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Autore: sheikahwarriork    18/06/2022    0 recensioni
Tutti desiderano avere il potere di non morire mai, ma cosa succede quando questo viene percepito come una maledizione?
(Dimileth)
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Byleth Eisner, Dimitri Alexander Blaiddyd
Note: Soulmate!AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sapeva che prima o poi sarebbe successo.
Lo sapeva dal momento in cui rughe iniziarono a solcare il suo volto, mentre il volto di lei rimaneva impassibile.
Impassibile come lo era stato da tanti anni, prima di incontrare lui.
Proprio lui, che le aveva insegnato a sorridere; proprio lui, che le aveva insegnato a ridere; proprio lui, che le aveva insegnato a vivere.
Proprio lui, steso su quel letto, che le stringeva una mano con una forza sempre più debole. Proprio lui, che le aveva insegnato così tante cose, la stava abbandonando.
Come lei aveva abbandonato lui, ma non del tutto. Questa volta sarebbe stato definitivo. Questa volta sarebbe stato per sempre.
“Mia amata…”
“Shh”, sussurrò Byleth. “Non c’è bisogno di parlare”.
“No, mia amata…” un colpo di tosse interruppe le sue parole. “Io voglio che tu sappia che… nessuna frase sarà mai in grado di esprimere quanto sono stato grato di averti conosciuto”.
Byleth si portò la sua mano alle labbra. “Lo so, amore mio”, disse piangendo. “Non sprecare il tuo fiato. Sono sicura che-“
“No”, la interruppe. “Io… so che il mio momento è giunto. Ma non è un problema, mia amata. Troverò il modo di tornare. Tornare da te. Niente è in grado di placare il mio amore nei tuoi confronti… Ti chiedo solo di aspettarmi, mia amata. Sono sicuro che… che…” Un altro colpo di tosse. “Prima o poi, io…”
“Dimitri” sussurrò Byleth. “Non amerò nessun altro dopo di te. Che passino cento anni, che ne passino mille. Non ti dimenticherò mai. Sei l’amore della mia vita, e sempre lo sarai. Te lo prometto”.
Un leggero sorriso triste fece capolino sulle sue labbra. “Ancora mi chiedo… come ho fatto a meritarmi un angelo del genere…”
“Dimitri…”
“Le tue mani… sono così calde. Lo sono sempre state?”
Il re del Faerghus chiuse gli occhi.
L’Arcivescova smise di vivere.
 
Il re del Faerghus non fu l’unica ad abbandonarla definitivamente.
Il primo fu Ashe. Un incidente, una cosa perfettamente evitabile; una rivolta nello Sreng che aveva richiesto l’intervento dei Cavalieri del Faerghus. Una freccia non vista. Un affondo troppo preciso. Un fendente non schivato. I nemici lo assalirono e i suoi alleati non poterono fare nulla per aiutarlo. Vennero trucidati tutti. A casa tornò solo la sua armatura e il suo arco, custoditi amorevolmente dalla moglie Marianne, che poco tempo dopo seguì il suo amato.
Il secondo fu Felix. Il giorno dopo, Sylvain. Entrambi avevano chiuso gli occhi una sera e non li avevano più riaperti. Ingrid riuscì a gestire bene la morte del marito, si prese cura dei loro figli e dei loro innumerevoli nipoti finché non spirò anche lei. Annette reagì in modo opposto; dopo la morte di Felix, non cantò mai più, e mai più cantò.
Un malore improvviso colse Dedue; nonostante le incredibili arti magiche di Mercedes, la donna non poté fare nulla per salvarlo.
Era rimasta solo Mercedes. La dolce, gentile, amorevole, Mercedes aveva perso la luce negli occhi, ma manteneva saldo il suo caloroso sorriso. Nonostante la morte del suo migliore amico, nonostante la morte della sua prima amica, nonostante la morte dell’amore della sua vita, non aveva perso il suo sorriso.
Un giorno, Mercedes fece chiamare Byleth, che da tempo si era ormai ritirata dalla carica di Arcivescova.
“Professoressa”, esordì Mercedes con il suo solito sorriso. Era seduta su una sedia a rotelle; da tempo aveva perso l’uso delle gambe, ma non delle mani, ora intente a ricamare una piccola coperta.
Byleth si lasciò sfuggire un piccolo sbuffo. “Sono passati così tanti anni, che ancora mi chiamate… mi chiami in quel modo”.
Le mani di Mercedes si fermarono per qualche secondo mentre l’altra pronunciò quel verbo al plurale, ma nessun commento venne fatto a riguardo.
Mercedes sorrise ancora. “Le vecchie abitudini sono dure a morire, eh? Perdonatemi, per me sarete sempre la mia cara professoressa”.
Byleth si sedette su una poltrona davanti alla sedia di Mercedes. Era grata del suo invito, ma al contempo non riusciva a coglierne il perché. Era dalla morte di Dedue che Mercedes non riceveva o accettava visite.
“Sapete che, all’Accademia, insegnai a Dimitri a cucire?”
Byleth si immobilizzò. Era da quindici anni che quel nome non veniva pronunciato ad alta voce. Il re, il re salvatore, il re santo, il re defunto.
Senza riuscire a controllarla, una piccola goccia fece capolino dall’occhio di Byleth. “No, non me l’aveva mai raccontato. Ma questo spiega quel buffo centrino che mi regalò per il nostro decimo anniversario”.
Mercedes si lasciò sfuggire una piccola risata. “Era un tale disastro! Ma era anche un ottimo allievo. Ci mise mesi a preparare quel centrino per voi. Ero così orgogliosa di lui, che non avevo il cuore di rimproverarlo per il quinto paio di forbici che ruppe”.
Lo sguardo di Byleth passò da Mercedes al pavimento. Il silenzio calò su di loro.
Le mani di Mercedes smisero di ricamare e si posarono su quelle strette a pugno di Byleth.
“Professoressa”, disse Mercedes. “Ho una sola, ultima preghiera per la Dea. Credete in lei. Sono sicura che non è sparita definitivamente dal nostro mondo. Ci osserva e ci protegge. E farà di tutto per esaudire il mio desiderio. Ne sono sicura. Sii fiduciosa anche tu, Byleth”.
Byleth non capì mai il messaggio oscuro di Mercedes, e il giorno dopo la donna chiuse gli occhi per sempre.
 
Le giornate, le settimane, i mesi e gli anni non avevano più significato per Byleth. Il tempo non aveva più significato. Il tempo, proprio l’oggetto del suo misterioso potere, l’aveva completamente sconfitta. Nessun battito divino poteva riportare in vita coloro che se ne erano andati, perché a differenza di lei, avevano un tempo contato.
Lei no.
Lei continuò a sopravvivere senza vivere.
Seteth e Flayn si ritirarono presso la baia dove c’era la tomba della loro amata moglie e madre, in una piccola casa di mattoni, vivendo di pesce fresco e verdure coltivate da loro stessi. Avevano invitato Byleth, ma lei aveva rifiutato. Decise di vagare per un Fodlan in continuo mutamento come per anni aveva fatto con il padre. Per quanto sapesse che ormai facevano parte della sua famiglia, Byleth percepiva sempre un certo distacco tra lei e i due Figli della Dea. Erano come lei, e al contempo erano diversi. Loro avevano accettato la loro immortalità, avevano imparato a decifrare gli anni come semplici secondi.
Lei no. Lei non ancora.
Lei non poteva permetterselo.
 
Non aveva mai capito bene fino in fondo cosa intendeva il suo amato quando parlava dei suoi fantasmi. Dopo che anche Mercedes se ne fu andata, Byleth infine capì. Le figure dei suoi amati allievi emergevano ogni sera dalle ombre, limitandosi ad osservarla in silenzio. Non gridavano, non piangevano, non chiedevano vendetta; si limitavano ad osservarla. In silenzio. Un silenzio assordante. Byleth avrebbe quasi preferito che le urlassero qualcosa, che le dicessero qualcosa, che facessero qualcosa.
A volte alcune scomparivano, per riaffiorare dopo anni. O secondi. O secoli. Byleth non avrebbe saputo dirlo.
Una figura mancava però sempre all’appello.
Quella di lui.
E Byleth non avrebbe saputo dire se era terribile così o se sarebbe stato peggio nell’altro modo.
 
Dopo anni, o forse mesi, o forse secoli, o forse settimane, l’eterno vagare di Byleth la riportò nei pressi del Garreg Mach. Non aveva idea di cosa ne era stato; se era ancora attivo, se la Cattedrale era ancora viva, se l’Accademia esisteva ancora. Se la sua vita aveva ancora qualche appiglio a cui aggrapparsi.
Arrivò fino ai cancelli d’ingresso che davano su quello che un tempo era il piccolo mercato del monastero. Nessun’anima all’orizzonte. I cancelli erano chiusi, ma talmente arrugginiti che non fu difficile spalancarli. Fu immediatamente chiaro che il monastero era stato completamente abbandonato a sé stesso.
Possedute da una spinta incontrollabile, le sue gambe iniziarono a camminare ed esplorare tutto il monastero. Il salone d’ingresso, dove aveva incontrato Gilbert (o Gustave) la prima volta. Il refettorio, dove aveva gustato tanti pasti con gli allievi della sua casa e non solo, stringendo legami che erano destinati a farla soffrire. Il piccolo stagno, dove Shamir aveva tenuto il torneo di pesca per Flayn. La serra, dove per la prima volta aveva avuto occasione di parlare in privato con Dedue. Le camere degli studenti; riconobbe immediatamente quella di Bernadetta (che aveva avuto occasione di vedere una sola volta) dagli innumerevoli pupazzi di seta, manoscritti e dipinti. Il campo marzio, dove poteva vedere Felix e Ingrid allenarsi mentre Sylvain li osservava sonnecchiando. Le stalle, dove aveva potuto assistere al fiorire dell’amore tra Ashe e Marianne, entrambi amanti dei cavalli. La biblioteca, dove aveva speso infinite ore con Annette a studiare. La cattedrale, meta fissa di Mercedes.
E li vedeva, li vedeva tutti; vedeva Gilbert, vedeva Shamir e Catherine e Alois, vedeva Dedue, vedeva Bernadetta, vedeva Felix e Ingrid e Sylvain, vedeva Annette, vedeva Mercedes.
Ma non vedeva lui.
E lei sapeva dove trovarlo.
Ma non poteva andarci. Non ci riusciva. L’incantesimo che aveva colpito le sue gambe si infranse quando Byleth fece per aprire la porta della Torre della Dea.
“Devi imparare a dimenticare”, le diceva ogni volta Seteth.
Ma come poteva?
Come poteva lasciarli andare, lasciarlo andare? I suoi primi amici, il suo unico amore, la sua famiglia.
Come facevano Seteth e Flayn a sopportare tutto questo?
Con che coraggio stringevano legami con gli umani quando il loro destino era lasciarseli alle spalle per sempre?
Forse sarebbe stato meglio non averli incontrati affatto…
No. Era grata del tempo che aveva trascorso con lui, con loro, con tutti. Le loro ombre non erano altro che un memorandum della loro esistenza. La loro ultima testimonianza.
Ma perché lui non c’era mai? Perché non era ancora arrivato?
Se Byleth non si fosse allontanata dalla Torre della Dea, avrebbe trovato la risposta.
 
Dopo settimane, o forse secoli, o forse mesi, o forse anni, Byleth andò a trovare Seteth e Flayn. Li ritrovò come li ricordava, senza una ruga o un capello più lungo del solito. Accettò passivamente il the e i biscotti che i due le offrirono, fece le solite domande di circostanza, fece i complimenti per il nuovo arredamento.
“Ti piace davvero, professoressa? Oh, come sono contenta!” esclamò Flayn. “Ho preso ispirazione da una cosa che si chiama… com’era?... rivista di arredamento! È una branca dell’arte a me del tutto ignota, ma sono grata di averci messo le mani sopra!”
Arte. Dipinti. Bernadetta. La tazza cadde dalle mani di Byleth. La donna si scusò e liquidò in fretta gli sguardi preoccupati di Seteth e Flayn.
Seteth la scrutò per qualche secondo, poi prese un respiro profondo. “Byleth, non puoi continuare così. Devi andare avanti”.
“Non so di cosa parli”.
“Non puoi continuare a vagare per il Fodlan cercando di rivivere la tua vita e le tue battaglie con loro. Devi conoscere altre persone. Rifarti una vita”.
Byleth scattò in piedi. “E come pensi che io possa riuscirci?!” urlò cercando di trattenere le lacrime. “Loro… avevo promesso che li avrei salvati. Ma alla fine… non ce l’ho fatta. Lo so! Lo so che… prima o poi sarebbe stato inevitabile. Ma avrei potuto salvare Ashe. Avrei potuto trovare una cura per Dedue. Avrei potuto consolare meglio Annette. Avrei potuto evitare che Bernadetta morisse da sola nella sua camera! Io glielo avevo promesso… avevo promesso…”
Poteva sentire gli sguardi carichi di rammarico di Flayn e Seteth, ma ormai non le importava più. Lasciò scorrere le sue lacrime, lacrime che per tanto tempo aveva trattenuto. Pianse per minuti, o forse ore, o forse secondi, o forse anni. Pianse finché non crollò addormentata sulla sedia, esausta.
Esausta di tutto.
 
Aveva perso suo padre.
Aveva perso Sothis.
Aveva perso l’amore della sua vita.
Aveva perso tutti i suoi amici.
Cosa intendeva Mercedes, quel giorno?
 
“Ho sentito che il monastero del Garreg Mach è tornato attivo”, le disse Seteth un giorno.
Byleth alzò un sopracciglio. “In che senso?”
“Sembra che abbiano ripristinato la funzione religiosa della Cattedrale. La maggior parte del monastero è diventata un museo, ma si vocifera che vogliano spostare alcune aule dell’università del Garreg Mach proprio nella vecchia Accademia”, spiegò Seteth.
Byleth non disse nulla.
“Forse… forse ti farebbe bene andarci”.
Byleth rise sprezzante. “E per fare cosa?”
“Per lasciar andare i tuoi fantasmi, professoressa”, rispose Flayn. “Anche loro hanno diritto al riposo”.
Sospirò. “E sia”.
 
Per la prima volta da secoli, Byleth attraversò i cancelli di ingresso del Garreg Mach. Il luogo aveva completamente cambiato aspetto dall’ultima volta che c’era stata. Era chiaro che la vita aveva ripreso a scorrere nel vecchio monastero, anche se in modo diverso da come lei era abituata. Vedeva studenti camminare a passo spedito con pesanti libri in mano, ma anche persone con strani congegni rettangolari che puntavano verso i punti più interessanti del monastero.
Distrattamente iniziò a vagare per il monastero, finché qualcuno non la fermò.
“Signorina, posso chiederle il biglietto?”
Byleth piegò la testa, confusa.
“Non parla la mia lingua, signorina?”
“Certo che la parlo. Cos’è un biglietto?”
L’uomo la guardò a metà tra il confuso e l’arrabbiato. “Il biglietto per la visita. A meno che lei non sia una studentessa dell’università, ma in tal caso le devo chiedere il badge”.
Byleth era sempre più confusa. “Perché mi serve un biglietto per visitare il monastero?”
Di nuovo quello sguardo misto dall’uomo. “Perché è la regola. Senta, non ho voglia di chiamare altre guardie. Mi faccia il favore di passare alla biglietteria e dimentichiamo l’accaduto”.
L’uomo le indicò la ‘biglietteria’ e Byleth vi si diresse, ancora confusa. Il monastero era stato la sua casa per anni, ne era stata l’Arcivescova, e adesso aveva bisogno di un ‘biglietto’ per visitarlo?!
Byleth era così sovrappensiero che non si accorse del ragazzo dai capelli grigi e gli occhi verdi che con un sorriso le porse il suo biglietto.
Byleth era così confusa che non si accorse dell’alto uomo dai capelli argentati che stava osservando i fiori nella serra.
Non si accorse della ragazza dai capelli azzurri che accarezzava i cavalli nelle stalle.
Non si accorse della ragazza bionda che stava trascinando un moro e un rosso verso una delle aule.
Non si accorse della ragazza dai capelli viola che appena incrociò il suo sguardo si blindò dentro una stanza.
Non si accorse delle due donne nel campo marzio che osservavano le armi, facendo commenti celebratori sulle spade e sugli archi.
Non si accorse dei due uomini che pescavano placidamente al piccolo stagno.
Non si accorse della ragazza rossa che partecipava al coro; o della ragazza dai capelli color cenere che pregava silenziosamente nella Cattedrale, ma che sorrise amabilmente quando la notò andare verso la Torre della Dea.
Non si accorse che stava aprendo la porta della Torre della Dea. Non si accorse del cartello ‘Solo personale autorizzato’.
Non si accorse di salire le scale.
Non si accorse del sole nascente che illuminava la cima della Torre.
Ma si accorse di una cosa.
O meglio, di qualcuno.
Qualcuno intento ad osservare il panorama.
‘Avrei dovuto sapere che un giorno mi avresti dato la caccia anche tu’.
Il ragazzo biondo si voltò al suono dei passi di Byleth. I suoi occhi brillarono appena incrociarono il suo sguardo.
Sorrise.
“Ce ne hai messo di tempo, mia amata”.

 
   
 
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