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Autore: My Pride    23/06/2022    1 recensioni
~ Raccolta Curtain Fic di one-shot incentrate sulla coppia Damian/Jon + Bat&Super family ♥
» 79. With all my life
Le note di Jingle Bells risuonavano a ripetizione negli altoparlanti del centro commerciale e diffondevano quell’aria natalizia che si respirava in ogni punto della città di Gotham, dai piccoli magazzini, negozi di alimentari e ristoranti ai vicoli che circondavano ogni quartiere.
[ Tu appartieni a quelle cose che meravigliano la vita – un sorriso in un campo di grano, un passaggio segreto, un fiore che ha il respiro di mille tramonti ~ Fabrizio Caramagna ]
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bat Family, Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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So much things you had to through Titolo: So much things you had to through
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia: 
One-shot [ 1877 parole fiumidiparole ]
Personaggi: 
Jonathan Samuel Kent, Clark Kent
Rating: Giallo
Genere: Generale, Slice of life, Malinconico
Avvertimenti: What if?
May I write: 1. "Non l'ho mai preteso" || 3. Curtain fic


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved
.

    Jon si sedette pesantemente su uno dei gradini del portico, passandosi un braccio sulla fronte sudata mentre osservava lo steccato con un sorriso dipinto in viso.
    Lui e Damian si erano trasferiti solo da un paio di mesi, eppure le cose erano migliorate giorno dopo giorno, forse anche grazie all'aria di campagna e all'essere lontani dalla città e dai suoi perenni e caotici guai. Entrambi avevano dovuto adeguarsi alla nuova vita - per quanto avesse vissuto in una fattoria fino a dieci anni, i successivi li aveva passati nell'agio della grande Metropolis -, ma avevano affrontato insieme quel cambiamento, poiché aveva fatto bene specialmente a Damian. A volte Jon si sentiva strano senza poter più fare affidamento sui propri poteri, ma aiutare Damian a superare la perdita della propria gamba era stato molto più importante.
    «Ehi, Jonno. Ti ho portato da bere».
    Jon sorrise raggiante nel sentire suo padre, sollevando lo sguardo verso di lui per vederlo con due bottiglie di birra fra le mani. La sua presenza alla fattoria era stata di grande aiuto, e non lo avrebbe mai ringraziato abbastanza. Con Damian non esattamente in condizione di potersi occupare con lui delle riparazioni, Jon si era rimboccato le maniche e aveva cercato di rendere quella casa - la stessa casa in cui aveva vissuto da bambino - perfetta per entrambi, riverniciando le pareti e inchiodando le assi del pavimento; Damian aveva cercato di dare una mano per quanto possibile, facendosi forza con la stampella nel girare per casa con l'ausilio di una gamba. E Jon lo aveva lasciato fare, consapevole che frenarlo avrebbe solo fatto in modo che si sentisse nuovamente inutile e potesse chiudersi in se stesso. L’arrivo di suo padre era stato provvidenziale e aveva velocizzato non poco i suoi compiti, e osservare il lavoro che avevano fatto riempiva il cuore di Jon di un moto di orgoglio.
    «Grazie, papà», disse Jon nell’allungare la mano per afferrare la bottiglia, e non lo stava ringraziando solo per quella. Avere il supporto di tutti loro era ciò di cui lui e Damian avevano bisogno, anche se avrebbero preso quella decisione qualunque cosa avessero detto gli altri.
    «Di niente, ragazzo». Clark si sedette al suo fianco e stappò le birre con due dita, e nel vederlo bere un generoso sorso sbuffò ilare. «Ehi, vacci piano con quella».
    «Papà… guarda che non è la prima volta che ne bevo una, li ho superati da un pezzo i ventun anni…»
    «Ma adesso non hai più la tolleranza kryptoniana», gli rese noto, ridacchiando al brontolio del figlio prima di guardare a sua volta lo steccato e i piccoli steli che spuntavano timidamente dal terreno. Era tutto ben lontano dall’essere uh vero e proprio campo di grano, ma era un inizio. Sarebbe cresciuto esattamente come i giovani uomini che abitavano ormai quella casa. «Chi avrebbe mai detto che avremmo condiviso una birra insieme dopo una lunga giornata in fattoria».
    Jon rise genuino. «È strano anche per me», ammise. «Dopo il nostro trasferimento a Metropolis, credevo che avremmo messo piede in campagna solo per andare a trovare i nonni. Non avrei mai pensato che sarei tornato a viverci».
    «Nemmeno io», affermò Clark prima di bere un sorso. «La tua scelta ha stupito tutti, ma mentirei se dicessi di non essere felice per te e per Damian. Sembrate felici, e Damian sembra più rilassato di quanto non lo fosse in città. Dopo quello che ha passato…»
    «Non parliamone, ti prego».
    La voce di Jon suonava lugubre, Clark sentì anche il suo cuore accelerare di qualche battito, e allungò un braccio per cingergli le spalle e tenerlo contro di sé. Le camicie si erano appiccicate al petto e contro i bicipiti a causa del sudore, ma a nessuno dei due parve importare. Aveva avuto modo di seguire, seppur a distanza, il percorso impervio che i due giovani avevano dovuto affrontare, la sofferenza di Damian e la frustrazione di Jon, la sua consapevolezza di non poter fare niente per far star meglio la persona che amava e tutta l’ansia e la paura che gli cresceva dentro, cercando di supportarlo come concesso dal suo essere padre. Gli aveva consigliato di tenere un diario, si scaricare in esso i suoi flussi di coscienza e di cercare di sfogare tutti i suoi dubbi in quel modo, i progressi di Damian e le ricadute, ma era stato solo quando Jon gli aveva chiesto di prelevare della kryptonite dorata che Clark aveva davvero capito quanto peso si fosse portato addosso suo figlio per mesi e mesi. Il continuo irrigidimento delle sue spalle durante le missioni, lo sfrecciare frenetico dei suoi occhi verso punti lontani del cielo, le orecchie che fremevano come quelle di un cane come se fosse in ascolto del battito del cuore di Damian e il suo stesso cuore che batteva ferocemente nel petto, un cambiamento continuo di emozioni tenute sotto controllo per evitare letteralmente di esplodere. Finché alla fine non ce l’aveva più fatta e aveva preso una decisione: in un infinito universo di responsabilità e doveri, l’unica cosa che contava era la salute di Damian.
    Clark scosse la testa al pensiero, fissandolo in viso con attenzione. Poteva vedere ogni cambiamento sul viso di suo figlio a livello molecolare, il fremere impercettibile del suo labbro, i pori della sua pelle dilatati e il movimento velocissimo delle sue pupille, come se gli occhi stessi stessero tremando. E non voleva vederlo così. «Hai ragione, Jonno. Non volevo sollevare l’argomento». Gli strinse delicatamente un braccio, dosando la sua forza poiché il corpo di suo figlio non avrebbe sopportato una presa più ferrea, ma Jon scosse debolmente la testa.
    «Non è colpa tua papà», sussurrò, abbassando lo sguardo sul bordo per osservare la birra all’interno. «Sapevo che non sarebbe stato facile. Non ho mai preteso che lo fosse». Jon strinse entrambe le mani intorno alla bottiglia, e se avesse avuto ancora i suoi poteri l’avrebbe ridotta in frantumi. «Tutto ciò che volevo era solo che Damian stesse meglio, che tornasse a sentirsi bene con se stesso e che… che non stesse così male, io…»
    Clark avvertì l’odore salato delle lacrime prima ancora che ruzzolassero dagli occhi di suo figlio, e lo strinse maggiormente contro di sé per poggiargli un bacio sulla testa. «Va tutto bene, Jonno. Tutto bene», gli sussurrò fra i capelli, sentendolo sussultare in preda ai singhiozzi che cercava di contenere mentre scuoteva la testa e biascicava tra sé e sé parole incomprensibili. Lo capiva. Riusciva a comprendere quanto fosse stato difficile per lui vedere un ragazzo come Damian - il suo migliore amico, il suo partner, la persona che era diventata il suo mondo - in quello stato, quanto gli avesse stretto il cuore e quanto avesse avuto la sensazione di respirare acqua per mesi e mesi, e vederlo piangere, sfogarsi, lasciarsi finalmente andare stringeva anche il suo cuore. E desiderò che quel muscolo che gli batteva in petto fosse abbastanza grande per contenere tutto il dolore che gli stava mostrando suo figlio.
    Posò lui stesso le bottiglie di birra sul portico e rimasero in quel silenzio rotto solo dai singhiozzi di Jon e dal fruscio dell’erba, dal cinguettio distante degli uccelli della campagna che sembravano cercare di celare quel pianto, le orecchie di Clark colme solo e unicamente di quel battito cardiaco mentre carezzava la schiena curva di suo figlio e gli dava conforto senza proferire parola. Non ce n’era bisogno. Non ce n’era mai stato. E Clark non smise per un secondo di abbracciarlo, di placare quei singulti, finché Jon non smise poco a poco di sussultare e si accasciò un po’ in avanti.
    «S-Sono un idiota», disse infine Jon mentre tirava su col naso, passandosi il dorso e il palmo della mano sugli occhi nel tentativo di asciugare le lacrime ancora intrappolate sulle ciglia. «T-Ti ho detto di non parlarne e p-poi l’ho fatto io, e m-mi sono persino messo a piangere, non--»
    «Non hai nulla per cui sentirti idiota, ragazzo», replicò Clark in un sussurro. «Ho visto come ti ha fatto sentire questa situazione. Se noi da esterni stavamo male, non posso nemmeno immaginare cosa avete dovuto affrontare tu e Damian, quanto dev’essere stato difficile per entrambi anche se cercavamo di starvi vicino. Ho visto persino Bruce piangere in caverna quando tornava da una pattuglia o dopo essere andato a trovare Damian, e non pensare nemmeno per un momento che sfogarti sia stato stupido». Gli asciugò lui stesso un angolo dell’occhio destro, notando il luccichio di una lacrima. «Non ti sei mai tirato indietro, ti sei sempre mostrato forte e indistruttibile e hai sempre cercato di fare il possibile per Damian e per il mondo… e non ti sei mai lamentato di niente. Hai sempre fatto ciò che dovevi».
    Jon si morse il labbro inferiore, cercando di asciugare ancora un po’ gli occhi. «Avrei voluto fare di più, aiutare il più possibile, ma… mi sentivo come se la pressione mi stesse schiacciando». Trasse un lungo respiro, sollevando lo sguardo verso l’alto. «C’erano così tante responsabilità, così tante persone che si aspettavano che risolvessi ogni cosa, era tutto così soffocante che non… non potevo semplicemente lasciare che tutto mi scorresse addosso e tornare da Damian con lo stress che mi martellava la testa. Non volevo lasciare che voi vi prendeste carico anche di ciò che mi spettava, ma non potevo… non potevo dare a Damian altro peso da sopportare».
    «Jon, ehi, figliolo. Guardami». Clark gli afferrò il viso con entrambe le mani, delicatamente, costringendolo a voltarsi poco a poco verso di lui per fissarlo in quegli occhi ancora un po’ rossi e gonfi di pianto. «Nessuno ti biasima per la tua scelta, nessuno ha intenzione di farti pesare la strada che hai deciso di percorrere. Siamo tutti felici per te e Damian». Gli carezzò il viso, sollevando un angolo della bocca in un sorriso. «Sono fiero di te, ragazzo mio. Non dubitarne mai».
    Un sorriso timido e stentato si fece spazio sulle labbra di Jon, che avvolse le braccia intorno ai fianchi del padre per tenerlo contro di sé. «Grazie, papà», sussurrò, affondando il viso nel suo petto. Era grato a suo padre di quelle parole e, sebbene fosse stato convinto di non volerne parlare, forse farlo era davvero ciò di cui aveva bisogno. Si erano lasciati tutto alle spalle per poter vivere una vita tranquilla… e avrebbe scelto di perdere i suoi poteri altre dieci, cento, mille volte ancora se fosse servito.
    Non seppero quanto tempo restarono lì seduti sul portico, a sussurrarsi parole e a cercare di scacciare quella malinconia, a guardare la campagna che si estendeva a perdita d’occhio e a sorseggiare birra, finché non videro l’auto di Lois parcheggiare nel vialetto proprio in quell’istante e Damian scendere per primo, sorreggendosi alla stampella mentre chiacchierava con Lois. E Jon non perse un istante di quei movimenti e del saluto che gli venne rivolto, sentendo la mano di suo padre stringergli una spalla come a fargli forza e ricordargli che quel sorriso sulle labbra di Damian valeva più del possedere la forza di frantumare un diamante.
    Quella era la loro vita, adesso… e ne meritavano ogni singolo istante.






_Note inconcludenti dell'autrice
Questo è il ventesimo giorno dell'iniziativa #mayiwrite indetta dal gruppo Non solo Sherlock - gruppo eventi multifandom  
Non ho la benché minima idea di che cosa sia successo, se proprio devo essere sincera con me stessa. Doveva essere una cosa stupida in cui padre e figlio condividono una birra dopo una giornata di lavoro, una cosetta leggera leggera all'insegna del fluff, ma hanno deciso che non gli piaceva e siamo finiti così.
Qualche ispirazione dalla canzone Surface Pressure, è sparsa un po' in giro per il testo soprattutto nelle frasi di Jon e nei pensieri di Clark su di lui. Per fortuna supereranno anche questo momento e vivranno felici e contenti
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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