Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Ricorda la storia  |      
Autore: PerseoeAndromeda    18/06/2022    0 recensioni
Nessuno lo avrebbe fermato, fino all’istante in cui il fisico non lo avesse abbandonato del tutto e nessuno di loro avrebbe potuto farci nulla, perché Armin era la creatura più testarda al mondo…
La più testarda, la più coraggiosa, la più volitiva…
E la più fragile.
[Fanfic scritta per il gruppo Facebook Fondi di caffè - Il tuo scrittoio multifandom]
Genere: Angst, Drammatico, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Armin Arlart, Jean Kirshtein
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Fanfic partecipante alla challenge La sfida dei 200 prompt, sul gruppo Facebook Fondi di caffè – Il tuo scrittoio multifandom
 
Fandom: Attack on titan
Titolo: Una piccola fiamma
Prompt: 2. Candela
Personaggi: Armin e Jean
Ship: Possibili implicazioni Eremin e Jearmin
Genere: introspettivo, angst, drammatico, hurt/comfort
Rating: giallo per tematiche delicate.
Note: Spoiler per chi non ha letto il manga e non ha ancora visto gli ultimi episodi. Presenza di tematiche fortemente delicate, malattia del corpo e dell’anima, PTSD a palate, problemi psicologici pesanti. Non è una fic felice insomma XD
 
 
UNA PICCOLA FIAMMA
 
Seguì il flebile lume, consapevole che gli avrebbe indicato dove trovare colui che cercava.
Varcò la soglia della stanza e, poco oltre, Jean si fermò, sul confine tra il buio assoluto e la debole aura proiettata da una piccola fiamma prossima a estinguersi: già aveva cominciato a fondersi con la cera e presto, in essa, si sarebbe dissolta.
Il ciclo vitale di una candela è breve, pensò Jean e, suo malgrado, il pensiero tornò a quello che era stato, fino a non troppo tempo prima, il destino dei mutaforma.
Non esistevano più i titani, quindi anche la maledizione avrebbe dovuto essere stata debellata una volta per tutte.
Eppure…
La prospettiva di una vita lunga e felice che Eren aveva desiderato per loro sembrava non doversi avverare…
Per uno di loro soprattutto.
Colui al quale, più di ogni altro, Eren avrebbe desiderato donarla.
Sofferenza e dolore scandivano le sue giornate, il fisico lo tradiva, un’altra maledizione sembrava essersi accanita contro di lui e nessuno riusciva a trovare una spiegazione.
Perché lui, più di ogni altro?
Armin si consumava, si spegneva come quella candela.
Ogni giorno sempre più stanco e sempre più determinato a portare avanti la propria missione, annullandosi in essa.
Lui non esisteva più: esisteva solo la sua missione.
Nessuno lo avrebbe fermato, fino all’istante in cui il fisico non lo avesse abbandonato del tutto e nessuno di loro avrebbe potuto farci nulla, perché Armin era la creatura più testarda al mondo…
La più testarda, la più coraggiosa, la più volitiva…
E la più fragile.
Prendersi cura di sé, impegnarsi per stare meglio, nella sua concezione della propria esistenza non era contemplato.
Non c’era tempo, era la sua scusa di sempre, c’era troppo da fare, troppo cui pensare, c’era da lottare per mantenere una pace sempre più precaria.
Jean rimase qualche istante a fissare la sua schiena china, poi abbassò il capo, sentendosi improvvisamente pesante, oppresso da tutto quel dolore, da tutta la pena, da tutti i traumi che condividevano e che stavano portando Armin all’autodistruzione.
“Io non ce la faccio più”.
Non ce la faceva più, no.
Era una tortura anche per lui.
Temeva che, un giorno, una notte, sarebbe entrato in una delle tante stanze in cui Armin si rinchiudeva durante i loro interminabili viaggi e lo avrebbe trovato esanime, alla scrivania, l’ultimo respiro esalato su quelle carte impregnate di questioni diplomatiche da redimere, intrise dei suoi discorsi, con i quali riempiva fogli su fogli, senza esserne mai soddisfatto.
Continuava così, fino a notte fonda, non dormiva mai.
Si limitava a svenire, senza neanche accorgersene, quando il suo fisico si rifiutava di andare oltre.
Prese a camminare e giunse alle sue spalle senza essere udito, tanta era la capacità che Armin aveva di cancellare qualunque cosa non fosse il suo mondo fatto di parole…
Parole che voleva fossero utili a qualcosa e che continuava, nonostante tutto, a percepire inutili.
La penna correva sul foglio, sotto due occhi che sembravano allucinati, in preda ad una sorta di follia.
Quando era in quelle condizioni, a Jean faceva quasi paura.
Colse alcune parole.
Non si trattava di un discorso da tenere in pubblico.
Il comandante Arlert stava lavorando alle sue memorie.
Vergava parole su parole, al lume di una candela perché, in quella stanza, quel miracolo chiamato elettricità ancora non era giunto.
“I tuoi occhi” lo rimproverò mentalmente Jean. “Che ne sarà dei tuoi occhi, se ti ostini a torturarli lavorando al buio?”.
Gli occhi di Armin erano malati, a volte sanguinavano, misterioso lascito del colossale che era giaciuto dentro di lui e che forse, in qualche anfratto del suo essere, ancora restava e pretendeva il suo scotto.
La candela, ormai agli sgoccioli, emanava una luce insignificante, rendeva visibile solo un frammento di pagina, solo poche parole, tra le quali un nome spiccava, scritto più in grande, quasi la penna volesse dargli risalto in quel cerchio di luce.
“Eren…”.
Le labbra di Jean si trovarono a sussurrarlo, prima che potesse trattenersi.
La penna scivolò dalle dita e la testa di Armin si sollevò.
Le mani di Jean furono sulle sue spalle.
“Scusa… non volevo spaventarti”.
Gli rispose la mano di Armin, che si mosse all’indietro, a cercare la sua.
Il gelo che emanava la sua pelle fece rabbrividire Jean.
La candela ebbe un sussulto.
Jean venne aggredito da un pensiero angoscioso:
“Ti spegnerai prima tu, o quella candela?”
Rimase pensiero, ma non poté trattenere un sospiro.
“Ti prego, Armin” disse invece, il tono cupo e sconfitto. “Vai a dormire”.
Il sospiro di Armin fece eco al suo e il giovane si mosse, si chinò all’indietro, la sua nuca si appoggiò al petto di Jean.
Le braccia scivolarono giù dalla scrivania e oscillarono, abbandonate nel vuoto.
“Armin…”.
“Jean…”
Quella voce provocò un brivido nel più anziano: era l’essenza della stanchezza di esistere, un fioco soffio vitale che faticava ad esprimere la propria presenza.
“Mi… mi aiuteresti, Jean? Vorrei andare a letto, ma… non riesco…”.
La voce si spense in un nuovo sospiro, ma così sofferente che a Jean fece l’effetto di un rantolo d’agonia.
La fiamma della candela sussultò un’ultima volta e scomparve nel mucchietto di cera.
Jean sollevò quel corpo esanime con fin troppa facilità: era così leggero da sembrare privo di consistenza.
Non riuscì a trattenere un’ondata di lacrime.
Se non quella notte, prima o poi sarebbe successo: Armin sarebbe morto davvero tra le sue braccia e lui non avrebbe potuto farci niente.
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: PerseoeAndromeda