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Autore: Ari Youngstairs    28/06/2022    1 recensioni
Malec | Divergent!AU
“Eppure, io ero convinto di non avere nulla di speciale.
Schietto, timido, voglio bene ai miei fratelli e ho poca voglia di stare in mezzo alla gente: un normalissimo Candido. Beh, forse non proprio normale, dato che ho fin troppi scheletri nel mio armadio.
La città in cui vivo è divisa in cinque Fazioni, ma non le amo particolarmente: ci limitano, e nel mio caso sono la cosa più scomoda che possa capitarti.
Però se tengo la bocca chiusa non potrà accadermi nulla di male. Giusto?”

Alexander Gideon Lightwood si sbaglia: la sua semplice vita viene completamente stravolta dopo il Test Attitudinale, rendendola quasi come un vero e proprio thriller.
Aggiungete dell'azione, intrighi, cospirazioni e qualche battito cardiaco di troppo.
Che ne verrebbe fuori?
Genere: Azione, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Altri, Magnus Bane
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Note: Buonasera a voi!
Mi scuso ENORMEMENTE per aver pubblicato poco nell'ultimo periodo, ma sono piena di esami e tutt'ora la sessione non è ancora conclusa T.T
In ogni caso, spero di potermi far perdonare con questo capitolo. Spero vorrete farmi sapere cosa ne pensate, ringrazio in anticipo chi vorrà lasciare una recensione: la vostra opinione è davvero davvero importante per me <3
Detto questo, vi auguro buona lettura! :*
Ari Youngstairs



• Capitolo Ventisei •


Mi sveglio al ronzio di un rasoio elettrico. Magnus è davanti allo specchio, la testa piegata per vedere meglio l’angolo della mascella.
Mi stringo le ginocchia al petto, sotto le lenzuola, e lo osservo. 
Sono passati due giorni da quando Valentine ha annunciato di aver preso le redini del governo.
Io, Izzy, Simon, Magnus, Jace e Clary siamo ancora ospiti della madre di quest’ultima, seppur consapevoli che questa potrà essere solo una sistemazione momentanea. Siamo stati fortunati, perché la fattoria di Jocelyn è molto grande e con abbastanza stanze da accoglierci tutti. Io e Magnus dormiamo in quella che, da come ci ha raccontato Clary, doveva essere la camera da letto che era destinata a Jonathan. Una stanza, purtroppo, rimasta sempre vuota fino ad oggi.
«Buongiorno» mi saluta. «Come hai dormito?»
«Bene.» Mi alzo e mentre lui torna a piegare la testa e a rivolgere il mento verso il rasoio, lo stringo tra le braccia, appoggiando la fronte contro la sua schiena. Lui mette giù il rasoio e chiude le mani a coppa sopra le mie. Nessuno dei due rompe il silenzio. Io ascolto il suo respiro, mentre mi accarezza lentamente le dita.
Non so quanto passiamo in questa posizione, ma vorrei si potesse fermare in qualche modo il tempo, per poter guardare all’infinito le nostre figure abbracciate nello specchio.
Socchiudo gli occhi e inspiro il profumo della sua pelle, che come un incantesimo mi riporta indietro con la mente alla scorsa notte.


Quando con gli altri abbiamo deciso sul come dividerci le camere, sono stato abbastanza ingenuo da pensare che io e Magnus avremmo dormito in due letti separati. 
Nel vedere invece che avremmo dormito insieme in un unico, grande letto a due piazze, non ho potuto fare altro che arrossire e distogliere lo sguardo, fissandolo sul comodino di legno accostato alla parete.
«È okay per te?» Magnus si siede sul bordo del materasso e si toglie le scarpe, scrutandomi da capo a piedi alla ricerca di un qualsiasi segno di disagio.
Io scuoto convinto la testa, cercando di ostentare una sicurezza che non ho. Nel preciso istante in cui mi siedo accanto a lui, un’ondata di calore mi attraversa. 
«Ne sei sicuro?» Mi afferra il mento tra le dita, costringendomi a guardarlo negli occhi, luminosi alla luce fioca della abat-jour. «Posso prendere altre coperte e dormire a terra, se ti fa sentire meno a disagio.»
«No, no, non c’è bisogno. Devo solo farci l’abitudine.» Gli dico, stringendo la sua mano tra le mie.
Rimaniamo a guardarci per qualche minuto, fino a quando Magnus non rompe il silenzio.
«Posso…vedere la tua ferita?»
La sua domanda mi spiazza, ma so che cosa lo spinge a chiederlo: Magnus si sente responsabile di ciò che è successo al Quartier Generale degli Eruditi, e seppur non avesse alcun controllo su cui che stava facendo, qualcosa dentro di lui lo spinge a credere di essere colpevole. Non solo per la morte di Tessa e Camille, ma anche per aver ferito me. Lo so perché mi sento colpevole anch’io. 
Mi sfilo la maglietta dalla testa, rimanendo con il busto nudo davanti a lui. Il sangue mi affluisce subito alle guance, mentre le sue mani sfiorano le bendature che mi avvolgono la spalla ferita.
«Ti fa molto male?» 
«Solo quando faccio movimenti bruschi…la madre di Clary me l’ha medicata bene, sembrerebbe.»
Le sue dita scorrono verso il basso, sfiorandomi il petto e arrivando fino alla costole, dove un ematoma scuro si allarga come una macchia d’inchiostro sulla pelle bianca.
Lo vedo deglutire, mentre con lo sguardo percorre ogni centimetro del mio torace scoperto. Anche se ho ancora i pantaloni addosso, non mi sono mai sentito più nudo di così, né tantomeno così in imbarazzo: perché mi guarda senza dire nulla? Ho qualcosa che non va? 
Magnus si avvicina e posa un bacio sull’angolo della mia bocca, delicato come potrebbe essere il battito d’ali di una farfalla.
«Sei bellissimo, Alexander.»
Sento il cuore in gola.
«Magnus» bisbiglio, ma qualunque cosa avessi intenzione di dire si perde tra i miei pensieri. Allora premo la bocca sulla sua, perché so che baciarlo mi distrarrà da tutto quanto.
Lui risponde al bacio, la sua mano scende a sfiorarmi il fianco, segue la curva della vita, e poi scivola sulla mia gamba, facendomi rabbrividire. Mi schiaccio contro di lui e gli avvolgo le gambe intorno al corpo. L’ansia mi offusca la mente, ma il resto del corpo sembra sapere esattamente che cosa sta facendo, perché pulsa tutto allo stesso ritmo e vuole una cosa sola: fuggire da se stesso e diventare parte di lui.
La sua bocca si muove contro la mia e la sua mano scivola sotto l’orlo dei pantaloni. Non lo fermo, anche se so che dovrei. Un fiotto caldo d’imbarazzo mi sale alle guance e un debole sospiro mi sfugge dalla gola. Lui, però, non lo sente o non ci fa caso, perché mi preme la mano sulla schiena per attirarmi più vicino e con le dita risale lentamente lungo la spina dorsale.
Mi bacia la gola e io mi aggrappo alla sua spalla, la sua maglietta stretta nel mio pugno. Con la mano raggiunge il mio collo e mi accarezza la nuca. 
Sento le mani tremare di energia nervosa, così gli stringo con più forza la spalla perché non se ne accorga. Mi sfiora la benda che mi copre la ferita e una fitta di dolore mi attraversa tutto il corpo. Non mi ha fatto molto male, ma basta a riportarmi alla realtà: non posso stare con lui in questo modo, non se uno dei motivi per cui lo voglio è soffocare il dolore.
Mi allontano bruscamente e per un secondo rimaniamo fermi, i nostri respiri pesanti che si mescolano tra loro. Non voglio piangere – non è il momento di farlo, devo trattenermi – ma non riesco a cacciare indietro le lacrime. 
«Mi spiace.» mormoro.
«Non scusarti.» risponde lui, poi mi asciuga le guance.
«Mi dispiace essere un disastro» singhiozzo con voce rotta. «È solo che mi sento così...» Scuoto la testa.
«È tutto sbagliato» dice lui. «Dovremmo essere insieme nella fazione degli Intrepidi, la
nostra fazione, ed invece siamo qui a nasconderci. Non sarebbero dovute morire tutte quelle persone…e Valentine non dovrebbe essere al governo. È tutto dannatamente sbagliato.»
Un gemito mi scuote tutto il corpo, e lui mi stringe tra le braccia con tanta forza da mozzarmi il respiro, ma non importa. Il mio pianto, dapprima controllato, esplode in un accesso scomposto: con la bocca aperta e il viso contorto, emetto i versi di un animale agonizzante. Se continuo così andrò in pezzi e forse sarebbe meglio... forse sarebbe meglio rompersi e non sentire più niente.
Lui rimane in silenzio, finché non mi calmo.
«Ogni volta che chiudo gli occhi, ho paura di rivedere tutti quei morti. Ho paura che Valentine ci trovi e che ci uccida.» Esalo senza fiato, come se avessi corso per chilometri. 
Magnus mi accarezza i capelli scuri, lasciandomi dei baci leggeri sotto l’orecchio. Se anche lui è spaventato di certo è molto bravo a nasconderlo.
«Dormi» mi sussurra, con dolcezza. «Finché ci sono io non sognerai nulla di brutto.»
Ci stendiamo l’uno accanto all’altro, le sue braccia forti mi stringono a sé mentre scivoliamo via nel sonno. 
Mi addormento cullato dal ritmo del suo respiro, e per qualche istante mi sembra di sentir meno il peso di tutte le preoccupazioni.



«Sei pensieroso.» La voce di Magnus mi riporta alla realtà.
Io osservo i suoi lineamenti allo specchio, il volto affilato e gli zigomi alti, gli occhi senza trucco che mi guardano a loro volta nel riflesso. È così bello che quasi mi fa male.
«Vorrei potessimo isolarci da tutto il resto, poter stare insieme e basta.»
Lui mi prende la mano e se la porta alle labbra, premendo la bocca sulle mie nocche.
«Un giorno lo faremo. Ti prometto che avremo un posto solo per noi.»
Sorrido contro l’incavo del suo collo.
«Sai che non dovresti fare promesse che non puoi mantenere?»
Lui mi stampa un bacio tra i capelli.
«Io mantengo sempre le promesse, Alexander.»



§



Jocelyn ieri è andata al mercato per procurarci dei nuovi vestiti, e in città le nuove truppe degli Intrepidi guidate da Jonathan impongono una rigidissima legge marziale. Chi si oppone viene arrestato e nessuno è mai tornato per raccontare cosa gli sia successo dopo.
Per quanto la situazione non sia certo delle migliori, questi tre giorni sono stati fondamentali per permettere a tutti noi di riposarci e decidere sul da farsi: rimanere fermi qui significa aspettare che Valentine scopra che io e Clary siamo divergenti e che siamo stati noi a irrompere nel Quartier Generale degli Eruditi, lasciando che venga a prenderci.
In cambio della sua ospitalità, abbiamo cervato di aiutare Jocelyn nei lavori di tutti giorni: Clary e Simon hanno un passato da Pacifici, perciò hanno una certa dimestichezza nell’occuparsi di piante ed animali. Io, Magnus, Jace e Isabelle abbiamo avuto sicuramente qualche difficoltà in più: in particolare quest’ultima ha scoperto di odiare la vita agreste e tutto ciò che comporta, dall’alzarsi al sorgere del sole all’avere a che fare con gli animali.
«Trovo folle che qualcuno scelga di fare una vita simile.» La sento borbottare, mentre piegata sulle sue ginocchia raccoglie dal terreno umido dei grossi cespi d’insalata. Guardandosi con orrore le mani sporche di terra e le unghie nere, getta con stizza le verdure dentro ad una grossa cesta di legno. «Ogni giorno non faccio altro che sporcarmi i vestiti, le scarpe, le mani, ogni cosa. Come fossimo animali anche noi.»
«Quanto la fai tragica, Iz.» Ribatte Jace dall’altra parte del cortile, apparentemente noncurante delle galline che gli scorrazzano intorno. «Preferiresti nasconderti nelle fognature?»
«Beh, non è che questi animali puzzino meno.» 
«Eppure non ti dispiaceva stare nel recinto mentre l’Erudito ti spiegava letteralmente qualsiasi cosa su come si cura un orto, o sbaglio?» 
Lei avvampa e comincia ad inveirgli contro, accusandolo di averla spiata e che non aveva alcun diritto di ascoltare la loro conversazione.
Mi rincuora sapere che indipendente dal luogo in cui ci troviamo, o da quanto disperate siano le nostre condizioni, alcune cose non cambiano proprio mai.
Un rumore di motori in lontananza ci fa sobbalzare, mettendoci subito a tacere. Jace in lontananza mi lancia uno sguardo impaurito. Nonostante fossi consapevole che questa nostra apparente pace sarebbe stata solo temporanea, avrei voluto potesse durare un po’ di più. 
Magnus, Clary, Jocelyn e Simon escono di corsa dalla casa, anche loro richiamati dal rombare dei motori in lontananza.
«I Pacifici non si spostano mai con l’auto.» Constata Jocelyn, la voce ferma ma preoccupata. D’istinto mi precipito verso l’albero più vicino, un melo dal tronco contorto ma abbastanza alto da potermi permettere una visuale migliore. Afferro il ramo sopra di me con entrambe le mani, ma mi tiro su solo con il braccio sinistro. Mi sorprende scoprire che sono ancora capace di farlo. 
Mi rannicchio sul ramo, foglie e rami mi s'impigliano tra i capelli mentre alcune mele cadono a terra ad ogni mio spostamento. 
Comincio a salire un ramo dopo l’altro, come fossero gradini, aggrappandomi per non perdere l’equilibrio, torcendomi e piegandomi per farmi strada nel labirinto delle fronde. 
I rami si fanno più sottili, meno resistenti. Devo arrampicarmi più in alto che posso, ma il ramoscello a cui sto puntando è corto e sembra flessibile. Ci metto sopra il piede, per saggiarne la resistenza. Si piega, ma tiene. Comincio a sollevarmi e sto per appoggiare l’altro piede, quando il ramo si spezza. 
Cado con un singulto, ma all’ultimo secondo riesco ad afferrare il tronco. Dovrò accontentarmi di un’altezza inferiore. Mi sollevo sulle punte e allungo lo sguardo in direzione del rumore: All’inizio non vedo altro che una distesa di campi coltivati, una striscia di terreno spoglio, la recinzione e, oltre a quella, i prati e i primi edifici. Ci sono alcune macchie in movimento che si avvicinano alla fattoria, macchie argentate sotto la luce del sole. Sono automobili, ma con i tettucci neri, automobili dotate di pannelli solari. Può significare una cosa sola: Eruditi.
Senza perdere tempo a pensare metto giù un piede dopo l’altro, così velocemente che dai rami si staccano pezzi di corteccia. 
«Sono Eruditi.» Dico, non appena tocco terra.
«Dobbiamo andare via, subito.» Magnus mi afferra il polso con una forza tale da farmi sussultare. In casa ci sono ancora le pistole con cui siamo arrivati, posate sopra il davanzale della cucina. Un brivido mi scorre lungo la schiena nel sentire il freddo del ferro tra le dita.
«C’è un sentiero sul retro che attraversa il bosco, vi porterà alla stazione senza essere notati.» Ci spiega Jocelyn, guardando con apprensione la figlia impugnare la pistola. «Dirò che non siete mai stati qui.»
«Mamma, ma tu? Se Valentine…»
«Valentine non mi farà nulla, Clarissa. So cavarmela.» Madre e figlia si abbracciano. Guardo Jocelyn asciugarsi una lacrima con l’orlo della camicia arancione. «Adesso dovete andare, non è più sicuro qui. State attenti.»
Scappiamo via dalla porta sul retro, diretti verso l’intricato bosco di conifere che ci si staglia davanti. 
A pochi passi dall’imboccare il sentiero rivolgo di nuovo lo sguardo verso la fattoria: Jocelyn ci segue con i suoi occhi verdi, arrossati, i lineamenti tesi: si sta sforzando di non piangere. Questa potrebbe essere l’ultima volta in cui ha potuto abbracciare sua figlia.
Prima di sparire nel buio del bosco, le mimo un “grazie” con le labbra.



§



Usciti dal bosco decidiamo di seguire le rotaie fino in città, perché nessuno di noi ha un gran senso dell’orientamento. Magnus cammina in equilibrio su un binario, vacillando un po’ solo ogni tanto, io, Isabelle, Clary, Simon e Jace teniamo il passo alle sue spalle. Sussulto a ogni rumore e mi irrigidisco finché non mi rendo conto che è solo il vento, o lo stridere delle suole di Magnus. Vorrei poter continuare a correre, ma è già un miracolo se le mie gambe si muovono ancora.
Tutt’a un tratto sento un gemito sommesso provenire dai binari. 
Mi chino e appoggio le mani sulle rotaie, chiudendo gli occhi per concentrarmi sulle vibrazioni del metallo: il tremolio sotto le mie dita si trasmette a tutto il corpo. Guardo i binari in lontananza e non si vede nessuna luce, ma questo non significa niente: non tutti i treni fischiano e hanno i fari accesi.
Dopo un po’ distinguo il barlume di un piccolo vagone ferroviario che si avvicina rapidamente.
«Arriva» annuncio. È uno sforzo alzarmi in piedi quando non vorrei fare altro che sedermi, ma mi obbligo a farlo e mi pulisco le mani sui pantaloni. «Penso che dovremmo salire.»
«E se fossero gli Eruditi a guidarlo?» protesta Simon.
«Se ci fossero gli Eruditi alla guida, dai Pacifici ci sarebbero venuti in treno» dice Magnus. «Credo che valga la pena rischiare. In città possiamo nasconderci, qui possiamo solo aspettare che ci trovino.»
Ci scostiamo tutti dai binari. Clary spiega passo per passo a Simon come salire sul treno in corsa, e lui sembra quasi tendere le orecchie dalla voglia di ascoltare e capire, nel modo in cui solo un Erudito saprebbe fare. Guardo la prima carrozza che si avvicina; ascolto i tonfi sordi delle ruote sopra le giunzioni, il sibilo della ruota di metallo contro il metallo della rotaia.
Quando la prima carrozza mi passa davanti comincio a correre, ignorando il dolore alle gambe. Jace aiuta Clary a montare sulla carrozza centrale, poi salta dentro anche lui. 
Io prendo fiato velocemente e mi lancio sulla destra, atterrando sul pavimento con le gambe che sporgono fuori. Magnus, già salito a bordo senza alcuna difficoltà, mi afferra per il braccio sinistro e mi tira dentro. 
Sollevo lo sguardo e resto senza fiato: nel buio vedo brillare degli occhi. Forme scure sedute ci osservano, più numerose di noi.
Gli Esclusi.
Il vento fischia attraversando la carrozza. Ora siamo tutti in piedi con le armi spianate, tranne Simon, che probabilmente non ha mai tenuto una pistola in mano prima d’ora. Un Escluso con una benda sull’occhio tiene una pistola puntata contro Magnus. Mi domando dove l’abbia presa, considerato che le armi sono per la gran parte utilizzate dagli Intrepidi.
Accanto a lui, un’altra Esclusa ha in mano un coltello, di quelli che si usano per tagliare il pane. Qualcun altro brandisce un’asse di legno da cui sporge un chiodo.
«Non ho mai visto dei Pacifici armati, prima d’ora» osserva l’Esclusa con il coltello. 
Il ragazzo con la pistola mi sembra di averlo già visto. Indossa dei vestiti sbrindellati di diversi colori: una maglietta nera sotto una giacca da Abnegante strappata, jeans azzurri rattoppati con filo rosso, stivali marroni. Sono rappresentati i colori di tutte le fazioni nel gruppo che ho davanti: pantaloni neri da Candidi combinati con magliette nere da Intrepidi, vestiti gialli con sopra felpe azzurre. La maggior parte sono strappati o macchiati, ma alcuni sono in buono stato. Rubati da poco, immagino.
«Non sono Pacifici» dice il tizio con la pistola. «Sono Intrepidi.» A quel punto lo riconosco: è il ragazzo che ha fallito la simulazione finale, mentre io ero in fila ad aspettare il mio turno. Purtroppo, non riesco a ricordare il suo nome.
Lui si volta a guardarmi, ma non accenna minimamente ad abbassare la pistola. «Tu devi essere quell’Alec.» Il suo sguardo poi si sposta verso Magnus, che inconsciamente si è posizionato a pochi passi davanti a me quasi a volermi proteggere. «Non riesco a crederci, allora erano vere quelle voci. Eri davvero il preferito dell’allenatore…» 
«Chiunque voi siate» dice la donna «dovete scendere da questo treno, se ci tenete alla vita.»
«Gli Eruditi ci stanno cercando» s’intromette Simon, gli occhi castano che guizzano da una parte all’altra da dietro le lenti dei suoi occhiali. «Se scendiamo, ci troveranno facilmente. Per cui vi saremmo grati se ci lasciaste venire in città con voi.»
«Sì?» Il ragazzo inclina la testa. «E voi che cosa avete mai fatto per noi?»
Magnus fa un passo avanti, la pistola gli è quasi contro la gola. Poi con un braccio indica me e mia sorella, rimasta in disparte con le mani ben salde sulla sua arma. «Loro sono Isabelle Lightwood e Alexander Lightwood. Temo che se succedesse qualcosa a loro, il vostro capo non ne sarebbe per nulla felice.»
L’effetto che i nostri nomi hanno sulle persone è immediato e sconcertante: abbassano le armi e si scambiano occhiate significative, qualcuno comincia a bisbigliare.
«Magnus, di cosa stai parlando?» Isabelle si avvicina a noi, gli abiti da Pacifica che le ricadono morbidi sui fianchi. Nella salita sul treno, una lunga ciocca corvina le è sfuggita dalla coda e le ricade davanti ad un occhio.
«Mentre venivo dagli Abneganti per salvare te e Jace, ho sentito un gruppo di Esclusi che organizzavano delle sommosse, a seguito di ciò che avevano fatto gli Eruditi. Ciò che mi ha sorpreso è che parlavano di un qualcuno, un qualcuno di così autoritario e carismatico da essere riuscito a riunire tutti gli Esclusi sotto un unico comando.» Sospira. «Quel qualcuno corrisponde al nome di Robert Lightwood, vostro padre.» 



§



Io e Isabelle ci guardiamo increduli: nostro padre? A capo degli Esclusi?
«Robert è ancora vivo?» Chiede Jace. Quando quest’ultimo è stato adottato non è passato poi molto tempo prima che nostro padre venisse cacciato via dai Candidi, ma è stato grazie alla sua amicizia con il defunto padre di Jace se lui è potuto comunque crescere in una famiglia e non in un orfanotrofio degli Abneganti.
«È ancora vivo.» Risponde il ragazzo Escluso. «E credo proprio che vorrebbe vi portassimo da lui.»
Ci scambiamo tra noi degli sguardi carichi di interrogativi, Isabelle tra tutti non sembra proprio gradire l’idea: lo capisco dal modo in cui ha cominciato a sbattere nervosamente i piedi a terra. Ma dopotutto, che altre opzioni abbiamo?
Non so quanto tempo passa ma quando ci dicono di scendere, ci troviamo nella parte della città dove vivono gli Esclusi, a pochi chilometri dalla fazione degli Intrepidi. Riconosco un edificio: è quello con i mattoni rotti, contro cui è caduto un lampione che non è mai stato rimosso. Questo quartiere della città sembra essere stato dimenticato persino dagli Abneganti.
Gli Esclusi imboccano una strada, poi svoltano a sinistra in un vicolo sporco che puzza di spazzatura. Davanti a noi i topi scappano in tutte le direzioni, squittendo di terrore: vedo le code sgusciare tra montagne di rifiuti, bidoni dell’immondizia vuoti, scatole di cartone fradice. Respiro con la bocca per non vomitare.
L’Escluso si ferma davanti a una costruzione fatiscente di mattoni e apre una porta di acciaio. Sobbalzo, come se mi aspettassi di veder crollare l’intero edificio da un momento all’altro. Le finestre sono coperte da uno strato così spesso di sudiciume che quasi non entra luce. 
Lo seguiamo e ci troviamo in uno stanzone umido. Al bagliore tremolante di una lanterna vedo delle…persone; persone sedute accanto a coperte arrotolate. Persone che aprono scatolette di cibo. Persone che bevono da bottiglie d’acqua. E bambini, che passano zigzagando tra gli adulti, vestiti di tanti colori diversi: bambini Esclusi.
Siamo in uno dei loro magazzini e gli Esclusi, che tutti pensano vivano sparpagliati, isolati e privi di comunità... sono qui dentro tutti insieme. Stanno insieme, come una fazione.
Non so che cosa mi aspettassi, ma mi sorprende la loro apparente normalità. Non litigano tra di loro né cercano di evitarsi: alcuni scherzano, altri parlano pacatamente. Eppure, uno alla volta, tutti sembrano accorgersi di noi, come se intuissero che siamo fuori posto.
«Venite» ci chiama l’Escluso, invitandoci a seguirlo con un cenno delle dita. Noto solo ora che ha una lunga cicatrice che dalla nuca gli attraversa il collo, fino a sparire sotto i vestiti. «È qui dietro.»
Gli Esclusi ci rivolgono occhiate silenziose mentre ci inoltriamo nell’edificio che credevamo abbandonato.
Camminiamo lungo un corridoio buio. Mi sento quasi a casa, circondato da questa oscurità e da questo silenzio, che mi ricordano i tunnel del quartier generale degli Intrepidi.
Mi sentirei rassicurato, se solo non sapessi che tra poco potrei di nuovo rivedere mio padre dopo tanti anni: quando tradì la mamma fu molto doloroso per tutti noi, e lei si ritrovò da sola con quattro figli da crescere. Lo ricordo come un uomo alto, serio, severo…ma non come un cattivo padre: quando aveva tempo, si sedeva sul pavimento del salotto per giocare con me e Isabelle, ci chiedeva cosa facessimo a scuola, ci aiutava con i compiti. Poi, la notte, sentivamo lui e nostra madre litigare: Isabelle piangeva, ed io andavo da lei per tranquillizzarla. Questo fino al giorno in cui lui è stato cacciato.
Magnus è al mio fianco e mi sfiora la spalla con delicatezza. «Stai bene?» 
Sospiro, guardando Isabelle camminare nervosa davanti a me. Jace le sta affianco e le accarezza la schiena, nel tentativo vano di tranquillizzarla.
«Mi viene da vomitare.» Ammetto. «Non lo vedo da tanti anni, ha tradito mia madre, siamo cresciuti senza di lui…» 
«Non sarà facile. Ma oggi lui potrebbe rappresentare la nostra unica possibilità per avere una protezione dagli Eruditi.» Mi stringe le dita tra le sue. «Io sono qui accanto a te.» 
Non rispondo, ma gli sorrido con gratitudine. 
«Siamo arrivati.» Annuncia l’Escluso, fermandosi davanti ad una spessa porta d’acciaio. Quando bussa, questa si apre con un clangore metallico.
Dentro, la stanza è illuminata solo da una fioca lampadina che pende dal soffitto. Al centro della stanza troneggia una pesante scrivania di legno. Un uomo dai capelli scuri è chino su di essa, intento a leggere qualcosa sullo schermo del suo palmare. Il resto della stanza è un polveroso cumulo di fogli e vecchi documenti.
«Avevo detto di non disturbarmi.» Tuona l’uomo, senza alzare lo sguardo. Questa voce, questa voce io la conosco.
«Signor Lightwood, ho ritenuto che questa fosse una cosa davvero importante.» Dice l’Escluso.
A quel punto l’uomo alza la testa, e ci guarda: i suoi lineamenti sono nascosti in parte da una barba nera e ispida, ma anche da lontano si riescono a vedere delle profonde rughe d’espressione che lo fanno sembrare molto più anziano di quanto in realtà non sia. Due occhi azzurrissimi e austeri ci scrutano ad uno ad uno, ed io mi sento mancare la terra sotto i piedi.
È davvero lui. È davvero mio padre.



§



«E questo cosa significa, Edward? Cos’è, un centro di accoglienza per adolescenti sperduti?» 
L’Escluso rimane in silenzio, mettendosi in disparte per permettere a mio padre di guardarci bene.
Il suo sguardo sembra notare Magnus per primo, tradendo un sincero stupore.
«Magnus?» Domanda, più a sé stesso che a noi. 
Poi però sembra notare qualcun altro: dopo aver fissato Magnus nelle iridi dorate per qualche istante, i suoi occhi così simili ai miei si posano su di me. Sul suo volto sembrano passare centinaia di emozioni diverse tutte insieme, lo vedo socchiudere le labbra e alzarsi di scatto dalla scrivania.
Si avvicina a noi a passi incerti, fino a che la sua figura non si staglia a pochi passi dalla mia. Non mi ero nemmeno accorto che Isabelle è accanto a me, anche lei completamente paralizzata.
Le mani forti e ruvide dell’uomo si posano rispettivamente sul mio volto e quello di mia sorella. Sento la faccia che scotta, gli occhi mi si riempiono di lacrime.
«Alexander…Isabelle. Siete davvero voi?» Ci chiede con un filo di voce. 
Non so cosa mi spinga a farlo, ma comincio a piangere come un bambino. Anche Isabelle ha gli occhi lucidi e lo guarda, scossa.
«Tu ci hai abbandonati.» Sputa lei. «Hai tradito la mamma e l’hai lasciata sola, ci hai lasciati soli.»
Lui distoglie lo sguardo.
«Isabelle, ho fatto davvero tanti errori nella mia vita. Con vostra madre le cose non andavano bene, e ho commesso un terribile sbaglio che mi è costato tutto: il mio lavoro, la mia casa, i miei figli. Ho pagato con ogni cosa che avevo.» Le sfiora il viso con il dorso della mano, lei non si ritrae a quella carezza. «Ma non è passato un giorno senza che vi pensassi: quando me ne sono andato eravate solo due bambini…siete così cresciuti.»
Improvvisamente sembra notare anche Jace, rimasto in silenzio per tutto il tempo.
«Jace, sei diventato un uomo anche tu vedo. Ma ora, volete spiegarmi cosa ci fate tutti qui?» 
«Beh, Robert, fossi in te mi metterei seduto.» Ribatte Magnus, incrociando le braccia al petto. «Credo che avremo molte cose da raccontarci.»
   
 
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