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Autore: evilqueen82    15/06/2022    1 recensioni
[Cantanti]
[Caparezza][Mark Hollis]
Egli udì una voce. Una voce che mai aveva sentito prima. Aveva il timbro un po’ nasale, ma non come il suo, molto più accentuato, specialmente nel canto. Perché il tizio in questione era un uomo e stava appunto cantando. Mark spostò immediatamente lo sguardo verso di lui...
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era da un po’ che Mark si trovava lassù. Non aveva idea di quanto tempo fosse passato, anche perché in quel posto il tempo non esisteva. Un eterno presente senza principio e senza fine. Ma ciò non gli importava. Stava bene, si sentiva leggero ed era nuovamente giovane.

Gli era stato detto, al suo arrivo, che lì la vecchiaia e il dolore erano banditi per sempre. Così, con ritrovato vigore, faceva lunghe e interminabili passeggiate immerso nella natura, senza che la stanchezza mai lo cogliesse. Il panorama attorno a lui era magnifico. Ovunque andasse c’erano diversi tipi di fiori e di piante dai colori così vividi e sgargianti come non ne aveva mai visti da vivo. Camminava tra leoni, elefanti, tigri, fenicotteri rosa e ogni specie di animale possibile, anche quelli che sulla terra erano ormai estinti. L’aria era limpida e il cielo terso. Non faceva mai né caldo né freddo. Persino di notte si stava bene e si poteva trascorrerla all’aperto, osservando il cielo su cui era visibile l’intero firmamento.

Tutto era meraviglioso e lui si sentiva in pace. Di tanto in tanto però veniva colto dalla nostalgia di casa. Allora scendeva da basso: saltava su una nuvola e si metteva a guardare il posto dove aveva vissuto un tempo. Contemplava con affetto la famiglia che aveva lasciato, come i suoi cari se la cavavano senza di lui, nell’attesa del giorno in cui, finalmente, sarebbero stati di nuovo insieme.

Mentre era lì che osservava, un giorno (circa due anni dopo la sua morte terrena) accadde qualcosa di inaspettato. Qualcosa che lo scosse dal suo torpore.

Udì una voce. Una voce che mai aveva sentito prima. Aveva il timbro un po’ nasale, ma non come il suo, molto più accentuato, specialmente nel canto. Perché il tizio in questione era un uomo e stava appunto cantando. Mark spostò immediatamente lo sguardo verso di lui.

Oltre alla voce, aveva un aspetto altrettanto curioso: era d’altezza media, sulla quarantina, sopracciglia spesse, una folta barba e una criniera leonina di capelli neri e ricci che gli circondavano l’ovale.

Era italiano e cantava con accento pugliese, ma lui lo capiva lo stesso. Uno degli ulteriori vantaggi del suo “status quo” era, appunto, quello di poter comprendere all’istante qualunque idioma esistente, compresi i dialetti.

Ma come mai si era ritrovato a osservarlo, visto che non lo aveva mai visto ne sentito nominare fino a quel momento? Di certo c’entrava qualcosa con quel potere superiore, lo stesso che gli permetteva di tradurre istantaneamente qualunque lingua.

Sì, ma perché? Che aveva a che vedere con lui? Se lo stava appunto chiedendo quando il tizio, ospite di un programma televisivo, attaccò con la seconda strofa della sua canzone. Quale sorpresa, quale stupore per Mark, quando ascoltandone i versi, realizzò che parlavano di lui e della sua vita: “amo il mio silenzio e non comprendi quando, grazie per gli applausi ma ho scelto l’amore, questa è la mia vita non dimenticarlo...”

Non avrebbe mai potuto immaginare una cosa del genere, soprattutto perché la prima strofa parlava di tutt’altro personaggio, un uomo ben più famoso e importante di lui a livello mondiale. Mai avrebbe osato accostarsi a una simile celebrità. E di certo non si sarebbe mai immaginato che qualcuno lo avrebbe fatto per lui. Mentre invece quel tizio lo stava facendo, proprio lì in quel momento, con tale trasporto e convinzione da non risultargli nemmeno ridicolo o blasfemo.

Lui, Mark Hollis, discreto cantante e leader di una delle tante band che calcavano la scena degli anni ottanta, citato nello stesso brano con niente meno che Ludwig van Beethoven: uno dei più grandi e celebri compositori di tutti i tempi. Com’era possibile? Di certo loro non avevano niente in comune a parte il fatto di essere entrambi morti. Ma capì, continuando ad ascoltare il brano che era proprio questo il punto. Due personalità completamente agli antipodi, nate in epoche e contesti diversi che a un certo punto della loro vita si erano trovati a un bivio e avevano fatto una scelta diametralmente opposta l’uno dall’altro. Ed era appunto di questo che parlava il testo. Fare una scelta e seguirla senza rimpianti.

Un brano davvero originale”. Convenne Mark tra sé e sé.

Di certo quel cantante era parecchio fuori dal comune per scrivere e cantare un pezzo del genere, sopratutto dato l’espediente che aveva usato di raccontare due vite che più diverse non potevano essere.

La canzone, chiudeva con versi tipicamente rap, accompagnati da barriti di elefante (come la intro del suo più celebre successo “Such a Shame” ) e dalle sonate di piano, tipiche del compositore tedesco.

Mark rimase qualche istante in apprensione. Come avrebbe reagito la gente al termine della performance di quel tale? A lui la canzone era piaciuta ma a loro? L’avrebbero fischiato? Niente di tutto ciò. Il pubblico era a dir poco entusiasta.

Ma sapevano che quella melodia parlava anche di lui? Lo sapevano, lo sapevano eccome. Lo stesso ritornello citava, anche se in italiano, la sua “It’s my life” brano conosciuto anche dai profani per via di una famosa cover dei “No doubt” uscita nel 20031.

E all’improvviso fu come se gli fosse caduto un velo e una fitta nebbia attorno a lui si fosse dissolta. Nebbia di cui nemmeno si era reso conto fino a quel momento.

Era stato così preso dalla scoperta di quel nuovo mondo in cui era approdato dopo la sua morte terrena, così impegnato a ritrovare i suoi parenti defunti e conoscere i suoi avi, così concentrato a vegliare i suoi cari rimasti in vita, da non accorgersi minimamente quale clamore avesse suscitato la sua scomparsa.

La sua scelta, quella di cui parlava la canzone che aveva appena ascoltato, era stata proprio quella di ritirarsi dalle scene già molti anni prima di morire2: una decisione, quella, presa (sempre come diceva la canzone) senza alcun rimorso o rimpianto. In fondo non gli era mai importato davvero del successo. La sua band si era sciolta nel 1991 e lui aveva abbandonato la musica nel novantotto, dopo aver pubblicato un album da solista. Album che non si era nemmeno degnato di promuovere (ma che aveva riscosso comunque un discreto successo, soprattutto di critica) mentre lui, assolutamente indifferente, aveva passato il resto della sua esistenza a occuparsi della sua famiglia, finché a soli 64 anni, una breve malattia non lo aveva portato alla tomba. Ragion per cui si era convinto di essere stato dimenticato. Niente di più falso.

C’era voluto il brano di un rapper pugliese per realizzarlo. Ma da quell'istante niente sarebbe stato più come prima. Da quel momento in poi venne travolto da una valanga infinita di affetto. Poté vedere e sentire tutti i messaggi, i pensieri e le parole che da ogni parte del mondo gli erano stati dedicati. Poté udire nell’etere che in ogni momento di ogni singolo giorno sulla terra, qualcuno stava ascoltando ancora la sua musica, gli stava dedicando uno scritto o addirittura un disegno.

Realizzò che, dopo quasi quarant’anni dall’uscita del primo album in studio con la sua band3, la gente lo amava ancora, ne elogiava il talento e si dispiaceva per la sua scomparsa. Anche perché, come qualcuno aveva scritto, si era sempre sperato in un suo ritorno sulle scene, una reunion con i Talk Talk, fosse stato anche solo per una tournée o un singolo concerto. Speranza purtroppo infranta con la notizia della sua morte. Una grave perdita che però non avrebbe impedito a tutti loro di continuare ad apprezzarlo e a volergli bene.

Tale consapevolezza lo fece commuovere.

Era sempre stato buono il suo rapporto con i fan, ma ciò non gli aveva impedito, negli anni in cui il suo successo era venuto meno, di ritirarsi dalle scene. Ora però sentiva un tale calore nel suo cuore, una tale felicità per quell’affetto così incondizionato da esserne quasi sopraffatto. Ricambiò quell’amore abbracciandoli con lo sguardo, in un sorriso che gli veniva dal profondo del suo essere.

In quanto a quel tizio, non mancò di tanto in tanto di tornare a osservarlo. Il suo nome era Michele Salvemini ma si faceva chiamare Caparezza. “Testa riccia” aveva osservato Mark in tono divertito.

Quella sua canzone “ La scelta” non era che il singolo che anticipava il nuovo album che stava appunto promuovendo in quel periodo 4.

 

Non si stupì, dal momento che gli aveva dedicato quella canzone, che fosse anche un suo grande fan, e che di tanto in tanto girava con la felpa dei Talk Talk. Non era solo questo a renderglielo gradito: capì ben presto che si trattava di una persona speciale, di un’intelligenza fuori dal comune (soprattutto per l’epoca in cui stava vivendo) e dotato di una tale sensibilità che raramente ne aveva conosciute in vita. Comprese che un giorno lontano sarebbe stato un buon amico per lui. Dopotutto, con quella canzone lo aveva compreso come mai nessun altro.

Nel frattempo si disse che avrebbe continuato a vegliarlo per vedere cosa avrebbe tirato fuori da suo genio. Ne era sinceramente incuriosito.

Ma oltre a questo, c’era qualcos’altro che voleva fare, qualcun altro che voleva incontrare...

 

Tempo dopo, si recò nella Città d’Argento, in un luogo in cui non era mai stato: la parte in cui risiedevano le personalità più influenti che erano mai vissute sulla terra in ogni epoca. Gente che era passata alla storia, di certo non un semplice cantante che da lì a cinquant’anni, quando sarebbero morti anche coloro che ancora lo ricordavano, sarebbe caduto inevitabilmente nell’oblio.

Era sera e dopo aver vagato per un po’ e aver perlustrato, giunse infine nel luogo della sua destinazione. Un posto di cui aveva sentito parlare ma in cui non aveva mai osato mettere piede. Non perché fosse proibito (lassù si poteva andare dappertutto e parlare con chi si voleva) ma semplicemente perché provava una sorta di timore reverenziale.

Un edificio maestoso, da cui provenivano musiche sublimi. Non di quelle angeliche di cui ormai era avvezzo, ma di quelle melodie che univano l’umano al divino e che erano così potenti da scuotere le fondamenta del cielo. Rilasciò un profondo sospiro e salì l’enorme scalinata quasi in punta di piedi. Oltrepassò l’ingresso e si ritrovò in un lunghissimo corridoio arredato nello stile francese del diciottesimo secolo. Il pavimento di marmo lucido, le immense colonne anch’esse di marmo che sostenevano le volte del soffitto altissimo e affrescato come le più famose chiese del mondo. E, come se non bastasse, degli enormi lampadari di cristallo che, riflettendo la luce proveniente dalla finestre poste sulle pareti laterali, creavano un fantastico effetto arcobaleno, rendendo quell’ambiente ancora più suggestivo5.

Mark esitò un istante e si domandò se era il caso di proseguire, ma la musica lo attirava, così senza ulteriori indugi avanzò fino ad arrivare in un enorme sala che ospitava il teatro.

Il concerto era già iniziato e tutti i posti nei balconi in alto erano occupati da persone comuni, gente di ogni epoca ed estrazione. Nei loro volti si leggeva la stessa soggezione e meraviglia che provava lui. Mentre in basso vi era l'élite dell’alta società. Nobili vestiti alla maniera del settecento che si trovavano perfettamente a loro agio in quell’ambiente maestoso. Quel folto capannello di persone occupava comode poltrone di velluto rosso, poste di fronte al palco, sopra il quale vi era un giovane uomo dall’aspetto robusto, che seduto su uno sgabello d’ebano se ne stava chino su un enorme pianoforte a coda.

Quell’uomo era il più grande compositore di tutti i tempi.

Un’autentica leggenda. Ancora non ci credeva Mark che il suo nome era stato accostato al suo.

Da centonovantaquattro anni, Ludwig Van Beethoven sedeva regolarmente su quello sgabello, alternandosi con altrettanti eccelsi e leggendari compositori, che si esibivano da soli o accompagnati dalle loro orchestre6.

Quella sera suonava da solo.

Dalla sua prematura scomparsa, egli aveva riacquistato non solo la salute e l’udito, ma una totale serenità. Non era più arrabbiato né scontroso, aveva ritrovato i maestri e gli amici di un tempo e non mancava mai di esibirsi per loro. Da quando non era più obbligato a suonare per mero guadagno o per la smania di essere il migliore, si sentiva in pace e lo faceva con rinnovato piacere. Non gli importava più di eccellere, non sentiva la rivalità con nessuno. Ciò che contava era suonare: per il semplice gusto di farlo. Provava solo gioia e quella gioia si rifletteva nella sua musica, dagli inni più famosi a quelli inediti che, in quel luogo che non conosceva né affanni né stanchezza, componeva con giubilo.

Sul suo volto e in quello di chi lo ascoltava era impressa un'estasi quasi divina.

Osservandolo, Mark si domandò se aveva la consapevolezza di essere divenuto un personaggio immortale anche tra i vivi. Non poté fare a meno di chiedersi se Ludwig sapeva, se percepiva almeno in parte l’influenza che la sua persona e le sue opere avevano ancora nell’epoca odierna sulla terra. Cosa avrebbe provato ascoltando la canzone di quel rapper?

Per un istante gli balenò in testa di chiedere a quel “potere superiore” di farla ascoltare anche a lui. Un pensiero che lo fece sorridere ma che subito scartò. Dopotutto se anche l’avesse sentita, perché mai la cosa avrebbe dovuto importargli? Era solo una goccia nel mare rispetto a tutto quanto veniva fatto o detto ancora sulla terra per onorare Beethoven e per tramandare le sua memoria ai posteri.

E poi che mai gli avrebbe giovato? Ad uno come lui la cosa poteva restare indifferente, o al contrario, c’era il rischio che, dopo la sua morte, fosse rimasto all’oscuro di ciò che era diventato. Forse farglielo scoprire in quella vita lo avrebbe indotto alla superbia, un sentimento proibito lassù.

Era meglio lasciare le cose allo stato attuale.

 

Si limitò quindi a restarsene lì, in piedi, davanti all’entrata e a godere di quella magnifica esibizione, promettendo a se stesso che un giorno ci avrebbe portato anche la sua famiglia.

Quando il maestro ebbe finito di suonare, si alzò e raccolse gli scroscianti applausi di tutta la platea con un inchino.

Mark si apprestò ad andarsene, ma proprio nel momento in cui stava per voltarsi e uscire, gli occhi di Ludwig si posarono su di lui. Fu un attimo fugace, un istante soltanto in cui ebbe l’impressione che il maestro gli sorridesse, prima di porgere la sua attenzione altrove.

Probabilmente si era trattato di un' illusione, o forse semplicemente, alzando lo sguardo verso l’alto aveva intravisto qualcuno e sorriso di riflesso. Qualcuno che avrebbe potuto essere chiunque.

Non lo avrebbe saputo mai, ma non gli importava. Con un sorriso Mark guardò un’ultima volta verso l’uomo prima di voltarsi e uscire.

Egli era sceso dal palco ed era andato incontro a quelle illustri persone dell’alta società che avevano occupato le comode poltrone di velluto e che sicuramente conosceva, mentre lui, con passo felpato, si affrettava a ripercorre i suoi passi a ritroso e a uscire dall’edificio per dileguarsi nella notte.

Si fermò solo quando, allontanatosi dalla città d’argento, non fu ritornato nei consueti posti in cui la sua anima risiedeva.

Un anima tranquilla e solitaria che amava la musica ma che prediligeva ancor di più il suono del perfetto silenzio7.

 

Fine.

 

Ok, storia senza arte né parte. Scritta di getto per esorcizzare il dolore per la morte di Mark avvenuta il 25 febbraio 2019 e per omaggiare il genio di Molfetta.

Nella nota qui sotto8 riporto i link dove potete trovare sia il video che il testo del brano originale dell’artista che mi ha ispirato sta roba.

La colpa è sua!

😂

1 Versione che odio, soprattutto perché quegli idioti mecenati di radio-freccia si ostinano a trasmetterla ignorando l’originale. BASTARDI!

2 Mentre al contrario Beethoven aveva appunto rinunciato all’amore per la musica.

3 L’album the party is over dei talk talk uscì nella primavera del 1982, mentre il mio racconto è ambientato a fine marzo 2021,

4 Exuvia, uscito il 7 maggio del 2021

5 Chiedo venia, sono negata con le descrizioni, mi arrangio come posso, cercando di ricordarne qualcuna letta in passato,.

6 Ma dato che mi intendo di orchestre come di descrizioni e di arredo ho preferito ometterle.

7 Come diceva sempre Mark: “I love sound but I like more the silence” Una frase che ha ispirato un libro a lui dedicato e uscito quest’anno ad opera di Ben Warlde

   
 
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