Serie TV > Our flag means death
Segui la storia  |      
Autore: absenthium    30/06/2022    0 recensioni
[Alternate Universe - True Detective]
La videocamera è accesa. Pensano che non se ne accorga.
[...]
"Volete sapere del 419, no? Charles Vane? Bambini nei boschi?”
Che è quello che tutti vogliono sentire. Quello a cui si riduce tutto, il cattivo della storia col cranio esploso e un ragazzino affamato nelle sue braccia, o i giornali negli occhi di tutti, i flash delle macchine nella conferenza stampa. Guarda in basso, mentre lo dice.
"Sì, certo. Anche quello. Ma non era l’unico a lavorare al caso, giusto?"
Il che ha senso. Il che fa fermare il suo respiro per un momento. La prima pagina, i flash, il bambino morente tra le sue braccia, l'uomo accanto a lui che trasporta una ragazzina morta.
Ed ghigna.
"Volete sapere di Izzy, non è così?"
[...]
"Era nei canneti fuori da Erath. Lavoravo lì da cinque mesi circa. Gennaio 1995. Quando l'abbiamo trovata."
Genere: Drammatico, Generale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Izzy Hands, Stede Bonnet
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
  2012
Collocano la videocamera.
La stanza è un ordinato caos di finestre pulite e soffitti bianchi. Ed è davanti al muro, davanti ai due uomini seduti all’altro lato del tavolo, che si passano tra loro un foglio vuoto. È quasi una lite, finché uno dei due non strappa il foglio dalle mani dell’altro e inizia a scrivervi sopra. Ed sbircia i solchi neri lasciati dalla penna dell’agente. Una data, il suo nome.
“È accesa?”, chiede.
“A breve, signore. L’agente Boodhari sta trascrivendo i dati della sua dichiarazione.”
I numeri di oggi, il nome completo di Ed. Non vede questo luogo da secoli.
“Stiamo andando a verbale, signore”, avvisa il poliziotto, un giovane con un sorriso gentile il cui cognome Ed ha dimenticato. Preme un bottone. Poi, la videocamera è accesa.
“Louisiana State Police, dichiarazione di Teach, Edward. 1 maggio, 2012.”
 
“Era un detective, qui.”
Sbuffa una risata. Fissa l’obiettivo, silente, uno specchio nero senza segni di vita se non per la luce rossa che lo affianca. Lo fissa, e quello ricambia lo sguardo.
“Lo ero. Fino al 2003. Direi che sono mancato, a questo posto”, scherza.
“E a lei? È mancato?”, chiede l’agente Boodhari.
Ed alza le spalle.
“Nah.”
Il giovane uomo senza nome si tiene sui gomiti sopra la superficie del tavolo, tendendosi verso di lui, lo guarda negli occhi e sembra pentirsene. Molti lo fanno. Una buona leggenda fa questo effetto, e nessuno si è davvero dimenticato del fottuto Edward Teach. Non è più l’uomo che ricordano, ma lo è, e un nome è un nome, un ricordo è un ricordo.
“Perché si è licenziato?”
“Ah, è semplicemente successo, suppongo. Il lavoro non mi piaceva più, e a quanto pare mi ha abbastanza fottuto il cervello. Meglio fare l’oste. Cosa che sono, a proposito, ho un locale-”, si interrompe bruscamente.
“Scusate, divago. Volete sapere del grosso 419, no? Charles Vane? Bambini nei boschi?”
Che è quello che tutti vogliono sentire. Quello a cui si riduce tutto, il cattivo della storia col cranio esploso e un ragazzino affamato nelle sue braccia, o i giornali negli occhi di tutti, i flash delle macchine nella conferenza stampa. Guarda in basso, mentre lo dice.
Si scambiano uno sguardo. L’agente Boodhari continua a scrivere, il che rende Ed stranamente inquieto. Prendere appunti non è mai stato il suo forte, e al tempo qualcun altro lo faceva per lui.
"Sì, certo. Anche quello. Ma non era l’unico a lavorare al caso, giusto?"
Il che ha senso. Il che fa fermare il suo respiro per un momento. La prima pagina, i flash, il bambino morente tra le sue braccia, l'uomo accanto a lui che trasporta una ragazzina morta.
Ed ghigna.
"Volete sapere di Izzy, non è così?"

***
 
La videocamera è accesa. Pensano che non se ne accorga.
Lo fa. Non dice nulla. Il primo detective -Frenchie, ricorda, che ha insistito perché gli si desse del tu e che si è ostinato a non dirgli il suo cognome- chiude la porta dietro di sè. L'altro è intento a scarabocchiare qualcosa: una data, un nome.
Gli occhi di Izzy vagano sopra le pile ordinate di chincaglieria e carte, e le foto di ricercati che macchiano le pareti bianche. I luoghi non cambiano. Tutto rimane una copia di sé e della copia prima. Aspetta.
"Louisiana State Police, dichiarazione di Hands, Israel. 26 aprile 2012", afferma ad alta voce l’agente Boodhari.
Izzy si schiarisce la gola. Parla come risposta a domande mai fatte.
"Dora Arther. L’Occulto Rituale Omicida. Giusto?"
Si accende una sigaretta, inspirando profondamente, svuota la bocca annegando la videocamera nel fumo.
"Non può farlo qui", inizia Boodhari, ma Izzy lo ferma. Tiene la sigaretta tra il pollice e il medio, la punta verso l'uomo e poi la riporta alla bocca. Lascia cadere le ceneri sul pavimento.
"Fanculo. Vuoi che parli o no?"
C'è qualcosa nella sua voce. Qualcosa di stanco e qualcosa che somiglia ad una rabbia, che attende sottopelle. Il fumo sta sicuramente facendo chissà che danno alla sua gola, che è quello che la maggior parte delle persone dice, quello che la maggior parte dei medici dice, tutto quello che si riesce a dire sopra ad una cazzo di lapide. Izzy è consapevole del sapore della sigaretta sulla lingua, del frammento di cenere che gli cade sul braccio, consapevole delle sue ossa e degli occhi dei due uomini fissi su di lui.
"Era nei canneti fuori da Erath. Lavoravo lì da cinque mesi circa. Gennaio 1995. Quando l'abbiamo trovata."
 
 
  1995
Il suo sguardo si allunga fino all'orizzonte. Il cielo rosso. Scendendo, la linea piatta del terreno prosegue lungo la strada asfaltata, fino al punto in cui il nastro segnaletico giallo evidenzia il limite. Aspetta Edward al confine, fino a quando finalmente emerge in lunghe falcate, le mani sepolte nel suo impermeabile. Le temperature si stanno abbassando, pensa, forse pioverà.
"Chi l'ha trovata?"
Izzy indica una donna in uniforme a pochi metri di distanza.
"Mi ha detto che sono stati due del luogo. Contadini. Ci conviene andarci a parlare, dopo.”
La donna -Izzy sa che è il vice sceriffo- li raggiunge, li guida senza dire nulla.
Poi la trovano, ed è rivoltante. Bellissima, anche quello.
Non riesce a vedere il suo volto, nascosto da una criniera di lunghi capelli rossi, e lei è inginocchiata, le mani legate e giunte, come in preghiera, com’era solito essere in ogni ricordo d'infanzia che gli è rimasto. È bendata, è cieca. Una corona di legno le poggia sulla testa, rami e radici e spine. Qualcosa poggia sulle spalle.
Guarda meglio.
Sulle sue spalle, ancora bagnato e marcio, trasudante di qualunque liquido rimasto e di tutte quelle creature che strisciano, brulicanti in spirali di corpi scuri e ali e gambe e gli occhi, Dio, gli occhi e i segni di lividi lasciati dalle ventose, sulle sue spalle c'è un cazzo di polpo morto. Imputridito, putrefatto. Il cielo è rosso. Ha la nausea. Tira fuori dalla tasca un paio di guanti di lattice, guarda Edward.
"Vai."
L'altra agente sembra inorridita, i conati udibili, e con la coda dell’occhio Izzy riesce a cogliere il modo in cui la mano della donna si precipita sulla propria bocca, per impedirsi di vomitare. Si gira verso Teach, gli chiede se ha mai visto qualcosa del genere, chiede se conta come rito satanico.
"Mai visto niente del genere, signora. E ne ho vista, di roba orrenda."
Izzy si avvicina, si accovaccia accanto al corpo. Apre il taccuino che tiene sotto il braccio, un oggetto largo rivestito di nero, le cui pagine sottili sono annegate nella sua scrittura veloce. Gli uomini del suo vecchio distretto lo chiamavano esattore delle tasse. Anche Edward, dopo quella volta in cui l'ha accidentalmente menzionato. Guarda.
"Avremo bisogno di più uomini", dice Edward, "Per chiudere il perimetro."
Il vice accetta silenziosamente. Gli passa un biglietto.
"Queste sono le persone che hanno trovato il corpo. Dovrebbero vivere da queste parti", aggiunge rapidamente, prima di andarsene.
Ascolta solo a metà, Izzy. E guarda. C'è un simbolo sulla schiena della donna, disegnato con un tratto sicuro di vernice blu. Una X, grande e irregolare, come se dipinta di fretta. Il resto è vuoto. La sua pelle è pallida come quella di ogni morto, ma soprattutto sembra pulita, con l’eccezione delle ginocchia, quasi coperte di terra scura. La voce di Edward nella radio. Un nido d'uccello, o qualcosa che gli assomiglia, appoggiato sull'albero. Passi verso di lui.
"Dimmi cosa vedi."
Izzy soffoca un sussulto. Le parole di Edward sono gravi, ridotte a un sussurro.
"Segni di legacci sui polsi. Ferite da taglio all'addome. Non sono aperte, c'è a malapena sangue. Sono state inflitte post-mortem, credo. Il polpo doveva essere vivo, quando gliel'hanno messo addosso."
Indica il corpo.
"I segni."
"Da quanto tempo è qui?"
Izzy si acciglia pensieroso, prima di dire: "Non più di cinquanta ore. Di più, e il polpo sarebbe stato coperto di larve."
Il peso della mano di Edward, una pacca sulla spalla, gli lascia un’impressione di disagio. L'uomo si sposta verso il corpo, fissandolo intensamente. La sua espressione è persa tra la barba e le ciocche di capelli che gli ricadono sul volto.
"Bravo", gli dice, mentre sfila dalla mano di Izzy uno dei guanti e lo indossa sulla propria. Smuove delicatamente i capelli del cadavere per scoprirne il collo, districandoli nel processo, con tutta quella poca cura che gli è rimasta. La sua mano sembra delicata nello stesso modo in cui lo sembrava quando l’ha vista posarsi sulla guancia di un piromane in singhiozzi nel mezzo di un interrogatorio, mentre Edward lo confortava facendogli confessare ogni cosa avesse o non avesse fatto.
"Edward, siamo in una cazzo di scena del crimine", sospira Izzy.
 "I lividi sul collo. Li vedi?", dice, ricevendo un cenno di assenso. Si alza.
"Qualche idea sul significato del simbolo?"
Izzy scrolla le spalle, scuotendo la testa, dice: "Potrebbe essere di tutto."
"Sapevi che i cristiani vedono i polpi come un simbolo di resurrezione?", comincia Edward. Sta fissando il cielo, strizzando gli occhi al sole.
"Penso che gli ricordino Cristo, o qualcosa del genere. La maggior parte dei pesci gli ricorda Cristo, in effetti."
"Immagino", concede Izzy.
"Guarda le nuvole", dice Edward, "Sta calando la nebbia.”
 
 
  2012
"Il fatto, con Izzy", inizia, solo per rimanere in silenzio per un momento, guardando il soffitto, le sopracciglia aggrottate come se stesse cercando di raccogliere tutto ciò che è rimasto dell’uomo di cui sta parlando.
"Il fatto con Izzy, era tranquillo. Cinque mesi che lavoravo con lui e gli dovevo cavare le parole di bocca. Giusto tranne quando volevi farlo star zitto e non ti riusciva manco per sbaglio."
"Cosa intende?" chiede l’agente Boodhari, e Ed ridacchia.
“Ne diceva di stronzate. Aveva teorie strane. Suppongo che finiscano così, gli uomini come lui. Ricordo la prima volta che ho visto dove viveva, pensavo mi stesse prendendo per il culo."
Coglie la domanda apparire sui loro volti.
"Il suo appartamento era quasi vuoto, giusto un paio di scatole e mucchi di libri e documenti. E un materasso, sul pavimento. Il che era comico, perché viveva lì da mesi, e lui di per sé sembrava sempre così in ordine. Giuro, non l'ho mai visto senza una cravatta."
Si ferma a bere dalla bottiglia d'acqua che gli hanno portato. Boodhari ha passato la trascrizione al suo collega, che ora scarabocchia furiosamente lettere incomprensibili.
"Quel che intendo, la maggior parte delle persone che conosco? Fanno questo lavoro per altri. Magari sono cresciuti giocando a Sherlock Holmes o guardando i loro genitori indossare uniformi, oppure decidono che vogliono fare l'eroe di popolo e fare del bene, quel che è."
"È per questo che è diventato poliziotto?", chiede quello senza nome, e Ed contiene a malapena un'esplosione di risate.
"Direi di averlo fatto per tutte le ragioni sbagliate, visto sono andato in pensione a 39 fottuti anni."
La luce rossa sulla fotocamera lampeggia, a volte.
"Izzy, lui il lavoro lo faceva per sé. Gli importava come ad altri importa del proprio cane, o di vivere e morire”, fa una pausa, esita.
“Non credo gli fosse rimasto molto altro.”
Resta il silenzio. Resta il ticchettio dell'orologio appeso dietro di lui. Conta i secondi, fa girare un anello intorno al dito. Aspetta.
"Quando l'ha incontrato, l'ultima volta?"
"Non lo vedo da dieci anni."
 
***
 
"Volete sapere dell'arresto, eh?"
Respira, tira fuori l'ennesima sigaretta. La stanza si riempie di un sottile strato di fumo che di tanto in tanto rende fa tossire Boodhari. Izzy pensa a cosa lo aspetta a casa, a come sia il suo giorno libero e in questo momento dovrebbe star dormendo o bevendo, a come si sveglierà il giorno dopo con il mal di testa che le luci del distretto gli stanno procurando.
"Prima o poi, sì", dice Frenchie.
"E il caso a Lake Charles, invece?" chiede. Gli uomini si alzano, uno chiude le persiane, l'altro recupera un file, una fotografia. La gola di Izzy si stringe alla vista. La donna nelle foto, assomiglia a lei. È sdraiata in mezzo alla strada, sta pregando alle corde intorno alle sue mani. È cieca, è bendata, tentacoli che le attraversano il viso. Ingoia un sospiro strozzato.
"Può dirci qualcosa a riguardo, signor Hands?"
Si porta la sigaretta alle labbra.
"Assomiglia molto ad Arther. Ma questo già lo sapevate."
Lo stanno fissando, ora, tenendo la foto di fronte a lui in modo che non possa distogliere lo sguardo.
"Ha qualche dettaglio sul caso? Qualcosa che è rimasto privato?"
"Qualsiasi cosa, davvero. Il suo caso è stato risolto quasi vent’anni fa, e avete preso il killer. E ora questo, quasi la stessa cosa. La nostra domanda è-"
"Come può essere lui?", lo interrompe, terminando la frase.
"Abbiamo pensato che lei potesse saperlo", risponde Frenchie, la sua voce quasi schiva. Izzy fa scivolare l'immagine nella loro direzione.
"Iniziate a farmi le domande giuste, allora."
 


Note:
e niente. eccoci qui, in questa AU che volevo solo io, perché True Detective è alla base della mia stabilità mentale da anni e periodicamente rientro in una fase di ossessione. per chi non la conoscesse: True Detective [la prima stagione, in realtà] è una serie che tratta di due agenti che investigano su un caso strano, con in mezzo tutti i loro problemi psicologici e pare filosofiche prese direttamente da Nietzsche. questa storia fa riferimento a situazioni, nomi e luoghi della serie, e contiene alcuni dialoghi che ho adattato alla larga da lì, ma è prefettamente leggibile senza conoscerla, anche se la consiglio vivamente. è ambientata in Louisiana perché TD lo è, ed io faccio schifo in geografia quindi mi serve un riferimento preciso da copiare spudoratamente. l'altra alternativa geografica, se ci basiamo sulle mie conoscenze, era il Tufello, quindi direi che la Louisiana non è l'opzione peggiore.
ho studiato troppi elementi di medicina forense basica, per questo capitolo. ho guardato una serie di video sulla decomposizione dei polpi, e ne sono uscita segnata.
friendly reminder, i personaggi saranno pure poliziotti, ma a me la polizia fa schifo :)

Su Ao3 trovate la versione originale, in inglese.
qui trovate la mia stupenda playlist, perché non so chi sono senza playlist sulle storie che scrivo.
qui, lo skit di Rhys Darby che è alla base di questa follia. Stede comparirà, non preoccupatevi.

 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Our flag means death / Vai alla pagina dell'autore: absenthium