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Autore: EleAB98    16/06/2022    2 recensioni
Malcom Stone è un pretenzioso caporedattore, nonché affascinante quarantenne con una fissa smodata per le belle donne. Ma arriverà il giorno in cui tutto cambierà e l'incallito casanova sarà costretto a fare i conti con i propri demoni interiori, e non solo quelli... Riuscirà mai a guardare oltre l'orizzonte? Ma soprattutto, chi lo aiuterà nell'ardua impresa?
[...]
Gilberto Monti è un giornalista affermato. Oltre a ricoprire una posizione lavorativa più che soddisfacente, ha appena esaudito uno dei suoi più grandi sogni: sposare la donna che più ama. Ma è davvero tutto oro quello che luccica?
[...]
Alex Valenza, un reporter piuttosto famoso, è alle prese con una drammatica scoperta che lo porterà a chiudersi, a poco a poco, in se stesso. A nulla sembra valere il supporto della moglie. Riuscirà a ritrovare la serenità perduta?
*Opera Registrata su Patamù*
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo XVI – (Non) Fai Rumore



Un intero mese. Era trascorso un mese esatto da quando avevo tagliato i ponti con Benedetta. Non che lo avessi davvero voluto, il mio più recondito desiderio sarebbe stato quello di continuare a confidarci come ai vecchi tempi e come se nulla fosse, ma era ovvio che tra noi fosse ormai calato il gelo. Un muro imponente, un muro costellato da interminati spazi e sovrumani silenzi, avrebbe detto il mio caro Leopardi. Per quanto mi costasse ammetterlo, sentivo la mancanza del nostro rapporto. La mancanza di quelle telefonate anonime che, più di tutto, mi avevano restituito quella speranza, quella joie de vivre, quello spirito audace di cui per tanto, troppo tempo, avevo fatto a meno. Benedetta aveva riaperto in me una voragine piena di sentimenti positivi. Senza neanche avvedermene, avevo ripreso confidenza con ogni singola parte di me. Con il mio corpo, con il mio cuore. Con il mio tutto, o quasi. Mancava soltanto il cervello, ma, in buona sostanza, avevo fatto pace con tutto quanto. E la mancanza del suo sorriso, di quel sorriso, del buonumore e dell'ottimismo che lei riusciva sempre a sprigionare, nonché a infondermi, si stava facendo sentire più del normale. Sentivo che, dentro di me, lei faceva rumore. Fin troppo rumore. A quel pensiero, il mio cuore perse un battito.

Soltanto in questi ultimi tempi, mi ero accorto di quanto la sua presenza mi avesse fatto davvero bene e, forse, mi aveva persino impedito di cadere di nuovo in un baratro foriero di subdole tentazioni e pochezza interiore. Ammetto che, sul finire dell'anno precedente, avevo percepito di nuovo l'ombra di un'amarezza che mi avrebbe ucciso definitivamente, se solo non l'avessi incontrata. Durante quella sessione di jogging, mi ero scontrato con quella ragazza, e da allora non mi era più passato per la testa di tornare a chiudermi in me stesso. Con lei avevo condiviso tanto, mi ero aperto come mai avevo fatto con le altre donne, e questa era una prova del fatto che di lei mi fidavo. Oltre alla fiducia, però, vigeva una stima profonda.

Non erano state rare le volte in cui ci avevano chiesto se io e lei stessimo insieme, soprattutto quando andavamo a fare colazione prima di scappare al lavoro; tanta era la complicità e la confidenza che si era creata. Ero sempre io a rispondere, con la tipica nonchalance di cui spesso mi servivo – accompagnata, tra l'altro, da un risolino sommesso – che io e lei eravamo dei semplici colleghi, e nulla più. Non mi ero mai premurato di indagare a fondo sui sentimenti che lei, a quanto pare, aveva sempre nutrito per me, forse perché, in sordina, inconsciamente, non tolleravo l'idea di continuare a lavorare senza di lei. L'idea di poterla istruire, di poterla guidare alla stesura dei vari articoli e schede redazionali, era diventato il mio scopo di vita, o quasi. Adesso, però... quale sarebbe stato il mio scopo? Ne avevo ancora uno? Non sapevo rispondere a questa domanda.

Sapevo soltanto che Benedetta, per certi versi, mi aveva cambiato. Mi aveva aperto le porte a un mondo nuovo, o forse me l'aveva fatto riscoprire. Megan, invece, mi aveva aperto un mondo che, se all'inizio mi era parso meritevole di essere scoperto, successivamente mi era solo parso pieno di ricordi, di vecchie ferite, di inganni e recriminazioni. Sicuramente, per lei avevo provato qualcosa che andasse ben oltre l'attrazione, ma non ero certo di poterle provare ancora. Non ne ero certo perché, le ultime volte che avevo incrociato il suo sguardo, vi avevo visto soltanto il riflesso del tradimento. Lei mi aveva ingannato fin dall'inizio, facendosi passare per quella che non era. Lei, pur respingendo le mie avances da casanova, mi aveva sedotto, mi aveva fatto il lavaggio nel cervello. Ed eravamo finiti a letto insieme. Ero stato soltanto un pupazzo nelle sue mani, il disegno di una terribile e insospettabile vendetta, e adesso... non avrei voluto esserlo di nuovo.

In verità, non sapevo neppure io cosa volevo. Sapevo che tra me e lei, come tra me e Benedetta, c'era un qualcosa di irrisolto, un qualcosa che forse esigeva delle risposte, ma non sapevo se assecondare o meno quel folle proposito. Non ero mai stato un uomo facile, e i tradimenti non riuscivo proprio a tollerarli. Per quanto mi sforzassi, non potevo ignorarli. Consideravo la cosa contro natura. Ero disposto a concedere perdono, ma quasi certamente non ero disposto a fidarmi di nuovo. Questo ero io; e Megan, come qualsiasi altra persona, avrebbe dovuto saperlo.

Benedetta, di sicuro, non aveva nessuna colpa. Sentivo di dover recuperare il nostro rapporto, ma non sapevo in che modo. Sentivo, allo stesso tempo, di dover affrontare Megan, ma anche in questo caso non sapevo cos'avrei mai potuto dirle. Sospirai, indeciso sul da farsi. Intorno a me, una caterva di persone si muoveva a suon di musica, mangiava e beveva immergendosi in una bolla esente da preoccupazioni, dubbi o qualsivoglia quisquilia. Paradossalmente, in mezzo a tutto a quel caos, io mi sentivo solo. Solo e indifeso. Solo e in combutta con le mie paure. In combutta con un qualcosa a cui non sapevo dare un nome. Mi voltai, quindi scrutai con attenzione la folla. Megan doveva pur essere lì in mezzo, da qualche parte. I miei piedi si mossero da soli, quindi cominciai a districarmi tra la folla. Se l'avessi trovata, magari avrei potuto... cos'avrei potuto fare? Ancora una volta, non lo sapevo.

Estrassi una sigaretta dalla tasca e decisi di arrendermi ancor prima di iniziare a cercarla. Uscii dalla porta del locale, sconfitto e non meno confuso. Mi bastò accendere la sigaretta e guardare davanti a me, per sussultare all'istante. Anche Megan se ne stava lì fuori, inerme come una statua di sale, appoggiata a un muricciolo di mattoni, lo sguardo rivolto alla sua sinistra. D'un tratto, si voltò a guardarmi. Nessuno dei due proferì parola. Quel silenzio innaturale ci avvolgeva come la più triste delle carezze, come la più struggente delle melodie.

«Come mai qui? Credevo stessi festeggiando la tua vittoria», proferì lei d'un tratto, con un tono di voce così flebile che a malapena udii.

«Potrei dire lo stesso di te.»

«Ho troppi rimpianti per poter festeggiare come si deve.»

Scrollai le spalle. «Ah, quelli li abbiamo tutti. Bisogna soltanto imparare a conviverci.»

«E come si fa?»

«Bah, non saprei... magari, non so, si potrebbe... si potrebbe cominciare dall'essere sinceri.»

Megan mi si avvicinò, una profonda mestizia nei suoi occhi. «Malcom, ascolta—»

«Mi hai già chiesto scusa. Non affannarti dal farlo di nuovo.» Portai di nuovo la sigaretta alle labbra e l'aspirai a tutta forza. Mi sentivo più nervoso del solito.

«Non mi perdonerai mai, non è così?»

Per un attimo che sembrò eternità, non le risposi. «Toccare la mia famiglia è stato davvero ignobile da parte tua. Ma questo non devo certo dirtelo io. Quello che mi chiedo è...» Scandagliai il suo guardo da cima a fondo. «Come si può perpetrare un simile gesto per una persona per cui hai asserito di provare un sentimento? E come posso io averti paragonato, seppur inconsciamente, a mia moglie Melissa? Tu e lei potreste anche somigliarvi fisicamente, ma ti assicuro che siete diversissime. In fondo, me l'hai dimostrato, no?» Scossi la testa. «Non so proprio come abbia potuto farmi abbindolare da te.»

«Mi chiedo la stessa cosa, sai? Mi sono innamorata di te senza nemmeno accorgermene. Per molte settimane, ho creduto che negarlo a me stessa fosse la cosa migliore, ho creduto non fosse giusto provare dei sentimenti per un mio collega di lavoro. Per un dongiovanni incallito come te. Che però, a quanto pare, ha sofferto davvero tanto nella vita. E che ha scelto di darsi a tante donne solo per cercare di combattere il dolore. Mi dispiace di averti fatto del male, non lo meritavi.» Le scese una lacrima, quindi stentò dal trattenere tutta la disperazione che vedevo nei suoi occhi. «Questi ultimi tre anni sono stati un inferno, senza di te. Ho fatto tante scelte sbagliate. Da quando ti ho incontrato, ho commesso solo errori.»

«E questo non ti dice niente? Quando siamo... quando siamo stati a letto insieme, anch'io ho capito di aver sbagliato tutto. Senza rendermene conto, stavo rivivendo un déjà-vu. Stavo tornando nel passato, pur vivendo nel presente. Abbiamo iniziato col piede sbagliato. Tu per la tua sete di vendetta, io per la mia sete di voler tornare ad assaporare un sogno che, purtroppo per me, non potrò contemplare mai più.»

Gli occhi di Megan si riempirono di altre lacrime. «Mi stai dicendo che... che anche il nostro rapporto è stato un errore?»

«Non c'è mai stata una relazione, Megan. Io—»

«Ma io ti amavo! Quando siamo stati insieme, io ero già innamorata di te! E quando ti ho sentito pronunciare quel nome... mi sono sentita come se qualcuno mi avesse strappato il cuore dal petto. Ho provato una delusione, una sofferenza atroce di cui tuttora porto i segni. Un dolore mai provato prima. In quel momento, ho capito che c'ero dentro. Che sin dal primo momento che ti avevo visto, era già scattato un qualcosa, dentro di me. Che ti avevo sempre amato, malgrado l'avessi negato fortemente a me stessa.»

«Già. Mi amavi... però volevi portare a termine il tuo losco piano», ribattei con aria sardonica, segretamente scosso dalle sue parole ma non così coinvolto come forse, fino a qualche anno prima, mi sarei aspettato.

«Non l'avrei mai fatto, non dopo quella notte. Ti avrei detto tutta la verità, ti avrei detto tutto quello che per troppi anni mi sono portata dentro. La morte di mio padre mi ha distrutta. Il suo suicidio, per me, è tuttora inaccettabile.»

«Ma la colpa non è stata mia, per Dio! La colpa non è stata nemmeno di mio padre!» gridai, con tutto il fiato che avevo in gola. Potevo ben comprendere la sua sofferenza, ma, al tempo stesso, non riuscivo ad accettare che avesse meditato quella vendetta ai danni di colui che mi aveva fatto nascere.

Megan si azzittò all'istante. Io schiacciai la sigaretta con la punta delle scarpe, quindi feci un bel respiro. Dovevo darmi una calmata, dentro di me c'erano sin troppe sensazioni contrastanti in procinto... di esplodere. «Scusami tanto, non volevo alzare la voce», dissi infine, guardandola a malapena.

«Anch'io mi sono sentita tradita, Malcom», rispose lei, con tutta la calma del mondo. «Sentirti pronunciare il nome di Melissa in quel momento, è stato come un fulmine a ciel sereno. Come se mi fossi risvegliata da una favola. Tu stavi bene, io stavo bene... non è stato solo sesso, e lo sai anche tu.»

«Sì. Questo lo so anch'io, hai ragione. Ma temo che questo non basti per cancellare il passato. Immagino quanto sia stato orribile per te, e ti chiedo scusa per questo. Io, in realtà... credo di non aver mai dimenticato Melissa. Quando ti ho incontrata, lei continuava, ininterrottamente, a far rumore, dentro di me. E io riuscivo ancora a percepirla. Se l'ho nominata proprio in quel momento, evidentemente... evidentemente non ero pronto a voltare pagina. Capisci?»

I nostri sguardi s'incatenarono per un istante tanto breve quanto intenso. «E adesso... adesso saresti pronto?»

Feci un mezzo sorriso, incredulo del fatto che mi avesse posto quella scomoda domanda. C'era così tanto, dentro di me. Così tanto da capire, da sviscerare, da analizzare. Per un istante, ripensai a quelle telefonate anonime, e non potei esimermi dall'essere sincero. «Nell'ultimo anno, ho conosciuto una ragazza. Io e lei lavoriamo insieme, e...» Mi bloccai di colpo, non sapendo come continuare il discorso.

«E?» domandò lei, col fiato sospeso.

Tornai a guardarla. «Grazie a lei, ho capito che non voglio passare il resto della mia vita da solo. Non più, almeno.» Buttai fuori tutto così, d'un fiato. Finalmente, l'avevo ammesso ad alta voce.

«S-sei... sei innamorato di lei?» La sua voce fu più che un sussurro.

Feci spallucce, rigirando a me stesso quella domanda. «So soltanto che non voglio più combattere contro un qualcosa che potrebbe regalarmi un'immensa felicità. Grazie a te, ho riveduto me stesso e le mie priorità. Ho avuto l'opportunità di chiudere, una volta per tutte, con il passato. Grazie a lei, ho riscoperto me stesso. Ho riscoperto che ricominciare è possibile.»

Senza preavviso, mi sfiorò la mano. Non la ritrassi. «Ora più che mai sono consapevole di essere stata, sin dall'inizio, il frutto di un tuo ricordo, Malcom. Però... io non sono Melissa. Sono solo Megan. E in questi anni... Dio, sapessi quanto mi sei mancato! Come l'aria che respiro. Ti prego, dammi un'altra possibilità. Se poi... se poi ti scoprirai innamorato di quell'altra ragazza, o se sceglierai di non perdonarmi, ti prometto che sparirò per sempre dalla tua vita.»

Scossi la testa, sempre più meravigliato dalla piega che aveva preso quella conversazione. «Megan, io non credo che—»

«Ti prego. Diamoci un'opportunità. Una vera, questa volta.» Si avvicinò al mio viso, la sua mano sempre vicina alla mia. Senza concedermi replica alcuna, si fiondò sulle mie labbra, baciandomi appassionatamente. Non le risposi nell'immediato, ma poi ci provai, e mi lasciai andare. In un momento, mi ricordai alla perfezione di quelle labbra incastonate nelle mie, ma, al tempo stesso, mi parvero estranee. Forse, avevo preso consapevolezza del fatto che Megan fosse solo Megan, appunto. Che non vi era alcuna traccia di Melissa. Né del suo odore, né di qualsiasi altra specifica che me la ricordasse. Riaprii gli occhi, quindi mi staccai da quelle labbra un attimo dopo. Per qualche assurdo motivo, non ero riuscito a spegnere del tutto il cervello. «Scusami tanto, ma adesso devo proprio andare.» La lasciai lì come un salame e, guardandola a malapena, rientrai nel locale, colto da una stranissima paura.

Quel bacio, a differenza dell'ultimo che avevo dato un mesetto fa, non mi sembrava avesse fatto troppo rumore.

 

N.d.A: Ho scritto quasi interamente questo capitolo sulle note di Fai Rumore di Diodato, una canzone che nell'ultimo periodo mi sta perseguitando; una canzone che, soltanto oggi, avrò ascoltato almeno per quindici volte di fila, in modo da terminare un capitolo che ha lasciato, dentro di me, sensazioni contrastanti, al pari di quelle provate da Malcom. 

Comunque vada, qualunque cosa possa avere in serbo per i personaggi di questa storia, spero proprio di seguire, come ho sempre fatto, solo e soltanto il mio cuore.

Un abbraccio,

Eleonora.

   
 
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