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Autore: Fuffy91    23/06/2022    2 recensioni
" “ Ti assecondavo perché…”
La voce venne meno a quell’ultimo pensiero, non trovando subito il coraggio di palesarsi all’altro.
Ma Grindelwald fu insidioso e, sibillinamente, non gli lasciò tregua.
Voleva conoscere la fine di quella frase, che assumeva già tutto il gusto della dichiarazione, sotto la sua lingua da serpente incantatore.
“ Perché?”
“ Perché ero innamorato di te.”
Sputò alla fine, tirando fuori di nuovo una verità ovvia e chiara ad entrambi, a testa alta ed occhi fermi.
Grindelwald lo osservò per un lungo minuto, lo sguardo obliquo, le pupille attente, le labbra pronte a stiracchiarsi in un nuovo sorriso compiaciuto."
Diretta e reinterpretata riscrittura della scena iniziale del film "Animali Fantastici - I Segreti di Silente". La coppia Albus Silente/Jude Law e Gellert Grindelwald/Mads Mikkelsen mi ha fatta sognare!
Buon divertimento! ;)
* All'interno della ff, troverete nell'angolo dedicato all'autrice ulteriori chiarimenti. Buona lettura!
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Ti lascio al tuo tè

Londra era fredda, ma poco uggiosa in quel periodo. Albus Silente uscì dalla metro consapevole di andare incontro a molto più di un semplice appuntamento.

Si strinse nel lungo cappotto blu, il cappello a falda stretta calato sulle ventitré, a nascondere solo a metà il cipiglio alla fronte, volto ad increspare lo sguardo chiaro dei suoi occhi intelligenti. Unico segno esterno di un leggero, insidioso turbamento.

Si sedette ad un tavolo da tè. Non era solo: a quell’ora, la sala dell’ottimo salone ristorante era gremita di coppie o singoli alla moda o propendi a gustare una squisita omelette alla francese.

Se avesse avuto il suo orologio d’oro da taschino, questo gli avrebbe di certo indicato l’ora del pranzo. Tuttavia, al suo posto, nella mano destra, si attorcigliava come un freddo serpentello d’argento la catena del ciondolo divenuto, col tempo, maledetto.

Controllava scrupolosamente i palpiti del suo cuore, l’infingardo! Sapeva quel piccolo, scrupoloso e poco negletto gingillo, che il turbamento dentro di lui cresceva sempre più, insieme alla tensione.

Si sforzò di ignorare stoico la sua morsa sempre più stretta, come anche di non lasciar trapelare alcun segno di agitazione alla solerte cameriera che lo accolse, beneficiandolo, di un buon tè scuro.

La congedò con un sorriso mesto, palesando a voce ciò che solo il suo cuore gli rimarcava dall’interno ad ogni battito più celere: era in attesa.

Aspettava una persona.

O, per meglio dire, la persona.

Una zolletta di zucchero lasciata affogare nel piacevole tepore fumante della bevanda. Il suo cuore, sempre più pesante e gonfio nel petto, ad inabissarsi metaforicamente con essa.

A seguire tre giri del cucchiaino, garbatamente riposto con due lievi tintinni sul piattino di porcellana bianca.

Un tremito lungo la superficie acquosa della tazza, un brivido lungo la schiena. La tensione crescente, la stretta improvvisa del ciondolo lungo il suo polso…

Un fulgido, chiaro bagliore dietro le palpebre calate. Come se potesse già vederlo, Silente sapeva. Grindelwald era arrivato.

Il mago appena materializzatosi era a pochi metri da lui. Lo aveva studiato silenziosamente in una rapida occhiata, ne era consapevole. Lì, seduto poco distante da dove aveva scelto di comparire. Non troppo vicino, né troppo lontano. La giusta distanza.

Quella mostrata tutta la vita, con lui.

Forse fu quel pensiero a fargli chinare lo sguardo e a stiracchiare le labbra in un sorriso. Grindelwald socchiuse gli occhi, già per loro natura, quasi felini, avanzò lesto e misurato verso il tavolo, si accostò alla sua seduta, guardando Albus ancora dall’alto, seppur in un atteggiamento per nulla dominante.

Un sorriso – il suo sorriso – ad impreziosirgli appena gli angoli delle labbra carnose.

Saresti un cliente fisso di questo luogo?

Lo punzecchiò, con quella sua soluta aria da impertinente gentiluomo. Possibile che non fosse poi così cambiato? Il cuore di Albus fece le capriole a quell’ennesimo, speranzoso pensiero.

Sentendosi avvampare, strano, ridotto ad un tremito al di sotto dei vestiti eleganti da mago raffinato e di cultura, quell’infima catena ad allentarsi ad ogni fremito sottopelle di lui. Per lui.

Io non sono un cliente fisso di niente!

Grindelwald lo osservò ancora per una manciata di secondi, lo sguardo da gatto sempre meno convinto che la sua nuova esclamazione fosse veritiera.

Conosceva bene i suoi gusti da capire che quel posto, calmo e riposante, fosse l’ideale per un timido solitario dandy come lui.

Ma non aggiunse altro, preferendo invece con una sola falcata sedersi sulla comoda ed imbottita poltroncina in pelle bordeaux del locale.

Ora, erano perfettamente allineati, l’uno di fronte all’altro.

Albus si concesse il privilegio di osservarlo da quella veduta privilegiata. Niente maschere, quell’oggi, a diretta concessione per l’amico ritrovato. Niente biondo acceso, viso più levigato ed affilato da criminale internazionale; accantonati il meno recente portamento fiero e massiccio, insieme agli occhi bui da lestofante di un governo straniero. No, nulla di tutto questo.

Ma, seppur palesatosi nelle sue vere fattezze, Grindelwald era comunque cambiato. I suoi occhi cangianti erano più scuri, quasi come se il nero dell’iride destro avesse finito con l’incupire il tenue chiarore azzurrognolo dell’occhio sinistro.

Eppure il suo sguardo era quieto e dolce, mentre lo fissava…

Che fosse solamente una sua fascinazione?

La sua bocca era la stessa che ricordava, sorniona e tirata come sempre. Da quelle labbra spigolose erano uscite, spesso e volentieri, parole seducenti, atte a circuire o ad ammaliare il malcapitato ascoltatore di turno, seguite poi da sussurri ironici e, per finire, talvolta da gemiti di piacere. Silente scacciò quell’ultimo pensiero pericoloso, come una mosca molesta posatasi sulla punta del naso adunco, per poi lasciar cadere gli occhi proprio su quel suo sardonico sorriso, che si schiudeva piano per mormorare pacato, come se avesse appena terminato di leggere l’intera trama dei suoi pensieri e ne fosse riemerso piacevolmente divertito:

Vediamolo.

Non suonò come un ordine, bensì più come una richiesta.

Eppure, per un solo istante, il cuore di Albus aveva mancato ad un battito.

La differenza.

Era stata quella a permettere al suo viso barbuto di trasfigurarsi in un attimo, passando dalla più tranquilla consapevolezza di aver ritrovato dopo anni una persona conosciuta, a quella reale e maggiormente veritiera di trovarsi seduto al tavolo delle trattative con un perfetto sconosciuto nel corpo di un suo antico amore.

Automaticamente, come se avesse acquisito una volontà propria, la mano destra si aprì, a mettere in mostra, vanitosa e senza pudore, il ciondolo del loro patto di sangue.

La luce al centro dell’ampolla era evanescente, azzurro indaco come gli occhi di Silente, quando venivano abbagliati da un primo raggio di sole all’alba.

E fu in quelle iridi celesti che Grindelwald ritornò a specchiarsi, dopo aver gettato una veloce occhiata al suo trapassato ninnolo:

A volte immagino di sentirlo ancora intorno al mio collo.

Confessò, lo sguardo basso, il mormorio della sua voce bassa e musicale quasi a coprire i battiti del suo cuore in decelerazione nelle orecchie. La sua espressione serena, quasi nostalgica, ad addolcire i tratti più spigolosi del suo volto squadrato.

L’ho portato per molti anni”, lo udì aggiungere, poco prima di chiedergli direttamente e con altro tono, quasi accusatorio:

Come sta intorno al tuo?

Lo rimproverava, ora. Silente gli sorrise. In fondo, era come se glielo avesse rubato. Ma adesso, non era più il tempo di quei puerili rimbrotti.

Potremmo liberarcene entrambi…

Gli propose, persuasivo e ammiccante come solo egli sapeva di poter essere.

Grindelwald non cascò nelle sue trame, limitandosi invece a lasciar sfuggire dalle labbra lievemente imbronciate un debole mugugno, prima di aggiungere in un tono aspro, quasi sprezzante:

Quante chiacchiere inutili, questi babbani! Anche se bisogna ammettere che fanno un ottimo tè.

Terminò, in un celio che nascondeva tutto il suo reale sarcasmo.

Albus si incupì, ma solo nello sguardo, prima di inclinare il capo verso destra per sussurrargli caustico:

Le tue intenzioni sono folli.

Gli ricordò con un accenno di biasimo nella voce seriosa, come se si stesse rivolgendo ad uno dei suoi studenti col chiaro intento di rimproverarlo, senza apparire per questo troppo severo.

L’indulgenza.

Un altro tratto che Grindelwald, molto più dei suoi studenti indisciplinati, non avrebbe dovuto meritare.

Eppure…

Una volta erano anche le tue.

Gli ricordò nell’immediato, in una conseguenza quasi ovvia, dati i loro trascorsi.

Albus titubò appena, questa volta, prima di rispondergli tono su tono:

Ma ero giovane, ero –

Devoto!” lo interruppe bruscamente, come se volesse porre fine a tutta quella conversazione, oppure semplicemente, anticipandone le parole, volesse estorcere dalla sua bocca quelle che la propria lingua non avrebbe mai avuto il coraggio di pronunciare.

A me! A noi.

Sottolineò con un eccesso euforico, quasi di trionfo, nella voce virile e pur sempre misurata, più che convinto delle sue affermazioni.

E come dargli torto, a quel punto? Tuttavia…

No.

Silente, ora, fu netto nella negazione, perché certo della sua opposizione.

Ti assecondavo perché…

La voce venne meno a quell’ultimo pensiero, non trovando subito il coraggio di palesarsi all’altro.

Ma Grindelwald fu insidioso e, sibillinamente, non gli lasciò tregua.

Voleva conoscere la fine di quella frase, che assumeva già tutto il gusto della dichiarazione, sotto la sua lingua da serpente incantatore.

Perché?

Perché ero innamorato di te.”

Sputò alla fine, tirando fuori di nuovo una verità ovvia e chiara ad entrambi, a testa alta ed occhi fermi.

Grindelwald lo osservò per un lungo minuto, lo sguardo obliquo, le pupille attente, le labbra pronte a stiracchiarsi in un nuovo sorriso compiaciuto.

Sì.

Soffiò, come un gatto ruffiano pronto a fare le fusa al suo proprietario stanco dei suoi insistenti miagolii.

E fu felinamente che si sporse di più verso di lui, confidandogli ancora, come se fossero soli, in una stanzetta privata, e non in una sala gremita di sconosciuti inconsapevoli:

Ma non mi assecondavi per questo. Eri tu che dicevi di voler cambiare il mondo. Che era nostro diritto di nascita.

Albus si inumidì le labbra, agitato e incapace – a suo malincuore – di gareggiare a lungo con l’intensità di quello sguardo folle e deciso allo stesso tempo.

Come dirgli il contrario? Era vero, dopotutto. Da giovane era stato sciocco e ignorante. Aveva investito in progetti irrealizzabili, dando credito ad idee impossibili e fallaci che, se attuate, avrebbero gettato il mondo che conosceva nel baratro del caos e del disordine razziale.

Se solo non avesse mai conosciuto Gellert, in quell’estate di tanti anni addietro. Se soltanto non lo avesse coinvolto!

Non riusciva a guardarlo a lungo in viso; non per il sentimento che ancora, contro ogni sua volontà, sentiva di provare per lui, ma anche e soprattutto perché Grindelwald, quel Grindelwald, era il conseguente prodotto e il diretto risultato dei suoi vaneggiamenti da ragazzo.

“ Non credi sia amorale, Albus? Non temi sia… pericoloso?”

Lo sentiva ancora mormorare, persino così, ad occhi chiusi, immerso nei suoi ricordi: vedeva lui e Grindelwald poco più che diciasettenni, proprio lì, racchiusi nell’intimità della sua camera assolata, dove ogni pomeriggio Gellert sgattaiolava dalla finestra aperta per poter discorrere e stare con lui, in segreto e senza mura o giardini perimetrali a dividerli.

Ed egli era così felice, così pieno di aspettative future, così entusiasta, così pazzo da rassicurarlo, ammaliarlo, trascinarlo, convincerlo della ragionevolezza della sua follia:

“ No, se fatto con le dovute regole e precauzioni.”

Gli ribadiva, ancora e ancora. E lo cercava. Con le parole, con i gesti affettati, con le mani strette nelle sue. Le dita intrecciate. I respiri rotti e confusi. Le menti in pieno fermento.

“ Fidati di me, Gellert. È per il bene superiore.”

E il suo sorriso – oh, il suo sorriso! – non era poi così diverso da quello che, in tempi odierni, gli vedeva sfoggiare sulle medesime labbra di allora.

Che fosse quella, in fondo, la sua vera colpa? Il motivo ultimo di tutti i suoi sbagli?

Cosa vedeva in realtà davanti a sé, adesso, se non il riflesso infranto dei suoi errori?

Sospirò, stanco, troppo stanco per rivaleggiare con tutte quelle constatazioni.

Forse, dopotutto, quello che Silente vedeva riflesso nello Specchio delle Brame accanto alla propria immagine, non era altri che il Grindelwald che non avrebbe mai potuto esistere: semplice, onesto, buono, ancora integro nell’anima incorrotta.

Il ciondolo fece i capricci intorno al suo palmo, stringendolo un po’ di più intorno alla pelle fredda e sensibile. Silente lo tenne fermo, mentre cercava di evitare di venire ustionato dalle fiamme in cui, a conti fatti, gli occhi di Grindelwald desideravano lasciarlo ardere per molto, moltissimo tempo.

Trasse un breve respiro ad occhi bassi, provando a ritrovare la stabilità per un istante persa negli abissi blu notte di Gellert, finché un movimento nei loro pressi e un suo trasalimento non lo costrinsero a guardarlo ancora una volta.

E ciò che vide non gli piacque affatto.

Dopo che la cameriera aveva portato gentilmente altro tè per lui, Grindelwald aveva cominciato a sondare la sala ristorante con i suoi imperscrutabili occhi d’acciaio, tendendo le spalle e la schiena come se volesse scostarsi da qualcosa di sgradevole. Quando lo udì riprendere parola, tutto si aspettò tranne il disgusto nella sua amabile voce:

“ Non lo senti? Il fetore?

Tornò a guardarlo, anzi ad inchiodarlo, con quei suoi occhi taglienti e affilati come punte d’iceberg in mezzo ad un mare di neve e ghiaccio perenne.

Era fredda e metallica, ora, la sua voce modulata, mentre i bordi sensuali delle sue labbra mutavano da corpi mobili e voluttuosi, fatti di carne e sangue, in due pezzi di marmo pallidi e insensibili, per chiedergli:

Davvero intendi voltare le spalle alla tua razza? Per questi animali?

Albus rimase in silenzio, statico, gli occhi a metà tra sorpresa e terrore.

Animali…

Nemmeno più umani, dunque, ai suoi occhi inflessibili. Solo prede da braccare, isolare, cacciare, agguantare e, in un’ultima istanza, uccidere.

Il gatto che si tramuta in tigre.

Non temi sia pericoloso?

Così lontano, quell’innocente sussurro. Solamente un pallido ricordo della sua adolescenza.

Adesso, Grindelwald era il Pericolo.

Albus, che continuava a sedergli di fronte, lo capì allora, forse ancor più delle consapevolezze che l’avevano condotto a ritrovarsi con lui, quel giorno, in quel ristorante babbano.

La nebbia gli offuscava la mente in allerta, proprio come la foschia che stava avviluppando i sensi e le sagome dei non-maghi presenti in quella sala.

Con o senza di te incenerirò il mondo, Albus. E non puoi fare nulla per fermarmi.

Oh, sì… decisamente, non poteva fare nulla.

Come poteva riuscire lui, Albus, da solo e con quei pochi mezzi, porre fine a tanto ardore, a tanta accesa brutalità?

Grindelwald gli apparve perfetto nella sua inattaccabile verità da pazzo dominatore.

Così arrogante, così meschino… sempre più distante dall’immagine del Gellert curioso e sensato, intrappolato nella lucida memoria del suo passato.

Ti lascio al tuo tè.”

La sentenza. L’ultima che gli sentì pronunciare dinanzi, poco prima di seguirlo alzarsi e scomparire alla sua vista.

Ciononostante, essa non costituì l’ultimo segno tangibile della sua presenza, quell’oggi.

Fu di soppiatto che Gellert lo colse da dietro, le braccia allungate verso di lui, il tessuto pesante del suo completo scuro a sfiorare appena quello chiaro della sua giacca, le mani dalle dita lunghe e nodose a scivolare sulle sue spalle, per sostenersi o forse, solamente per trattenerlo da uno scarto improvviso di fuga.

Il suo profumo, di pino silvestre e fumo di tabacco arabo, gli solleticò le narici.

Il suo respiro, che si infranse dolcemente sul lobo del suo orecchio, a farlo rabbrividire mentre si chinava a sussurrargli:

“ È stato comunque un piacere rivederti, per me, Albus.”

Era sincero o voleva solo fare sfoggio della sua matura sensualità?

Albus rabbrividì quando con le labbra scese a baciargli, in un tocco morbido, asciutto e tiepido, un lembo del collo scoperto.

“ Hai un buon profumo. Come sempre.”

Gli mormorò. Il cuore del mago inglese era in pieno tormento. Voleva alzarsi, voltarsi, stringerlo, scuoterlo, ucciderlo, baciarlo… non lo sapeva nemmeno lui.

E invece, rimase in silenzio, immobile come una statua di sale, a non mostrare nulla, a far sottacere ogni fremito, ogni lamento, ogni possibile debolezza.

Quando riaprì gli occhi che non si era accorto di aver chiuso, Albus era di nuovo solo.

Grindelwald se ne era andato. Di nuovo e per davvero, questa volta.

L’umido tepore delle sue labbra a marchiargli la pelle e le fiamme a circondarlo, come unici segni del suo passaggio.

A ricordargli che era stato proprio lì, con lui.

Per lui.

*

Riaprì gli occhi di scatto.

Era al sicuro, nel suo studio. Il chiacchiericcio allegro e svogliato dei suoi studenti, ad Hogwarts, a fare da sfondo ai suoi pensieri crucciati e irrisolti, proprio fuori dalla finestra e dalla porta in legno d’acero.

Non temi sia pericoloso?

Pericoloso… Gellert è il pericolo, ora.

Eri tu che dicevi di voler cambiare il mondo!

No, non è vero… non così.

Davvero vuoi voltare lo sguardo alla tua razza?

Esiste forse una razza?

Per questi animali?

Animali…

Hai un buon profumo.

Il tuo, devo dimenticarlo.

Il ciondolo si strinse sempre più intorno al suo polso e il sangue mescolato iniziò ad arrossarsi nella sua mano, a scottare, a bruciare tra le venature del suo palmo.

Sentiva il suo tormento, avvertiva la complessità delle sue emozioni.

Un misto di rabbia, eccitazione, odio, disappunto, fuoco e ghiaccio.

Un debole e discreto bussare alla porta bastò da solo a riportarlo indietro, a rammentargli il presente.

Giusto… era l’ora del tè.





Angolo dell'autrice

Grazie per essere giunti fin qui.
Alcuni chiarimenti al testo appena letto:
1) La storia è una riscrittura rivisitata e impreziosita della scena iniziale di "Animali Fantastici: - I Segreti di Silente". Pertanto, ci tengo a precisare che le battute in neretto e in corsivo non appartengono a me, ma alla sceneggiatura originale del film, come anche i protagonisti della storia, che sono di proprietà esclusiva di quel genio di J.K. Rowling.
2) I pensieri, le narrazioni e le descrizioni esterne alla scena visibile ed interpretabile nel film appartengono a me e, di conseguenza, sono frutto della mia libera immaginazione.
3) La scena finale svoltasi nel ristorante è stata una mia diretta interpretazione di quella che la Warner Bros. ha voluto volutamente cancellare dallo script originale - cosa che ho trovato di uno spreco totale, tanto da inserirla a mia completa interpetrazione nella chiusura dell'intera conversazione.
4) Ho voluto riprendere anche la scena conseguente, quella dello studio, dove si vede appunto Albus Silente in preda ai tormenti del destino che lo ha ricoinvolto nella vita e nei guai di Grindelwald. Anche questa scena è stata leggermente reinterpretata da me.

Spero davvero che questa one-shot vi sia piaciuta e vi abbia divertito come lo ha fatto con me.

La coppia Albus Silente/Gellert Grindelwald, interpretata rispettivamente da Jude Law e Mads Mikkelsen, mi ha colpito davvero tantissimo: elettricità magica ed erotica coinvolgente e pazzesca! Non potevo non scriverne o riscriverne... :P


Si accettano ben volentieri letture, pareri e recensioni private e pubbliche, a vostro piacere.


Al prossimo incontro o alla prossima tazza da tè! ;)


Un magico abbraccio,

Fuffy <3



  
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