Libri > Good Omens
Segui la storia  |       
Autore: Neamh Moonstar    01/07/2022    1 recensioni
Bene e Male non possono toccarsi, letteralmente. Se angeli e demoni provassero ad avvicinarsi gli uni a gli altri, si ferirebbero a vicenda fino a consumarsi: è un dato di fatto. Per questo i Regni del Bene e del Male - con le loro rispettive armate - vivono e lavorano a distanza di sicurezza, affidando a gli umani il compito di combattersi a vicenda in una serie infinita di battaglie.
In questo mondo nettamente diviso e basato su tali certezze - un guardiano distratto, una bestia casinara e un gruppo di umani poco convinti, scopriranno cosa significa stare giusto nel mezzo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Era la seconda volta che succedeva. La prima l'aveva sentita a malapena: sapeva di aver chiuso gli occhi ed essersi svegliato avvolto da tante piacevoli sensazioni, rotte solo dall'aria pesante dell'Inferno e dai battibecchi di Crowley e Anathema.

Stavolta fu come essere tirati a forza verso il punto più profondo dell'oceano: era circondato da rumori soffocati, parole che gli rimbombavano incomprensibili in testa e momenti in cui tutto semplicemente spariva, lasciandolo nell'oblio. L'unica costante era il dolore: così forte e così diffuso da costringerlo a rimanere a galla almeno un po'. Perché per quanto l'incoscienza fosse allettante, non poteva starci a lungo. Era pericoloso e non gli piaceva.


La realtà tornò a tratti e, come la prima volta, sentì qualcosa di vasto e morbido sotto le ali e la nuca. Il letto, si disse.

Il dolore sembrava essersi placato appena, ridotto ora ad un pizzicore fastidioso sulle braccia e sul petto. Niente tocchi delicati o mani intente a curarlo, però. Sentì una stretta preoccupata sulle sue spalle: lo scrollava senza strapazzarlo, decisa a farlo tornare. Doveva tornare, si disse. Doveva fare uno sforzo.

Si aggrappò alla voce che continuava a chiamarlo, e svegliarsi fu così repentino e doloroso che si disse di non volerlo fare mai più. 


    Sbarrò gli occhi e davanti a lui si stagliò il volto sconvolto di Anathema. La giovane aveva ancora le mani ancorate alle sue spalle e, non appena lo vide riprendersi, irruppe in un: «Oddio, stai bene?!» Intriso di panico.

Aziraphale non seppe bene come rispondere. Era di nuovo presente a sé stesso, il che era rincuorante, ma si sentiva come se una montagna gli fosse crollata addosso. Si sforzò di annuire, ma l'altra parve tutto fuorché convinta.

    «Diamine, ho temuto di perderti, sai?» Gli confessò, facendo un respiro profondo. «Qualunque cosa ti abbia fatto quel ragazzino, è un miracolo che tu sia ancora vivo.»

Anathema sparì dalla sua vista, andando probabilmente a frugare nella sua borsa, e l'angelo ne approfittò per guardarsi attorno. Erano nella stanza degli ospiti, ma erano soli. Gli altri umani si erano probabilmente allontanati dopo l'attacco del segugio, e Crowley... Già, lui dov'era?

Aziraphale sentì un'ondata di panico soffocare il bruciore ancora decisamente ancorato al suo petto, alle sue mani e alle sue braccia. Fece per alzarsi sui gomiti, ma tutto il suo essere si rifiutò. Fece per parlare, ma persino la gola gli bruciava - colpa dell'urlo, poco ma sicuro.

    Fortunatamente, Anathema gli venne in soccorso. Gli poggiò addosso una pezza bagnata, iniziando a tamponare delicatamente le zone ustionate. «Ssh, calmo. Adesso ti spiego tutto» disse, la voce ridotta ad un sussurro. Sembrava stanca e abbattuta, oltre che preoccupata. «Solo, resta con me. Va bene?»

Non avevano tempo per questo, Aziraphale lo sapeva, nonostante ciò annuì e si apprestò comunque a fare come gli era stato detto. Decise di fare un paio di respiri profondi a sua volta, pratica che fisicamente era inutile ma che fece miracoli dal punto di vista emotivo. Dopo un po' - e dopo tante sofferte manovre per aiutarlo a sedersi - la giovane gli offrì persino una tazza di tè che aveva preparato poco prima, e si spostò con una sedia accanto al letto, aspettando che finisse di bere con calma.

    L'angelo sorseggiò in silenzio, concentrandosi sul sapore di quella bevanda dall'odore meraviglioso. Pensarci lo aiutò a rilassarsi, tanto che alla fine si sentì abbastanza bene da prendere parola. «Dov'è Crowley?» Chiese, andando dritto al punto.

    Anathema spostò lo sguardo verso il basso. «Quella bestiaccia lo ha portato via.»

    Proprio ciò che Aziraphale aveva temuto. Si fece coraggio, posò la tazza sul comodino e continuò: «Cos'è successo?». L'ansia lo portò a torturarsi le dita, intanto che teneva lo sguardo fisso sulla giovane.

    Quest'ultima prese a massaggiarsi le braccia, affranta. «È successo tutto molto in fretta. Quando hai afferrato Adam ho pensato fosse fatta, ma poi ti ho visto andare contro gli alberi e ti ho sentito urlare. Non ho fatto in tempo a raggiungerti che ho sentito un tonfo provenire dal tetto. Newton e Shadwell mi hanno detto che il segugio aveva afferrato Crowley all'ultimo e che con ogni probabilità lo stava già trascinando via» raccontò. «Ho detto loro di andare sul retro del cottage a dare un'occhiata mentre io andavo ad occuparmi di te. In quel momento è comparso Adam: stava correndo anche lui verso il boschetto qui dietro. Shadwell avrebbe voluto e sicuramente potuto afferrarlo, ma dopo quello che è successo glielo abbiamo impedito. Alla fine abbiamo capito che correre dietro a lui e alla bestia sarebbe stato inutile, così siamo venuti a recuperarti». Lo fissò con apprensione, tanto da fargli percepire tutta la paura che aveva provato. «Hai idea di quanta acqua santa ti abbia buttato addosso?» Disse poi. «Newton ha dovuto chiedere ad alcuni del vostro lato di andare a recuperarla.»

Aziraphale la fissò per un po'. La situazione non era delle migliori, e tutto rischiava di andare in malora. Fortunatamente una parte di lui, quella ragionevole, gli disse che se la profezia aveva ragione - e voleva continuare ad esserne convinto, anche perché era stata Anathema stessa ad assicurarglielo - allora forse una via d'uscita c'era. E per quanta paura avesse, doveva trovarla.

    Così fece un leggero sorriso e disse: «Avresti dovuto vedere la faccia di quel bambino prima che scappasse via. So che forse farai fatica a crederci, ma era sinceramente dispiaciuto.»

Uno dei vantaggi dell'essere un angelo era sapere perfettamente quando qualcuno era veramente e genuinamente pentito. Adam lo era: glielo si poteva leggere negli occhi e nelle lacrime. Forse non era un ragazzino come tutti gli altri, ma sicuramente non era una cattiva persona - non fondamentalmente, almeno.

    Anathema sbarrò gli occhi: «Se lo dici tu, ci credo. Solo... Allora cos'è stata tutta quella storia del segugio? E perché ti ha fatto così tanto male?»

    «Questo non lo so» sospirò l'altro. «Ma andiamo per gradi». Guardò il letto alla sua sinistra, quello dove il demone si era raggomitolato la notte prima. Non poté che sentirsi un po' in colpa, anche se sapeva benissimo che nessuno di loro avrebbe mai anche solo immaginato quel risvolto degli eventi. Avrebbe dovuto capire che qualcosa non andava: avrebbe dovuto studiare il ragazzino con attenzione. In ogni caso, una cosa era certa: «Comunque vadano le cose, ho bisogno di Crowley» affermò. C'era scritto, in fondo, nero su bianco: la Luce Alata aveva bisogno della bestia dell'Eden al suo fianco se voleva vincere. Nessun secondo fine. Non uno?

    «Perciò» continuò Aziraphale, «devo andarlo a prendere.»

    Anathema, che nel frattempo si era versata del tè a sua volta, per poco non risputò tutto nella tazzina. «Sei fuori di testa?!» Esclamò in un modo che ricordava tantissimo il suo padrone. «Ascolta. C'è un solo demone abbastanza pazzo e vendicativo da mandare un segugio infernale alla ricerca di Crowley: Beel.»

Aziraphale sbatté gli occhi un paio di volte, confuso.

    «Ah già, tu non lo sai. È il modo in cui Crowley chiama Belzebù.» 

    «Oh, ma certo» sospirò l'angelo. «Avrei dovuto capirlo. Quindi significa che...»

    «Significa che è nella fortezza, Aziraphale» completò Anathema. «Nemmeno Gabriel ci è mai entrato. Le poche volte che uno dei vostri ci ha messo piede non è più tornato, ma ti parlo di secoli fa.»

    «Lo so, ma...» balbettò Aziraphale, «che altra scelta abbiamo? Non potete certo andarci voi. E poi: Crowley era disposto a tornare in Paradiso per aiutare me; non vedo perché io non debba andare fino all'Inferno per aiutare lui.»

    L'espressione della giovane si addolcì. «O sei troppo buono, o forse la profezia non è l'unico motivo per il quale sei disposto a fare una cosa simile.» 

O magari entrambe le cose. O forse nessuna delle due.

    Aziraphale non avrebbe saputo dirlo e aveva passato le ore precedenti ad interrogarsi, intanto che la situazione si evolveva attorno a lui, sempre più intricata. Fu sincero: «Non saprei» rispose, un sorriso amaro sul viso. «Sarebbe così strano se non lo considerassi più un nemico?»

C'erano parole più adatte, si era detto. "Controparte" era la sua preferita, e forse anche "collega" ci poteva stare se si prendeva in considerazione il loro ruolo nella profezia. Ma una nemesi non è qualcuno con cui ti scambi opinioni sotto la pioggia e non è qualcuno accanto al quale ti siedi a tavola, così come non è qualcuno con il quale escogiti piani per la salvezza comune. Non è qualcuno con cui sei destinato a sovvertire il mondo.

...o forse sì?

    «Ti dirò,» disse Anathema accavallando le gambe, ora molto più tranquilla. «Quando impari a conoscere Crowley, sei destinato ad avere un rapporto strano con lui. Insomma, ci hai visti: non facciamo che andarci contro, ed io sono perennemente costretta a fare quello che dice lui.»

    Aziraphale accennò un sorriso: «Sí, ma... perché ho come l'impressione che, nonostante tutto, lui non ti stia antipatico?»

    L' altra si fece scappare una mezza risata: «Perché lo adoro. Non è sempre stato così: sapevo che un giorno me lo sarei ritrovato davanti, ma quand'è successo non sapevo bene come gestire la situazione» confessò. «Sono dovuta andarmi a cercare delle profezie: senza di quelle ci avrei messo il quadruplo del tempo a capirlo. Sa essere fastidioso, sa come stuzzicarti, sa come essere rude e ha sempre quel fare sarcastico. Eppure è diverso dagli altri demoni, e questo gioca a suo favore.»

Disse l'ultima parte con uno dei sorrisi più sinceri che Aziraphale avesse mai visto su volto umano. Inoltre: non avrebbe potuto fare una descrizione migliore.

    «C'è una cosa che devi sapere di lui» riprese Anathema, riportando tutta l'attenzione dell'angelo su di sé. «Crowley nel tempo si è costruito una specie di muro attorno: per questo mi piace dire che è un osso duro. È molto difficile avvicinarsi a lui ma è ancor più difficile che lui si avvicini a te. Se lo fa, i motivi sono due» Spiegò, iniziando a contare sulle dita: «Uno: vuole farti un brutto tiro - e credimi, si diverte a fare scherzetti bastardi per quanto innocenti; o due: lo hai incuriosito davvero. E attirare la curiosità di Crowley - quella vera dico, quella che lo porta a scavare a fondo nelle cose - significa essere davvero, beh, pazzeschi ai suoi occhi.»

Ad Aziraphale tornarono in mente tutti gli sguardi, tutte le reazioni, la sensazione di volerne sapere di più... 

    «Tu lo incuriosisci non poco» affermò Anathema, come se gli avesse letto nel pensiero. «In pratica: gli piaci. Non lo ammetterà mai, ma posso assicurarti che è così.»

    «Ne sei sicura?» Chiese l'altro, stringendosi nelle spalle. «Non sono poi così... Beh, interessante, credo.»

    La giovane rise di nuovo: «E lui non è esattamente gradevole, ma incuriosisce anche te. Non è vero?»

Era vero eccome. Anathema ci aveva preso: Crowley era diverso; non sembrava né grottesco, né minaccioso, né veramente cattivo. Sembrava più qualcuno che era stato spinto ad esserlo e alla fine si era abituato così, e aveva trovato la sua zona di comfort in quel tipo di vita. E poi non si stava trovando così male con lui. Sì, l'inizio era stato burrascoso e le cose avevano iniziato a malapena a scalfirsi, ma aveva trovato carino il fatto che fosse venuto a cercarlo quella notte, e che avesse deciso di accompagnarlo in Paradiso nonostante non ne avesse propriamente intenzione. Forse non lo aveva inquadrato abbastanza bene ancora, ma erano in quel casino insieme e insieme ne sarebbero usciti.

    Aziraphale non rispose alla domanda, ma tanto non ce n'era bisogno: si vedeva dallo sguardo di Anathema. Piuttosto, si fece serio e chiese: «Hai idea di come entrare in quella fortezza?»

    «Sei sicuro di volerlo fare per davvero?» Chiese lei, seppur un po' più risoluta di prima. «Hai visto come sei ridotto? Anche solo l'atmosfera di quel posto potrebbe ridurti ad uno straccio.»

    «In qualche modo farò» disse lui, cercando di mascherare l'ansia che aveva iniziato a mangiargli l'ipotetico stomaco. «E poi, il segugio non stava cercando solo lui,» precisò. «Stava cercando entrambi. Questo, o semplicemente aveva voglia di mangiarmi.»

    «Non escludo nessuna delle due opzioni» rispose Anathema. «Ma ti rendi conto del fatto che questo peggiora solo la situazione, vero?»

Aziraphale sospirò perché se ne rendeva conto, se ne rendeva conto eccome. Fissò mesto i segni delle ustioni che ancora pizzicavano imperterrite. Ferire esternamente una creatura immortale è facile come bere un bicchiere d'acqua, ma quel dolore si estendeva ben oltre il piano fisico. Se voleva intraprendere quella pazza missione di salvataggio, aveva bisogno di un piano ben congeniato.

E ne avrebbe trovato uno. 


~•°•~


L'ennesimo coagulo nerastro gli si formò in gola, ma stavolta lo ricacciò indietro. Quello era in assoluto il giorno peggiore della sua esistenza.

Si era svegliato grazie ad un calcio dritto nella pancia, seguito da altrettanti colpi che lo avevano lasciato mezzo inebetito per un po'. Poi le cose erano andate peggiorando e si era ritrovato a terra, in un angolino delle celle dove i suoi superiori buttavano quelli che gli stavano antipatici, il più delle volte per torturarli.

    «Allora, Crowley» disse Beel, sorridendo come un bambino in un negozio di caramelle. «Ti va di dirmi dove ti eri cacciato, adesso?»

Ovviamente non gli andava, e il fatto che fosse costretto era un altro paio di maniche. Quel che è peggio, era che Beel sapeva bene come farti male se gli girava; e se c'era qualcuno che sapeva come distruggere il "corpo", il maledetto e fragile guscio di un demone, quello era lui. Aveva tanti di quei giocattolini spaventosi che prima o poi eri costretto ad assaggiare se lo facevi incazzare, e Crowley era ben conscio del fatto che lo aveva fatto incazzare di brutto.

    Non gliel'avrebbe data vinta, non subito almeno. In fondo era ancora invischiato in quella benedetta profezia, sempre che quel piccolo contrattempo non fosse un imprevisto nei piani di Dio... In ogni caso, decise di fare un leggero sorrisetto sornione per mascherare la paura misto voglia di saltare al collo del suo superiore. «Che vi devo dire, l'aria si era fatta pesante da queste parti» disse, non senza un fremito.

    Beel strinse il manico della frusta che aveva in mano, riducendo gli occhietti troppo azzurri in due fessure: «Sei ancora in vena di scherzare?» Sputò. «Ti do un semplice ordine e tu cosa fai? Sparisci chissà dove e il mastino che mando a recuperarti torna con l'Arma in groppa. Cosa stavi combinando?»

    Crowley sentì un brivido spingerlo ancor più verso il muro. I suoi pensieri si bloccarono tutti insieme e tutti di colpo, e una sola domanda riuscì a fare capolino dalla sua bocca, incerta e tremante: «Come sarebbe a dire?»

    Il silenzio che seguì fu assordante e Beel parve in qualche modo deluso. «È stato il nostro Signore a dirmelo quando sono andato a riferirgli che un ragazzino aveva superato le guardie all'entrata. Credimi, è stato assurdo per tutti» spiegò. «Tu non ne sapevi niente?»

    «Se lo avessi saputo me la sarei data a gambe!» Esclamò Crowley, d'istinto. Ora era del tutto terrorizzato. Aveva dormito nella stessa stanza dell'Arma, cazzarola; inoltre adesso le cose avevano assunto un nuovo, spaventoso senso: il fatto che Adam fosse comparso all'improvviso, il suo comportamento inusuale, il suo cambiamento repentino quand'era arrivata quella bestiaccia...

    «Questo in realtà rende le cose più interessanti» riprese Beel, facendo qualche passo verso di lui. «Eri andato a punire un angelo, no? Qualcosa mi dice che ti sei fatto fregare. Non solo mi hai ignorato, andandotene a zonzo come tuo solito; hai anche fallito.»

In condizioni normali Crowley avrebbe cercato di giustificarsi, ma ora quell'affermazione lo aveva lasciato ancor più sottosopra delle ferite che gli decoravano braccia, petto e viso. Aveva sentito una sensazione terribile fargli una capriola in petto e si era reso conto di una cosa che fino a quel momento era rimasta zitta zitta, nascosta tra i suoi incasinatissimi pensieri. Adam era l'Arma e l'Arma era stata forgiata da Satana in persona dalle viscere stesse dell'Inferno.

E l'angelo l'aveva afferrato come nulla fosse.

Ora si spiegava l'urlo che aveva sentito e, facile botta di conti, creatura divina più essere non ben specificato nato dal fuoco infernale significava solo che la sua controparte era bella che morta. In poche parole: era andato tutto a rotoli e poteva solo peggiorare.


Un colpo di frusta nell'aria lo fece sobbalzare, strappandolo da quel ragionamento. Ora sì che si sentiva perso e minuscolo, ancor più piccolo di Beel che, senza dire un'altra parola, era già pronto a fargli un altro bel taglio proprio in mezzo agli occhi.

Non sapendo cosa fare, Crowley si limitò guardare altrove, pronto a beccarsi l'ennesimo dolorosissimo colpo. A quanto pareva, però, la fortuna - o chi per lei - non si era completamente scordata di lui.

    Dall'entrata della cella arrivarono dei passi. «Odio interrompere questo bel momento» disse una voce che Crowley conosceva bene e che detestava all'inverosimile. «Ma siete richiesto all'esterno, signore.»

    Alzando gli occhi al cielo, Beel si voltò verso Hastur, quel brutto bastardo. «Essia, arrivo» disse facendo sparire la frusta di malavoglia. Poi si rivolse al suo prigioniero: «Ringrazia questa guerra. Quando avremo finito, tornerò a tormentarti. Curati bene le ferite, mi raccomando.» 

Crowley vide gli occhi di entrambi i suoi più detestati superiori fissarlo con scherno ed evidente divertimento. Rivolse loro l'espressione più dura che potesse tirare fuori in quel momento, ma tutta la rabbia che covava nei loro confronti si era spenta in favore di qualcos'altro. Qualcosa che ancora non riusciva a comprendere.

Uscirono chiudendo la cella e se ne andarono, lasciandolo al buio. Solo allora il rosso si permise di rilassarsi e imprecare tutte le belle parole che aveva lasciato morire negli ultimi minuti - o ore, non avrebbe saputo dirlo. Maledisse il dolore alla caviglia che il segugio aveva morso, maledisse le ali mal ridotte e sporche per essere state trascinate in lungo e in largo, maledisse i calci, i colpi di frusta, i tagli sanguinanti, il colpo alla testa... Maledisse persino Adam, ma tanto non poteva dannarlo più di tanto visto che era giusto un gradino sotto Satana.

Ma soprattutto, maledisse quello stupido senso di solitudine. Affondò le dita nei capelli perché sapeva benissimo di essere solo in mezzo allo schifo e che morire non era un opzione per lui: era destinato a guarirsi per poi beccarsi altre frustate da Beel, e non guarirsi lo avrebbe solamente ridotto ad un esserino inutile e sanguinolento. Maledisse Aziraphale per non avergli infilato la spada in petto quando ne aveva l'occasione: avrebbe avuto più senso e sarebbe stato più facile per tutti. Soprattutto, se l'avesse fatto sarebbe ancora vivo, pensò. Stupido. Ecco cos'era: pazzo e anche stupido.

Alla fine si mise a piangere perché non aveva le forze di fare nient'altro. Non provò nemmeno ad alleviare il dolore: non aveva senso. Non provò nemmeno a cercare una via d'uscita: nemmeno quello aveva senso.

Si raggomitolò su sé stesso e si lasciò andare, scosso da silenziosi singhiozzi che facevano aumentare il dolore ad ogni spasmo.

L'ultima volta che l'aveva fatto, era stato quando Dio aveva deciso di buttarlo di sotto.


~•°•~


    «Fammi capire bene» ringhiò Shadwell, guardandolo storto. «Attorno a noi sta per scoppiare la Guerra, un ragazzino malvagio e il suo cane demoniaco sanno dove siamo e tu, invece di andare a recuperare la tua spada per aiutarci, hai deciso di finire di morire all'Inferno?»

Aziraphale non seppe subito come replicare, anzi: un po' si sentì pure offeso. Erano di nuovo al piano di sotto del cottage e c'erano solo lui, Anathema, Newton e quel vecchio fuori di testa che ancora non sapeva come prendere. Incredibile come stesse attaccando la prima cosa buona che faceva per qualcuno: ovvero ciò che si era sempre sentito di dover fare, ma che non gli era mai stata data la possibilità di fare.

    Ancora una volta fu Anathema, santa Anathema, a tirarlo fuori dai guai: «Non possiamo fare niente senza Crowley, ricordi? Conosco il modus operandi di Belzebù: potrebbe fare a pezzi chiunque gli stia sulle scatole ma preferisce di gran lunga farlo soffrire. Abbiamo la possibilità di recuperarlo.»

    Newton li guardò tutti con aria preoccupata, poi sospirò: «Beh, da quel che ho sentito stanno ancora combattendo gli eserciti umani. Magari abbiamo tempo.»

    Shadwell tirò a entrambi i suoi colleghi un'occhiata di sconcerto: «Ma certo, mandiamolo nel bel mezzo del quartier generale nemico dove nemmeno il messaggero è mai entrato. Cosa potrebbe mai andare storto?»

    «Se un arcangelo può arrivare davanti alla fortezza oscura, può farlo anche Aziraphale. E poi, se usiamo il cerchio per andare velocemente a casa mia, sarà ancora più facile» ribatté Anathema andando a poggiare la sua borsa sul tavolo. «E poi ci basta scoprire come farlo entrare.»

    Newton e Aziraphale le furono subito accanto. Il vecchio, però, non sembrava demordere: «Non è nemmeno armato.»

    La giovane tirò fuori un foglio e lo spiegò. «Qualcosa ci inventeremo.»

Come tutti i residenti del Regno del Male, Anathema aveva una bella e dettagliata mappa del luogo. Era grande abbastanza da occupare il tavolo e, in mezzo a tutti i nomi di città e paesini, spiccava fiera la fortezza attorniata da mura che ricordavano quelle dell'Eden, solo più grottesche. Ad Aziraphale salì un brivido lungo la schiena solo a guardarla.

    «Arrivare all'ingresso in volo in realtà non è così tanto complicato» gli spiegò Anathema. «Ma ricordati che se la fortezza celeste si sviluppa verso l'alto, questa scende verso il basso. In sostanza: quella che vedi qui» spiegò, indicando il disegno davanti a loro, «non è che la punta dell'iceberg.»

    «E dov'è che Belzebù tiene i prigionieri?» Chiese l'angelo, già preoccupato di scoprire la risposta.

    Incredibilmente, fu Shadwell a rispondere: «Nello stesso posto dove tengono gli umani che non fanno il loro dovere» disse, incrociando le braccia. Aveva uno sguardo che sembrava fatto di roccia, con il quale fissava gli altri tre con austerità infinita. «Da quel che ho sentito ai tempi dell'esercito, non è troppo lontano dall'ingresso. Uno o due piani al massimo.»

    «Beh, ehm, sembra una buona notizia» balbettò Newton. «È una buona notizia, no?»

    «Beh, sì» rispose il vecchio. «Se non consideri che la fortezza oscura è un dedalo di corridoi stretti e pieni zeppi di demoni che non vedono l'ora di fare un angelo a pezzi.»

    «È qui che ti sbagli» puntualizzò Anathema con un sorriso.

    Newton annuì: «Da fuori mi hanno comunicato che il Signore dell'Inferno ha ordinato a tutti i demoni di prepararsi. In sostanza: c'è un casino di fronte alla fortezza, ma dentro dovrebbe essere quasi deserta.»

    «In pratica, ora tutto sta nel capire esattamente come arrivarci ed entrare» riassunse Aziraphale, ora giusto un pelo più tranquillo.

    «La fai facile tu» sbuffò Shadwell. «Come pensi di fare? Già arrivare fino a laggiù in fretta è una cosa che in pochi sanno fare, e Anathema non vive certo lì all'angolo.»

    «Ma Crowley è uno di quei pochi» ribatté la giovane. «Ha provato a spiegarmi come fa, una volta. È difficile, ma si può provare.»

    Newton non parve convinto: «Ne sei sicura? Insomma, Crowley è un demone. Non è detto che anche Aziraphale ci riesca.»

    «Angeli e demoni sono fatti della stessa pasta alla fin fine» spiegò Anathema. «E poi a questo punto vale la pena tentare.»

L'angelo annuì. Era disposto a fare il possibile, per quanto la cosa lo facesse andare in paranoia. Ora dovevano mettere assieme i pezzi e comporre il grande piano. 

Facile a dirsi, tremendamente difficile a farsi.

Fortunatamente, Anathema conosceva bene il luogo dove viveva, e Shadwell aveva fatto la ronda attorno alla fortezza oscura tante di quelle volte che ormai aveva impresse nella mente tutte le feritoie, tutte le entrate secondarie, tutti i punti furbi usati dai demoni che avevano necessità di entrare e uscire spesso. Sentendo tutte le informazioni di cui disponeva, Aziraphale capì l'importanza che quell'uomo doveva avere nella Zona: era anche uno dei pochi ad avere una buona conoscenza in combattimento. Sapeva come fare in caso di emergenza e, per la prima volta, l'angelo provò un senso di profonda gratitudine nei suoi confronti.

    Newton si diede da fare per chiarire la posizione degli schieramenti e, per fortuna, sapeva come chiederlo e a chi. In una manciata di ore, era uscito e rientrato più volte e aveva già individuato i punti al momento meno sorvegliati della fortezza. A quanto pareva, il più delle guardie era all'entrata principale. «È stato facile» aveva detto. «A quanto pare, la notizia di un ragazzino in groppa ad un segugio infernale che trascina un demone per la gamba è sulla bocca di tutti.»

    La giovane si lasciò scappare un'imprecazione. «Non voglio immaginare in che condizioni è.»

Aziraphale sentì un brivido percorrerlo da parte a parte. L'urgenza lo spinse a mettersi a pensare, prima che riducessero quel povero demone ad uno straccio. Per quanto non fosse esattamente gradevole - per citare Anathema - nessuno si meritava di essere sballottato in quel modo da una parte all'altra del globo.

Rimase fermo accanto al tavolo intanto che attorno a lui calava il silenzio. O stavano pensando tutti, o stavano tutti aspettando che gli venisse un'idea. O entrambe.

La sua mente volò un po' dappertutto per poi soffermarsi su ciò che Anathema aveva detto riguardo al fatto che angeli e demoni sono fatti della stessa pasta. Si disse che non era del tutto vero: Crowley sapeva fare tante cose che lui si sognava. Era una scheggia, prima di tutto; sapeva trasformarsi, e sicuramente aveva tanti piccoli assi nella manica che per tanto tempo gli avevano permesso di fare avanti e indietro per la Terra. Lui era tutto il contrario: era fin troppo lento - gliel'avevano detto spesso, aveva una forma divina ma a nessuno era permesso mostrarla se non in casi d'emergenza; inoltre, prima di allora non era mai stato fuori dal Paradiso né fuori dalla fortezza celeste. Insomma, non aveva possibilità.

O forse, disse la parte ragionevole di lui, la giovane ha ragione. Pensaci: i demoni sono solo angeli caduti. Già, la Caduta. Quella cosa che tutte le creature oscure celebravano tranne Crowley per motivi che non aveva mai voluto dirgli.

E se fosse stato così? Forse lui poteva fare le stesse cose che faceva Crowley, doveva solo provarci.

    Alla fine fece un bel respiro e si aggrappò all'unica mezza idea che la sua testa era riuscita a formulare. «Forse so come fare» annunciò. «Ma è una mezza pazzia.»

    Shadwell si poggiò con entrambe le mani sul tavolo e lo fissò dritto negli occhi. «Al diavolo il buonsenso, allora» disse. «Spara, Luce Alata.»

    L'angelo non poté fare a meno di farsi scappare un leggero sorriso. Era bello avere tutti dalla sua parte, una volta tanto. «Avrei bisogno di chiedere un favore a Tracy, se possibile» disse. Poi spiegò cos'aveva in mente.


Era davvero una pazzia, Aziraphale se ne rese conto mentre parlava, ma tanto il vecchio aveva ragione: il buonsenso non esisteva più. Alla fine, contro ogni pronostico, tutti sembrarono essere d'accordo con lui.

    «Va bene, è rischioso e assurdo» commentò Anathema. «Ma è così assurdo che potrebbe funzionare.»

    «Chiamo Tracy, allora» annunciò Newton, iniziando a prendere nuovamente la porta. «E poi vi accompagno.»

    Lei gli fu davanti in meno di un secondo, le mani ferme sulle sue spalle. «Va bene, però poi è meglio se resti qui. Se succede qualcosa là fuori, è bene che tu lo venga a sapere per mettere tutti al sicuro.»

    L'altro sembrò quasi afflosciarsi su se stesso, l'aria intrisa di preoccupazione. «Ma... e se succede qualcosa a te, invece? Sai cosa ne penso di quel posto; inoltre adesso saranno tutti nel panico per la battaglia.»

    Anathema gli stampò un leggero bacio sulle labbra, con un sorriso: «Su, non fare così. Me ne starò in casa e aspetterò che Aziraphale e Crowley tornino, va bene?»

Aziraphale li guardò un po' mesto ma anche un po' intenerito. Era strano vedere due umani provenienti da mondi così diversi avere un rapporto così bello. A Raphael sarebbe piaciuto, si disse. Sembrava un rapporto così bello e genuino... Quasi gli mancava osservare gli umani amarsi in quel modo, intanto che faceva avanti e indietro per il muro. Poi si rese conto che quella era anche l'unica cosa che davvero gli mancava.

Fortunatamente, il giovane capì. Non se ne andò del tutto felice, ma si vedeva che si fidava della sua amata abbastanza da acconsentire a lasciarla andare.

    Nemmeno due secondi dopo, l'angelo sentì una stretta al braccio. Davanti a lui, stoico come sempre, c'era Shadwell. «Senti, checca del Paradiso. Vedi di tornare intero, anzi: vedete di tornare indietro interi entrambi senza farci perdere altro tempo. Intesi?»

    Sorvolando sul soprannome, Aziraphale annuì: «Intesi» disse solo.


Aveva lasciato trasparire più sicurezza di quella che aveva davvero. Mentre camminava insieme ad Anathema verso il cerchio quella sera, non aveva fatto altro che pensare alla piega che avevano preso gli eventi e di come il tutto si fosse rivelato più difficile di quel che aveva immaginato.

    «Allora» gli chiese lei ad un certo punto. «Ti senti pronto?»

    «Diciamo che vorrei sentirmi più pronto di così» commentò Aziraphale, guardando altrove come sempre faceva quand'era in difficoltà. «Ma non ho altra scelta.»

    «Ricorda solo quello che abbiamo detto e tieniti strette le cose che ti ho dato, va bene?»

L'angelo annuì, tastando appena la tasca destra della giacca scura e pesante che Tracy aveva sistemato per lui. Si sentiva strano con quella roba addosso, ma era la parte più importante del piano: doveva farsela andare bene.

Osservò poi le bende candide che Anathema aveva insistito a mettergli attorno alle mani: si estendevano lungo le braccia e ne aveva altre strette al petto. Erano solo una precauzione, e le aveva imbevute all'interno di acqua santa e altre cose che solo lei conosceva. Almeno adesso le ustioni non pizzicavano così tanto, il che era un bene.

Arrivarono sotto gli stessi alberi del primo giorno, raggiunsero il cerchio annerito e vi si infilarono in mezzo all'unisono, in silenzio. Silenzio che venne brutalmente rotto dal frastuono ovattato che aveva iniziato a sentirsi nella stanza sul retro della giovane.

    «Sono i soldati che corrono al Confine» spiegò quest'ultima. «Normalmente scelgono il punto centrale per scontrarsi, e la Zona è bella lontana da lì.»

Detto ciò, tornarono nel negozietto-abitazione di Anathema, dove lei andò a dare un'occhiata fuori dalla finestra, scostando solo un pochino le tende.

    «Com'è la situazione?» Chiese Aziraphale, restando a distanza fintanto che non fosse arrivato il suo momento.

    «Il tempo di far svuotare la via e puoi andare. Io mi chiudo qui e vi aspetto come da programma» disse l'altra. Poi si voltò a guardarlo con un sorriso: «So che l'ho già detto, ma Crowley ha ragione: sei fuori di testa, lo sai?»

    L'angelo fece spallucce: «A questo punto immagino sia vero.»

    «Oh, non vederla come una cosa negativa. Solo, non arrivare ai livelli di Crowley: è una brutta influenza.»

Risero un po' entrambi stavolta, poi attorno si fece silenzio. Si scambiarono uno sguardo d'intesa e dopo qualche secondo Aziraphale sgusciò fuori.

L'aria dell'Inferno era pesante e pressante come sempre, anzi: lo sembrava ancor più della volta precedente, ma doveva farsi forza e ignorarla almeno per il momento. Ogni singolo passo era importante e ogni singola mossa doveva essere calcolata.

Pregò velocemente che andasse tutto bene, poi andò dietro casa di Anathema e sparì nella nebbia.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Good Omens / Vai alla pagina dell'autore: Neamh Moonstar