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Autore: elenabastet    15/06/2022    3 recensioni
Tempo fa lessi su un numero dell’edizione Planet Manga di Oscar, una lettera di un appassionato che diceva che se Oscar e André fossero vissuti, il loro amore sarebbe morto prima di loro perché nessun amore è eterno. Ecco la mia risposta a questo.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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ANIME

 

Rating: struggimento, rimpianto, amore, vita

Fandom: Lady Oscar.

Note: tempo fa lessi su un numero dell’edizione Planet Manga di Oscar, una lettera di un appassionato che diceva che se Oscar e André fossero vissuti, il loro amore sarebbe morto prima di loro perché nessun amore è eterno. Ecco la mia risposta a questo.

 

Ero cresciuta in mezzo ai cavalli, che mio padre allevava e vendeva a famiglie ricche, non solo in Francia. Una vita spensierata ed insolita, io non avevo niente di una ragazza, portavo i pantaloni e gli stivali, preferivo le stalle e i cavalli ad abiti e frivolezze, ed ero felice.

Tutto finì purtroppo un brutto giorno, quando mio padre morì per una febbre presa in Irlanda, dove era andato a vendere un po’ di cavalli, un viaggio che non voleva fare, ma che fece solo perché eravamo in difficoltà economiche, ma lo scoprii dopo.

Mi ritrovai sola, mia madre era morta anni prima, dando alla luce il mio fratellino non sopravvissuto. Sola e senza un soldo. Non avevo ancora compiuto diciott’anni, non sapevo dove andare, e mi ritrovai in balia di una società spietata, perché le cose non erano migliorate, nonostante tanti anni prima avessero fatto una rivoluzione perché questo avvenisse.

Preferisco non ricordare le umiliazioni che subii e le cattive parole che sentii, derisione, disprezzo e anche altro di più brutto mi accompagnarono per un po’. Finché un giorno, al mercato, la signora del banco della verdura mi disse:

“Guarda, Silvie, se ti piacciono i cavalli ci sono due signori anziani che cercano qualcuno che li aiuti, sono tipi strani, gente che è vissuta per anni fuori dalla Francia, ora sono tornati a stare qui, al vecchio palazzo vicino alla foresta”.

Ricordavo quel vecchio palazzo, ogni tanto ci passavo davanti a cavallo, era disabitato da tanto tempo, mio padre mi aveva raccontato qualcosa sui suoi abitanti, un conte spietato morto per salvare la regina austriaca e la sua bellissima figlia che combatteva con la spada e si era schierata con i rivoluzionari, e c’era chi mormorava che ci fossero i fantasmi di quelle storie antiche e tragiche. Quanti anni erano passati? Mezzo secolo, ormai, più o meno.

Non avevo scelta e mi diressi là, e mentre mi avvicinavo mi sentivo come il principe della Bella addormentata, in mezzo a una selva oscura. Il castello era bellissimo, però, anche se un po’ mal ridotto, e varcai il cancello mezzo aperto: c’era tanto da fare, e da sola non avrei potuto fare molto, ma se mi avessero dato la possibilità di occuparmi di qualcosa, come i miei adorati cavalli, lo avrei fatto volentieri.

Vidi una figura che veniva verso di me, dal passo marziale: era una persona alta, lì per lì mi sembrava un uomo, ma poi quando si avvicinò capii che era una donna, una donna ormai anziana, ma ancora bellissima, con lunghi capelli color dell’argento, in abiti maschili, con due occhi azzurri che brillavano sul suo volto. Dietro a lei e poi al suo fianco arrivò un uomo, anche lui anziano, con una patta su un occhio, i capelli ormai bianchi, il volto dolce ma fiero, l’unico occhio sano che brillava come uno smeraldo. Per un attimo pensai a quanto dovevano essere stati belli da giovani, e a quanto lo erano ancora.

“Buon giorno, scusate se sono venuta senza preavviso, mi chiamo Silvia Carrière, lavoravo con mio padre in un allevamento di cavalli, purtroppo sono rimasta sola al mondo, sto cercando un modo per lavorare sempre con questi animali, so che state cercando qualcuno che vi aiuti, io potrei, sempre che voi vogliate, non so fare molto ma posso impegnarmi...”

I due castellani insoliti si guardarono con uno sguardo d’intesa, dove vidi amore, complicità e generosità, e poi si voltarono verso di me:

“Abbiamo sentito parlare di vostro padre, siamo stati via dalla Francia per troppo tempo, ma vi chiediamo di rimanere qui con noi, non sarete sola e potrete occuparvi dei cavalli”.

Avrei voluto abbracciare entrambi. Li ringraziai e presi al volo il loro invito.

Non eravamo soli, giravano altre persone lì, un maggiordomo, Pierre, rimasto vedovo con sua figlia ancora bambina, due cameriere, Francine e Brigitte, e un giardiniere ormai anziano, Charles. Eppure, solo loro due sono rimasti nel mio cuore come se fossero ancora davanti a me, anche se è passato tanto tempo. Gli altri mi ricordo che c’erano, ma poco altro. Ci ospitarono tutti in quella specie di castello incantato e ci invitavano a mangiare con loro, alla pari.

“Visto quello che abbiamo fatto tanti anni fa perché tutti fossero uguali, rischiando di rimetterci anche la vita, mi pare il minimo trattarvi alla pari”, diceva lei, la donna vestita da uomo e lui annuiva, come una sua ombra.

Mia madre era morta quando io ero troppo piccola, sapevo che mio padre l’aveva amata tantissimo, ma non avevo ricordi su loro due insieme: i miei due padroni, anche se a loro non piaceva essere chiamati così, si adoravano, sentivo il loro amore intorno, un amore unico.

Io stavo quasi sempre nelle scuderie, e loro venivano a vedere i cavalli ogni giorno:

“La loro stirpe è andata avanti, la nostra finirà con noi”, disse un giorno lui. Percepii una nota di dolore nelle sue parole, ma aggiunse: “So che per lei questo è il suo più grande cruccio, non avermi dato dei figli, ma il nostro amore ci ha sorretto entrambi e comunque la nostra vita è stata completa, ho avuto e ho lei e questo mi basta”.

Vivevano in simbiosi, dormivano ancora insieme, una cosa che i signori di solito non fanno, e in ogni loro sguardo, in ogni gesto, c’era amore. Dovevano aver avuto una vita lunga e anche tormentata, da qualche parola, ricordi di battaglie e di esili lo capii, ma avevano avuto l’un l’altra, con un attaccamento che non ho mai più visto.

Un giorno, vennero entrambi nelle scuderie, e li vidi chinarsi verso una parete, scostando la paglia per scoprire cosa c’era dietro. Io ero indaffarata ad entrare ed uscire dalla scuderia, ma rimasi incantata a guardarli.

“Guarda, i nostri nomi sono sempre qui”, disse lei a lui.

“Li abbiamo incisi nel legno, è una cosa che rimane… quanto tempo è passato”.

“Una vita e oltre, tanti, tanti anni”.

“Settantacinque per l’esattezza. Tutti i nostri anni insieme, anzi i nostri anni insieme sono di più”.

Erano anziani, ma si erano conosciuti da bambini.

“Ti ricordi cosa dissi invece tanti anni dopo di fronte a queste scritte?”

“Oh, sì, volevi andartene da tutti e tutto, anche da me...”

“Ringrazio di non averlo fatto, mi chiedo come potei pensare ad una cosa del genere, e ringrazio te per quello che facesti, anche se so che tu ti senti ancora in colpa per questo, malgrado tutto quello che abbiamo vissuto”.

“Come ti dico da anni, non pensarci. Alla fine, siamo rimasti insieme, e solo questo conta.”.

Vidi lei tremare:

“Come faremo, come farò se...”

“Non pensarci, ce la siamo cavati quella volta, di fronte alle pallottole, ci avevano dati per morti e invece.. ce la faremo anche questa volta”.

“Non posso pensare di vivere anche solo un attimo senza di te”.

“A chi lo dici… Tu lo sai bene”

Mi allontanai triste, avevo conosciuto la morte vicino a me, e sapevo quanto dolore comporti rimanere soli. Ma per loro tutto poteva essere qualcosa di diverso e di ben peggiore.

Quella sera, andammo tutti a dormire: verso il mattino mi alzai, mi sembrò di sentire i cavalli nitrire, e mi affacciai dalla finestra. Vidi nella luce dell’alba una scena strana, due cavalli, uno bianco e uno moro, simili a quelli che c’erano nella scuderia, con sopra due figure, un giovane dagli splendidi capelli neri e gli occhi verdi, e una donna in abiti maschili con una chioma color dell’oro e gli occhi azzurri. Si stavano allontanando insieme, li vidi baciarsi, e io capii chi erano. Sbattei gli occhi ed erano spariti, forse era stato un sogno, o forse no.

Andai verso la camera dei miei padroni, nessuno di noi osava entrare, ma non ce lo avevano impedito e io avevo un presagio.

Aprii la porta e li vidi, coricati l’uno accanto all’altra nel letto al baldacchino, con un ultimo sorriso sulle labbra: non si erano suicidati, semplicemente i loro cuori, da sempre uniti, avevano smesso di battere nello stesso momento.

“Per fortuna gli è stato consentito di andarsene insieme”. Era Charles, il giardiniere.

“Voi li conoscevate?”

“Lei comandò mio padre il 13 e il 14 luglio, lui combatté con mio padre, contribuendo alla presa della Bastiglia, dove rischiarono di morire. Erano due eroi, e continuarono a fare gli eroi in altri luoghi, quando qui prevalse la violenza e l’ingratitudine. Alla fine, hanno voluto tornare qui”.

Sentivo le lacrime che mi salivano agli occhi, ma ero felice per loro.

“Addio, che possiate vivere per sempre nel mondo degli eroi, Oscar François de Jarjayes e André Grandier”.

“Ma allora loro erano… Credevo che fossero una leggenda, credevo che fossero...”

“Certo, loro erano e sono una leggenda, ma le loro erano anche vite reali. Ringraziamo di averli conosciuti”.

In seguito, scoprimmo che avevano pensato a noi con un lascito che ci permise di non rimanere mai più in miseria. Ricostruii le loro vite, lontane ma vicine, che avevo sfiorato, e non li ho mai dimenticati.

E ora, che ho quasi la loro età di quando volarono sui Campi Elisi, li sento vicini a me e li ringrazio per quello che fecero in vita per me e per gli altri. Ho vissuto la mia vita, sono stata amata e ho amato, ho lasciato qualcuno su questo mondo, ma loro sono rimasti una leggenda, la leggenda di due anime legate in una che non ho mai dimenticato. Spero un giorno di poterli rivedere e ritrovare, da qualche parte, sempre che si possa.

 

 

  
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