che ti lasciano con gli occhi sognanti di poter vivere la stessa cosa.
E Marco ha capito.
Ha capito che anche lui doveva smettere di avere paura.
Che l’unica cosa da fare era amarsi, e il resto lo avrebbero aggiustato col tempo, passo dopo passo.

Mi è dispiaciuto interrompere quel loro lunghissimo bacio per avvisarli che finalmente il mio vero anello di fidanzamento era arrivato, che Nino mi aveva posto la fatidica domanda, ma so che mi hanno perdonata.
E avranno modo di recuperare quegli istanti rimasti in sospeso, ne sono certa.
 
 
Questo Natale sta trascorrendo in modo perfetto, come forse nessuno di noi avrebbe sospettato fino a poche settimane fa.
C’è la neve, il fuoco nel camino, le luci sull’albero e il pranzo in tavola.
C’è Don Massimo, con gli immancabili Pippo e Natalina, che hanno accettato l’invito di trascorrere la giornata con noi. C’è la piccola Ines, che passerà il Capodanno con suo padre ma il Natale no, perché ormai è tradizione passarlo insieme a questa, di famiglia.
Ci siamo io e Nino, che presto ci sposeremo, ma le priorità sono altre.
Perché ci sono Anna e Marco, più innamorati che mai, e un altro anello di fidanzamento che ha fatto la sua ricomparsa.
Anna lo aveva gelosamente conservato, insieme a tutti gli altri ricordi della loro storia che in fondo non aveva mai avuto la forza di buttare via, e adesso lo indossa nuovamente all’anulare sinistro, in attesa che una fede dorata possa finalmente prenderne il posto.
Hanno aspettato anche troppo, e presto Don Massimo celebrerà il loro matrimonio. Marzo, come avrebbe dovuto essere.
Come sarà.
Perché il sole può anche nascondersi, essere sopraffatto da nuvole cariche di pioggia, ma prima o poi torna a splendere. E c’è, anche quando non lo si vede.
Come Marco per Anna, e Anna per Marco. Un universo in cui uno è la stella attorno a cui ruota il pianeta che è l’altro.
Un universo che è nato da un big bang, e durerà finché non si spegnerà il fuoco che brucia nel sole che gli dà vita.
Ma l’amore si sa, può bruciare anche per sempre, senza mai spegnersi.

Hello!
Prima che ce lo chiediate, SI, Vocina e Grillo scriveranno ANCHE i finali alternativi degli episodi della stagione, ma al contempo ci è venuta l'idea per questa nuova raccolta.
Si chiama "Voices", perché contiene proprio le 'voci' degli altri personaggi di DM, che parlano di sé e del loro rapporto con Anna e Marco, che restano sempre centrali all'interno delle nostre storie. Finora, avevamo sempre fatto 'parlare' loro due, spesso e volentieri in prima persona, per narrarci i loro pensieri e le loro vicende, ma abbiamo pensato che sarebbe stato interessante cambiare prospettiva, e provare a vedere le cose dal punto di vista di chi, vicino ad Anna e Marco, lo vediamo spesso. 
E come non partire da Elisa Olivieri, la madre di Anna? Di lei finora avevamo saputo poco - che avesse perso il marito abbastanza giovane, che voleva fare l'avvocato, che fosse stata tradita - ma altri tasselli della sua storia personale sono stati aggiunti durante DM13, e ci è piaciuto cominciare proprio con lei. 
Speriamo l'idea vi piaccia! Come sempre, fateci sapere, anche se c'è qualche personaggio in particolare di cui vorreste conoscere il 'punto di vista'!
A presto, 

Vocina e Grillo

 
   
 
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