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Autore: crazyfred    01/07/2022    1 recensioni
[FRANCESCO & EMMA] Non è proprio una storia continua ma una raccolta di one shot, dove alcuni capitoli potrebbero essere raccordati, altri meno, che raccontano la vita della nostra banda di matti andando avanti e indietro nel tempo, gironzolando attorno agli eventi della fanfiction "Noi Casomai". Una raccolta di piccoli quadri di vita più che di eventi in sé.
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Commissario Nappi, Emma, Francesco
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Parte 1
 
 
Mentre il sole calava dietro le montagne, lasciando la valle e il paese in lontananza nella penombra, Leonardo era in giardino a giocare con Luna; con le giornate che diventavano sempre più corte, era bello per tutti, grandi e piccini, poter approfittare di temperature ancora gradevoli e degli ultimi sprazzi d’estate prima di doversi rintanare al chiuso per il freddo e il mal tempo, godendo dei colori autunnali che iniziavano a cambiare lentamente il paesaggio intorno. Non a caso settembre e ottobre erano i mesi preferiti di Emma: certo la primavera aveva in sé la gioia, ma l’autunno sapeva essere molto più romantico. E poi, nella sua memoria, erano mesi ricchi di bei ricordi da celebrare: la riuscita del suo intervento, il suo matrimonio, la nascita di Sole. Qualcuno in casa - Leonardo- avrebbe però avuto da ridire: a settembre si tornava a scuola e di quelle belle giornate ancora calde e soleggiate lui poteva goderne troppo poco per i suoi gusti.
“Leo cosa fai lì?” gridò sua madre, affacciata da una finestra del piano di sopra. “Stiamo facendo il tiro alla fune!” “E i compiti?” “Li ho finiti!” “Sicuro?” “Sicuro sicuro” “E allora vai a mettere a posto i quaderni che hai lasciato in cucina, tra un po’ devo far mangiare Sofia” Come al solito, quando si trattava di andare a giocare, Leonardo andava completamente in black out, dimenticando tutto in disordine ovunque fosse. Emma avrebbe provveduto da sola a mettere in ordine, ma Francesco era dell’opinione che in una famiglia numerosa come la loro ognuno dovesse avere i suoi compiti e collaborare, soprattutto ora che Emma era entrata nel terzo trimestre. Sì, a casa Neri la cicogna avrebbe fatto presto di nuovo visita. L’arrivo era previsto in tempo per il Natale, un maschietto. Huber scherzava dicendo che aveva già proposto la sua candidatura al parroco del paese per il presepe vivente in parrocchia. Francesco, prendendolo sempre troppo alla lettera, non riusciva a riderci su.
“Cinque minuti ancoraaaa, ” “Niente ” si oppose Emma “e poi ormai sta facendo buio, lo sai che non mi piace che state fuori!”
Sbuffando, Leonardo ordinò alla lupa di sciogliere la presa della corda che teneva tenacemente tra i denti e mestamente si avviò verso casa. La fedele compagna di giochi seguì il bambino in casa, facendogli compagnia e consolandolo battendo con il muso contro le gambe.
“Mamma ho messo il pigiamino da sola!” Sole, un metro e cinque centimetri di guance rosse e paffute e lunghi capelli biondo caramello, entrava in camera della madre soddisfatta della sua conquista. “Bravissima amore mio!” esclamò la madre, prendendola in braccio e sorridendo per quella maglia messa al contrario. Alla terza gravidanza e con due bambine sotto i 5 anni, il peso della pancia crescente Emma aveva dovuto imparare a gestirlo senza farci troppo caso. A fine giornata, però, la fatica si faceva sentire. Mise la piccola in piedi sul lettone, di fronte a lei, e le sistemò il pigiama. “Adesso però devi fare la brava e non prendere freddo, hai appena fatto il bagnetto e sei accaldata, non vogliamo il catarrino vero?” “Nooo” “Ecco, brava la mia bimba” disse, baciandole la fronte “adesso andiamo a prendere Sofia”
Sofia, la piccolina di casa, se ne stava in cameretta a giocare – in tutta sicurezza grazie al cancelletto montato dal papà – sul cavallo a dondolo che aveva ricevuto per il secondo compleanno. A due anni era già chiaro che i cavalli sarebbero diventati per lei più di un interesse momentaneo, per la gioia di suo padre che condivideva la stessa passione. “Sofiii … è ora di cena” disse sua madre, dolcemente, entrando nella cameretta. “Sofi oppa!!!” esclamò la piccolina, dondolando più energicamente sul dondolo. “No adesso basta galoppo! Adesso bisogna fare la pappa e poi la nanna … anche il cavallino deve riposare”
Emma prese in braccio la bambina che tra le lacrime protestava con attenzione mentre metteva il cavallo a dondolo nella tenda giocattolo all’angolo della stanza. “Guarda … adesso il cavallino va nella stalla …” “Mamma quella è la mia tenda” dichiarò Sole, contrariata. “Lo so amore, ma adesso non facciamo piangere Sofia, più tardi lo togliamo. Va bene?” La bambina annuì, non particolarmente convinta da quella soluzione.
 
Mentre girava la pastina di Sofia nel piattino per raffreddarla più velocemente, Emma buttò uno sguardo all’orologio sul muro della cucina. 19.30. Francesco non era ancora rientrato. Quella mattina, prima di portare Leonardo a scuola e Sole all’asilo le aveva detto che sarebbe rientrato più tardi del solito, che doveva fare dei controlli e che non doveva preoccuparsi. Ma era proprio quando rimaneva tanto sul vago e le diceva di non preoccuparsi che lei si preoccupava: non perché fosse imprudente – da quando avevano messo su famiglia non era tipo da prendere rischi inutili – ma perché era semplicemente istintivo e naturale essere in pensiero. Non importava che fossero passati 5 giorni, 5 mesi o 5 anni, per lei era come ci fosse una parte di sé lontana e non saperla al sicuro era insopportabile. Ma doveva essere forte perché non era più una ragazzina, perché c’erano delle personcine in quella casa che si affidavano completamente a lei e soprattutto perché doveva fidarsi di lui come lui si fidava di lei, se lo erano giurato. Così provò a distrarsi imboccando Sofia e chiacchierando con Sole mentre guardava i cartoni animati. All’improvviso, il campanello d’ingresso suonò: certo Francesco poteva aver lasciato le chiavi al lavoro, ma il suo istinto le diceva che non era lui, persino il rumore dell’auto in avvicinamento le era sembrato diverso.
“Vado io” sentì la voce di Leonardo, mentre scendeva le scale. “Se non sai chi è non aprire” si raccomandò “sto arrivando” Lei, nel frattempo, prese Sofia in braccio “C’è mamma?” sentì la voce familiare di Vincenzo provenire dal corridoio e parlare con il figlio maggiore. “Commissario! Huber!” “Emma … ma che bella questa Mädchen* … si fa ogni giorno più grande e bella!” esclamò Huber, letteralmente strappandole la bimba dalle braccia senza un saluto o degnarla quasi di uno sguardo. Forse leggeva troppo in una situazione da niente, ma c’era qualcosa che le non quadrava.
“Cerchi il tuo compare? Perché ancora non è tornato dal lavoro…giornata piena” Emma guardava Vincenzo e poteva vedere pena, quasi dolore fisico nei suoi occhi e non capiva. Il suo cuore iniziò a battere più veloce, una vocina nella sua testa iniziava a dirle che c’era qualcosa che non andava e iniziava ad avere paura.
“Sì … lo so… era con me” “Come con te? Mi ha detto che aveva dei controlli nei boschi …” “Sì … non posso entrare nel dettaglio. Abbiamo fatto un’operazione congiunta con gli austriaci, una roba un po’ delicata, per questo non ha potuto dirti niente” “E perché sei qua?” la voce, rotta, sembrava dire quello che la sua mente si rifiutava di pensare e la sua bocca pronunciare. “Perché … perché c’è stata una sparatoria Emma …”
Emma era in piedi, stabile per inerzia, un braccio portato sul fianco meccanicamente e la schiena leggermente inarcata, l’altro braccio attorno alle spalle di Leo: inconsciamente sapeva già di avere bisogno di un appoggio. E infatti, dentro c’era il vuoto. Vincenzo le parlava ma non sentiva una parola, vedeva solo le sue labbra muoversi, il tempo attorno si era arrestato, provava solo una sensazione profonda di buio, se così si poteva definirla: era come se qualcuno avesse preso il suo cuore, lo avesse strappato e gettato via. Non c’era dolore: non c’era niente. Si ritrovò a riprendere coscienza di quello che accadeva intorno dopo un tempo che non sapeva quantificare con certezza e si era trovata seduta sulla cassapanca dell’ingresso, con una mano di Vincenzo attorno alle spalle e Leonardo che, intimorito, non riusciva a staccarle gli occhi di dosso.
“È … è … vivo?” si impose di chiedere, anche se il suo cervello aveva pensato ad un’altra parola. “Certo che sì, tuo marito è un guerriero. Ma lo hanno colpito in un brutto punto e stava perdendo tanto sangue.  Dobbiamo andare in ospedale” “Devo … devo prendere le sue…le sue cose. Io … i bambini…” “Ai bambini ci penso io, stai tranquilla …” la rassicurò Huber, premuroso “e le cose di Francesco per ora non servono, ora ha solo bisogno di sua moglie vicino.”
 
Lungo la strada per l’ospedale, il commissario si sentì in obbligo di spiegare ad Emma come erano andate le cose. “Mi dispiace Emma, credimi, ma avevamo bisogno di qualcuno che ci aiutasse nei boschi e non c’è nessuno che conosce queste montagne meglio di tuo marito”
Emma avrebbe voluto tanto obiettare, ribattere che però la pallottola se l’era presa Francesco e che delle sue scuse non se ne faceva niente se suo marito fosse … no, quella possibilità non voleva, non doveva contemplarla nemmeno. Vincenzo l’aveva detto, Francesco era … è un guerriero, sarebbe uscito con i suoi piedi persino dalla sala operatoria conoscendolo e avrebbe minimizzato l’accaduto con una scrollata di spalle, facendole promettere che avrebbero dimenticato tutto. Sì, sarebbe andata di sicuro così, e per questo lei doveva essere forte, perché doveva aiutarlo ad essere forte.
E poi, oggettivamente, Vincenzo aveva ragione: non c’era nessuno in grado di battere a tappeto quei boschi come lui, a volte sembrava quasi ci fosse nato, non poteva biasimare Vincenzo per averlo coinvolto. E Francesco stesso non le avrebbe permesso di farlo: era parte del suo lavoro, era stato un soldato e i forestali in posti come quello fanno anche da poliziotti se necessario, suo marito glielo ripeteva sempre. E a lei toccava solo sperare che non succedesse nulla; ora che era successo le restava solo pregare. “Lo so, tranquillo” si limitò a chiarire, senza fare polemiche inutili. In quel momento, smaniosa nel suo sedile, con la cintura che la opprimeva e il corpo che per la tensione non la smetteva di tremare, totalmente fuori dal suo controllo, voleva solo arrivare a destinazione il prima possibile.
In ospedale, fuori dalla sala operatoria, c’era Valeria ad aspettarli. Le due amiche si abbracciarono a lungo pur senza dirsi una parola. In quella stretta c’era tutto quello che sentivano e le parole non avrebbero mai espresso appieno. Tra la forestale e il suo comandante c’era un rapporto di sincera stima e amicizia che andava al di là del lavoro: si erano trovati uniti dalla sofferenza e dalla solitudine, nel ricordo di Adriana, ma soprattutto dall’affetto per le loro rispettive metà.
“Novità?” domandò Emma. Valeria scosse la testa, l’ultima volta che aveva visto Francesco era stato all’ingresso del Pronto Soccorso dove l’avevano tassativamente tenuta fuori. Le avevano detto che lo stavano portando in sala operatoria e si era spostata lì: per il resto, ne sapeva quanto tutti gli altri.  “Perdonami Emma, avrei dovuto dirtelo, fregarmene degli ordini …” “Sarebbe cambiato qualcosa? Non credo … di certo saperlo non mi avrebbe permesso di fermarlo, lo sai com’è fatto. E poi è il vostro lavoro …” commentò, andando a sedere ad una delle panche di quella saletta d’attesa.
Dopo un’oretta, sbrigato il lavoro al maneggio, anche Giulio raggiunse sua sorella. Il ragazzo, senza dire alcunché, si sedette al suo fianco e la strinse forse a sé, accarezzandole la testa. Quando erano piccoli, era spesso lei a consolarlo quando i loro genitori litigavano e lei non voleva che se ne accorgesse o che si preoccupasse più di tanto. Ora stava a lui restituire il favore. Tuttavia il tempo sembrava non passare mai, anche solo 60 secondi sembravano un’eternità e che non ci fosse personale in giro a cui chiedere informazioni era ancora peggio. Vincenzo ci aveva provato a bussare ai reparti, a chiedere informazioni, ma aveva ricevuto le solite risposte che si ricevono in quelle circostanze: che non sapevano nulla, che sarebbe stato il chirurgo a farsi vivo. Bisognava aspettare, impotenti, ed era la cosa più difficile che Emma avesse fatto nella sua vita; più del suo primo parto, persino di più del dover andare lei stessa in sala operatoria: questa volta, infatti, stava affrontando tutto da sola, Francesco stava combattendo la sua battaglia lontano da lei, non poteva stringerle la mano e dirle andrà tutto bene.
Emma si stacco dal fratello per appoggiarsi con la schiena allo schienale della panca e iniziò accarezzare la pancia: il piccoletto, lì dentro, si stava facendo sentire a suon di calcetti. Almeno lui ci provava a dirle, a modo suo, che sarebbe andato tutto bene. Fai il bravo piccolino mio, non fare scherzi mi raccomando, pensò Emma, basta papà a darci pensieri in questo momento, devi essere forte e resistere al calduccio. “Emma va tutto bene?” le domandò Valeria, preoccupata, vedendola massaggiarsi “vuoi che chiami un medico?” “Sto benissimo, stavamo solo facendo due chiacchiere” provò a scherzare, ma il tono rimaneva sempre malinconico. “Devi mangiare qualcosa … devi sostenerti, vado a prendere qualcosa al bar, un pezzo di pizza …” le disse Vincenzo, che era rimasto tutto il tempo appoggiato alla parete vicino alla porta della sala operatoria, come se quella cosa potesse influire sull’esito dell’intervento o gli desse la precedenza sulle notizie. “No, tranquilli ragazzi sto bene così … tanto non riuscirei a buttar giù niente” l’incertezza, l’ansia di non sapere cosa stava succedendo le aveva stretto lo stomaco in una morsa e non c’era verso di pensare ad altro, figurarsi mandare giù del cibo. “Tu piuttosto …” disse, rivolgendosi a Valeria “perché non vai a casa dai bambini. Saranno quasi le 9 ormai” “C’è Isabella con loro, stai tranquilla, non mi muovo da qui finché non so che è tutto a posto. È il minimo che possa fare”
Più che il minimo, pensò la forestale, non c’era altro che potesse fare. Stare vicino alla sua amica, alla moglie del suo comandante e alla madre della sua figlioccia sembrava l’unica cosa possibile. Loro c’erano stati per lei quando sua sorella stava male, lei doveva esserci per loro.
Erano passate più di 5 ore da quando Emma era arrivata in ospedale, l’orologio sulla parete segnava quasi mezzanotte e loro erano ancora lì senza notizie. Più passava il tempo, più provava a convincersi che non potesse essere una brutta cosa quell’assenza di aggiornamenti: il chirurgo stava solo facendo il suo lavoro con calma e attenzione. Anche il suo intervento era stato lungo e non era stato una passeggiata, e lei era lì per raccontarlo. Sì, deve essere per forza così.
Alla fine, quella maledetta porta si aprì, finalmente, e un’infermiera comunicò con dolcezza e un gran sorriso che l’intervento era riuscito e invitò Emma ad andare assieme a lei nel reparto di chirurgia, dove il chirurgo l’attendeva per parlare con più calma. In quella piccola saletta vuota le grida di gioia e sollievo rianimarono l’ospedale come fosse pieno giorno. Il cuore di Emma aveva cominciato a battere all’impazzata ma era un batticuore bellissimo, felice, come quello di una persona innamorata … e in fondo era così che si sentiva, come una ragazzina innamorata e follemente felice. Vincenzo e Valeria che, come due angeli custodi, erano rimasti al suo fianco sostenendola quasi fisicamente fecero per andare con lei. “Solo i familiari” disse l’infermiera “mi dispiace ma è la regola” “Ma non vede che la signora è incinta? Non vorrà mica lasciarla da sola … e poi sono il commissario” “C’è mio fratello” si limitò a far notare Emma, troppo stordita dalla bella notizia e troppo stanca per quanto accaduto per farsi trascinare in polemiche inutili “lui può venire con me?” “Lui sì”
Vincenzo sbuffò, per lui Francesco era il fratello che non aveva mai avuto e ricordarsi che non era veramente un familiare era assurdo quanto doloroso. Ne avevano passate troppe insieme, nonostante i loro inizi stentati, che chiamarsi solo amici oramai era semplicemente riduttivo. Persino Emma, dopo tutti quegli anni, gli era quasi più cara di sua sorella.
 
“Allora dottore, come sta mio marito?” domandò Emma prima ancora di sedere alle sedie di fronte alla scrivania che il medico aveva indicato a lei e Giulio. “Dal punto di vista chirurgico l’intervento è perfettamente riuscito, signora” iniziò, per poi passare a spiegarle più nel dettaglio cosa era stato fatto durante l’intervento per trattare la ferita e i danni che aveva recato il proiettile conficcandosi tra collo e spalla. “Che significa dal punto di vista chirurgico?” lo fermò di punto in bianco Giulio il quale, interdetto dalle parole del sanitario, esattamente come sua sorella, aveva dato voce al pensiero di entrambi. “Voglio essere sincero con voi. Il quadro clinico del paziente è abbastanza serio, il comandante ha perso molto sangue e i valori non sono stabili. In più nei prossimi giorni dovremo capire se ci sono state conseguenze di tipo neurologico” “Che genere di conseguenze?” “La paralisi di un arto, per esempio” dichiarò ma subito, notando l’agitazione della donna fronte a lui, si affrettò a chiarire “sono sicuro che non sarà così, ma la mia professione mi impone di non escludere nulla, signora. Già domani mattina saremo in grado di saperne di più” “Ritiene che sia fuori pericolo?” domandò. “Preferisco aspettare per sciogliere la prognosi … ma direi che ci sono ottime probabilità” solo in quel momento Emma si accorse di star trattenendo il respiro. Portò una mano davanti alla bocca e le lacrime, che fino a quel momento aveva trattenuto per pudore, uscirono senza più dover chiedere permesso. Suo fratello, delicatamente, le massaggiava la schiena. Il medico, comprensivo, si alzò dalla scrivania per andarle di fianco e sostenerla “vada a casa, signora, deve essere stanca…” “Non posso vederlo?” “È tardi, non la farebbero entrare a meno di condizioni particolarmente gra
vi e quelle di suo marito non lo sono, stia tranquilla. In più ho preferito che per ora rimanesse sedato, è sporco di sangue … non sarebbe un bello spettacolo” “È mio marito, sa come si dice: in salute e in malattia …” commentò sarcastica. Francesco le era stato vicino tutto il tempo che era stato necessario quando era toccato a lei essere in ospedale e non poteva credere che delle stupide regole e degli stupidi orari le stessero impedendo di fare altrettanto. Lui, al suo posto, avrebbe mosso mari e monti e persino usato le maniere forti per starle vicino.
“Posso chiederle se ha altri figli?” domandò l’uomo, sorridendole pacatamente, notando la pancia che cresceva. “Tre … perché?” “Torni a casa a riposare signora, li prenda con sé e stia con loro nel lettone, dica loro che il papà sta bene e presto tornerà a casa. In questo momento è più utile che stare qui seduta fuori da un reparto dove non la farebbero entrare”.
A quelle parole, il pensiero corse al maso, alle sue piccoline che l'avevano vista uscire in fretta e furia senza capire perché ed erano andate a dormire senza veder rientrare né lei né il loro papà, a Leonardo che aveva visto con i suoi occhi Emma uasi svenire e sapeva cosa era successo. Emma comprese che in una guerra, non ci sono solo i campi di battaglia e i feriti, ci sono anche le retrovie, dove la gente aspetta e soffre alla stessa maniera. Francesco era un guerriero, e stava già combattendo. A lei, invece, toccava lasciare il fronte. Francesco avrebbe capito.


Mädchen: bambina, signorina
 
 

Salve a tutt*!!! Torno su questi lidi dopo una lunghissima pausa. So che questa volta mi sono avventurata su un terreno triste e difficoltoso, ma se ci pensate e ricordate le vecchie "bolle extra" dovreste conoscere da voi la risposta su come andrà a finire questa storia ahahah. Ad ogni modo spero in una settimana/10 giorni al massimo di darvi la seconda parte.
A presto,
Fred ^_^

 
   
 
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