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Autore: agfdetre    16/06/2022    0 recensioni
Samantha Betz è un brillante ingegnere di rotta sulla nave interstellare USS Pardatchgrat che a tentoni cerca di tenere in piedi una vita fatta di fragili legami, una mente instabile ed una giovinezza tormentata.
Un'improvvisa missione segreta della nave forza Sammy a tornare in un luogo che pensava di aver dimenticato, sepolto nei ricordi di una vecchia vita. Sarà costretta a rivangare il suo passato ed affrontare l'orribile compito che le è stato imposto.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo 4

La cabina dei laser di stampa al ponte 3 era una di quelle zone della nave in cui Sammy si trovava veramente di rado. Non aveva un vero motivo per recarvisi e non trovava particolarmente emozionante guardare degli operai usare dei bracci meccanici per intagliare lastre di metallo o altro. Ogni unità della flotta interstellare abbastanza grande veniva dotata di laser in grado di fabbricare velocemente eventuali pezzi necessari alla riparazione della nave stessa. C’erano materiali di tutti i tipi, ed alcune volte i laser venivano anche usati per incidere etichette elettroniche che andavano poi apposte su pacchi e merci che la nave trasportava all’occorrenza. Ripensandoci, Sammy osservò come fosse una grossa fortuna che svariati chili di pellicola da incisione trasparente fossero rimasti in eccesso da un vecchio carico che avevano trasportato qualche mese prima.

Dopo la terrificante scena in cui aveva letteralmente preso a cazzotti il pezzo più grosso dell’esercito pimpaino, i militari avevano lasciato il ponte di volo intimando alla pony ingegnere di raggiungerli in seguito nella cabina di stampa. Ormai avevano il pieno controllo della nave ed agivano indisturbati: da quella mattina il resto dell’equipaggio era praticamente rimasto chiuso nelle proprie cabine su richiesta del generale Pimpez, di modo che nessuno potesse vedere o ascoltare nulla delle loro operazioni. Dopo che la SOG era andata via, Samantha si era ritrovata sola a fissare Equestria sotto di lei con uno zoccolo sporco di sangue, mentre Sparkey e Cerutti cercavano di ricostruire nelle loro menti cosa potesse essere successo in quella mezz’ora.

Poco dopo la pony era uscita senza dire una parola, e i due non avevano nemmeno provato a fermarla. In stato quasi catatonico Sammy si diresse nei bagni comuni della nave. Premette un pulsante sulla parete ed il dispenser rilasciò una piccola quantità di gel che subito si spalmò sullo zoccolo ed in faccia per risciacquarsi dopo essersi tolta gli occhiali: non era certo come usare acqua vera, ma faceva il suo dovere a centinaia di anni luce dalla civiltà nel vuoto cosmico.

Per l’ennesima volta quel dannato giorno si guardò allo specchio mentre piccole gocce di gel si staccavano dal suo viso fluttuando in giro. Non poteva essere vero, non poteva star tornando davvero lì. Prese a respirare affannosamente, come se le mancasse l’aria: cosa stava per fare? Con chi stava andando? Lei non aveva esperienza militare, aveva sparato qualche volta in accademia e poco più. Ma perché, avrebbe dovuto sparare? Le avrebbero dato un’arma? Qualcuno avrebbe sparato contro di loro? E se avesse dovuto lottare? Come si uccide una principessa alicorno immortale? Quali sono le conseguenze?

Si ritrovò ad annaspare furiosamente con il volto arrossato, gli arti formicolanti come punti da infiniti spilli e le orecchie ronzanti di un rumore sordo. Samatha si accasciò fluttuando preda di un attacco di panico con ancora il gel detergente sul volto, che per poco non inghiottì rischiando di soffocare. Finì appoggiata con tutto il corpo sullo specchio mentre cercava di riprendersi respirando lentamente. Non era la prima volta che le succedeva: aveva imparato come gestire queste cose quando la psicologa della scuola a Pimpaina aveva voluto vederla personalmente dopo che aveva fatto chiamare ben due volte un’ambulanza restando paralizzata sul pavimento della classe.

Lentamente riprese il controllo di sé pulendosi finalmente quel fluido viscido dalla faccia con un asciugamano. Mai come in quel momento si era sentita davvero sola: era sola fisicamente in quel simulacro di un bagno su una nave in orbita, ma soprattutto era abbandonata a sé stessa. Ripensò ad Ashley e a come si era comportata prima con lei: un brivido di rabbia le percorse la schiena. Perché doveva sempre rovinare tutto? Si guardò intorno per dare un’occhiata ma apparentemente nessuno l’aveva sentita: i corridoi della nave non erano mai stati così vuoti e silenziosi come allora.

La pony bofonchiò tra sé e sé mentre indossava nuovamente i suoi occhiali. Pimpez era fuori di testa se pensava davvero di portarla con loro: non capiva davvero cosa l’avesse spinto a prendere una tale decisione. Magari era una punizione per il gesto che aveva fatto, magari era tutto un bluff per spaventarla e dopo una lunga ramanzina l’avrebbero lasciata andare. I suoi pensieri ansiosi la portarono a rimuginare ossessivamente sull’accaduto, analizzando ogni piccola cosa successa nelle ore precedenti cercando di capire se qualcosa sarebbe potuta andare diversamente.

Si incamminò verso la cabina di stampa cercando di essere il più lenta possibile. Avrebbe tanto voluto che Ashley fosse lì con lei, chiederle scusa e tornare in cabina a chiacchierare un po’. Ma non poteva: per un attimo il pensiero di non poter nemmeno salutare la sua assistente prima di quella assurda partenza le balenò in mente e un brivido le percorse la schiena.

Dopo aver girato un angolo la pony perlacea si trovò improvvisamente di fronte il primo ufficiale Sparkey, il quale fluttuava fermo nel mezzo del corridoio. Per poco Sammy non vi sbatté contro: l’essere si voltò verso di lei mantenendo un’espressione atona.

«Hai così fretta di raggiungerli che per poco non mi vieni addosso» abbozzò Sparkey con un mezzo sorriso sarcastico. La mano destra giocava nervosamente con il suo MSU, le due antenne sulla testa vibravano «Quell’energumeno deve aver visto qualcosa di davvero speciale in te se non ti ha ancora fatta a pezzetti»

Samantha strabuzzò gli occhi fissando con aria interrogativa l’alienoide giallo, il quale con un cenno della testa invitò la pony a seguirlo lentamente verso la loro destinazione comune.

«Davvero? Pensavo che doverli seguire in un’assurda missione in incognito fosse già una punizione adeguata»

Sparkey scosse la testa e fissò Sammy con sguardo truce «Non so cosa quel pimpaino possa averti detto Samantha, ma tirare un pugno ad un alto funzionario dell’esercito è davvero la più grossa cazzata che io abbia mai visto. Devi ringraziare il cielo di non essere stata arrestata sul momento»

La pony abbassò mestamente la testa. Non era mai successo in tutti quegli anni che il primo ufficiale si rivolgesse a lei in modo così duro. Non riusciva ad accettare di aver commesso un errore così grossolano, lei che era sempre stata così precisa e calma. Cosa avrebbero detto tutti quanti?

Sparkey si ricompose e proseguì «Ad ogni modo, uno come Pimpez non porterebbe mai con sé qualcuno se lo considerasse un peso morto. Nemmeno se quel qualcuno gli venisse proposto come guida locale». Fece una pausa tenendo lo sguardo fisso avanti «Avrebbe sicuramente trovato un altro modo per risolvere la questione. Non sarà certo la prima volta che i SOG si infiltrano in un territorio sconosciuto»

Sammy seguiva il primo ufficiale poco dietro mentre il suo volto si caricava di un’espressione sconcertata «Ma allora perché vogliono me?»

Sparkey fece spallucce mentre i due si avvicinavano ormai al portellone della cabina dei laser di stampa «Non ne ho idea. Questi affari da super complotti top secret mi fanno girare la testa». Posò una mano sulla spalla di Sammy «Purtroppo nemmeno il comandante può opporsi ad un ordine del genere: non c’è niente che possiamo fare per proteggerti»

Samantha deglutì rumorosamente mentre entrambi fissavano ritti la porta davanti a loro. In realtà lo sapeva già: aveva assistito di persona all’intimazione di Pimpez, ma sentirselo dire in faccia aveva tutto un altro sapore.

Il primo ufficiale si voltò un’ultima volta verso Sammy con la mano già sul pulsante di apertura «Qualunque cosa abbia in mente il generale, prego solo che includa farti tornare sana e salva su questa nave»

La pony ricambiò lo sguardo degli occhi violacei senza pupille di quello strano essere. Non sapeva come sentirsi di fronte alle parole del primo ufficiale: era evidente che provasse compassione e un senso di protezione nei suoi confronti, ma il modo in cui si esprimeva e le parole che usava erano comunque sempre fredde e composte. Forse forme di vita come lui non erano in grado di sperimentare forti emozioni: negli anni a bordo della Pardatchgrat Sammy aveva visto Sparkey aprirsi lentamente verso di lei, ma più che un individuo riservato che iniziava a confidarsi sembrava un robot che imparava ad elaborare sentimenti. A pensarci bene era curioso come Samantha non avesse mai visto nessun altro esemplare della stessa specie di Sparkey in tutti quei viaggi in giro per l’universo.

La porta si aprì ed i due si trovarono davanti uno Springer impettito che subito li riconobbe facendosi da parte «Nessun altro con voi, giusto?»

Sparkey scosse la testa ed il pony annuì soddisfatto chiudendo la porta alle loro spalle «Mi dispiace risultare inopportuno signore, ma è una questione di sicurezza universale»

Subito dopo Springer fece cenno ai due di restare fermi ed iniziò a perquisirli, palpando accuratamente sia la tuta di Sammy che l’uniforme del primo ufficiale. L’alienoide giallo sbuffò ghignando mentre si lasciava controllare e lanciò un’occhiata a Sammy: aveva fatto tutta quella strada nella vita per farsi mettere le mani addosso da un soldato a bordo della sua stessa nave. Samantha dal canto suo si fece perquisire senza emettere un fiato, mentre la sua testa viaggiava veloce: se li stavano controllando proprio ora e non prima voleva dire che erano in procinto di rivelare informazioni ancora più importanti e segrete di quelle precedenti.

Una volta terminato, con un cenno Springer disse loro di seguirlo malgrado sapessero benissimo dove andare. Girarono l’angolo attraverso il piccolo corridoio di servizio e si trovarono davanti alla baia cargo in cui erano alloggiati i laser di stampa: dei grossi bracci robotici scendevano dal soffitto ponendosi sopra delle piattaforme mobili su cui andavano posizionati i materiali. Tutte le postazioni erano spente e deserte, fatta eccezione per la numero 4, dove il resto della squadra SOG chiacchierava tranquillamente davanti agli occhi pietrificati del povero Waxford, il malaugurato tecnico di stampa. Il pony se ne stava immobile legato alla sua sedia con indosso il camice da lavoro sopra la tuta IF mentre scrutava i grossi militari davanti a sé. Per sua sfortuna lo avevano costretto a rimanere sul posto per poter operare i laser, mentre tutti gli altri colleghi erano potuti tornare in cabina. Quando vide Samantha sembrò risvegliarsi dal suo vegetare ansioso e assunse un’espressione interrogativa mentre lei non ricambiò lo sguardo persa nei suoi pensieri. Per ironia della sorte avevano chiesto di restare proprio al tecnico più paranoico di tutta la Pardatchgrat.

Il generale Pimpez era l’unico in disparte: fluttuava a braccia conserte fissando il vuoto cosmico fuori da uno degli oblò della nave. Subito si accorse della presenza del duo e si voltò raggiungendo gli altri davanti alla postazione di stampa. Il resto della SOG smise di parlare e tutti si posizionarono di fronte a Sammy e Sparkey. La pony poteva chiaramente vedere la grossa ferita sul volto del pimpaino che la scrutava impassibile: se già il generale era inquietante di solito, in quella situazione Sammy si sentì diventare microscopica ed inerme.

Pimpez fece un cenno con la testa e subito Lasseter e Springer slacciarono le cinture di Waxford immobilizzandolo e trascinandolo via mentre il poveretto cominciava ad annaspare ed a chiedere perché.

«Calmo nanerottolo, ci servi per dopo. Ora te ne stai qui buono finché non ti riprendiamo» sghignazzò Springer mentre i due lo chiudevano in un container pieno di plexiglass sul lato opposto della baia di carico: era evidente che non volessero che ascoltasse nulla di quello che stavano per dire. Sparkey ebbe un sussulto, ma mantenne la sua compostezza rigida evitando di reagire.

«Primo ufficiale Sparkey, data la situazione e gli ordini dell’Alto Comando avrei potuto tranquillamente bypassare lei ed il comandante e ordinare lo sbarco su Equestria senza aprir bocca» tuonò Pimpez con fare estremamente autoritario. Quel pimpaino emanava un’aura di potenza e di fermezza assoluta.

L’alienoide giallo rimase però impassibile come sempre mentre il generale continuava «Tuttavia credo sia meglio che tutte le parti cooperino per salvaguardare l’obiettivo della missione. Lei sarà l’unico informato su questa nave»

Pimpez fece una pausa, quasi a voler caricare di significato le parole seguenti «Le chiedo di non far parola di ciò che sentirà qui dentro nemmeno al suo superiore. Se lo farà, ne pagherà le conseguenze»

Il primo ufficiale rimase immobile con la glacialità che lo contraddistingueva e dopo qualche secondo annuì semplicemente con la testa senza mai abbassare lo sguardo. Pimpez fece un cenno di rimando e proseguì «Betz, malgrado il suo scopo sia semplicemente di navigatore ed informatore, sarà bene che rinfreschi qualche concetto di autodifesa»

Mentre diceva così, Lasseter tirò fuori dalla tasca del suo giubbotto rig una pistola semiautomatica e le diede una piccola spinta in modo da farla fluttuare fino a Sammy. La pony la prese in zoccolo e con un po’ di esitazione trovo il pulsante di sgancio del caricatore, per scoprire che era vuoto.

«Non sono così folle da lasciare un’arma carica in zoccolo ad un topo da biblioteca su una nave spaziale» ridacchiò Lasseter.

Pimpez annuì «Si limiti ad esercitarsi a mirare, ricaricare e tutte le azioni base che ha imparato in accademia. Se tutto filerà liscio di sicuro non dovrà usarla»

Samantha rimase qualche secondo ad osservare l’arma: era molto più grande di quelle che avevano usato durante l’addestramento ed era ricoperta da una vernice mimetica con striature marroni e verdi. Se la rigirò tra gli zoccoli non sapendo cosa pensare, mentre un brivido di paura le percorse la schiena fin lungo la coda al pensiero di ciò che stavano per fare.

«Ehi novellina! Mai maneggiare un’arma senza controllare prima il colpo in canna» disse Springer con fare spaccone avvicinandosi terribilmente a Sammy. Si mise dietro di lei e le prese l’arma dagli zoccoli con le zampe attorno al suo collo: mosse il carrello della pistola rivelando la canna vuota. «Anche senza caricatore, un’arma con un proiettile qui può fare boom ancora una volta mentre tu pensi che farà click» le disse vicino all’orecchio.

La pony scostò la sua criniera rossa in un ghigno di disgusto cercando di evitare il più possibile il contatto con quel pony tutto muscoli che la stava agguantando mentre il resto della squadra rideva. Il generale fece un cenno e subito Springer smise di fare l’idiota tornando al suo posto.

«Equestria è un pianeta privo di qualsivoglia tecnologia. La popolazione vive all’oscuro di tutto e l’atterraggio di una capsula scatenerebbe un casino assurdo» continuò Pimpez.

«Non esistono zone scarsamente popolate vicino Canterlot» disse Mark Sarang introducendosi nel discorso «L’unico sito di atterraggio papabile è rappresentato da un deserto ad oltre cinquecento chilometri a sud»

Samantha ebbe un sussulto: ricordi della sua infanzia affioravano mentre la geografia di Equestria prendeva forma nella sua mente. Mentre ancora rimuginava, Sarang sfiorò lo schermo del suo MSU e una gigantesca proiezione olografica comparve davanti ai presenti. Si trattava di un grosso mosaico di immagini satellitari, accostate l’una all’altra in maniera raffazzonata. Alcune zone erano praticamente invisibili a causa delle coltri di nubi catturate nelle fotografie.

«Questa è la miglior mappa di Equestria che siamo riusciti ad ottenere. Non essendoci satelliti in orbita qui, abbiamo utilizzato le telecamere della Pardatchgrat per scattare delle fotografie lungo il percorso orbitale»

Il professore si voltò beffardo verso Sammy «Fortunatamente il nostro brillante ingegnere di rotta ha scelto un’orbita simil equatoriale. Questo ci ha reso la vita molto più facile»

La pony lo ignorò concentrandosi sulla grande mappa davanti a sé. Sarang proseguì sfiorando il suo MSU e aggiungendo dei marker sulle immagini «Non avremo belle immagini recenti, ma dalle mappe di qualche secolo fa posso dire con certezza che quello è il deserto di San Palomino» esitò «O almeno così si chiamava all’epoca»

«Al diavolo il nome! Il punto è che non possiamo atterrare così lontani dal nostro obiettivo e non possiamo permetterci un ingresso in grande stile con paracadute aperti o altra roba» berciò Pimpez stufo del pomposo professore «Pertanto c’è solo una cosa da fare»

Sarang annuì e aumentò lo zoom: prima sulla grande penisola di Equestria, poi verso il suo centro dove Sammy riconobbe Canterlot dall’alto, ed infine più a sud est su di una piccola catena montuosa. Continuando ad ingrandirsi, l’immagine rivelò un altipiano alla base delle montagne e Sammy strabuzzò gli occhi: una grossa ed imponente striscia di cemento scuro troneggiava attraverso la landa. I numeri bianchi dipinti alla base di essa lasciavano poco all’interpretazione: era una pista per aerei.

«Quello è il Rambling Rock Ridge. E quella è la Ponisella Air Station» sentenziò Sarang soddisfatto.

Samantha era rimasta a bocca spalancata. «Una…una base dell’EAF?» chiese balbettando senza staccare gli occhi dalla mappa.

«Esattamente Betz» rispose Pimpez. «Domattina alle 6 Zulu la nave sarà in posizione per eseguire la manovra di de-orbit. Useremo lo shuttle di servizio pilotato da Watts ed alle 7.45 dovremmo toccare terra sulla pista 08»

Nel dire così indicò l’ultimo pony rimasto della squadra SOG a cui Sammy non aveva fatto caso, visto che non aveva mai aperto bocca da quando avevano messo piede su quella nave. Osservò il suo manto grigio e la testa completamente rasata, ma solo allora si accorse sussultando che Watts non aveva neppure la coda, rasata anch’essa. L’unica cosa a spiccare erano i grandi occhi verdi e le ciglia lunghe: il pony rispose a Pimpez semplicemente sbattendo le palpebre una sola volta.

Sparkey ruppe la sua compostezza rivolgendosi a Sarang «Il segretario della difesa ha autorizzato questa manovra?»

«Queste non sono cose che la riguardano, Sparkey» tuonò Pimpez ancora prima che il professore rossastro potesse rispondere «Prima ho detto che sarebbe stato informato, nulla di più. Quindi stia zitto e non si intrometta di nuovo»

Il primo ufficiale si ammutolì scrutando Pimpez con un’occhiata così truce da quasi tagliare l’aria, ma il generale lo ignorò volgendo il suo sguardo verso Samantha. La pony stava ancora cercando di elaborare le informazioni che aveva appena appreso.

«Ma non è ancora più pericoloso atterrare lì? Come faremo a restare nascosti?» chiese timidamente Sammy, preoccupata che riservassero a lei lo stesso trattamento di Sparkey. Probabilmente qualche ora prima avrebbe fatto una domanda molto più sprezzante e sarcastica, ma dopo tutto quello che era successo il suo animo l’aveva trasformata in un essere indifeso e tranquillo.

Lasseter scosse la testa «Le basi EAF sono abbandonate da decine di anni ormai, non troveremo anima viva. Anzi, direi che siamo decisamente fortunati: la pista è ancora in ottime condizioni»

«Lo shuttle è, di fatto, un aereo. Avendo le ali potremo eseguire il rientro in atmosfera sull’oceano così che nessuno noti una palla di fuoco in cielo o il suo rumore» spiegò Sarang.

«E poi raggiungeremo la base di Ponisella nel silenzio che solo un aliante può garantire» concluse Springer ammiccando a Sammy.

Malgrado i sentimenti terribilmente scombussolati, l’animo da grande ingegnere fece capolino nella testa di Samantha: quella roba d’altronde era pane per i suoi denti. Sollevò un sopracciglio e sentenziò «Mi sembra una procedura di rientro particolarmente complessa. Non sarà così banale calcolare tutto alla perfezione per riuscire a raggiungere la pista planando senza ulteriore propulsione»

«Oh, non c’è problema Betz. Lei non è l’unica a capirci qualcosa di meccanica orbitale da queste parti» rispose Pimpez. «La nostra Watts ha già programmato l’intera manovra con precisione»

Quindi Watts era una femmina. La pony grigia non mosse nemmeno un muscolo e nuovamente sbatté solo le palpebre per confermare. Sammy le lanciò un’occhiata ma l’altra mantenne lo sguardo fisso avanti ignorandola totalmente. Cos’era? Una sorta di pilota più istruito?

Mark Sarang spense la proiezione olografica del suo MSU e aggiunse «All’epoca le basi EAF erano equipaggiate con un incantesimo di occultamento che le rendeva invisibili sotto una certa quota. È plausibile pensare che questo non sia più in funzione, ma dalle immagini di prima sembra che non vi sia alcuna presenza di pony nell’area»

«Cazzo, ci credo! Quella base è in mezzo alle montagne, sicuro nessuno l’ha mai beccata in tutti questi anni» sbottò Springer con la sua immancabile delicatezza «Sarà davvero uno spasso camminare da lì fino a Canterlot» aggiunse roteando gli occhi.

«Dunque questo è il piano» sentenziò Pimpez chiudendo i discorsi futili. «Useremo la base abbandonata come appoggio per preparare l’equipaggiamento e poi ci metteremo in marcia. Contiamo di raggiungere Canterlot in due giorni»

Si voltò verso Sammy «A quel punto entra in gioco lei Betz. Dovrà guidarci attraverso la città fino alla sua adorata principessa. Se sarà necessario interagire con qualcuno ci penserà lei»

Samantha deglutì rumorosamente mentre una nuova scarica d’ansia l’attraversava.

Il grosso pimpaino incrociò le braccia «Per il resto non toccherà niente, non farà niente, non dirà niente. Se qualcuno di noi le dice di fare qualcosa, lei lo fa. Punto. Se Lasseter le dice di pisciare su un albero, lei ci piscia senza discutere. E se non ne ha, se la fa venire. Chiaro?»

La pony perlacea rispose affermativamente con un filo di voce mentre l’ultimo baluardo di speranza che fosse tutto solo un bluff svaniva miseramente.

Assicuratosi che Samantha fosse abbastanza spaventata, Pimpez si rivolse all’alienoide giallo «Sparkey, manterremo il contatto radio con la nave quando sarà possibile. Lei stia pronto a chiamare la cavalleria se qualcosa dovesse andare storto». Il generale volse lo sguardo fuori verso la miriade di stelle «Non voglio restare su un pianeta pieno di pony colorati per il resto dei miei giorni»

Sparkey dal canto suo rispose brevemente e meccanicamente «La nave ha un periodo orbitale di circa novanta minuti. Non essendoci alcun tipo di supporto satellitare per ripetere il segnale, dovremmo avere una finestra di quattro minuti ogni ora e mezza per poter comunicare»

Tutta la squadra SOG annuì e Pimpez rispose «Cercheremo di farci vivi almeno due volte al giorno»

Terminato il briefing, tutti si rilassarono leggermente. Lasseter e Springer tornarono al container liberando Waxford che per poco non aveva avuto una crisi di panico: lo riportarono alla sua postazione chiedendogli scusa e dicendogli di accendere tutto per iniziare la stampa.

Samantha rimase immobile a fissare lo spazio profondo attraverso le ampie vetrate. Quello che il generale le aveva detto l’aveva scossa profondamente, non tanto per il contenuto in sé, ma perché significava che aveva davvero intenzione di portarla con loro: sarebbe davvero tornata su Equestria. Quella mattina quando si era svegliata non avrebbe mai potuto immaginare il gigantesco casino in cui sarebbe stata infilata in così poche ore.

Improvvisamente Sparkey le poggiò una mano sulla spalla senza dire una parola. La pony si girò per osservare il primo ufficiale che la fissava impassibile, probabilmente voglioso di rincuorarla ma totalmente incapace sul da farsi.

«Ehi, Springer. Ma quindi stampi davvero i pancake?» chiese Lasseter ancora indeciso sul suo cutie mark. Il pony paglierino dalla criniera blu annuì trionfale mentre Waxford cercava su UniNet un’immagine di pancake da poter utilizzare «Mi sono persino consultato con Sarang per essere sicuro che esistessero anche su Equestria»

«Così traspare dalle nostre fonti» si introdusse Sarang. «Speriamo solo che non siano diventati un cibo anacronistico o stravagante»

Lasseter si grattò il mento pensieroso mentre un grosso foglio di pellicola scivolava sotto il braccio meccanico mosso dai rulli. Dopo pochi secondi e qualche battuta sulla tastiera di Waxford, il laser si accese e cominciò ad intagliare la pellicola. Springer aveva dunque chiesto al tecnico come facesse il laser a colorare la stampa, ma il pony era troppo spaventato e scosso per poter rispondere.

Dopo pochi minuti il macchinario produsse due piccoli ovali trasparenti del diametro di circa cinque centimetri, all’interno dei quali si trovava l’immagine stilizzata di due pancake fumanti. Waxford si chinò lentamente per prendere le due pellicole e chiese balbettando al colonnello Springer di mettersi di fianco a lui. Subito dopo il tecnico posizionò le due decalcomanie sui fianchi del pony e accese una pistola ad aria calda per qualche secondo: la pellicola aderì perfettamente al suo pelo giallo a tal punto da sembrare un tatuaggio.

«Guarda che roba! Questi nuovi tessuti sintetici sono pazzeschi» esclamò Springer mentre si sfiorava delicatamente il fianco con lo zoccolo. Il resto del team si avvicinò a lui con fare curioso ed entusiasta: sembravano tornati dei puledrini emozionati davanti ad un nuovo giocattolo. Tutti meno Watts che continuava a fluttuare guardandosi intorno.

Samantha lanciò nuovamente uno sguardo alla pony grigia e un brivido la attraversò: c’era qualcosa nei suoi occhi freddi e nella sua compostezza maniacale che la metteva estremamente a disagio. Oltretutto il suo ignorarla in maniera così smaccata rendeva l’atmosfera ancora più pesante.

Lentamente, altri pony della squadra ebbero il loro cutie mark applicato sui fianchi: Lasseter alla fine aveva scelto una mazza da baseball, in quanto ci giocava sempre da puledrino. Sarang si era fatto stampare una banale pila di libri, anche se a suo dire i nomi sui dorsi erano tutti appartenenti ad importantissime opere equestriane di almeno due secoli prima.

Fu il turno di Watts: la pony grigia si diede una lieve spinta e senza dire una parola fluttuò con sguardo fisso verso Waxford fermandosi delicatamente vicino a lui. «Uno smeraldo» disse con voce quasi robotica, e nessuno osò chiederle come mai: persino Springer non scherzava affatto con lei. Forse ancora più irrequieto di prima, il tecnico eseguì l’ordine ed in pochi minuti la misteriosa pony cinerea ebbe sui fianchi un brillante smeraldo dal profondo verde come i suoi occhi.

Dopo che Watts si fu spostata, Waxford rivolse timidamente lo sguardo verso Sammy, la quale era rimasta tutto il tempo in disparte a fissare il vuoto, anche dopo che Sparkey si era allontanato. Assorta nei suoi pensieri, continuava a rigirarsi ossessivamente quella pistola tra gli zoccoli, mentre la sua folta chioma rossa volteggiava libera nell’aria.

La pony perlacea si sentì improvvisamente dare dei buffetti sulla testa e udì la possente voce del colonnello Springer alle sue spalle «Ehi novellina. Guarda che manchi solo tu»

Malgrado avrebbe voluto strappare gli zoccoli a quell’idiota, Sammy si sentiva troppo scombussolata per reagire. Si limitò a girarsi per notare come tutti avessero per l’ennesima volta gli occhi puntati su di lei. Il generale Pimpez se ne stava ancora appoggiato alla fiancata della nave con uno sguardo annoiato: la fissò per un secondo e fece un cenno con la mano invitandola verso la postazione di stampa.

Samantha fece un respiro e si spinse verso Waxford mentre tutti la fissavano: non capiva davvero il perché questo succedesse ogni volta. Forse perché la consideravano davvero una novellina incapace ed erano curiosi di vedere cosa avrebbe combinato. Persino prima quando aveva preso in zoccolo la pistola tutti si erano messi a ridere. Si, beh, grazie al cazzo: lei odiava quella roba, odiava quei coglioni di militari e non le fregava nulla di non aver brillato durante l’accademia. Lei era un ingegnere, aveva studiato e sapeva molta più roba di quei quattro bifolchi arroganti che la stavano prendendo in giro, buoni solo a menar gli zoccoli.

Dopo aver fatto una smorfia tra sé e sé si trovò faccia a faccia col titubante tecnico di stampa che la fissava in attesa di un segnale: già nella normalità Waxford non la salutava mai quando si incrociavano in corridoio per la sua timidezza, quindi in quella situazione il pony si stava letteralmente sciogliendo su sé stesso.

Era il momento di scegliere il suo cutie mark. In realtà non ci aveva pensato affatto fino a quel momento visto che la cosa le creava davvero una grande ansia: ricordava ancora quando da piccola ad Equestria come ogni puledrina sognava il giorno in cui avrebbe ottenuto il suo cutie mark. Quando arrivarono a Pimpaina suo padre non le disse mai che la mancanza di magia su quel pianeta non le avrebbe mai fatto ottenere il suo, ma la piccola cominciò ad intuire la cosa quando vide i suoi genitori tingersi i fianchi quasi quotidianamente per nascondere il loro. Fu un colpo terribile per Sammy, ma anche e soprattutto per sua madre: Crystal Shine aveva un cutie mark meraviglioso che tutti avevano sempre adorato. Il suo fianco era adornato da una serie di diamanti tagliati in modi diversi che splendevano quasi come fossero veri: lo aveva ottenuto per caso con dei rubini che aveva trovato in una grotta sotto Canterlot e da allora era diventata una delle più abili nel taglio delle pietre preziose di tutta Equestria; così tanto da avere avuto degli ordini di diamanti dalla principessa Celestia in persona. E una volta a Pimpaina aveva dovuto ricoprirlo con la pittura dello stesso colore del suo manto beige e aveva cambiato nome in Melanie Betz, trasformandosi in una pony frustrata e perennemente depressa. Una pony che non aveva saputo o non aveva potuto prendersi cura di sua figlia.

Samantha scosse la testa per liberarsi da quei pensieri e cercò di trovare qualcosa da dire al tecnico di stampa. I secondi passavano e tutti fissavano Sammy iniziando quasi a spazientirsi, ma la pony proprio non sapeva cosa scegliere: era un argomento troppo delicato per lei per poter pensare serenamente. Improvvisamente però, una luce le riempì gli occhi ed una inattesa tranquillità avvolse il suo corpo e la sua mente.

Sapeva cosa dire. Prese coraggio e la sua voce riempì il silenzio assordante della sala.

«Una piuma di gabbiano»

  
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