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Autore: Lady I H V E Byron    19/06/2022    2 recensioni
"Shredder, Stockman, Hun, i Dragoni Purpurei, gli Utron, i Triceraton, Savanti Romero, Karai, Bishop, Sh'Okanabo, Viral, Khan… tutti nomi che ormai appartenevano al passato."
Sono passati quattro anni dalla battaglia finale contro lo Shredder virtuale, ma non è ancora finita, per le Tartarughe Ninja. Presto si troveranno coinvolti in una nuova avventura, che riguarderà una coppa di fattura umile, Cavalieri Templari, Dimensioni Mistiche, visioni di un passato lontano, un nuovo nemico e un nuovo alleato.
Quale destino attende le Tartarughe Ninja?
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Nuovo personaggio, Raphael Hamato/ Raffaello
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Note dell'autrice: I'M BAAAAAAAAACK! Capitolo lungo, ma spero vi piaccia. Ci sono elementi della stagione delle TMNT 2003 che non è mai stata trasmessa in Italia (MALEDETTI!), gli episodi che seguono l'episodio: "Il Tribunale Ninja".
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Leonardo procedeva in silenzio. Elisabetta lo seguiva nel medesimo modo, con il cappuccio calato sulla testa e guardando in basso.

Dalla sera precedente, non si erano più rivolti la parola.

Leonardo, di tanto in tanto, si voltava, assicurandosi che lo seguisse. Non sapeva cosa dirle, e lei era troppo orgogliosa per chiedergli scusa per quanto avvenuto la sera prima.

Stavano ormai camminando da ore, dall'alba. Il sole era alto, quando un edificio con decorazioni da Giappone Feudale si palesò di fronte alla tartaruga ed alla templare.

-Siamo arrivati.- annunciò lui.

Dopo ore a fissare le caviglie di chi aveva di fronte, Elisabetta alzò lo sguardo.

Ciò che vide di fronte la sorprese: quando le avevano parlato di Tribunale Ninja, si aspettava di recarsi verso un solo edificio immenso, come un vero e proprio tribunale. Ma quello che aveva di fronte erano tanti edifici, di varie dimensioni, che sorgevano intorno ad un grande tempio. Era praticamente una città giapponese.

Leonardo ricordava perfettamente la strada verso l'edificio che accoglieva il Tribunale Ninja. Un portone, con il simbolo a rovescio del Clan del Piede, si aprì al loro cospetto.

Il salone in cui entrarono era immenso, sorretto da colonne alte circa dieci metri.

Di fronte a loro, su un soppalco, quattro figure erano sedute su quattro dei cinque troni lì presenti: tre uomini ed una donna. Un uomo aveva i capelli color del metallo, uno aveva il volto dipinto ed una tunica con le maniche lunghe, l'uomo più alto portava dei geta, e la donna aveva i quattro arti avvolti con bende.

Kon-shisho, il maestro dell'Anima. Juto-shisho, il maestro delle Armi. Hisomi-shisho, il maestro della Furtività. E Chikara-shisho, la maestra della Forza.

Leonardo ed Elisabetta si fermarono di fronte alla fonte che li divideva dal Tribunale Ninja. Lui si inchinò, abbassando la testa.

-Maestri, è un onore tornare al vostro cospetto.-

-Come per noi è un onore ricevere una tua visita, Leonardo-san.- disse l'uomo dai capelli color del metallo -Cosa sei venuto a chiederci?-

Leonardo alzò la testa e si spostò da un lato, mostrando l'amica.

-Sono qui per delle risposte, Kon-shisho. Su sogni che mi tormentano le notti.- spiegò -E gradirei anche consultarmi con l'Antico, per la mia amica.-

Finalmente, Elisabetta liberò la sua testa dal cappuccio, mostrando i capelli bicolori.

Anche lei si inchinò, ma nella maniera occidentale, toccando il terreno con il ginocchio e una mano sul cuore.

-Salvéte. Quod Deus voscum ambulet.- salutò, anche lei abbassando lo sguardo.

I quattro Maestri si allarmarono, appena videro la croce templare sul mantello e sul giubbotto antiproiettile bianco.

-Una templare?!- esclamò la donna, Chikara-shisho, sconvolta.

-Sì, è così. Ho bisogno dell'aiuto dell'Antico per...-

Si interruppe all'istante, notando le espressioni di ognuno di loro. Erano allarmati, sgomenti. E loro non si impressionavano facilmente. E, per di più, sapevano cosa fosse Elisabetta. Leonardo si insospettì.

-Aspettate... come sapete che lei è...?-

-Noi non accettiamo al nostro cospetto coloro che praticano la barbara arte della spada orientale e seguono una divinità inesistente! Il passato ce lo ha insegnato!- tuonò Kon-shisho.

Elisabetta osservò Leonardo, confusa e anche oltraggiata. Lui era sempre più sospetto. Ma gli bastò un istante, per realizzarlo.

-Volete dire… che in passato un templare è stato qui?!-

Un templare in Giappone. Impensabile, pensò Leonardo. Ma poi si ricordò dei suoi sogni, e le sue visioni. Il protagonista di entrambi era un ninja. E il templare apparso nei suoi ultimi sogni stava parlando con quello stesso ninja.

Non poteva essere una coincidenza. Ma come poteva essere?

-Questo non è posto per quelli come lei!- decise Kon-shisho, alzandosi dal suo trono -Siamo più che disposti a rispondere a ogni tua domanda, Leonardo-san, ma non con lei presente! Il nostro suolo non dovrà più essere profanato dai barbari occidentali che credono nel nulla!-

Leonardo stava per parlare di nuovo, quando Elisabetta si fece avanti.

-Avete osato offendere la mia fede?-

La rabbia stava tornando.

-Io non tollero simili offese contro la mia fede!-

-Uguale a tutti i barbari occidentali...- sibilò Chikara-shisho, acida -Vi piegate e pregate per una divinità che non è visibile e vi aspettate che sia lui a risolvere i vostri problemi.-

-Dio esiste! Ha benedetto me e i miei confratelli templari con questi poteri per esorcizzare il male!- mostrò con fierezza il suo anello con la croce templare.

Nessuno del Tribunale Ninja batté ciglio. Per loro era come fissare un anello come altri.

-Un potere che non meritate!- ribatté Juto-shisho, anche lui alzandosi dal trono -Un potere che voi avete ottenuto per sbaglio, non per perché siete degni!-

Quelle parole colpirono il cuore della templare peggio di un colpo di cannone.

Come potevano essere così sicuri delle loro parole? Come sapevano, soprattutto?

Loro non potevano sapere, pensò la ragazza. Forse erano come Omnes, e le loro parole volessero solo fuorviarla dalla sua fede. Magari era un'altra prova, pensò.

Come con Omnes, la sua certezza era incrollabile.

-No! Non vi credo!-

Era stato Dio a benedire i templari con i loro poteri. Questo pensava, questo le era stato detto, questa era la sua convinzione.

-Tipico di quelli come te.- riprese la Maestra -Siete così legati alle vostre convinzioni che credete che tutto il resto sia una menzogna!-

Le sue parole incrementarono la già alta rabbia.

-Come osate rivolgervi così a un cavaliere di Dio?! Questo è un affronto! Non lo tollero!-

Aveva già sciolto il laccio del suo mantello, facendolo cadere sul pavimento di pietra.

Ancora una volta, Leonardo cercò di dissuaderla dalle sue intenzioni.

-Eli, non è un buona idea affrontare il Tribunale Ninja...-

-Da come me ne hai parlato, li credevo più saggi e diplomatici.- tagliò corto lei -Io vedo solo un branco di arroganti che meritano una lezione.-

Hesperia era già nella sua mano destra e Hellas era scivolato sul suo braccio sinistro.

Chikara-shisho si alzò dal trono, prima di scattare in alto, compiendo un salto alto quasi quanto il salone stesso. Atterrò a mezzo metro di distanza dalla templare, quasi creando una voragine intorno a lei.

-Allora affrontami, templare!- sfidò, facendo roteare la sua clava -Dimostrami la grandezza della tua fede!-

L'aura bianca e rossa circondò il corpo di Flagello, mentre le sue iridi divennero nuovamente croci templari.

-Posso affrontarvi tutti e quattro, infedeli!- ringhiò, pronta al combattimento.

Chikara soffiò di nuovo dal naso, irritata.

-Credi di essere inarrestabile per il tuo potere?- provocò, mantenendo la presa sull'impugnatura della clava come un bastone da passeggio -La tua sfrontatezza sarà la tua fine, templare!-

Per due volte, in quel viaggio in Giappone, aveva dovuto rinunciare ad una battaglia. Per due volte aveva dovuto ammettere la sua sconfitta. Non poteva permettersi un terzo fallimento.

-DEUS VULT!-

Leonardo si fece da parte: era ormai tardi per evitare lo scontro.

Elisabetta fu la prima a scattare, Hellas puntato in avanti ed Hesperia pronta ad attaccare dall'alto.

Un attacco prevedibile. Infatti, Chikara lo parò con la clava senza problemi, prima di deviare la lama da un lato e sferrare un calcio diretto al suo stomaco.

Il giubbotto antiproiettile bianco dimezzò i danni, ma Elisabetta arretrò comunque, con una mano sul punto colpito. Ma la sua rabbia non svanì, anzi.

Stavolta, anche Chikara scattò in avanti. Entrambe crearono delle piccole voragini sul terreno, con il loro ultimo passo, il passo che avrebbe dato più forza e stabilità nel colpo simultaneo che sferrarono l'una contro l'altra: un pugno rischiò di slogare la mandibola della templare, mentre un colpo di scudo, sferrato come un pugno, colpì la guancia della Maestra, la stessa strategia che aveva usato nel Duello dei Duelli, contro Leonardo.

Entrambe, dall'impatto dei loro colpi, vennero scagliate in due zone del salone. Chikara riuscì ad atterrare in piedi, compiendo una capriola per aria. La schiena di Elisabetta, invece, colpì il muro. L'adrenalina e la rabbia evitarono il dolore. Era più carica che mai, determinata a proseguire l'incontro.

Al di fuori di Valhalla, non aveva affrontato altre donne. Fu un'esperienza interessante, misurarsi con una donna come lei.

Notò del movimento, con la coda dell'occhio: Juto-shisho, l'uomo con il volto dipinto, aveva le mani protese in avanti, facendo oscillare le lunghe maniche della tunica. Da esse uscirono tanti piccoli oggetti metallici, diretti verso la templare.

Lei fece in tempo ad alzare lo scudo: aghi, shuriken, persino kunai si conficcarono dentro Hellas. Alcune punte spuntarono dall'altra parte, per fortuna senza prendere il braccio che lo sorreggeva.

Elisabetta impallidì, senza disattivare il suo potere: Hellas non era solo fatto di legno. Il suo “scheletro” ed il rivestimento esterno, sotto lo strato di pelle e cuoio, erano di metallo. Com'era possibile che quelle armi fossero state in grado di trapassarlo?

Non ebbe tempo o modo di pensarci, che dovette proteggersi un'altra volta: Kon-shisho, l'uomo dai capelli color metallo, aveva in mano due spade e si era sollevato da terra. Roteò vorticosamente su se stesso, fino a divenire una specie di cerchio diretto proprio verso la templare. Le lame si scontrarono presto con lo scudo, senza fermarsi, come una sega circolare.

Hellas da solo non poteva sostenere quel colpo: Hesperia fu poggiata sul legno, per maggior resistenza.

Elisabetta fece il possibile per resistere, alimentata dal suo potere. Lei non avrebbe ceduto.

Un rumore sospetto, però, la allarmò: il rumore era del legno che si stava spezzando.

Non era un'impressione: delle crepe iniziarono a formarsi dal retro di Hellas. Un istante dopo, una strana forza la fece cadere indietro.

Schegge di legno si alzarono per aria. Uno scudo spezzato cadde sul pavimento di pietra.

Sul braccio sinistro erano rimaste solo le cinghie che lo legavano ad esso.

Elisabetta arretrò: Hellas era stato distrutto. Davanti ai suoi occhi.

-NO!-

Sferrò un pugno in avanti, verso il colpevole. L'anello con la croce templare si illuminò di azzurro, scagliando la croce eterea.

-Cosa...?-

Kon-shisho, sebbene preso di sprovvista, riuscì a schivarla, librandosi per aria.

Chikara la deviò con un colpo di clava. Fu lei a caricare nuovamente contro la templare.

Altre croci eteree vennero scagliate, ma nessuna colpì l'obiettivo: o venivano schivate o eluse con la clava rinforzata.

Era ormai a pochi metri dalla templare. Saltò nuovamente in alto, caricando la clava da dietro le spalle.

Elisabetta non fece in tempo a schivarsi: mise Hesperia a mo' di scudo con il filo rivolto verso l'alto e la punta verso il portone.

La clava impattò contro la lama.

E, purtroppo, Hesperia non aveva la medesima resistenza di Hellas.

Bastò un attimo.

Elisabetta osservò la sua spada con orrore: la lama si era spezzata. La punta e la base erano le uniche due zone integre. La parte in mezzo era completamente distrutta. Le schegge erano cadute tutte sul pavimento.

Le iridi divennero improvvisamente piccole, negli occhi della templare.

-HESPERIA, HELLAS, NO!-

Si era piegata per terra, su quello che rimaneva delle sue adorate armi, toccando le schegge con le dita, anche a costo di ferirsele. Aveva perduto le sue armi. Era come se qualcuno l'avesse completamente spogliata, messa a nudo agli occhi di tutti.

-Dare un nome alle armi?- canzonò Chikara, prima di ridere -Voi occidentali siete proprio ridicoli.-

Persino Leonardo non poté credere a quanto aveva appena visto. Perdere un'arma era una delle più grandi vergogne di un guerriero.

Nessuno del Tribunale Ninja si mosse, o approfittò del fatto che la templare avesse abbassato la guardia.

Chikara stessa, dopo aver sferrato il colpo, si era limitata solo ad eseguire un salto carpiato all'indietro, distanziandosi dalla sempre più furiosa templare.

Dopo aver stretto e poi rilasciato una manciata di schegge di legno ed acciaio, si rialzò.

-La pagherete cara...- sibilò -Per aver distrutto le mie armi!-

Allungò nuovamente il pugno destro in avanti, per continuare a combattere con l'unica arma rimastole: l'anello.

Ma non accadde nulla.

Tutto si era fermato, nel salone.

Allarmata, Elisabetta si guardò la mano, sgomentandosi un attimo dopo.

-IL MIO ANELLO!-

L'anulare era spoglio, come tutte le altre dita. Era rimasto solo il segno, dell'anello.

L'aura bianca e rossa, infatti, era sparita. Ma non la sua rabbia.

Il Maestro più alto e robusto, Hisomi-shisho, che non aveva abbandonato il soppalco, teneva qualcosa in mano; un oggetto piccolo. Nelle sue mani sembrava una formica.

-RIDAMMELO SUBITO!-

Stava già correndo verso di lui, quando delle catene le bloccarono l'intero tronco, costringendola a cadere sulle sue ginocchia.

Juto aveva nuovamente rivolto le maniche in avanti: era da lì che erano partite le catene.

Senza più il suo potere non poté liberarsi. Ma si dimenò comunque, tentando di rialzarsi.

I suoi sforzi erano inutili.

Chikara rise, a quello spettacolo.

-E come hai intenzione di farlo, templare?- provocò, avvicinandosi a lei.

Strinse la sua mandibola nella mano, costringendola a guardarla negli occhi.

-Guardati, non riesci neanche a liberarti. Non puoi fare nulla senza il tuo “potere”! Che cosa sei, senza il tuo “potere”, eh? Niente, ecco cosa sei!-

Elisabetta aveva della saliva, in bocca. Avrebbe tanto voluto sputare in faccia a chi aveva di fronte.

Ma qualcosa la trattenne. Infatti, la inghiottì.

Gettò lo sguardo verso il pavimento, per non far vedere le lacrime ancora trattenute.

Chikara non aveva detto nulla di diverso da quello che lei stessa si stava dicendo da giorni, la causa delle sue continue autoflagellazioni negli ultimi tempi.

Ma, legata, senza più armi, poteri, umiliata di fronte a Leonardo, era stato più doloroso.

In poche parole, il colpo finale.

Senza i templari si sentiva nessuno; senza le sue armi si sentiva nuda; senza i suoi poteri si sentiva debole e inutile.

Era tornata esattamente come era prima di divenire templare. E la sensazione era tutt'altro che piacevole.

Aveva perso tutto. E senza aver completato la sua missione.

Un vuoto improvviso la colpì dall'interno.

Quel senso di delusione e frustrazione era tale da non rendersi nemmeno conto delle catene che la stavano liberando.

Leonardo era sconvolto da quanto appena accaduto e non poté fare a meno di dispiacersi per l'amica. Avrebbe voluto protestare contro il Tribunale Ninja. Tuttavia, in cuor suo, sentiva, e, soprattutto, sapeva che Elisabetta meritava quello che aveva subito. Sarebbe stata una lezione. Lei doveva imparare. Se l'avesse consolata, non avrebbe imparato.

-Cos'è questo casino?-

Dei rumori legnosi riecheggiarono per tutto il salone. Il portone si era aperto un'altra volta.

Una figura piccola con il cappello più largo della sua pancia stava camminando verso il centro.

-Ah, giovanotto.- notò Chikara, lasciando la presa sulla ragazza -Finalmente sei arrivato.-

Nessuno del Tribunale Ninja si mosse, alla sua presenza. Solo Leonardo si degnò di un inchino.

-Sommo Antico...-

-Ah, guarda chi c'è, il mio amico scimmione verde! E stavolta non da solo, eh?-

Il suo sguardo si posò subito verso la templare umiliata, che ancora continuava a guardare il pavimento.

-Vediamo un po' chi abbiamo qui...-

Elisabetta notò un'ombra larga avvicinarsi a lei. Poi due piccoli piedi nudi in due geta.

Due mani grassocce la presero delicatamente per le guance.

-Coraggio. Non aver paura di guardarmi.-

La templare alzò lo sguardo, squadrando chi aveva di fronte: un uomo anziano dalla faccia tonda, con la lunga barba bianca che cresceva dal mento fino a metà petto. Dall'abbigliamento, sembrava un lottatore di sumo nano.

L'espressione non era dura e arrogante come quella dei quattro ninja che aveva appena affrontato: lui aveva la faccia simpatica.

-A prima vista, avrei giurato che fossi un maschietto.- disse, con voce che sembrava uno squittio -Bisogna proprio guardarti bene, per vedere che sei una femmina. Come ti chiami?-

Elisabetta, con un brusco movimento, liberò il suo volto dalle mani dell'antico, guardando di nuovo verso il basso, frustrata e umiliata.

-Non sono nessuno...- mormorò, a denti stretti.

-Nessuno? Nessuno si chiama “Nessuno”.- guardò un'altra volta il Tribunale Ninja -Maestri, che cosa avete fatto?-

-Aveva bisogno di una lezione, giovanotto.- chiarì Chikara -Si credeva tanto forte da affrontarci tutti insieme.-

Leonardo si avvicinò all'Antico, inchinandosi di nuovo.

-Sommo Antico, è per lei, infatti, che sono tornato qui. Speravo che almeno tu potessi aiutarla.-

-Non aggiungere altro, Leonardo.-

Toccò una mano della templare: il palmo era ferito e con delle schegge conficcate.

-Uuh... Ma prima curiamo queste mani. Su, alzati, mia cara.-

Anche Leonardo le mise una mano sulla schiena, dopo averle avvolte con il mantello crociato.

-Andiamo, Eli.- le disse, con tono calmo.

Rabbia, tristezza, vuoto e delusione si erano uniti in un solo sentimento, in lei: apatia.

Stava continuando a guardare il vuoto, mentre si alzava. Non sentiva nemmeno le ferite alle mani, o nei punti in cui era stata colpita da Chikara-shisho.

Continuava a guardare il vuoto, con aria spenta, e si strinse nel suo mantello, come se stesse cercando un rifugio.

-Leonardo-san.-

La voce di Kon-shisho fermò la tartaruga, in procinto di seguire l'amica e l'Antico.

-Quando avrai finito con lui, torna da noi, solo. Risponderemo a ogni tua domanda.-

Ringraziò con un inchino.

-Grazie, Kon-shisho...-

Forse, finalmente avrebbe fatto luce sui suoi sogni. Ma prima, doveva aiutare Elisabetta con la sua rabbia.

Il Tribunale Ninja tornarono da soli.

-Troppa rabbia.- commentò Kon-shisho -E non verso di noi. Ma comunque capace di distruggerla dall'interno.-

Si voltò da un lato, strizzando gli occhi luminescenti.

-Chikara, la tua guancia.-

Incuriosita dalle parole di Kon, Chikara-shisho si toccò la guancia: la punta delle sue dita erano macchiate di sangue. Era il punto in cui era stata colpita con Hellas.

-È riuscita comunque a ferirmi...- notò, sorpresa e un poco ammirata -Forse non è del tutto una causa persa.-

-Una forza strabiliante, invero.- rifletté nuovamente Kon -Ma non è lei.-

Tutti e quattro fissarono la fonte sotto i cinque troni. Le increspature mostrarono un'immagine: un templare, in compagnia di un ninja.

 

Un liquido verde venne versato in tre tazze.

Tra i presenti, solo Leonardo parlò. L'Antico ascoltava serio, mentre versava il tè. Elisabetta ancora rimaneva in silenzio, stringendosi nel suo mantello. Le sue mani erano bendate.

Togliere ogni scheggia era stato un lavoro rapido, ma molto accurato.

-Capisco... quindi è così che stanno le cose...- concluse l'anziano, porgendo il tè ai due ospiti -Devo ammettere che nemmeno tu hai perso il controllo in questo modo, Leonardo.-

Leonardo diede una rapida occhiata a Elisabetta: non stava reagendo al paragone. Era ancora nel suo stato apatico, mentre beveva il tè. Era come se il mondo, intorno a lei, si fosse chiuso.

Senza armi, senza poteri.

Leonardo sapeva perfettamente cosa provava: anche lui si era sentito nel medesimo modo, quando Shredder aveva distrutto le sue katana. Il vuoto era insopportabile.

-Nulla che non si possa curare, ovvio. Con te è bastato farti affrontare te stesso, Leonardo. Diciamo che con la fanciulla qui presente... sì, qualcosa possiamo fare.-

-E cosa?- domandò lei.

Il tono era aggressivo, ma lo sguardo ancora vuoto.

-Le mie armi sono distrutte. E il mio anello è perduto. Come posso affrontare qualcuno, senza armi?-

-Eli...-

Leonardo le toccò una spalla, per consolarla.

-Mia cara ragazza...- spiegò l'Antico -Ci sono battaglie che non possono essere combattute con le armi. Come le battaglie che uno ha contro se stesso. Come tu adesso.-

Si era avvicinato a lei, sedendosi. Le prese le mani che un istante prima aveva liberato dalle schegge con grande cura e fasciate nel medesimo modo.

-Ah, mia cara. C'è tanta rabbia in te. Ti sta distruggendo dentro.-

Nulla di diverso da quello che le aveva detto Splinter.

-E questo ti sta impedendo di controllarla.-

Per quello era lì. Per quello Leonardo l'aveva portata da lui.

-Puoi aiutarla, Sommo Antico?-

-Certamente. Come ho aiutato te, Leonardo, posso aiutare lei. Ma non nello stesso modo. Questa è una battaglia che va combattuta... proprio qui.-

Con le dita indice e medio, l'Antico toccò la fronte della ragazza.

Un senso di vuoto la invase all'improvviso, facendola urlare.

No, non era un semplice senso: stava proprio cadendo nel vuoto.

La stanza si era come inclinata: ciò che era il pavimento era diventato muro e le finestre erano sparite.

Ma non c'era più il Giappone, all'esterno della casa: niente cielo, prati, colline, monti, nemmeno il mare o il villaggio in cui risiedeva il Tribunale Ninja.

Niente di tutto questo la circondava.

Atterrò, prona, su un pavimento invisibile.

Il suo cuore batteva forte e molto veloce. Le sue mani tremavano. Pensava sarebbe caduta per sempre.

-Deus mii...- mormorò, mentre cercava di rialzarsi -Cosa ci avrà messo in quel tè...?-

Una volta in piedi, fu in grado di guardarsi intorno.

-Dove mi trovo...?-

Un ambiente senza forma, senza temperatura, senza tempo e spazio, circondavano quella che era la casa dell'Antico. Assomigliava alla Dimensione Mistica. O forse si trovava proprio lì.

-Ma io non ho più il mio anello.- ricordò, osservando l'anulare ormai spoglio. Non era la prima volta che restava senza anello per molto tempo, ma le altre volte non era nelle mani di un estraneo. Anzi, pensò addirittura che lo avessero distrutto.

E l'ambiente non assomigliava proprio alla Dimensione Mistica: la Dimensione Mistica era grigia. Lì aveva l'impressione di trovarsi all'interno di un caleidoscopio.

Le immagini continuavano a cambiare. Era troppo ipnotico. Elisabetta dovette fare un grande sforzo, per non guardare.

Procedeva a testa bassa, con gli occhi quasi chiusi, stringendosi sulle sue spalle. Non aveva più nemmeno il suo mantello.

Era rimasta solo con la mimetica nera ed il giubbotto antiproiettile bianco con la croce templare sopra.

Non aveva più le sue armi. Nemmeno il suo anello. Tutto quello che poteva fare, ormai, era camminare e sperare di uscire al più presto da quella copia psichedelica della Dimensione Mistica.

Tutt'a un tratto, però, scorse qualcosa di insolito: stivali anfibi. Come quelli che stava indossando.

Si stavano muovendo nello stesso istante in cui li stava muovendo lei.

Lei strisciò il piede destro in un movimento circolatorio. Anche lo stivale di fronte a lei fece lo stesso.

Alzò lo sguardo lentamente: due pantaloni mimetici neri, un giubbotto antiproiettile bianco con la croce templare in mezzo, sopra una giacca mimetica nera. E, a indossarli, una ragazza che si stava stringendo sulle spalle. Capelli corti, castano chiaro sopra e castano scuro sotto. Occhi scuri e lentiggini sul volto. Era uguale a lei.

No, era lei.

Stava osservando il suo riflesso.

Lei impallidì. Odiava osservarsi allo specchio. Vedere, nonostante i suoi sforzi per mascherarlo, che era una donna. Si era tagliata i capelli, aveva avvolto i seni con bende a fasciatura stretta, ma non era abbastanza. La sensazione di vergogna non la abbandonava.

Talvolta, la soluzione migliore si rivelava essere guardare da un'altra parte. Se avesse avuto l'anello, o, almeno, Hesperia, avrebbe distrutto quello specchio.

Stava, appunto, per farlo, quando sentì una mano posarsi sulla sua spalla: c'era un'ombra, alle sue spalle. Un'ombra che non aveva intenzioni malevole.

-Non vergognarti di ciò che sei...-

La voce era familiare alle orecchie della ragazza. L'ombra era enorme. Non aveva forma umana. Piuttosto, quella di un rettile gigante. La mano che si era posata sulla spalla, infatti, aveva tre dita.

Ma non riuscì a vederne il volto. Era un'unica figura nera.

Elisabetta non fece in tempo a notarla. Non seppe perché, ma tornò di nuovo ad osservare il suo riflesso.

Impallidì più di prima e a stento trattenne un urlo.

Non c'era più riflessa la sua immagine, in quello specchio. Il volto della ragazza che aveva di fronte era uguale al suo, ma i capelli erano più lunghi, mossi, e completamente scuri, tenuti in ordine con un cerchietto nero. E non solo: i contorni degli occhi erano neri, truccati con matita sfumata, che accentuavano lo sguardo. E l'abbigliamento era decisamente più femminile: gonna di jeans corta, con sotto dei leggins a tre quarti, maglia bianca a maniche lunghe che lasciava le spalle scoperte e gilet di jeans. E dei guanti di rete alle mani.

-No... no...- balbettò, indietreggiando -Non tu!-

Il riflesso, però, non seguì i suoi movimenti: fissò quella vera con aria seria, fredda, senza emozioni.

Scavalcò la cornice dello specchio: i tronchetti neri furono i primi ad uscire e toccare il pavimento invisibile.

La ragazza che stava nello specchio era di fronte alla templare.

-Prima di iniziare il tuo viaggio, dimmi...- persino la sua voce era piatta -Perché ti odi così tanto?-

Per la prima volta, Elisabetta si sentì completamente indifesa. Senza le sue armi, il suo anello, non sapeva cosa fare. Era come se, in quel momento, si sentisse completamente nuda.

Si strinse le spalle, abbracciandosi, un surrogato tentativo di proteggersi.

-Nessuno mi ha mai amato per quello che ero, né in famiglia, né altri.- mormorò, distogliendo lo sguardo dall'altra se stessa -Tutto quello che facevo non andava bene a nessuno. O si voltavano dall'altra parte o mi ignoravano. Mi hanno fatto sentire così inadeguata...-

Tremò, involontariamente. O forse no. Il tremore era vero.

Il tremore di una ragazza dispersa ed impaurita.

L'altra ragazza continuava a fissarla impassibile.

-Guarda nello specchio.- invitò -Guarda il tuo passato. Scopri l'origine della tua rabbia.-

Elisabetta non voleva guardare nel suo passato. Aveva già rimosso del tutto quei ricordi, da quando era diventata templare. Non voleva più averci a che fare.

-Rispondi a queste domande con la prima cosa che ti viene in mente.- spiegò il riflesso, fissando quella vera negli occhi.

-Mondo?-

-Crudele.-

-Vita?-

-Ingiusta.-

-Rabbia?-

-La mia forza.-

-Fede?-

-Dovere.-

-Sofferenza?-

-I miei genitori.-

-Morte?-

-Perdita.-

-Donna?-

-Abominio.-

-Uomo?-

-Libertà.-

-Amore?-

-Amore...?-

Conosceva quella parola. Ma non l'aveva mai provata.

Aveva conosciuto solo denigrazione, umiliazione, aspettative, rimproveri, indifferenza, discriminazione. Sia dai genitori che dalle persone che aveva conosciuto nella sua vita.

“Cos'è l'amore...?”

Guardando in quello specchio, rivide se stessa, piccola. Capelli raccolti in due codini corti, vestitino a fiori completamente sporco di fango, ginocchia sbucciate.

Quell'immagine svanì, lasciando il posto al volto di un uomo dall'espressione furiosa. Poi un lampo bianco. La visuale si era fatta mossa, distorta. Dei versi prolungati diedero la risposta: le lacrime stavano distorcendo le immagini.

-Ti sei rovinata il vestito giocando a calcio!- udì urlare dall'uomo -Quante volte ti devo dire che il calcio non è uno sport per femmine?! Sei una bambina, non un bambino!-

E la madre rimaneva in silenzio, come sempre. E, come sempre, era indaffarata a controllare i moduli di lavoro.

Avrebbe voluto indossare i pantaloncini maschili per giocare. Ma, siccome era una bambina, doveva indossare i vestitini e giocare con le bambole. Era un obbligo, non una scelta. Questo fu il primo passo del suo disprezzo di essere una femmina. E anche della sua rabbia.

La situazione non migliorò con il passare degli anni.

Lo specchio rifletté un altro ricordo della templare: le sue mani, piccole, tenevano in mano un modellino di carta raffigurante un cavallo.

-Papà! Guarda cosa ho fatto a scuola, oggi!-

Il padre diede un'occhiata rapida alla figlia, prima di riprendere a leggere il giornale.

-Quello sgorbio è il meglio che hai saputo fare?-

Un'altra delusione per il padre. Una delle tante.

-E questa insufficienza? Quindi quando ti aiutavo facevi finta di ascoltare, eh? Ma io cosa devo fare con te? Dimmelo! Cosa devo fare con te?!-

-Forza, ripetimi il capitolo. Parla, altrimenti mi addormento, forza.-

E nelle mura scolastiche, quella situazione non migliorava.

-Ahahah! Guardate tutti che risultati! Secondo voi è da sufficienza questo compito?-

Non era stato un compagno di classe a dirlo: era stata una maestra. E aveva alzato il quaderno su cui la piccola Elisabetta stava scrivendo affinché tutti lo vedessero. Le risa erano persino più agghiaccianti di quanto ricordasse.

-Basta... basta...-

Lo specchio non smetteva di trasmettere ricordi, i peggiori del passato di Elisabetta.

-No, sei una femmina, non ti vogliamo tra di noi!-

-No, ti vesti come un maschio, non ti vogliamo tra di noi!-

Respinta dai maschi perché femmina. Disprezzata dalle femmine per il suo modo di vestire e comportarsi da maschio. Questo le era successo, dopo le elementari.

Con i maschi aveva molti più interessi in comune che con le femmine, ma non riusciva più ad interagire con loro: preferivano la compagnia dei loro simili. E di certo non poteva fare amicizia con le femmine, che si chiudevano a cerchio, spettegolando e parlando delle boyband del momento.

Quello fu l'inizio della sua solitudine.

L'apice dei suoi problemi era arrivato, però, nell'adolescenza, quando i maschi frequentavano le femmine per gli appuntamenti e non più per giocare.

L'età delle prime cotte.

-Ah, tu e lei non siete amiche? Peccato, speravo potessi mettere una buona parola per farmi uscire con lei. Sai, sono l'unico tra i miei amici a non essermela fatta.-

Era sola. Ancora torturata psicologicamente dalla rigidità del padre e dall'indifferenza della madre. Questo aveva compromesso persino i suoi voti scolastici.

-Con questi risultati non vai da nessuna parte!-

La sua era stata una vita segnata dalla solitudine, dalla frustrazione. La colpa non era di chi non l'accettava per quello che era; era sua, continuava a dirsi. Era inadeguata, incapace, una delusione.

E il suo essere solitaria ebbe conseguenze anche in famiglia, tra le costanti umiliazioni e lamentele del severo e rigido padre, generale dell'aeronautica che trattava i subordinati nel medesimo modo, e dalla fastidiosa indifferenza della madre, più concentrata nel suo lavoro di assistente sociale per anziani e disabili che per la figlia.

Niente amore per lei. Solo denigrazione ed umiliazione, che avevano portato a paura del mondo esterno e tanta, tanta rabbia crescente.

-Solo perché sono una donna, non posso fare certe cose.- mormorò, guardando in basso -È questo che la società impone. Non ero libera di essere me stessa. Ho sempre odiato tutto ciò che era femminile, fin da bambina, proprio perché ero obbligata.-

Guardò di nuovo lo specchio: rivide se stessa, con l'altra se stessa accanto. La stessa persona, ma completamente diverse.

-Gli abiti femminili mi facevano sentire così... debole. Con gli abiti maschili, invece, mi sentivo più libera, protetta. La mia famiglia è stata la prima a giudicarmi, a denigrarmi per le mie scelte. Dicevano che non era così che doveva comportarsi una bambina. E con i miei coetanei la situazione non era affatto diversa. I maschi mi tenevano alla larga perché ero una femmina. E le femmine non mi volevano per via delle mie passioni maschili. È dura la vita di una metà e metà. Vieni escluso, nemmeno fossi un alieno o un mostro.-

Seguì un'altra visione: se stessa allo specchio, intenta a mettersi la matita intorno agli occhi. I lunghi capelli erano sciolti e mossi.

-Ho provato a integrarmi con il mondo femminile, truccarmi, mettermi le gonne, sistemandomi i capelli. Essere come le altre ragazze.-

Esattamente la ragazza che era accanto alla templare. Un'altra Elisabetta. La Elisabetta che la società avrebbe voluto. Una maschera che era stata costretta ad indossare per le esigenze di chi le stava accanto.

Ma, camminando per i corridoi della scuola, magari salutando i compagni di classe, veniva comunque ignorata. Addirittura, notò qualche ragazza ridere, lanciandole qualche occhiata poco cortese.

-Ma era tutto inutile.- rivelò la templare -Non cambiava niente. Quando ti presenti vestito da coniglio, le persone ti vedranno per sempre come un coniglio.-

Aveva smesso di stringersi le spalle. In quel momento, stava stringendo i pugni. Le unghie stavano affondando nei palmi, macchiandosi di sangue, dalla rabbia e dalla frustrazione di rivedere quei ricordi.

-Mio padre mi faceva costantemente pesare le mie scelte, la mia solitudine. Non ne potevo più di quelle torture psicologiche. Ero pronta a farla finita con la mia vita. Ma poi, ho visto una cosa che mi ha cambiato la vita: una processione templare. Mi emozionai, nel sentirli cantare. Lì ebbi un'illuminazione. Avevo letto di loro nei libri di storia, e il fatto che esistessero ancora mi diede speranza. Era la mia occasione di scappare dalla mia vita.-

Un altro ricordo apparve nello specchio.

-Tu vuoi fare COSA?!-

Suo padre, come sempre, era infuriato. Sua madre, forse per la prima volta, stava provando un'emozione verso la figlia.

-Entro nell'ordine templare!-

Invece che discutere, suo padre si voltò da un lato.

-Tsè! Fai pure!- tuonò -Tanto hai bruciato le tue occasioni, raccolto una delusione dietro l'altra, facendomi sprecare un sacco di soldi. Perché io sono il cattivo e quello che dico è sempre il male, vero? Ma sì! Vattene! Ma bada bene, se esci da qui, non ti azzardare più a tornare o parlarci!-

Quei discorsi, solitamente, facevano sentire Elisabetta in colpa. Ma non quella volta. Era decisa a divenire una templare. E non aveva intenzione di chiedere scusa.

-Nessuno mi conosceva, tra i templari. Potevo finalmente essere chi volevo essere, non cosa gli altri volevano che fossi. Entrando nei templari, abbandonai la inutile e patetica Elisabetta, e divenni Eliseo, un'identità che sfoggio con orgoglio, perché è così che mi sento davvero.-

La ragazza che era apparsa nel riflesso, vestita e truccata come la ragazza accanto alla templare, era svanita, dissolvendosi nel vero riflesso di Elisabetta.

-Il giorno in cui è stata scoperta la mia vera identità, il Magister mi ha chiesto perché fossi entrata nell'ordine templare, nonostante fossi una donna. Gli risposi della mia ammirazione per l'ordine templare, e che, delusa dalla mia vita, volevo rinascere in un'altra identità. Non gli ho mentito, in effetti, ma non era tutta la verità. Il vero motivo per cui sono entrata nei templari, era perché volevo essere temuta. Per tutta una vita, ho vissuto nella paura, nell'inadeguatezza, nell'insicurezza, solo perché non ero come le altre. Ho tramutato tutto questo in rabbia, e quella rabbia divenne il mio potere. Avrei finalmente ripagato quelle persone per come mi hanno trattato. Come punizione per non avermi amato o accettato per quella che sono.-

Rise in modo strano, stringendo di nuovo i pugni.

-Sei davvero sicura di non essere mai stata amata o accettata per quello che eri?-

Quella domanda sorprese la vera. Rilassò i pugni: i palmi di entrambe le mani erano ancora segnate dalle unghie.

Mai, fino ad allora, aveva pensato al suo passato. Non i pensieri piacevoli, almeno. Aveva conservato solo quelli negativi, per alimentare il suo potere.

-Guarda di nuovo nello specchio.-

Ancora visioni.

Di nuovo i bambini del campo di calcio in cui si era sporcata il vestito a fiori.

-Non giochi con noi?-

-No, non posso sporcarmi il vestito o papà mi picchia di nuovo.-

Ma i bambini avevano tirato fuori qualcosa dai loro zaini.

-Puoi indossare questi.-

Ognuno di loro aveva portato un cambio per lei: chi una maglietta, chi dei pantaloncini, chi persino le scarpe.

La piccola Elisabetta era esplosa di gioia.

Un ricordo che la templare aveva rimosso, ma sapeva, sentiva che le apparteneva.

La prima volta in cui aveva indossato abiti maschili. La prima volta in cui aveva provato libertà, appagamento e pace con se stessa. La prima volta che aveva fatto qualcosa che le piaceva, non che era stato imposto da altri.

-Presa! Acchiappami!-

Un bambino con il grembiule azzurro stava correndo lontano da lei, ridendo. C'era anche un'altra risata: la sua, mentre si dava all'inseguimento.

Quello era un ricordo dell'asilo, quando giocava ad “acchiapparella” con i bambini della sua classe.

Un attimo dopo, era ritornata alle elementari.

-Ehi, Eli, vuoi giocare con noi con le trottole? Ci manca uno per essere in sei.-

Naturalmente, Elisabetta non esitò ad accettare. Si erano divertiti così per tutta la ricreazione. E nessuno che l'aveva presa in giro per il suo essere una femmina. Anzi, aveva addirittura vinto un paio di scontri.

Durante le medie, nessun maschio voleva giocare con lei. O così si ostinava a ricordare.

-Ho visto che anche tu giochi a Pokemon. Vuoi fare una sfida?-

Un piccolo gruppo di maschi si era riunito in un lato della classe, il tipico gruppo nerd allontanato persino dagli altri maschi. Elisabetta aveva rimosso completamente i ricordi di quegli amici, con cui aveva trascorso ricreazioni con dibattiti sui Pokémon e sabati pieni di tornei di videogiochi per tutta la durata delle medie.

Il liceo aveva portato solo ricordi di amori non corrisposti. Tutti i maschi la evitavano, anche dopo la sua “trasformazione”.

Poi, arrivò un'altra immagine: occhi allungati, come quelli orientali, labbra carnose, un sorriso sincero.

-Fran...-

Francesco, detto Benedizione. Il suo compagno di missione, un portento con la zweihänder.

La rabbia di Flagello era sempre stata un po' instabile, difficile da eliminare manualmente. Per questo Benedizione era sempre in coppia con lei: bastava che puntasse il suo anello su di lei, e la rabbia svaniva in un istante.

Lei lo ammirava, per la sua sincerità, la sua gentilezza, le stesse qualità che avevano reso quell'ammirazione in un sentimento proibito per un templare.

Lui, anche con Eliseo, era gentile e supportivo.

Persino il resto dei templari aveva quello stesso atteggiamento con Flagello. Era tra i più ammirati e rispettati dell'ordine, quasi al pari di Giacomo, detto Galvano.

Elisabetta aveva temuto che, nonostante la minaccia di David, nessuno l'avrebbe rispettata, quando venne scoperto che era una donna.

Ma i suoi confratelli la rispettarono ed ammirarono più di prima: uomo o donna, il suo potere e le sue abilità in combattimento erano notevoli. Oltretutto, aveva una volontà e determinazione senza pari, per sottoporsi ad allenamenti simili.

-I miei confratelli... quando venne scoperto che ero una donna, temevo mi avrebbero preso in giro. Invece, erano entusiasti di avere una donna, in mezzo a loro.- ricordò, sorridendo -Erano fieri di chiamarmi “sorella”. Volevo quasi piangere, quel giorno. Per la prima volta, in tutta la mia vita, mi sentivo a casa. In una vera famiglia.-

Per questo era ancora fedele all'ordine. Per non essere stata denigrata o allontanata perché donna.

Gli unici che la trattavano quasi da inferiore erano Luigi, detto Faust, e Andrea, detto Lazzaro.

I primi ad averla accettata furono ovviamente i suoi compagni di Veglia, tra cui Federico, detto Ponte, per nulla invidioso che lei fosse più riverita dal padre invece che lui, che era suo il figlio naturale, e Francesco.

Anzi, era stato proprio lui il primo ad accettarla per quello che era.

-Per quello che vale, sono contento che tu sia una ragazza.-

Non l'aveva detto con tono da seduttore, tantomeno da prenderla in giro. Sembrava sincero.

Un ultimo ricordo apparve nello specchio. Un ricordo recente. Con una persona con cui si sentiva libera di essere se stessa e parlare liberamente, nonostante non fosse da così tanto tempo che si conoscevano.

Una persona che c'era stata per aiutarla nelle sue crisi di inadeguatezza.

-Nelle nostre numerose avventure abbiamo incontrato molte donne, guerriere e non, ma tutte coraggiose, valorose e con le qualità pari a quelle di un uomo. Forse persino più di un uomo. E non si vergognavano affatto di essere donne. E tu, fattelo dire, le superi tutte di diverse spanne.-

Complimenti sinceri, da parte di una persona che ammirava qualità come quelle di Elisabetta.

Lo specchio tornò a riflettere l'immagine della templare e della falsa Elisabetta.

Quella vera era paralizzata, sconvolta.

Tutti quei ricordi avevano una cosa in comune: nessuno l'aveva denigrata o presa in giro per il fatto di essere una femmina. Era stata accettata nelle sfere di ognuno di loro per quello che era davvero, proprio perché non era come la maggioranza.

-Tu sei stata amata, Elisabetta, e sei tutt'ora amata.- disse il riflesso, svanendo gradualmente -Non pensare di essere stata sola o inadeguata, perché non lo sei mai stata. Tutti coloro che ti amano, ti amano proprio per quello che sei, quindi perché tu continui a odiarti?-

Elisabetta tornò da sola. Sola con tanti pensieri nella testa.

Era amata. Era stata amata.

Per tutta una vita aveva creduto di essere da sola, disprezzata. Tra i ricordi del suo passato aveva rimosso anche quelli piacevoli.

Per tutta una vita si era allacciata ai ricordi negativi, per alimentare la sua rabbia, fino ad allora ritenuto il suo unico pilastro di vita.

Sentì nuovamente una mano enorme sulla sua schiena. Si voltò da un lato: la sagoma enorme era tornata, stavolta con fattezze ben definite.

Elisabetta si allarmò, ma senza spaventarsi, quanto, piuttosto, stupirsi.

Esclamò un nome.

-...Eli! ...Eli!- sentì, in lontananza.

 

Leonardo, allarmato dalla condizione dell'amica, aveva iniziato a scuoterla per le spalle.

L'istante in cui l'Antico aveva poggiato il dito sulla fronte, aveva iniziato a muoversi convulsamente.

-Maestro! Che le sta succedendo?!- aveva esclamato, preoccupato.

-Rilassati, Leonardo. Sta solo entrando nella sua psiche.-

-Ma non è normale che reagisca così! Risvegliala! Potrebbe morire!-

Poi, Elisabetta si era fermata, giacendo come sopita. I suoi respiri erano tornati regolari.

-Mh... a me sembra stia bene.-

Erano rimasti seduti, in attesa del suo risveglio.

Leonardo era sempre più preoccupato.

Con la coda dell'occhio, notò dei lievi movimenti. E sentì anche piccoli mugugni a bocca chiusa.

-Eli! Eli!-

Le palpebre della ragazza si riaprirono quasi tremando.

L'immagine che lei vedeva di Leonardo era ancora sfocata.

-Leo...?-

Si era chinato, per assicurarsi che l'amica fosse salva. Il pallore della sua pelle era sparito, in effetti. Ma qualcosa era cambiato, in lei.

Il suo volto si contorse in modo strano. E le palpebre sbatterono frequentemente. I suoi occhi divennero lucidi. Qualcosa stava scendendo da essi, rigando le sue guance.

Scattò in avanti, stringendosi a Leonardo.

Liberò un urlo potente, senza curarsi di chi aveva intorno. Ma non un urlo di rabbia.

Era un'altra sensazione, che nemmeno lei sapeva spiegare. Liberazione, forse.

Dal suo petto, un macigno enorme era stato rimosso, lasciando al suo posto un incredibile vuoto.

Dopo tanto tempo, le lacrime erano tornate.

 

-La templare ha trovato quello che cercava?-

Leonardo era tornato al cospetto del Tribunale Ninja. I segni del combattimento di poco prima erano spariti, come se non fosse mai avvenuto.

-Sì, Kon-shisho...- rispose, con un inchino -Sta riposando nella dimora dell'Antico.-

-Ottimo. Come promesso, risponderemo ad ogni tua domanda.-

Era anche per quello che Leonardo era tornato in Giappone. Sperava con tutto il cuore che il Tribunale Ninja gli desse le risposte che cercava.

-Sono mesi che faccio lo stesso sogno.- iniziò, inquieto -All'inizio, mi trovo in un bosco completamente bruciato, mentre inseguivo una sagoma che appariva e scompariva, come un'ombra. L'ombra è quella di un ninja, che mi porge una mano, dicendomi di non avere paura. Prima riuscivo a svegliarmi prima di toccargli la mano. Dopo il Nexus, però, tocco la sua mano. Prima di svegliarmi vedo un uomo con un mantello bianco e il cappuccio alzato.-

I quattro ninja si misero in posa riflessiva, incuriositi, ma anche inquieti dal racconto di Leonardo.

-C'è altro?- domandò Kon-shisho.

-Sì, in effetti, l'altra sera ho sognato un'altra cosa. Io non ero proprio io. Era come se fossi in un altro corpo. Sono insieme a un templare.-

-Un templare?!- si allarmò il maestro ninja.

-Sì, esatto. Sembriamo scappare da qualcosa. Ma il templare sembra guardare in basso. Ha parlato del Graal. E anche io.-

-Ricordi che aspetto aveva il templare? O se hai visto che aspetto avevi tu?-

Leonardo cercò di ricordare. La prima volta, i volti erano sfocati. Dopo lo scontro con Omnes e quando aveva sentito il canto, i volti erano divenuti nitidi.

-Il templare aveva gli occhi chiari, mezza età. E io ero un ragazzo giapponese.-

I quattro maestri impallidirono in volto, guardandosi di nuovo.

-Per caso hanno detto anche i loro nomi?- aggiunse Juto-shisho.

Leonardo si insospettì, notando le reazioni del Tribunale Ninja. Non li aveva visti così allarmati o preoccupati dal ritorno dello Shredder Tengu.

-Il templare si chiamava Etienne.- rispose, cercando di ricordare -E il ninja Yuko.-

Lo sgomento che provarono era impensabile, secondo Leonardo.

-Non è possibile...- sibilò Chikara -Impossibile!-

Loro sapevano qualcosa. Questo gli diede speranza.

-Non è la prima volta che sentite questi nomi, vero, maestri?-

Ripreso il controllo delle emozioni, Kon-shisho mosse una mano.

Le acque della fonte si incresparono: l'immagine del ninja e del templare apparvero di nuovo.

La tartaruga sobbalzò dalla sorpresa. Riconobbe i loro volti dal sogno.

-Sì! Sono loro!- esclamò -Come fate a sapere...?-

-Yuko è stato un nostro discepolo.- rivelò -Un ottimo guerriero. Era destinato a divenire parte del Tribunale Ninja. Ma lui aveva altre ambizioni, tra le quali abbandonarci per visitare il mondo, ritenendo più onorevole usare i talenti che aveva acquisito da noi per aiutare le persone. Il suo nome è stato cancellato dai nostri registri.-

-Per avervi abbandonato?-

-Aveva mancato al suo dovere. Per noi è paragonabile al tradimento.- fece notare il maestro.

Una sorte simile, in effetti, era capitata anche al maestro Yoshi. Motivo per cui Splinter odiava il Tribunale Ninja: poiché li aveva abbandonati, non erano intervenuti per salvarlo dallo Shredder Utrom.

-E non è più tornato da voi?-

-No. Anni dopo, si è presentato a noi il templare di nome Etienne, implorandoci di ricordare Yuko come un guerriero onorevole, sacrificatosi per aver difeso il monile che gli occidentali chiamano “Santo Graal”.-

Proprio come aveva visto nel sogno: non aveva, però, visto il Graal. Ma dalla conversazione tra “lui” ed Etienne, avevano fatto qualcosa per nasconderlo.

-Noi, ovviamente, rifiutammo.- continuò Chikara -Il templare, però, non accettò la nostra risposta, minacciando di mantenere vivo il suo ricordo attraverso il diario che aveva scritto. Fermi sui nostri pensieri riguardanti i traditori, abbiamo cercato di distruggere quel diario. Nello scontro, una metà venne strappata. Nel tentativo di proteggere l'altra metà, cadde per sbaglio in questa fonte, assorbendo ogni potere che possedeva. Siamo riusciti a esiliarlo prima che potesse fare altri danni.-

-Tempo fa, però, ho percepito nuovamente lo spirito di Yuko e anche del templare.- rivelò Kon-shisho -E lo spirito di Yuko è particolarmente forte, adesso. E, basandomi sui sogni che ci hai raccontato, sembra che si sia reincarnato in te.-

Leonardo sentì il cuore battere forte nel suo petto. Lui, la reincarnazione di un guerriero addestrato dal Tribunale Ninja?

Se così fosse stato, si spiegavano le visioni ed i sogni che aveva la notte.

“Fidati di te stesso.”

Finalmente comprese il significato di quelle parole: se davvero lo spirito di Yuko era in lui come rivelato da Kon-shisho, allora era come se stesse parlando a se stesso.

Per questo sapeva che l'ombra che seguiva nei suoi sogni e che aveva seguito anche nella Dimensione Mistica non lo avrebbe portato in pericolo. Quella stessa ombra stava apparendo anche sul trofeo incrinato.

Non erano allucinazioni.

Forse Yuko gli stava comunicando qualcosa.

E se i suoi pensieri erano corretti, allora Omnes doveva essere la reincarnazione di Etienne.

E il canto che aveva sentito nel momento in cui i loro pugni si erano scontrati, dovevano essere il suo.

“Fallo smettere! Il canto del templare! Segui l'ombra del ninja!”

Il canto del templare e l'ombra del ninja.

Uno sentiva il canto, l'altro vedeva l'ombra.

Ciò che Leonardo si stava chiedendo era: “Come?”. Oltre a: “Che significato avranno l'ombra del ninja ed il canto del templare?”

Avrebbe voluto domandare molte altre cose: la sua mente era ancora tempestata di domande e dubbi.

-Cosa ne avete fatto di quella metà del diario?- domandò, invece.

Sperava di trovare qualche risposta, in quel diario, su Etienne, su Yuko, sui poteri che Etienne aveva preso dal Tribunale Ninja, sul Graal.

-Temendo che vi fossero informazioni su di noi, è stato distrutto.- rivelò Chikara-shisho.

Leonardo sospirò, quasi ringhiando: per una volta che era così vicino a scoprire la verità, era tornato esattamente nel punto di partenza.

Le informazioni che aveva ottenuto sui suoi sogni non erano quante se ne aspettava. Ma era meglio di niente.

-Comprendiamo la tua frustrazione, Leonardo-san.- cercò di rassicurare Kon-shisho -Ma questo è quanto otterrai da noi su Yuko ed il templare di nome Etienne.-

-E...- aggiunse Juto-shisho -Riporta questi alla templare.-

Di fronte alla tartaruga, avvolte in un'aura bianca, erano apparse Hesperia ed Hellas, completamente restaurate.

Leonardo le prese, sorridendo, immaginando la gioia dell'amica nel rivedere le proprie armi come nuove.

Il Tribunale Ninja era severo, ma non crudele, dopotutto.

Hisomi si avvicinò in quell'istante, porgendogli l'anello che le aveva sfilato dal dito durante lo scontro.

L'anello... pensò di nuovo alle parole di Kon-shisho sui poteri dei templari, mentre osservava la fonte sotto i troni: Kon-shisho aveva rivelato che il templare di nome Etienne, nel tentativo di salvare la metà del diario rimastogli, era caduto nella fonte, assorbendo ogni potere che custodiva.

In quel medesimo istante, ricordò le parole rivolte ad Elisabetta: “Un potere che avete ricevuto per sbaglio!”

Non sapeva come o perché, ma sentiva che entrambi gli elementi erano collegati.

-Stai attento, d'ora in poi, Leonardo-san.- raccomandò Chikara-shisho -Qualcosa sta nuovamente minacciando il mondo.-

Come aveva rivelato Usagi dopo il torneo Nexus. Ma lui come faceva a saperlo?

-Ma prima dovrai trovare la reincarnazione del templare.- aggiunse Kon-shisho -Solo con chi ha ereditato i poteri che il templare ha rubato, potrai affrontare quel male.-

I poteri che il templare aveva rubato... i pensieri di Leonardo erano corretti, allora.

Omnes, o meglio, chiunque si nascondesse dietro l'identità di Omnes era la reincarnazione di Etienne.

E spettava a lui trovarlo.

 

Un canto senza parole rompeva il silenzio delle campagne giapponesi.

Le lacrime ancora non smettevano di scendere dagli occhi di Elisabetta.

Le sue dita scorrevano tremanti sulle perle del rosario.

Il vuoto creato nel suo petto era più insopportabile del macigno che aveva trasportato per anni.

Quello che stava provando era la medesima sensazione che una persona provava appena resasi conto di essersi persa. Confusione, disorientamento.

Aveva vissuto tutta una vita nella rabbia; la rabbia era stata la sua ragione di vita, il suo potere.

Quel viaggio spirituale l'aveva completamente svuotata di quel sentimento.

-Sì, il silenzio può essere insopportabile, a volte.-

La voce squillante dell'Antico interruppe il canto.

-Scusami, io...-

-Oh, non fa niente, cara. Sono interessanti questi canti di voi occidentali. Sembra quasi che preghiate.-

In effetti, stava intonando un canto templare. Erano come preghiere.

-La preghiera riusciva sempre a sollevarmi.- spiegò la templare -Da quando i ragazzi hanno affrontato Omnes, però, non bastava mai. Non riuscivo più a controllare il mio potere. Si attivava contro la mia volontà. All'inizio, ho pensato a causa delle parole che Omnes mi aveva rivolto tempo fa. Ho cominciato ad avere dei dubbi, su me stessa, se la strada che stavo percorrendo fosse quella giusta. Ma non è stato da quel momento che ho perduto il controllo del mio potere. È stato da quando è morto il mio confratello Benedizione. Senza di lui... mi sono sentita così sola, disorientata, e questo ha compromesso il mio controllo sul mio potere. Rivedere il suo volto in Omnes... era troppo, non sono riuscita a sopportarlo. Ho cercato di dimenticarlo, di non pensare più all'impostore che si spacciava per Benedizione. Anche solo pensare a quel volto mi ricorda che lui non è più qui con me e questo è ancora più straziante di essere scomunicata.-

Non era scomunicata, ma, in effetti, si sentiva come se lo fosse.

-Francesco... era speciale per me. Non mi faceva sentire... inadeguata. Con lui, potevo superare qualunque sfida. Se ci fosse stato anche lui al Nexus, avrei sicuramente vinto contro Leonardo.-

Lo disse quasi ridendo.

-Nel tentativo di togliermi quella sensazione di dosso, incanalavo tutte le sensazioni negative nella mia rabbia. Alla fine, non mi sono resa conto di essere divenuta schiava del mio stesso potere. Avevo una paura di restare senza poteri, definitivamente indifesa, di tornare ad essere la patetica me che ero un tempo, che, alla fine, è stata quella paura incanalata nella rabbia a farmi perdere le mie armi ed i miei poteri.-

Le sembrava strano confidarsi con un estraneo.

Forse era effetto del suo “risveglio”. Aveva un'improvvisa voglia di sfogare tutto il dolore accumulato in quel periodo, dalla morte di Benedizione.

L'Antico era rimasto ad ascoltarla in silenzio, guardandola con tenerezza. Si mise accanto a lei.

-La tua rabbia ti stava consumando da prima che entrassi nei templari.- rivelò, sereno -Le prime persone ad averti denigrato, fatto sentire inadeguata, erano quelle più vicine a te. Se deludi quelle persone, come puoi farti accettare da chi è fuori dalla tua famiglia? È questo il primo errore che commettiamo, nella battaglia per la nostra accettazione. Non è una battaglia semplice: ogni cosa che fai, hai paura di deludere le aspettative di chi hai intorno, soprattutto le tue. E la tua cosiddetta arroganza è dovuta, appunto, al tuo timore di essere inadeguata.-

Esattamente come si era sentita per tanti anni. Esattamente come aveva rivisto nei suoi ricordi.

Abbassando la testa, notò la piccola sagoma dell'Antico di fronte a lei.

Stava continuando a sorridere, cortese.

-Lascia che ti dia un consiglio, piccola mia.- disse, prendendole entrambe le mani -Non gira tutto intorno a te.-

Seguì un piccolo momento di silenzio, segnato dalla confusione della templare.

-Cosa vuoi dire?-

Un sorrisetto furbo apparve sul volto dell'anziano.

-Sii meno severa con te stessa. Non hai nulla che non va. Non ho mai visto una persona più perfetta di te.-

Elisabetta non riuscì a non arrossire. Per un attimo, aveva pensato che la stesse prendendo in giro, che doveva davvero essere miope, per definire “perfetta” una come lei. Era tentata di dirlo, in realtà.

-E impara a chiedere aiuto, quando sei sull'orlo dell'abisso.- tagliò corto lui, prima che lei contraddisse il suo complimento sincero -Vedrai che qualcuno accorrerà, al tuo richiamo. Più l'armatura è spessa, più fragile è l'anima che la ospita. Questo detto mi ricorda te, cara. Hai dedicato gli ultimi anni a crearti un'armatura per proteggere le tue insicurezze, tramutando in rabbia qualunque sentimento negativo provassi. Ma l'armatura si consuma, se colpita troppe volte. Prima o poi, l'anima fragile emerge e non c'è niente da fare, quando sarà costretta ad affrontare la realtà che prima stava affrontando con l'armatura.-

Esattamente quello che le era capitato con il Tribunale Ninja: perdere le sue armi ed il suo anello era stato peggio del giorno in cui Luigi l'aveva costretta a spogliarsi di fronte ai confratelli, rivelando la sua vera identità. Mai si era sentita così esposta, indifesa.

-Ascolta il consiglio di un vecchio: se non vuoi più perdere il controllo del tuo potere, concentrati su quello che hai qui, non sulla tua rabbia.-

Le toccò il punto dove era situato il cuore. O magari era una scusa per toccarle un seno.

Ma Elisabetta non arretrò o si oltraggiò. Anzi, toccò quel punto.

Rise, confusa.

-Oh, sommo Antico… non puoi essere più in errore. Ho eliminato ogni forma di amore dalla mia vita.-

L'Antico scosse la testa, facendo cliccare la lingua sul palato.

-L'amore non si può eliminare, mia cara. E... io sento dei sentimenti crescere verso una persona vicina a te...-

L'Antico aveva forse lo stesso potere di Federico, pensò Elisabetta, sorpresa.

Le stava ancora tenendo le mani e la guardava dritto negli occhi. Forse era capace di leggere dentro le persone.

Questo la mise leggermente a disagio.

-Oh, Leonardo?- disse, liberandosi dalle sue mani e guardando da un'altra parte, rossa in volto -No, no… è un buon amico e apprezzo i suoi consigli, ma non provo assolutamente nulla per lui.-

-E non c’è proprio nessuno nessuno che ti sta aspettando a New York?-

L'Antico si stava facendo sempre più malizioso.

Forse non intendeva vicina nel senso geografico.

Pensò, allora, alla persona cara che le era rimasta nell'ordine templare, il suo consulente, l'unico vero amico che le era rimasto. E lui provava lo stesso per lei.

-Ah, Federico?- dedusse; ma scosse comunque la testa -Lui è sempre stato un fratello minore per me e proverò sempre affetto per lui, ma non sono mai riuscita a vederlo con altri occhi.-

Parlandone, si rese conto di quanto gli mancasse. Non gli aveva detto nemmeno del viaggio in Giappone. Era da tempo che non si tenevano in contatto.

-Chi ti dice che stessi parlando di Federico?-

Il cuore di Elisabetta batté forte. Si voltò nuovamente verso l'Antico, sorpresa, ma anche confusa.

 

La mente di Raffaello era altrove, quel giorno.

Era sulla panca, esercitandosi, come al solito, con il bilanciere. Fissava il soffitto, senza sbattere le palpebre.

Il suo pensiero fisso gli aveva persino fatto perdere il conto dei sollevamenti.

Non badò nemmeno ai borbottii provenienti dal laboratorio di Donatello.

-Ahh...! Sono disperato! Chissà se torneranno!-

Donatello era chino sul suo tavolo di lavoro, lavorando su un blocco di metallo con la fiamma ossidrica.

Michelangelo era alle sue spalle, che camminava nervoso avanti e indietro, con Klunk mezzo addormentato sulle sue braccia, intanto facendo le fusa.

-Oppure...- spalancò gli occhi e si mise le mani sulla testa, facendo volare via il gattone rosso, che miagolò forte dallo spavento -AH! E se a Eli fosse capitato qualcosa?!-

L'urlo aveva fatto quasi sobbalzare persino il fratello, che per poco non deviò la fiamma ossidrica.

Cambiò posto, tornando allo scanner per l'ennesima volta. Era più che deciso di scoprire cosa nascondesse il Trofeo del Nexus, a costo di fondere la macchina. I risultati, però, erano sempre gli stessi, anche potenziando i parametri.

Persino quel giorno aveva tentato con la fiamma ossidrica, dopo averlo fatto immergere nell'azoto. Ancora fallimenti.

-No, no... C'è Leo con lei. So che starà bene.- si rassicurò Michelangelo, inspirando profondamente, riprendendo il controllo delle sue emozioni.

Donatello stava nuovamente prendendo appunti, a prima vista cercando di ignorare gli sproloqui del fratellino, mentre si dirigeva verso un altro banco di lavoro, su cui erano sistemati dei circuiti per collegamenti elettrici.

-Ma voglio farle una bella sorpresa, quando tornerà. Voglio sorprenderla con un regalo. Ehi, Donnie, che regalo potrei farle?-

Il limite della pazienza stava per essere superato.

-Oh, ti prego. Fa' che mi sia addormentato durante le analisi del Trofeo e adesso sto sognando il mio incubo peggiore. Svegliami da quest'incubo, svegliami da quest'incubo...- mormorò, senza essere udito da Michelangelo.

-Dei fiori! Cosa pensi a dei fiori?- propose questi, urlando di nuovo come se avesse fatto la scoperta del secolo; poi divenne di nuovo pensieroso -No, non è abbastanza.-

-Regalale degli alberi, allora.- commentò, sarcastico, Donatello.

-No, Eli non è tipo da fiori. Ho l'impressione che li getterà nelle fogne. Forse un qualcosa di piccolo e personale. Don, che potrei farle di piccolo e personale?-

Donatello interruppe il lavoro che stava svolgendo con il mini saldatore ed il filo di stagno. Il suo volto si fece vicino, troppo vicino a quello di Michelangelo.

-Che ne diresti di lavarle i denti uno a uno?-

Sembrava più una battuta che un suggerimento. Come se, in realtà, gli stesse dicendo “Regalale quello che vuoi, ma lasciami in pace!”.

Il bilanciere venne posato al suo posto.

Ignorare la voce di Michelangelo era quasi impossibile, specie quando urlava. E Raffaello aveva la soglia della pazienza decisamente più bassa di Donatello.

-Vuoi piantarla di parlare?!- esclamò, sporgendosi dal suo spazio palestra -C'è gente in Alaska che starebbe cercando di allenarsi!-

Non era un tono da persona stufa di chiacchiere prolungate. C'era qualcosa di strano. Un fastidio più forte.

E gli occhi verdi non erano nemmeno del tutto puntati verso Michelangelo.

-Va bene, signor “Silenzio quando mi alleno!”.- canzonò il fratellino, alzando le mani -Da questo momento la mia bocca è chiusa, mmh!-

Anche Splinter era nelle vicinanze, sorseggiano una tazza di tè bollente.

-È comprensibile la tua preoccupazione per la giovane Elisabetta, figliolo.- notò -Il suo addestramento è del tutto differente dal nostro. Spero riesca a superare qualunque sfida le abbia proposto l'Antico.-

Michelangelo e Donatello si allarmarono.

Raffaello saltò giù al piano terra, anche lui preoccupato. Forse un poco di più.

-Ch-che vuoi dire...?- balbettò, quasi pallido -Che... che potrebbe non farcela...? O peggio...?-

-La sua mente è confusa. E lei non è abituata agli allenamenti della mente. Non come noi.-

Anche Splinter era preoccupato per la templare. Ma aveva fiducia in lei, nonostante tutto.

Raffaello impallidì sempre di più. Si strinse nelle spalle, mentre mordicchiava un dito.

-Oh, Shell! Lo sapevo che era una cattiva idea mandarla in Giappone!- borbottò, camminando nervoso per la stanza -E noi siamo troppo lontani. E anche se partissimo adesso, potrebbe essere troppo tardi per lei.-

La sua reazione stranì i fratelli: nemmeno per Leonardo si preoccupava in quel modo, o qualunque loro amico.

Michelangelo sorrise in modo furbo, come al solito per sdrammatizzare la situazione e cambiare il soggetto dei loro discorsi.

-Uhhh... Qualcuno si sta preoccupando...- sibilò, quasi danzando intorno al fratello con movimenti ondulatori; poi si mise di fronte a lui, puntandogli il dito contro -Ammettilo, hai una cotta per Eli!-

Dritto e diretto. Raffaello divenne più rosso della sua maschera.

-Cosa?!- esclamò, imbarazzato -N-no!-

Balbettava. Forse stava mentendo.

-Ah! Stai diventando rosso!-

-È la mia maschera ad essere rossa.-

Gli occhi azzurri del fratellino continuavano a fissare i verdi con aria furba.

Improvvisamente, indicò da una parte.

-Ehi, guarda! Eli è tornata!-

Anche Raffaello si voltò da una parte.

-Cosa?! Dove?!-

-Ah! Beccato!-

Se fosse stato più attento, si sarebbe accorto che Michelangelo aveva omesso Leonardo. I suoi sentimenti lo avevano tradito.

-Sei cotto! Sei cotto! Sei cotto!-

Il suo pensiero fisso da tempo. Da quando si era risvegliato dal suo piccolo coma dopo il suo scontro con Galvano ed i Ghost Riders. O forse da prima.

Il motivo per la sua scena di gelosia. Non per i fratelli.

Era troppo orgoglioso per ammetterlo, ma Michelangelo non aveva torto con le sue prese in giro.

Ma non voleva dare dare quella soddisfazione al fratellino.

-Umpf! Che strano, pensavo lo fossi tu.- ribatté, incrociando le braccia e guardandolo dall'alto verso il basso.

Michelangelo piegò le braccia poggiando le mani sui fianchi, con aria da sfida.

-Sì, è così.- ammise -Ed è per questo che ti renderò la vita difficile per dimostrarti che lei sarà solo mia.-

Raffaello dimenticò ogni imbarazzo, cedendo alla provocazione.

-Ah, è così?!- ringhiò, con aria di sfida -Ti credi al suo livello, cervello di gallina?!-

Chiuse la mano a pugno, sferrandolo in avanti, colpendo il fratellino alla guancia. Donatello non aveva fatto in tempo a fermarlo. La rissa tra i due non tardò ad arrivare.

-Basta, figlioli!- tuonò Splinter, alzandosi in piedi e sbattendo il bastone per terra -Smettetela immediatamente!-

Le due tartarughe erano già per terra, cercando di fare pressione l'uno sull'altro.

Splinter e Donatello dovettero dividerli, prima che la situazione degenerasse.

-Ma insomma! Non vi vergognate?!- rimproverò il topo, colpendo entrambi i figli sulla testa -Combattervi a vicenda! Non vi ho insegnato niente sul controllo delle emozioni?!-

Entrambi si erano lasciati andare, guidati dallo stesso sentimento per una persona. Ma solo in uno era più forte dell'altro.

-Siamo tornati!-

Non avevano sentito il rumore del tombino o quello dei passi.

Michelangelo aveva solo fatto una battuta, non si aspettava tornassero proprio in quell'istante. Il suo volto si illuminò alla vista della templare.

-ELI!!!-

Raffaello stava per fare un passo in avanti, quando venne superato dal fratellino, che si scagliò subito su Elisabetta, abbracciandola come se fosse mancata per anni e non per qualche giorno.

-Pensavo di non vederti più!!! Buuuhhh!- esclamò, simulando un pianto.

Lei, ridendo, diede delle piccole pacche sulla testa.

Alzò lo sguardo, incrociando quello di Raffaello. Lui, arrossendo di nuovo, si voltò da una parte.

“Razza di idiota! Che fai lì impalato?! Vai da lei e salutala!”

Vedere, però, Michelangelo ancora attaccato a lei come un koala su un eucalipto gli fece perdere ogni motivazione e speranza.

-Che bello vedere che siete entrambi sani e salvi, figlioli.- salutò Splinter, anche lui felice di rivedere il figlio e la templare -Mi auguro abbiate trovato ciò che cercavate.-

Elisabetta aveva l'aria più serena in volto. Questo fu abbastanza come buona notizia.

Leonardo, però, era ancora inquieto.

-Il Tribunale Ninja non mi ha dato tutte le risposte che cercavo...- raccontò -Ma, almeno, ora so più o meno qualcosa sul ninja che appare nei miei sogni...-




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Elisabetta avrà davvero di nuovo il controllo sul suo potere?
Leonardo scoprirà di più su Yuko ed Etienne?
Quale sarà il loro legame con il Graal?
Chi si nasconderà dietro la maschera di Omnes?
   
 
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