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Autore: Bellamy    26/06/2022    1 recensioni
La battaglia tra i Cullen e i Volturi termina in maniera inaspettata: i Cullen perdono, Edward e Bella si uniscono alla Guardia di Aro e Renesmee perde la memoria. I pochi mesi di vita vissuta da Nessie vengono spazzati via.
Dopo quasi un secolo, Aro invita Renesmee a Volterra.
Genere: Malinconico, Suspence, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Volturi | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Breaking Dawn
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Ciao a tutti!
Spero stiate bene e che vi stiate godendo questa estate. 
Questo nuovo aggiornamento non era in programma perché, in realtà, ancora sto scrivendo il capitolo!
Però, visto che l’ultima volta che ho aggiornato è stato a Gennaio, ho deciso di postare la prima parte del capitolo 38. 
Mi dispiace tanto del ritardo, ma gli impegni universitari sono tanti e quello che sto scrivendo è un capitolo molto importante e un po’ difficile da rendere a parole.
Spero mi perdoniate, vi auguro una buona lettura!
Bellamy.










Il viaggio da Seattle a Forks fu molto breve, brevissimo, ma, nonostante tutto e in un certo senso, liberatorio. 
Non fu una corsa verso una meta che presentava più incertezze che sicurezze, ma una rotta verso casa. 
Era arrivato il momento, finalmente. Non mi sembrava vero. Non vedevo l’ora di circondarmi da tutti i miei familiari e dalle accoglienti mura domestiche, senza nessuna soffocante preoccupazione premuta sul petto, senza nessun se ne chissà.
Senza ulteriori addii o estremi, distruttivi gesti.
Dovevo iniziare ad abituarmi all’impossibile idea che quei giorni oscuri erano ormai dietro alle mie spalle. Tutto, però, pareva così surreale, quasi finto, come se dietro una candida nuvola, la quale anticipava tranquillità, si nascondesse una nube nera.
Era calata la notte: Forks era solamente illuminata dalla luce artificiale dei lampioni e delle insegne. La foresta era buia, l’autostrada era troppo lontana per illuminarla. 
Sebbene fossimo ad Agosto, l’aria era fredda e il vento della sera mi frustavano il volto e i capelli.
Io l’accoglievo di buon grado. Mi era mancato quel leggero freddo umido che si incollava alla pelle sul collo, sui polsi e sulle guance. Mi sentivo viva. Era il miglior benvenuto che potessi ricevere. 
A ogni chilometro che percorrevamo io mi entusiasmavo della velocità di cui ero dotata, dell’adrenalina che pompava gioiosa nelle mie vene. Le gambe scattavano veloci, felici di rispondere ai miei comandi, toccando a malapena i rami bagnati degli alberi per spiccare verso i prossimi. A volte dalle mie labbra scoccava un sorriso estasiato, su di giri dopo aver passato l’ultimo anno della mia vita orribilmente.
Bella, vedendomi così felice - e con il pretesto di dover guidarmi nell’oscurità della notte perché io non vedevo molto bene -  mi sorrideva e stringeva ancora più forte la mia mano, rallentando la mia scatenata corsa nel buio.





Per ritornare negli Stati Uniti, Alice aveva affittato tre aerei privati, pilotati da Jasper, così da poter averli tutti per noi. Si giustificò dicendo che le occhiaie di Edward e Bella non la convincevano. Forse aveva previsto qualcosa e voleva prevenire qualche inutile danno.
In effetti, fu meglio non aver avuto altri passeggeri perché io ebbi un’altra crisi cocente che prese tutti alla sprovvista. Tutti tranne me ed Edward. 
Maledii il tempismo: cercai in tutti i modi di nasconderla, di nascondere i gemiti e i lamenti, di sopprimerla dentro di me. Non volendo dare spettacolo davanti agli zii e a Bella ed Edward, usai tutte le mie forze per fermare il fuoco che cresceva velocemente nel mio sterno, pronto a propagarsi su tutto il corpo. Ovviamente tutti i miei sforzi furono inutili.
Vedendomi, Alice, Bella e Jasper si allarmarono. Alice e Jasper mi fissarono, aspettando una conferma se fosse quello che pensavano. 
“Ha già preso la morfina.” Sussurrò leggero Edward, al di fuori della mia visuale, rassicurando gli altri tre vampiri attorno a me.
“Passerà.” Dissi io, raggomitolandomi sul sedile, lo sguardo puntato forzatamente verso cosa presentava l’oblò, evitando, di proposito, gli sguardi ansiosi di Bella, Alice e Jasper. 
Occupando il sedile vuoto, Bella si mise a sedere accanto a me. “Appena atterreremo, avvertiremo immediatamente Carlisle.” Sussurrò, allarmata. 
Mi accarezzò prima la fronte, poi i capelli. Io m’irrigidii e continuai a fissare il cielo nero, ostinata. Dovetti ammettere, però, che quel suo tocco freddo fu un toccasana per me, proprio quello di cui avevo bisogno. 
Stavo iniziando a innervosirmi e avevo voglia di piangere e rimanere da sola. Volevo soffrire per conto mio, senza dovermi preoccupare della preoccupazione stessa di altri tre vampiri.
Sentivo la gola prudermi, pronta, insieme agli occhi, a dare inizio a un’altra crisi, quella di pianto isterico. 
“La mia bambina.” Fece Bella, continuando ad accarezzarmi la lunga treccia e le tempie. La sua voce era angosciante, addolorata, sofferente. Cercai di ritrarmi da quel gesto, schiacciandomi contro il sedile.  
“Sei bollente.” Osservò, la voce piena di scioccante sorpresa, incurante delle mie reazioni, mentre premeva nuovamente la sua mano ghiacciata sulla fronte. Nel frattempo sentivo le mie guance bruciare.  
“Ho detto che passerà." Ripetei, le labbra mi tremavano, scuotendo la testa e guardando sempre il vuoto davanti a me. La sua voce mi suscitava gli stessi sentimenti che provava lei e questo mi agitava ancora di più. Perché nessuno la tranquillizzava? Il panico che stava provando non era abbastanza evidente?
“Carlisle non potrebbe fare nient’altro di quello che ho già fatto io.” Aggiunsi facendo un respiro pesante con la bocca.
Bella abbassò lo sguardo e corrugò la fronte, formando una v tra le sopracciglia. “Chi è stato?” Farfugliò.
Non le avrei, di certo, risposto in quel momento. L’unico che, in quel momento, sapeva era Edward. Alice e Jasper ancora non sapevano nulla della mia sventata morte da avvelenamento. Bella era sempre stata accanto a me e non aveva mai preso quel tipo di conversazione né con Edward né con gli zii.
Appoggiai la testa contro l’oblò. “Non ne voglio parlare adesso. Non voglio sentirvene parlare.” Minacciai io, a denti stretti, mentre le immagini di Nahuel aggrappato al mio polso scheggiavano nella mia mente. “Passerà in fretta.” Conclusi di dire quando una fitta incandescente colpì il mio petto, lasciandomi senza fiato e china in avanti.
Bella accarezzò di nuovo i miei capelli, le mie tempie e fin giù le guance. Cercai di combattere la necessità di appoggiare il viso sul suo palmo, alla ricerca di fresco sollievo. All’ennesima fitta al petto, fallii nel mio intento. Delle lacrime iniziarono a bagnare gli angoli degli occhi. 
“Posso fare qualcosa?” Chiese, appoggiando la mano sulla mia spalla e riportandomi la schiena sul sedile. La sua voce rifletteva in toni il panico che stava provando. 
Perché doveva, per forza, sentirsi in dovere di fare qualcosa? Mi faceva stare ancora più male. Socchiusi gli occhi, girandomi verso di lei, sempre raggomitolata. “Puoi starmi accanto.” Concessi, sperando che la mia risposta la calmasse una volta per tutte. 
“Certo.” La voce di Bella diventò miele, ma rimase, allo stesso tempo, incerta. Si posizionò meglio nel sedile, circondandomi le spalle con un braccio. Incastrata in quella posizione, dovetti appoggiare la testa sulla sua spalla fredda. Lei appoggiò il volto sul mio capo. M’irrigidii ancora di più, diventando una statua, ma Bella, stranamente, sembrò non preoccuparsi o domandarsi del mio atteggiamento. 
Nonostante il fiato corto e il dolore, il mio umore si trasformò, divenne calmo e concentrato a combattere il fuoco sul petto, effetto del dono di Jasper. Anche Bella si fece più quieta perché il suo corpo non era più teso come prima.
“Ne parliamo dopo, Alice.” Disse improvvisamente Edward. Alice non contraccambiò, forse stava formulando delle domande nella sua testa, pronta a esprimerle, ma Edward la fermò. 
Passai l’intero viaggio in quel modo, tra le braccia di Bella, aspettando che la febbre mi passasse, guardando il cielo cambiare colore davanti ai miei occhi e ascoltando, non continuamente, la conversazione tra Alice, Jasper, Edward e Bella. Alice aveva tanta voglia di raccontare ai due vampiri cosa si erano persi in tutto questo tempo. Edward non parlava molto. A volte Bella scoppiava a ridere, risate che, quando si voltava per controllarmi, faceva morire immediatamente di fronte alla mia catatonica partecipazione alla conversazione. Per quanto avevo ascoltato, capii che Alice stava facendo un riassunto degli ultimi ottanta anni circa, cioè da quando mi ero svegliata a casa dei Cullen senza nessun ricordo.




La casa dei Cullen era illuminata sia al pianterreno che al primo piano, come se anche lei volesse darci il benvenuto. 
Rosalie ed Emmett ci aspettavano sotto il portico. Emmett era euforico. Rosalie sfoggiava un sorriso tirato, ma i suoi occhi splendenti la tradivano.
“Oh, no!” Tuonò lui melodrammatico. “Ci sono Edward e Bella, ora è finita la festa in casa!” Scherzò lui, stringendo i due vampiri tra le sue possenti braccia, stritolandoli.
“Fratelloni che bello avervi di nuovo a casa!” Urlò alle orecchie di Edward e Bella. 
“Emm!” Esclamò Bella sfoderando un sorriso luminoso.
Rosalie non mi abbracciò, mi assalì. 
“Nessie! Sono stata così in pena per te, piccola mia!” Disse, la voce sommersa, tra i miei capelli. 
“Mi sei mancata tanto, zia.” Le dissi, stringendo il suo corpo freddo a me.
“Non quanto tu sei mancata a me!” Rispose, scoccandomi tanti baci sulle guance.
“Mi dispiace tanto.” Mi sussurrò all’orecchio. 
La sua voce nascondeva qualcosa, non era gioiosa quanto lo era quella di Emmett. Decisi di non preoccuparmene in quel momento. Dopo Edward e Bella, toccò a me essere stritolata dall’abbraccio di Emmett, il quale sfoggiava un sorriso smagliante e contagioso, e dalla sua felicità incontrollabile e infantile. Persi il conto di quante volte mi fece volteggiare in aria. 
“Nessie, Nessie, Nessie!”
“Ciao, zio Emmett!” Lo salutai io, ridendo. 
“Quante ne hai combinate in mia assenza, eh?” Domandò giocoso, stringendomi.
Gli feci un gran sorrisone. “Senza di te è stato molto noioso.” Sdrammatizzai pure io. 
Quando Emmett mi mise a terra, entrambi ci voltammo verso gli altri: Esme, Carlisle, Alice e Jasper, Rosalie ed Emmett, il quale si era appena unito a lei, gravitavano tutti attorno a Edward e Bella, scambiandosi abbracci e sorrisi. 
Bella era stretta tra Esme e Carlisle, al settimo cielo; Edward, il quale mostrava un sorriso sghembo e timido, era avvolto dalle esili braccia di Alice e cingeva, con un braccio, le spalle di Esme.
“Adesso devo trattenere di nuovo i miei pensieri!” Lamentava Emmett dando una pacca alla spalla di Edward.
“Non l’hai mai fatto, Emmett.” Gli fece notare tranquillo lui. 
Tra me e quel gruppo ci divideva poco meno di due metri, ma non potei non notarlo: davanti ai miei occhi si era appena ricostituita una bolla di realtà che si era frantumata, presumevo, tantissimo tempo addietro. 
Una realtà, una storia, dei ricordi che io non conoscevo, che non potevo condividere, che non avrei mai potuto comprendere o immedesimare.
Non potevo evitare di vedere i loro sorrisi, i loro occhi illuminati da una gioia mai vista prima in loro. Una sorta di calma, pace, tranquillità e sollievo gravitava intorno a loro, come se si alimentassero di queste. I Cullen avevano la stessa espressione stampata sul volto: una di gioia che, però, non nascondeva cosa avevano vissuto insieme in passato.
Davanti a me delle memorie si erano appena incontrate di nuovo. I Cullen si erano finalmente riuniti. 
Io non avevo memoria, non potevo partecipare a quella riunione. Era la loro, non la mia. 
Voltai le spalle ai vampiri ed entrai a casa mia, liberandomi dalle scarpe e dalla giacca che indossavo. Estrassi il medaglione dalla tasca e lo tenni in pugno.
Mi ritrovai nel salone, dopo tanto tempo, e fu un'esperienza sconvolgente tanto estranea: riscoprii i dettagli che caratterizzavano l’ampia stanza, individuando velocemente il tocco di Esme e Alice. Tutto, i quadri, i vasi, le decorazioni artistiche, sembravano volteggiare intorno a me come se mancasse la gravità. 
In qualche modo, mi sentivo fuori posto, non sapevo come muovermi. Stranamente sentivo il bisogno di riadattarmi quando credevo che questa sarebbe stata la cosa più facile da fare, qualcosa neanche da considerare.
Mi sentivo fuori posto, non sapevo che fare. Ero ritornata in uno dei tanti posti che consideravo la mia dimora. Pensavo che avrei abbracciato pure i muri, ma questo non avvenne.
Al mio fianco c’era il pianoforte, sopra di questo vi era appoggiato il mio violino, notai che i miei spartiti erano ancora messi alla rinfusa come li avevo lasciati. Mi sedetti sullo sgabello e mi misi a sistemarli con cura mentre una strana adrenalina bolliva nelle mie vene insieme alla necessità di tenere occupata la mia mente. Mi chiesi se Rosalie avesse tenuto il pianoforte accordato in mia assenza, quando erano ancora a Forks. 
La porta si aprì, sentii dei passi leggeri. “Nessie?” Mi chiamò Esme, alle mie spalle. 
Mi voltai verso di lei e sbattei le palpebre: un massiccio muro formato da otto persone si era sviluppato davanti a me. Bella fece un passo avanti, superando Esme, ma non disse nulla, lo sguardo perplesso. 
La mia testa si svuotò, divenne un secchio vuoto. Con voce monocorde, e fissando il parquet a terra, dissi: “Vado a letto.”
“Proprio ora?” Domandò Bella, la voce era incerta, mordendosi il labbro inferiore. Teneva le dita intrecciate vicine allo stomaco. “Siamo tornati adesso.” Mi fece notare, quelle parole facevano sottintendere altri significati.  
Mi alzai dallo sgabello e iniziai a dirigermi verso le scale. “È notte.” Le feci notare.
“Nessie, potresti restare un altro po’?” Domandò Carlisle con voce calma, quasi diplomatica, come se avesse avuto davanti a sé qualcuno con cui contrattare. “Vorrei controllare te e la tua cicatrice, sono preoccupato.”
Come aveva promesso in aereo, quando mettemmo piede a terra, a Seattle, Bella avvisò prontamente Carlisle sul mio avvelenamento. Lui ne fu sconvolto, così come lo fu Esme. Fu ancora più sconvolto quando gli dissi che le crisi continuavano da quasi un mese ormai. 
Misi un piede sul primo gradino. “Domani, ora sono stanca.”
Carlisle strinse le sue labbra in una linea. Non nascose il fatto che era contrario, ma decise di non obiettare e questo mi sorprese.
“Possiamo accompagnarti?” Domandò Bella, dal tono della voce tirato capii che aveva esitato a domandarmelo e che, utilizzando il verbo al plurale, si riferiva anche a Edward.
La guardai negli occhi. “No, una buona serata.” Risposi e salii le scale a passo pesante, trascinandomi e ciondolando. 
Superai il corridoio con due lunghe falcate, scappando dal silenzio dietro alle mie spalle, e mi chiusi dentro la mia stanza, falciata dalla luce della luna. Dal piano di sotto sentii del movimento, ma nessuno parlava.
Mi gettai sul mio letto morbido, la faccia premuta contro il copriletto, gettai il medaglione accanto. 
Avevo mal di testa, non pensavo a nulla, la mia mente sembrava una TV che non riusciva a trasmettere nulla. Rimasi in quella posizione per qualche minuto, in allerta, attenta a captare qualsiasi cosa che i Cullen ed Edward e Bella, al piano di sotto, potessero dire. Mi aspettavo che parlassero, no? Che si raccontassero qualcosa, che continuassero i loro festeggiamenti o che si dicessero quanto si erano mancati.
Non ero tranquilla, non ero tranquilla a casa mia e questo mi rendeva ancora più tesa. 
Mi alzai nello stesso momento in cui la mia mente mi ricordava una cosa. Accesi il paralume sopra il comodino e lo aprii. Al suo interno conteneva tutti i fogli dove ero solita riportare il mio incubo ricorrente: montagne, pelliccia (animali?), una radura, uomini e donne con mantelli scuri, parlavano.
Adesso tutte quelle immagini che il mio subconscio mandava mi risultavano solo senza senso, senza nessun significato importante del quale valeva la pena cogliere. 
Non avevo più bisogno di ricorrere ai miei incubi per trovare il mio passato, passato cercato quando vivevo un presente di bugie. 
Strappai tutti i fogli con forza, riducendoli in polvere che cadeva ai miei piedi.  
Dai fogli all’interno del comodino, passai alla lavagna di sughero nascosta dietro al poster di un paesaggio accanto alla porta. Da lì strappai tutti gli altri foglietti che avevo attaccato, rendendo anch’essi polvere. Distrussi pure la lavagna, digrignando i denti con rabbia, piegandola più volte come se fosse un libro e lasciandola cadere a terra producendo un tonfo sordo. 
Mi sedetti anch’io a terra, in mezzo alla carta e al sughero, portandomi le gambe al petto. Appoggiai la fronte sulle ginocchia, mi coprii la testa con le mani, tremavano, e iniziai a piangere.
Dal piano di sotto, sentii dei rumori leggeri di passi farsi sempre più vicini mentre, lentamente, avanzano sulla scala. 
Mi avevano sentita, ovviamente, e un’onda di vergogna mi investì. “No.” Gemetti, la voce sommersa dalle lacrime. 
Il rumore si quietò.





Il canticchiare allegro degli uccellini e il rumore di pneumatici contro la ghiaia mi svegliarono. 
Mi ero addormentata a terra. Piansi fino a quando non crollai per la stanchezza. 
Mi avvicinai alla parte della mia stanza che era costituita da alte finestre anziché da muri e guardai in basso: dal grande fuoristrada uscirono Julian, il capo branco dei licantropi Quileute e due signori, anziani, mai visti prima. Dal colorito scuro e baciato dal sole, supposi che anche loro facessero parte della tribù.
Li accolse Carlisle, i palmi verso l’alto, insieme a Esme. Con mio grande stupore, vidi Carlisle abbracciare i due anziani e loro ricambiare. Questi, dopo, salutarono con affetto Esme.
“Siamo felici di rivedervi.” Disse uno dei signori. Non era guardingo: aveva un sorriso sincero e contento, gli occhi erano contornati da profonde rughe che, però, non stonavano con la presenza giovanile che l’uomo ancora aveva. L’altro, accanto a lui, sembrava ricambiare il sentimento. 
“Anche noi siamo molto felici di ritornare qui, Seth, amico mio, dove tutto è iniziato: Bella ed Edward sono tornati.” Annunciò Carlisle, al settimo cielo.
Il signore, che capii chiamarsi Seth, spalancò la bocca e sgranò gli occhi, stupito e meravigliato.
“Tornati?” Ripeté Julian. 
“Sono qui?” Domandò l’altro anziano, lanciando occhiate dietro le spalle di Carlisle, all’interno della casa. 
“No, hanno sentito la necessità di allontanarsi per stare da soli. Sono partiti questa notte stessa, non sono lontani, torneranno presto.”
Non potei vedere l’espressione di Carlisle, ma il suo tono di voce, che divenne improvvisamente cupo, mi suggerii che questa si allineò all’umore che la sua voce suscitava. I Cullen erano stati informati dei sentimenti alterati di Edward. 
“Nessie?” Domandò l’altro anziano. Sobbalzai. Come faceva a sapere il mio soprannome? Sentendolo nominare, mi allontanai dalla finestra per evitare di farmi notare. 
“Qui con noi. Sta riposando.” Rispose Carlisle, la voce si rese più leggera. Ero sicura che già Carlisle, e tutti gli altri, avessero capito che ero sveglia. 
“Siamo contenti che la nostra Nessie si sia ricongiunta almeno con i suoi genitori.” Sospirò Seth, triste e malinconico. “Siamo contenti che i nostri amici sono ritornati. Carlisle, di’ a Bella ed Edward che li aspettiamo alla riserva, a braccia aperte. E anche Nessie, ovviamente.”
“Certamente. Grazie mille, Seth, per vegliare sempre su di noi.” Disse Carlisle, era commosso.
“Siete parte della famiglia, Carlisle. Ci vediamo presto, amico mio.” Si congedò Seth. 
“Esme, Carlisle.” Salutò l’altro anziano.
Sentii le portiere della vettura aprirsi e chiudersi. Avviarono il motore e partirono. 
Parte della famiglia? Noi? Avevo tantissime domande per la testa, ovviamente, ma non sentivo l’impellente bisogno di dover trovare loro una risposta immediatamente.
Fissai per qualche minuto il punto in cui i Quileute sparirono dalla mia visuale. Poi la mia attenzione venne catturata dal verde sgargiante degli alberi, il sole splendente che l’illuminava e il leggero suono del fiume in lontananza.
Prima di raggiungere i Cullen, decisi di farmi una doccia, avevo bisogno di sciacquare via tutta l’angoscia dei mesi passati, e indossare qualcosa di più estivo, che riflettesse la vivacità della stagione. Dopo aver scelto un vestito giallo che Alice aveva disegnato per me, scesi in salone dove non trovai, stranamente, nessuno.
“Nessie, siamo qui.” Chiamò Rosalie dalla sala da pranzo. M’irrigidii: perché erano lì? La sala da pranzo, dove si trovava un grandissimo tavolo ovale realizzato con il legno più pregiato, si utilizzava solo per discutere o, peggio, litigare.
Li raggiunsi: erano tutti in piedi tranne Esme la quale era china su delle planimetrie. Si era già messa a lavoro? 
Mi fissavano, cauti, in attesa che dicessi qualcosa. 
“Ciao.” Salutai. 
“Ciao, piccola.” Salutò Emmett. 
Rosalie si avvicinò e mi strinse a lei per qualche secondo: “Dormito bene?” 
Non fece riferimento al mio momento di debolezza precedente al mio sonno e, per questo, le fui grata. “Sì, grazie, perché siete qui?” Indagai. 
“Esme sta lavorando a un nuovo progetto e stavamo dando un’occhiata in attesa che tu ti svegliassi.” Disse Alice, contenta. 
“Quale progetto?”
“Sorpresa!” Esclamò Esme, all’unisono con Alice, giuliva, giocherellando con la matita tra le dita. Le sorrisi perché il suo umore era contagioso. Chissà cosa stavano tramando.
“Oh, okay. Aspetterò.” Feci io, guardandomi attorno e giocherellando con le pieghe del vestito corto. 
“Se stai cercando i tuoi genitori, non ci sono.” Mi Informò Rosalie, con una punta di acidità. 
L’atmosfera nella stanza si fece improvvisamente fredda, polare.
“Rose!” La richiamò Emmett, passandosi una mano tra i capelli. 
“Cosa c’è?” Domandò lei, sistemandosi meglio i capelli sulle spalle. “Le ho solo detto che se ne sono andati.”
Esme le lanciò un’occhiataccia di rimprovero, Alice alzò gli occhi al cielo e incrociò le braccia: “Non se ne sono andati.” Sospirò. “Torneranno presto, Nessie.” Mi rassicurò.
Scossi la testa e strinsi le mani in due pugni. “Possono fare quello che vogliono. Dopotutto, non è la prima volta che se ne vanno, no?” Dissi io, sarcastica, guardando i miei piedi nudi sul parquet. 
“Renesmee Carlie!” Questa volta Esme rimproverò me.  
“Ha ragione però.” Ammise Emmett con una leggera sfumatura di ilarità nella voce. 
“Emm!” Fece Esme, era indignata. 
Sospirai. “Vi hanno raccontato tutto?” Domandai. 
“Sì, Edward ci ha informati di tutto.” Rispose Carlisle, alle mie spalle. 
“Tutto, tutto?” 
“Tutto, tutto.” Ripeté Jasper.
“Pure che Aro e Caius sono morti? Finiti? Stecchiti?”
“Sì.” Rispose di nuovo Carlisle, un po’ turbato, ma i suoi tratti erano irrigiditi da una rabbiosa freddezza. 
“Bene.” Borbottai. “Sappiate solo che volevo proteggervi.” Sussurrai, nascondendomi il volto con i capelli, ancora chino verso terra. 
Carlisle appoggiò una mano sulla mia spalla la quale strinse delicatamente. “Lo sappiamo. Sei stata molto coraggiosa e forte, Nessie.”
“Molto, tesoro.” Concordò Esme, l’indignazione l’aveva subito abbandonata.
“Devi dire a me e Jasper come hai ucciso quei lupi.” Disse Emmett, pregustandosi il momento in cui gli avrei fornito tutti i dettagli.
“Emmett!” Esclamò Esme. “Basta!”
Emmett la guardò, la fronte corrugata. “Ho scommesso con Jazz duecentocinquantamila dollari su quale tecnica Nessie ha utilizzato, la mia o la sua.”
Il volto di Esme, il quale si fece viola, fece capire a Emmett che non era meglio continuare. 
“Non è qualcosa di cui mi vanto, io non volevo farlo. È stato terribile.” Ammisi, il tono di voce si fece cupo e una nuvola di tristezza spuntò sopra la mia testa. Partecipando alla battaglia contro i Figli della Luna aveva semplicemente dato man forte alla vigliaccheria di Aro. 
Rosalie, accanto a me, mi strinse a sé nuovamente, non dicendo nulla. All’abbraccio si unì velocemente anche Esme.
“Ci dispiace tanto, tesoro.” Disse. 
Quando l’intreccio di braccia si sciolse, dissi: “Non cerco spiegazioni da voi… ma voglio chiedervi una cosa.”
“Qualsiasi cosa, Nessie.” Concesse Alice. 
“Non mi avete mai detto nulla perché l’hanno voluto loro?” Domandai. 
Tutti i volti dei Cullen si trasformarono in grandi fogli bianchi. Tutti eccetto quello di Rosalie la quale mi rispose prontamente: “Sì. Sappi, Nessie, che io non sono mai stata d'accordo."
"Sì, Rose, non sei mai stata d'accordo. Sei stata la più brava qui. Complimenti." Disse ironica Alice, stizzita, non nascondendo il fastidio che stava provando.
"Non voglio incolparvi…" iniziai, "avete fatto quello che vi è stato chiesto." Conclusi a voce bassa, cercai di nascondere un mugugno che nacque dalla mia bocca. 
Calò il silenzio, sembrava che tutti noi stessimo riflettendo, persi nei nostri pensieri.
"Chi vuole andare a caccia?" Domandai, mettendo fine a quel silenzio che stava diventando troppo imbarazzante per me. 
"Nessie." Mi chiamò Carlisle alle mie spalle. 
Annuì al silenzioso appunto di Carlisle. Non potevo più posticipare la visita dal dottore. 
"Oh, va bene, certo." Farfugliai mentre salivo le scale insieme a Carlisle. 
"Ci andiamo dopo, Nessie!" Urlò Emmett dalla sala da pranzo.
Subito dopo aver fatto una piccola sosta nella mia camera, Carlisle chiuse la porta del suo studio.
“Devo farti vedere questo.” Gli dissi, porgendogli la fascia scura che il mezzovampiro Erik mi aveva gentilmente regalato. Ora erano i vecchi, precari fili di acciaio e ferro a evitare che il mio stomaco si dividesse in due parti.
Carlisle prese la fascia scura tra le sue mani, girandosela tra le dita, scrutandola con la fronte aggrottata, gli occhi concentrati divennero due pozzi scuri. Mi mandò uno sguardo interrogativo. 
“Prima della guerra”, iniziai a spiegare, “me l’ha dato un altro ibrido. Lui non è velenoso, stranamente. Mi ha detto che l’ha creata suo padre dopo che l’ha aperto in due per pura curiosità.”
“Curiosità?” Domandò Carlisle, i suoi occhi luccicavano di incredulità. 
“Sì, Erik mi ha detto che suo padre vuole creare una razza superiore di mezzivampiri o una cosa del genere.”
Carlisle sospirò. “Questa è l’ennesima dimostrazione che neanche i vampiri sono immuni alle manie di grandezza.” Continuò a esaminare la grande fascia. “Non capisco di quale materiale sia fatta.” 
“È un segreto, purtroppo, ma vorrei continuare a utilizzarla. È molto resistente.”
Carlisle mi sorrise. “Certo. Vorrei solo prendere un campione per fare qualche ricerca sui materiali, se per te va bene.” 
“Ok.” Concordai. 
Mentre misurava il mio peso, controllava lo stato della mia pelle e delle ossa, passava un fascio di luce negli occhi, Carlisle mi poneva delle domande circa le conseguenze dell’avvelenamento. 
Quando gli risposi, non reagì ai miei insistenti riferimenti e analogie con l’avvelenamento precedente, quello di molti anni fa. Procedeva con altre domande: “Sei riuscita sempre ad assumere la morfina?”
“Sì, fortunatamente.” Risposi, smorzando un sospiro pesante.
“Tuo padre mi ha detto che sei stata aiutata.” disse Carlisle, apparentemente tranquillo, invitandomi a sdraiare sul lettino. Avvicinò accanto a sé un carrellino con tutto il materiale per sostituire i fili di metallo. 
Mi irrigidii ascoltando le parole di Carlisle. “Sì, sono stata molto fortunata.” Dissi. 
“Ha pure detto che non riesco più a utilizzare il mio dono?” Lo rimbeccai. 
Carlisle s’immobilizzò e i suoi occhi saettarono verso i miei. “Cosa?” Domandò. 
Appoggiai una mano sul dorso della sua e rimasi in attesa di una sua reazione. 
Il silenzio della casa coincideva con il silenzio della mia mente: Carlisle non sentì nulla.
“Da quando non riesci a utilizzare il tuo dono?” I suoi occhi tornarono a essere scuri come il fondo di un pozzo. 
“Da quando mi sono svegliata.” Risposi, mentre lui iniziò minuziosamente a estrarre gli spessi fili in acciaio e ferro. Ansimai, faceva un po’ male. 
“Edward non te l’ha detto?”
Carlisle scosse la testa. “No, Nessie.” Mi rispose, lo sguardo interrogativo, come se si stesse chiedendo perché Edward non glielo avesse comunicato. 
“Forse non lo sa nemmeno lui.” Feci io, ma mi sembrava molto improbabile. Era uno dei miei pensieri fissi, lo avrò sicuramente letto nella mia mente. Carlisle non mi rispose, perso nei suoi pensieri e nel suo lavoro. 
“Secondo te è possibile che sia colpa del veleno?” Domandai infine, spezzando una quiete che si era formata per qualche attimo. 
“Riflettendoci velocemente, lo sospetto.” Sospirò Carlisle, teneva la fronte aggrottata e i suoi occhi inseguivano le sue dita che fluttuavano sopra il mio stomaco macchiato di rosso scuro. 
“Sospetti?”
Carlisle aspettò di allontanare gli ultimi centimetri di acciaio dalla mia pelle per rispondere, i suoi occhi e il suo volto limpido e sincero incontrarono i miei. 
“Sei stata già avvelenata, Nessie, quando eri molto piccola. Quando ti sei svegliata, non ricordavi nulla. Temo ci sia un collegamento.” Rispose. Notai una certa rilassatezza nei suoi tratti quando parlò, come se adesso si sentisse libero di parlare quando prima era impossibilitato. 
Spalancai la bocca. Come sospettavo già da molto tempo prima, le parole di Carlisle mi portarono a confermare le mie supposizioni: avevo perso il mio dono. Solo il tempo poteva dimostrarmi diversamente e questo non mi aveva ridato tutti i ricordi persi. Le poche speranze che mi rimanevano si sbriciolarono del tutto.
“Ma perché è successo? Quando è successo?” Esclamai, la voce stridula. “No!” Continuai subito dopo, impedendo a Carlisle di darmi una risposta, “Non voglio saperlo da te!” Gli dissi coprendomi il volto con un braccio. 
"Renesmee, pensi che siano stati i tuoi genitori ad avvelenarti?" Domandò Carlisle.
Rimasi in silenzio.
“Renesmee, non è come pensi.” Disse estremamente serio.
“Sì, sicuramente.” Concordai, sarcastica. “Chissà cosa mi è successo.” Borbottai.
“È comprensibile che tu voglia parlare prima con i tuoi genitori. È comprensibile che tu ti senta frustrata, ma non lasciare che sentimenti come la rabbia o il risentimento alterino ciò che pensi di loro, come li vedi.” 
Colpita e affondata. Lo sfogo della sera precedente era stato così evidente da permettere a tutti i Cullen di collegare tutti i puntini? Oppure erano stati Edward e Bella che, compresi i miei ultimi stati emotivi, avevano versato i loro dubbi sugli altri?
Decisi di non porre a Carlisle queste domande.  
Sbuffai cercando di cacciare via il fastidio che stavo provando. “È più facile a dirsi che a farsi, sai? Loro non ti hanno mentito.” Avevo voglia di incrociare le braccia, ma non potevo. 
“No.” Ammise Carlisle. “Ma anche noi ti abbiamo mentito, Renesmee. Abbiamo tenuto il loro gioco.” Continuò Carlisle, tranquillo. I suoi occhi erano puntata in maniera ostinata sul mio stomaco, i grandi e lunghi aghi e i metalli sporchi di sangue.
Scossi la testa. “Non è la stessa cosa.”
“Come sarebbe, allora?”
“Voi… avete solo rispettato un impegno… Rosalie era contraria, a quanto pare, no? Ma l’ha fatto comunque.” Risposi. “Loro… è tutto partito da loro, presumo… Lo hanno sempre fatto. Non so perché mi hanno mentito.”
“Per il nostro stesso motivo.” Disse Carlisle, mi regalò uno sguardo affilato.
Puntai i miei occhi verso la chioma bionda di Carlisle. “Lo stesso?” Domandai. “Sicuro?”
Nonostante il mio crescente nervosismo, la pacatezza non abbandonò mai Carlisle, come sempre. “Sì, la ragione è stata proteggerti.”
Sbattei le palpebre. Questa proprio non me l’aspettavo. “Proteggermi?”
“Proteggerti.” Ripeté Carlisle. 
“Da chi? Da loro?”
Carlisle sorrise e scosse la testa. “I tuoi genitori sono le ultime persone dalle quali dovremmo proteggerti, Nessie.”
“Menomale.” Dissi io, ironica.
Carlisle mi accarezzò la guancia con il dorso di una mano e mi fece un sorriso pieno di affetto paterno. “Hanno sbagliato, è vero, Nessie. Hai ragione. Tutti noi abbiamo sbagliato. Sai quanto è importante per noi tenerti al sicuro e non l’abbiamo fatto. Abbiamo fallito. Hai tutte le ragioni di essere arrabbiata, ma non è come pensi. Per favore, fallo per me. Dai ai tuoi genitori la possibilità di spiegarsi.” L’ultima parte della sua frase uscì come una supplica. La sua onestà mi colpì, ma non dovevo esserne sorpresa.
Ad ascoltarlo mi sentii in colpa, ma non sapevo perché. Non ero io a dovermi sentire in colpa. 
Volevo credergli, avrei tanto voluto credergli. 
“È difficile.” Ammisi. 
“Lo so. Ma se non la pensassi così, Nessie, non avrei motivo di dirti questo.” 
“Vi sono mancati tanto.” Constatai. 
Carlisle mi guardò fisso negli occhi per qualche attimo. “Sì.” Ammise. “Molto. Per noi, sono dei figli, dei fratelli. Hanno rinunciato a loro stessi, hanno abbandonato tutto e tutti per assicurare la tua sicurezza. Non solo la tua, anche quella nostra.”
Volevo credergli, avrei tanto voluto credergli, ma non ci riuscivo. 
Rimanemmo per qualche secondo in silenzio. Io ero persa nei miei struggimenti interiori, Carlisle perso in quelli che presumevo fossero amari e tristi ricordi. 
Dopo aver raccolto, direttamente dal mio ventre, del sangue in una provetta e ripulito i lembi di pelle, Carlisle mi disse: “Non vuoi essere più cucita.”
Feci un sorriso imbarazzato “Io preferirei di no, ma lascio decidere a te.”
Anche Carlisle ricambiò il sorriso con lo stesso sentimento. “La fascia sembra essere una soluzione meno scabrosa ai fili di ferro. Se dovesse iniziare ad allentarsi, dimmelo subito. Io farò delle ricerche sui materiali.” Disse mentre mi aiutava ad alzarmi. Una sua mano, sporca di sangue, era premuta sullo stomaco per tenere ferma la cicatrice. Mi diede un bacio sulla fronte prima di avvolgermi con la fascia.




Carlisle m’impose di riposare fino a quando la serie di crisi non sarebbe terminata - visto che quest’ultima si stava protraendo più a lungo della prima, non riusciva a dare una previsione di quanto sarebbe durata - e, per poter velocizzare l’aumento di peso e la ripresa di tutte le mie forze, dovevo andare a caccia ogni giorno. 
Non mi riposai nel vero senso del termine: incominciai a plasmare la mia nuova routine come quella vecchia che avevo creato con i Cullen tempo addietro. Anche loro sembravano voler ricominciare dalla vita che avevano lasciato in sospeso da quando partii per Volterra la prima volta.
Cercavo di non rimanere mai da sola: avevo troppo paura di abbandonarmi al ricordo degli eventi passati e rimuginarci sopra. Dopotutto, ero stata in solitudine per molto tempo, avevo bisogno di compagnia e di distrarmi. Non volevo perdermi nei meandri della mia mente. 
Occupavo le mie giornate con le attività più disparate e fantasiose insieme agli zii; avevo ripreso a suonare il pianoforte, il violino e il theremin riempiendo di musica l’intera casa e parte del bosco di fronte; ripresi a dipingere con Esme e ad assecondare tutte le frivolezze di Rosalie e Alice. 
Due giorni dopo il mio arrivo, i Denali vennero a farci visita, troppo elettrizzati dal nostro ritorno e da quello di Edward e Bella.
Anche loro sapevano che i miei genitori, per tutti quegli anni, erano vivi e vegeti a Volterra.
Anche loro avevano mantenuto il segreto a mio discapito. Quando lo venni a sapere, dovetti trattenere a stento la mia rabbia. Una rabbia della quale consideravo Edward e Bella colpevoli. Jasper percepì il mio cambio d’umore e con il suo dono mi calmò.
Arrivarono soprattutto per dare il bentornato ai due vampiri e non nascosero la delusione quando videro che non erano a Forks con noi. Ma l’agghiacciante shock prese il posto della delusione nei loro volti quando seppero della alienante situazione di Edward. 
“Impossibile…” Disse Tanya. “Assurdo, no. Come ha potuto fare una cosa del genere?”
“L’ha chiesto lui? Ha fatto un patto con Aro? Senza dire nulla a Bella o Renesmee? Cosa credeva di fare così?” Domandò Kate, scioccata.  
“È stato sconsiderato.” Borbottò Esme, ancora provata dagli ultimi eventi. “Il mio ragazzo.”
“È tipico di Edward.” Sbuffò Rosalie, parve dire la cosa più ovvia esistente al mondo. 
“È un gesto così estremo.” Commentò Carmen, sconvolta, cercando l’approvazione nello sguardo di Eleazar. “Un patto con Aro?” Ripeté. 
“Solo una persona che ama profondamente qualcun altro potrebbe fare qualcosa del genere. Edward l’aveva già dimostrato, quando Bella era ancora umana.” Rifletté Eleazar. Eleazar, ex componente della Guardia dei Volturi. Era molto toccato dalla notizia della morte di Aro e Caius. Notizia che si diffuse a macchia d’olio in poco tempo.
Si perse con Carlisle in una lunga conversazione circa il futuro dei Volturi come guardiani di tutti i vampiri e dell'ingombrante consapevolezza che una piccola cerchia, tra loro, creava degli ibridi con gli umani. Eleazar stava già borbottando un prossimo viaggio a Volterra, una visita al vecchio amico Marcus, per saggiare la situazione corrente. Considerati gli ultimi eventi, non prospettava un futuro roseo per i Volturi. 
“Continuo a credere che abbiamo bisogno di una autorità. Se non lo sono i Volturi, dovrà diventarlo qualcun altro.” Disse Eleazar. 
“Chi?” Domandò Carlisle. “Quello che hai appena detto è musica per le orecchie dei Rumeni.”
Eleazar annuì. “I Rumeni sono ancora più antichi dei Volturi e altrettanto autorevoli.”
“Pensi che Marcus non sia dello stesso livello?”
“A Marcus piace il potere, ma non è pratico come lo erano Caius o Aro. A lui non importa l’azione. Rimaneva con i suoi fratelli solo perché era obbligato. Aro uccise la sua compagna, sua sorella, per costringerlo a restare. Non è così dispotico.”
“Vorresti un altro despota?” Domandò Carlisle.
Eleazar scosse con forza la testa. “No, assolutamente no. Ma qualcuno che faccia rispettare le regole. Cosa ne sappiamo di questi vampiri che creano eserciti di ibridi? Pensi che Marcus riesca gestire tutto, indipendentemente dalla Guardia? Cosa sappiamo del suo nuovo adepto? Quel vampiro neonato? Si dice che il suo dono è molto potente…”
“Un gesto del genere…” Iniziò Tanya, profondamente toccata, “non me lo sarei aspettata neanche da Edward.” Scandì pesantemente il suo nome. Poi mi lanciò un fastidioso sguardo compassionevole.
“Edward è sorprendente, in tutte le circostanze.” Concordò Carlisle, ancora nel vivo della discussione con Eleazar, il suo sguardo era puntato su di me. Spostai il mio verso il camino spento. 
Non ero a mio agio. Non seppi come contribuire alla conversazione: non potevo che ripetere che avevo solo scoperto che loro due fossero i miei genitori e che, per una serie di violenti eventi, riuscirono a liberarsi dalle catene di Aro e ritornare a casa con me, Alice e Jasper.
Non potevo neanche dichiararmi favorevole o contraria alle parole dei Cullen e dei Denali. Loro conoscevano Edward e Bella, io no. Io conoscevo una versione di loro, brutta o bella che fosse, falsa o vera. Mi limitavo ad ascoltare le loro parole con grande scetticismo.  
“Vedrai,” mi disse Carmen cingendomi le spalle, “i tuoi genitori sono sensazionali, due figure incredibili che hanno sorpreso, con la loro storia, tutto il mondo dei vampiri.”
Le risposi con un sorriso incerto, dispiaciuta di non crederle veramente. 
Non era la prima volta che sentivo degli elogi nei confronti dei miei genitori biologici. I Cullen ne parlavano in continuazione e ognuno voleva raccontarmi cosa pensavano di Edward e Bella: i loro pregi, cosa amavano di loro, come avevano influenzato le loro vite e tanti aneddoti. Capii che si sposarono quando ancora Bella era umana e che il matrimonio venne celebrato proprio a Forks, nel boschetto dietro casa nostra. Dopo qualche mese, inaspettatamente, nacqui io ed Edward - Alice e Rosalie assistettero al parto e confermarono che fu proprio Edward a farmi nascere - decise di iniettare a Bella il suo veleno direttamente nel cuore per salvarla dal parto mentre faceva gli ultimi battiti umani. La sua fu una scelta estrema. Fu per questo motivo che, a differenza di tutti gli altri, io avevo ancora una madre.
Chiesi a Esme come potevano cambiare le cose dal momento che Edward non provava più niente nei suoi confronti e in quelli degli altri. 
“Sono certa che, nel suo cuore, ci ama ancora. Credo che non ha mai smesso di amare te e tua madre. È mosso dall’amore che prova per voi due. Non può farlo, basta guardarvi. Semplice.” Rispose, sicura di sé, accarezzandomi la guancia. 
I Cullen erano entusiasti quando si perdevano nei loro ricordi. Lo erano ancora di più quando riportavano questi in parole, rendendoli come eventi che erano stati appena vissuti, tangibili.
Non vedevano l’ora, erano impazienti che pure io conoscessi Edward e Bella così come li avevano conosciuti loro. 
I Cullen erano convinti, erano fiduciosi che tutte le tessere del puzzle, in tutti gli ambiti, si sarebbero ricomposte perfettamente.


 
  
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