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Autore: Sweet Pink    03/07/2022    5 recensioni
Impero Britannico, 1730.
Saffie Lynwood e Arthur Worthington non si potrebbero dire più diversi di così: freddo quanto implacabile giovane Ammiraglio della Royal Navy lui, allegra e irriverente ragazza aristocratica lei. Dire che fra i due non scorre buon sangue è dire poco, soprattutto da quando sono stati costretti a diventare marito e moglie contro la loro stessa volontà e inclinazione!
Entrambi si giurano infatti odio reciproco, in barba non solo al fatto di essere i discendenti di due delle più ricche e antiche famiglie dell'Impero, ma pure alla vita che sono sfortunatamente costretti a condividere.
Eppure, il destino non è un giocatore tanto prevedibile quanto ci si potrebbe aspettare, poiché sono innumerevoli i segreti che li tengono incatenati l'uno all'altra; segreti, che risalgono il passato dei Worthington e dei Lynwood.
E se, con il tempo, i due nemici si scoprissero più simili di quanto avrebbero mai immaginato, quale tremendo desiderio ne potrebbe mai derivare?
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Avvertenza: Questo capitolo ha Rating Rosso, per quanto personalmente non penso vi siano scene che possano sconvolgere in maniera particolare qualcheduno, ma mai dire mai. Per cui, procedete nella lettura con cautela.

Inoltre, per farmi perdonare del ritardo di tre giorni sulla pubblicazione e per aver quindi saltato il mese di Giugno, questa parte sarà un poco più lunga delle altre.

Se vorrete, io sarò ad aspettarvi nel mio angolino.




CAPITOLO SEDICESIMO

SUPERATO IL LIMITE, NON SI PUÒ PIÙ TORNARE INDIETRO.





"Tanto vale essere il mostro che lei crede io sia, poiché i suoi occhi non mi guarderanno mai nello stesso modo in cui guardano lui, né il suo cuore potrebbe essere custodito da queste mani capaci di distruggere qualsiasi cosa.”


§


La Zuimaco era la tipica struttura coloniale su più piani; ricca di stanze pronte ad accogliere non solo le famiglie che vi abitavano, ma anche i loro ospiti: si trattava di edifici le cui camere imitavano il gusto opulento in voga nel Vecchio Mondo, ma con un'impronta di originalità che già faceva intendere uno stile del tutto nuovo, americano.

Saffie, da novella cittadina di Kingston, aveva subito trovato il modo di stupirsi delle grandi e ariose stanze della casa padronale, illuminate dalla luce accecante che penetrava direttamente da innumerevoli vetrate dalle notevoli dimensioni. Inoltre, similmente alla dimora dei Worthington nel Northampton, la Zuimaco era piena zeppa di cimeli tanto misteriosi quanto esotici; oggetti ignoti, che la Duchessina non vedeva l'ora di poter esaminare.

Durante il suo primo giorno di permanenza, la ragazza non aveva avuto la possibilità di scoprire se la sua nuova casa avesse una biblioteca in cui potersi rinchiudere, poiché era stata rapita immediatamente dal parco retrostante l'edificio: il lussureggiante cortile in cui la carrozza presa a nolo da Inrving aveva fatto la sua entrata non era nulla al confronto con il giardino di palmeti che si ergeva sopra alla testa castana di Saffie.

Forse a causa di questa magnificenza da Eden perduto, la signora Worthington si era lasciata indietro la combriccola con cui era arrivata – impegnata a sorseggiare del buon tea inglese in tutta tranquillità – per perdersi tra le ombre degli alberi e i canti dei pappagallini colorati.

O, più probabilmente, la colpa era da dare in toto all’improvvisa comparsa di colui che era stata costretta a dimenticare; l’uomo che cinque anni prima lei stessa aveva giurato di amare e così ingannato, sacrificandolo poi sull'altare della sua comoda vita da figlia dei Lynwood senza alcuna esitazione.

E che aveva forse rappresentato il suo primo passo verso il fondo dell'abisso.

"Non ho mai visto nulla del genere in Inghilterra" si sforzò quindi di dire Saffie, cercando con scarso successo di parere l'allegra Duchessina di un tempo, quasi gli anni e la distanza intercorsi fra lei e l’uomo alle sue spalle non fossero mai esistiti. "Credo di aver persino adocchiato una scimmietta saltare fra i rami di quell'albero, poco fa!"

Earl Murray non emise alcun suono in risposta ma, anzi, rimase chiuso nello stesso silenzio che aveva accompagnato il loro nuovo incontro; e Saffie non poté fare a meno di sentirsi patetica.

“Già…”ricominciò quindi a dire sommessamente, abbassando il tono di voce e la testa all’unisono; sorridendo infine con un tormento disarmante stampato sul viso in verità stravolto. “Come se le palme e gli animali esotici fossero la più grande delle sorprese di oggi.”

Un altro minuto di nulla doloroso seguì le sue parole, ma il commento leggermente ironico dell’uomo risorto dalle ceneri del suo passato le sferzò la schiena, trovandola paradossalmente impreparata e – ovviamente – indifesa di fronte al suo stesso senso di colpa.

“Non che io mi sia mai svegliato alla mattina con la convinzione di poter rivedere nuovamente la futura Duchessa di Lynwood” aveva infatti detto il luogotenente Murray, prima di aggiungere in un tono incolore che poteva significare qualsiasi cosa: “Mi credevate forse morto, Saffie?”

“Devi lasciarmi andare.”

Non lo so nemmeno io in cosa ho creduto, poiché ho voluto cancellarti dal mio cuore.

Era stato sicuramente un altro crudele scherzo del suo beffardo fato, se la sua strada aveva incrociato un’altra volta quella dell’uomo che aveva promesso di liberarla dalla gabbia dorata; si era trattato di un tremendo castigo divino perché, quel giorno, entrambi avevano deciso di incamminarsi sul bianco sentiero di ghiaia e passeggiare insieme, lasciarsi alle spalle le persone facenti parte della loro nuova realtà e fingere con una strana naturalezza di essere tornati ai tempi felici di Hyde Park.

Il fatto che il luogotenente Murray si fosse discretamente offerto di accompagnare una pallida signora Worthington nella scoperta dei suoi nuovi giardini non era apparso affatto strano agli occhi dei coniugi Inrving e di Benjamin, ma bensì questi ultimi avevano creduto fosse in fondo parte del dovere dell’ufficiale a capo del plotone di sorveglianza alla casa fare gli onori alla padrona; in fondo, si stava parlando pur sempre dell’uomo che avrebbe da lì in poi scortato l’importante moglie del Generale Implacabile in città, assicurandosi di proteggere lei e il suo seguito di servitori.

Solo Keeran – una volta scoperto il nome dell’affascinante soldato apparso nell’ampio salone della Zuimaco – aveva irrigidito le larghe spalle di botto e stretto nervosamente le labbra le une contro le altre, voltandosi per un fugace attimo in direzione della signora Saffie. La domestica ne aveva letto lo smarrimento disperato nei lineamenti ma, purtroppo, non era nella situazione più opportuna per poter intervenire e darle conforto: ciò avrebbe significato fare intendere a tutti che qualcosa non stava funzionando per il verso giusto e mettere in dubbio pubblicamente la reputazione della figlia di Alastair Lynwood.

Così aveva dovuto tacere e lasciar correre, continuando a farlo pure qualche ora dopo quando, senza troppa sorpresa, i suoi occhi nero pece avevano colto la docilità triste con cui la padroncina aveva accettato che Murray l’accompagnasse nella sua passeggiata esplorativa. L’irlandese aveva osservato impotente le sagome dei due sparire oltre le alte siepi del giardino e le sembrò come se fossero stati inghiottiti dal passato, come se Saffie stesse dimenticando ciò di cui poteva esser capace l’uomo terribile che aveva sposato.

In realtà, non sapeva quanto i sentimenti rinchiusi nel cuore della ragazza castana fossero ben diversi; Keeran non poteva saperlo, poiché nemmeno la Duchessina poteva dirsene propriamente consapevole. Lì, nascosti fra le incantevoli ombre delle palme, Earl e Saffie potevano forse dire di essersi ritrovati di nuovo malgrado le forze che avevano voluto dividerli, ma – la ragazza lo sentiva – c’era un qualcosa di differente.

Il tempo era passato per davvero, mostrandole la donna viziata e bugiarda che era sempre stata.

L’aveva infine vista anche Saffie, la sua personalissima crepa sulla superficie dello specchio.

Fu in questo modo, senza badare alle lacrime traditrici che avevano cominciato a inumidirle lo sguardo colmo di turbamento, che lei si voltò in direzione dell’alta sagoma di Earl, ancora in attesa a neanche un metro di distanza; lo affrontò con un’espressione di concreta sofferenza stampata sul suo grazioso visino ovale, tanto evidente che il luogotenente Murray ebbe difficoltà a riconoscere nella fanciulla davanti a lui l’allegro passerotto che aveva amato tanto da voler potare via.

“Sì” gli disse Saffie, quasi vomitando dolore. “Non ho avuto alcuna notizia di voi e di ciò che vi avevano fatto; così ho pensato…oh sì, l’ho creduto, che foste morto a causa mia.”

Per un attimo, i versi degli animali intorno a loro riempirono le orecchie di un Earl sconvolto da quel tormento insostenibile; ed egli fece un passo avanti timidamente, alzando con incertezza il braccio verso la piccola spalla della Duchessina, cercando di sfiorare il tessuto della sua veste, di raggiungerla per tempo.

“Signora Worthington, io…”

Pure se il loro destino non era mai stato quello di incontrarsi su uno stesso confine, di potersi amare.

Difatti Saffie sfuggì alle sue dita protese e si allontanò di poco da lui con un violento scatto all’indietro. “Non chiamarmi con quel nome” singhiozzò la Duchessina, nascondendo il viso rigato di lacrime fra le mani tremanti, detestando la sé stessa che ancora non riusciva a mantenere la promessa fatta ad Amandine; odiando la patetica donna fragile che, alla fine, giaceva dentro di lei. “Non era questo ciò che desideravo, non avrei mai voluto...ti prego perdonami, Earl. Mi-mi dispiace, mi dispiace per tutto!”

E si sfregò con forza le guance bagnate di pianto, fino a farsi male, fino a sentire la pelle bruciare più del suo annichilente senso di colpa; pure se un bel niente avrebbe potuto lenire la vergogna di trovarsi davanti allo sguardo pieno di compassione dell’uomo che aveva tradito, abbandonato. Non le importava affatto di star tenendo una condotta del tutto indegna dell’Aristocratica che avrebbe dovuto essere, di aver buttato all’aria l’ultimo briciolo di dignità rimastole in quel periodo, perché sapeva di star pagando il prezzo del tremendo peccato commesso in passato.

Ho promesso di amarti per l’eternità, mentre adesso io…

Neanche il tempo di formulare quello spaventoso pensiero, che la ragazza vide un guizzo rosso balenarle davanti, a malapena visibile fra le fessure delle sue dita sottili. Un momento di sorpresa, un battito di cuore, ed ecco che il luogotenente Murray era riuscito a raggiungerla e l’aveva attirata a sé con l’urgenza disperata di un uomo senza più alcuna speranza.

“Sei tu che devi scusarmi, Saffie” bisbigliò Earl sulla nuca della ragazza, stringendola fra le braccia e dandosi contemporaneamente dello stupido incauto: aveva commesso un grave errore nel trattenersi a casa Zuimaco quel giorno e, soprattutto, nel seguire la Duchessina in giardino; come aveva potuto pensare di trovarsi di fronte allo stesso allegro e spensierato passerotto di cinque anni prima?

Lo aveva notato fin dall’inizio, l’abisso profondo nei suoi occhi.

Saffie affondò il viso tra le pieghe della divisa scarlatta di Murray e si lasciò cadere contro di lui, incapace di credere ch’egli fosse concretamente lì ad abbracciarla e che, sopra ogni cosa, non la detestasse con tutta la sua anima; che non le serbasse rancore per essersi arresa così facilmente alla volontà di suo padre, per non aver lottato in difesa del loro impossibile amore.

“Sono stata così stupida.”

Ma Earl non la conosce, né la conoscerà mai, la falsa scelta che hai compiuto.

“Continui ad addossarti le colpe di Alastair Lynwood, vedo” commentò in maniera vaga Earl, mantenendo comunque un tono di voce morbido, rassicurante. “Di nuovo, non ho alcun diritto di toccarti, ma non ho mai sopportato vederti piangere.”

Due iridi liquide e sorprese si alzarono su di lui e la ragazza inquadrò le labbra del luogotenente aprirsi in un sorriso tanto malinconico, quanto gentile. “Il tuo viso è fatto per l’allegria e non per le lacrime, Saffie.”

“Me lo dicevi spesso, un tempo” gli rispose a bassa voce l’interessata, increspando a sua volta la bocca all’insù, lasciandosi sfuggire una sfumatura di nostalgico divertimento arrivata da chissà dove. “A quanto pare non ho ancora imparato la lezione, perché avrei voluto incontrarti e sorridere.”

"Mi stai sorridendo adesso" fece Murray, gli occhi neri inchiodati sull'espressione stravolta della Duchessina; portò una mano sulla sua guancia arrossata e asciugò un'ultima lacrima solitaria, prima di aggiungere: "Ho temuto per lungo tempo l'ira che tuo padre avrebbe potuto riversare su di te, ma ora vedo che non è riuscito a plasmarti tanto quanto desiderava. È un sollievo."

Non è vero. Posso lottare all’infinito, ma rimarrò sempre la figlia che ha ereditato la sua meschinità.

Eppure, Saffie fu grata a Earl per le sue parole dal sapore dolceamaro poiché, malgrado la vita li avesse cambiati entrambi, egli restava la persona con cui le veniva sorprendentemente naturale essere sé stessa, il ragazzo timido e generoso che accettava ogni suo isterico capriccio e con cui poteva crollare in pezzi anche a distanza di cinque anni, perché la conosceva forse meglio di chiunque altro.

Una fitta fastidiosa punzecchiò il cuore della ragazza che, abbassando lo sguardo offuscato, considerò come invece fosse stato difficile avvicinarsi ad Arthur in quei mesi e quanto dolore le avesse infine provocato farlo.

Ma qualcosa in te è cambiato, non è così?

Non solo in lei.

A conferma della sua tesi, la presa del luogotenente Murray si allentò lentamente e l'uomo fece leva sulle braccia, allontanandola da lui con una strana cautela. "L'Inghilterra ora è lontana, Saffie. Lui è lontano. E Worth...cioè, il Generale Implacabile non è un uomo che ami passare il suo tempo in compagnia delle donne, men che meno quindi si diletta nel maltrattarle."

"Pensi di poter esser felice a Kingston?"

Sì, questo è vero. Ormai non si contano più, le volte in cui mi ha salvata.

La pulsante fitta attraversò per la seconda volta il suo cuore esausto, diventando forte tanto quanto il bruciante sentimento che lei aveva deciso di rifiutare, di non vedere.

"Earl...tu già lo conoscevi quindi, l'Ammiraglio?" chiese la Duchessina di Lynwood, cercando di ignorare senza successo ciò che veramente le stava passando per la testa.

Seppe di averci preso nello medesimo istante in cui un rossore imbarazzato si impossessò del volto dell'uomo che, in modo piuttosto goffo, voltò la testa rubina in direzione degli arbusti di ibisco in fiore e li fissò con uno strano sguardo assorto. "Non credo esista persona alcuna nell'Impero che non conosca il suo nome, in realtà" le rispose Murray, enigmatico, prima di riportare le iridi sulla ragazza e dire, cambiando completamente tono di voce: "Ma è stata comunque una sorpresa per tutti, visto che si dava per certo egli sposasse la futura Lady Chamberlain".

Credevi di essere stata l'unica donna che la sua insaziabile fame ha consumato?

L'ennesimo spasmo doloroso, e al suo turbamento si aggiunse la gelosia, nuovo detestato veleno.

Saffie scosse la chioma castana, in un vago cenno di diniego. "Mio padre e il signor Simeon Worthington hanno stretto un accordo matrimoniale diversi anni fa; ovviamente, non potevamo sottrarcene" fece, risparmiando a Earl le tristi circostanze da cui quel contratto aveva preso vita.

Con il senno di poi, anche Arthur non ha potuto compiere una vera e propria scelta.

"Cielo, sicuramente devi avergli dato parecchio filo da torcere" si fece sentire il commento divertito del luogotenente Murray, che si lasciò andare in un lungo sospiro; il suo viso da ragazzino impacciato fu attraversato da un'allegria fugace e Saffie lo capì con chiarezza, cosa esattamente era mutato.

Earl la guardava con gli occhi di un uomo che l'aveva ormai dimenticata.

Un fulmine a cielo sereno si abbatté su di lei, attraversandola da parte a parte e deflagrando dentro alla sua mente, vincendo qualsiasi resistenza. Infine, quel pensiero – quella consapevolezza – esplose nella sua anima trafitta e la ragazza non poté continuare a voltarsi ciecamente dall'altra parte.

Non è più Murray, l'uomo di cui sei innamorata per davvero.

"No" si disse Saffie, cercando disperatamente di porre un freno ai sentimenti che traboccavano in lei. "Non pensarci. Non è vero...non sarà mai vero."

Oh, ma lo sai già da parecchio tempo di aver lasciato il cuore fra le mani di colui che ha chiuso a chiave la tua bella gabbia fatta d'oro.

È infine questo, il vero confine che eri terrorizzata di poter superare.

Da qualche parte, il benedetto canto di un misterioso volatile la riscosse dal suo abisso e la ragazza si ricordò di essere una ricca aristocratica sposata, di doversi comportare come tale; di smettere i piagnistei di cui sua madre si sarebbe vergognata oltre misura. Doveva sorridere, perché sia Amandine che Earl erano sempre stati felici, quando lo faceva.

"No-non mi hai detto ancora nulla di questa divisa, piuttosto" cominciò allora Saffie, incerta, sforzandosi di far apparire un'espressione di tranquilla pacatezza; cosa comunque non facile, vista la crisi isterica sfiorata poco prima.

"Oh, è una storia piuttosto, come dire, complicata."

Entrambi si allontanarono definitivamente l'uno dall'altra e fecero un passo indietro che seppe di addio.

"Ora sono ancora più curiosa di sentirla! Earl, lo sai bene che adoro le complicazioni!"

I due si avviarono nuovamente lungo il sentiero di ghiaia, camminando in direzione della Zuimaco dove – beatamente inconsapevoli – gli ospiti continuavano a chiacchierare in salotto, ben visibili dietro alle vetrate luminose. Solo Keeran vide tornare il luogotenente e la signora Worthington; e lo sguardo della domestica tradì una certa perplessità, poiché entrambi non le parvero le stesse persone che aveva veduto andare via un'ora prima.

"Direi che ci sarà il tempo per i racconti, signora" disse la sua Murray, tornato ora a un registro più formale, visto che si stavano avvicinando alla casa. "D'altronde io e i miei uomini siamo preposti alla sicurezza vostra e del vostro seguito."

Un paio di occhi castani saettarono su Earl Murray, per poi tornare sulle murature bianche della Zuimaco. "È stato mio marito ad affidarvi questo compito?" chiese incolore, quasi si stesse parlando del clima tropicale e non di un passato rovinato dalla crudeltà di due famiglie potenti.

“Questo significa essere me. Tu non puoi comprendere.”

Perché più il tempo passa, meno mi sembra di conoscere di te?

Saffie si portò le mani sul petto e strinse il tessuto della sua ricca veste di seta, aggrappandosi alle arricciature di pizzo della scollatura come se ne andasse della sua stessa vita. Non si accorse che la fronte pallida del luogotenente si era imperlata di un bizzarro sudore freddo, né che quest’ultimo aveva serrato nervosamente le labbra ma, d’altro canto, nemmeno l’uomo pareva aver fatto troppo caso al turbamento della Duchessina.

“Beh, ecco – a essere sinceri – non oserei dire che sia andata propriamente in questa maniera” asserì Earl, sfoderando un sorrisetto piuttosto gelido.

Il chiacchiericcio sereno proveniente dalla dimora padronale era ormai perfettamente udibile e distinto: il tempo del confronto con l’enorme demone generato dalle scelte di Alastair Lynwood era giunto a conclusione, ma Saffie non seppe dire se ne era uscita più sollevata o distrutta.

Dedicò un’ultima occhiata perplessa all’uomo al suo fianco e gli lesse nel volto un’indecisione timorosa che non poteva lasciare dubbio alcuno: pure Earl, infine, sembrava avere una sua verità taciuta; una realtà che non voleva comunicarle e di cui pareva essere seriamente impaurito.

Lo so. Conosco molto bene l’espressione dolorosa di chi è costretto a nascondere qualcosa.

L’immagine di una schiena muscolosa e piena di oscene cicatrici si formò nella sua mente a tradimento, lacerando qualsiasi pensiero. Saffie si detestò a morte, perché era diventato sempre e solo lui, il cardine attorno al quale continuava a volare morbosamente, la gabbia contro cui sbatteva testardamente le ali sporche di sangue.

Il nero abisso che desiderava conquistare. Comprendere.


§


L’idea di lei era un soffocante pensiero che riempiva tutta la stanza. Ossessivo. Doloroso.

“Non intendo consultarvi su niente del genere” ghiacciò i presenti la voce mortalmente seria di un Arthur Worthington seduto capotavola, dietro un fascio di carte usurate dal tempo, stropicciate. “La situazione di Kingston richiede la mia supervisione ed è una priorità, visto che è sotto il mio diretto comando. La decisione è ormai presa, Ammiraglio Aubrey.”

L’interessato si irrigidì leggermente sul posto e i suoi occhi azzurri tradirono per un fugace secondo un disappunto che però egli fu bravo a nascondere prontamente, trincerandosi dietro una facciata da gentiluomo impassibile. “Non vi ho mai chiesto di prendere una decisione su due piedi, né di abbandonare questa ricca cittadina e salpare domani stesso” chiarì poi l’uomo, incrociando le mani dietro la schiena e dedicando al Generale Implacabile uno sguardo distaccato, distante. “Sto solo dicendovi di considerare l’idea di unirvi a questa missione o, perlomeno, di prestarmi l’aiuto delle vostre navi.”

"Ho detto che la mia decisione è presa, Aubrey."

Un silenzio vibrante di tensione calò sulle teste dei pochi gentiluomini riuniti nella grande stanza: difatti, l'importante Ammiraglio al centro della discussione e Lord Chamberlain non ribatterono subito alle parole d'acciaio di Arthur, ma si limitarono a starsene in piedi ai lati del lungo tavolo in mogano, immobili come due stoccafissi.

D'altronde, non era per nulla semplice affrontare la determinazione pericolosa dell'uomo che si era guadagnato il soprannome di Generale Implacabile in così giovane età.

Davanti ai loro sguardi interdetti, Worthington sedeva con apparente tranquillità, una gamba mollemente appoggiata al ginocchio e le spalle larghe adese allo schienale della sedia; i suoi occhi verdi, però, rilucevano tanto glaciali quanto fermi, incastonati fra ribelli onde di capelli castano scuro. Fra le altre cose, considerò Stephen Aubrey, il figlio del suo vecchio amico Simeon aveva detto quelle due misere frasi senza nemmeno degnarsi di alzare la testa dal pugno chiuso che la sosteneva, quasi si stesse discutendo di frivole questioni e non di una possibile nuova guerra in arrivo.

"Non ha mai avuto un briciolo di rispetto" fu il conseguente pensiero velenoso dell'Ammiraglio più anziano, le cui mani grasse cominciarono a tremare dal nervoso. "Qualcuno dovrebbe ricordargli da quale schifoso buco dimenticato da Dio io e suo padre l'abbiamo tirato fuori."

E, per giusta misura, era stato il solo Simeon a trarne il vantaggio più grande.

"Voi cosa avete da dire in merito, Lord Richard?" chiese quindi Stephen, tirando in causa l'ometto che cercava di starsene pateticamente nascosto fra gli alti schienali delle sedie. "Fate parte del consiglio coloniale, se non erro. La vostra parola ha un peso presso il Governatore."

Ovviamente, il maledetto Worthington non batté ciglio.

"Io?" pigolò Chamberlain, stringendo le piccole mani rugose attorno al bracciolo di una sedia. "Beh, ecco...io sono solo un povero nobile che poco o nulla sa della Marina Britannica, signori! Chiedere la mia opinione! Cielo! Magari potremmo rimandare la discussione a dopo la cerimonia di insediamento del..."

"È del tutto irrilevante" tagliò corto Arthur, le iridi inchiodate sul volto rubicondo dell'Ufficiale suo pari grado. "La Corona mi ha dato piena libertà decisionale sulle navi della mia flotta e – ve lo ripeto – Kingston è ora sotto la mia tutela. Non sposterò alcun vascello né da qui, né da Port Royal, solo perché avete creduto a delle voci di strada."

"Dannato marmocchio" pensò di getto Stephen, prima di perdere il controllo e abbattere due mani enormi sulla superficie del tavolo, provocando un suono roboante.

Era dunque questo il ringraziamento per averlo strappato via dalle mani di un mostro?

“Badate bene, Worthington!” latrò infine, con le vene del collo gonfie e ben visibili attraverso la pelle sudaticcia. “La pace con la Spagna è precaria e se ci sarà un attacco francese alle forze stanziate nella mia città, sarete voi a esserne chiamato responsabile!”

“È una minaccia, questa?”

Il tono di voce usato dal Generale Implacabile era mutato subito, nel giro di un battito di ciglia, e Stephen non si rese nemmeno conto della subitanea paura che gli si insinuò nel cuore a tradimento. L’uomo poté solo fare un pesante passo indietro, un istintivo gesto di autodifesa, nel vedere la figura imponente di Arthur alzarsi in piedi lentamente e dominare su tutti loro, quasi egli fosse un predatore apparso all’improvviso nell’erba alta; uno spasmo bizzarro agguantò il suo stomaco, poiché – del tutto assurdamente – Stephen ricordò il bambino coperto di sangue che già si era macchiato di omicidio.

“I miei informatori in Giamaica rivelano movimenti sospetti, ma niente che possa giustificare lo spiegamento massiccio di forze militari. Non vogliamo provocare la Francia e dare loro una buona motivazione, non è così?” continuò come se nulla fosse Arthur, sfoderando un’espressione di chiaro scetticismo che fece venir voglia al Generale più anziano di passarlo a fil di spada all’istante. “Verrò in vostro aiuto se le circostanze lo richiederanno, Aubrey; ma fino ad allora non indebolirò il mio insediamento per inseguire l’aria.”

Per la seconda volta nel giro di pochi minuti, il silenzio adombrò la stanza e Chamberlain spostò gli occhi intimoriti tra i due contendenti, pregando il colloquio potesse trovare presto conclusione: il Lord non trovava difatti alcun interesse nel discutere di conflitti armati e possibili morti di innocenti; certo, erano ovviamente accadimenti terribili, ma lui era un uomo cresciuto fra i fasti della Corte Reale inglese ed era più a suo agio nel discutere dell’organizzazione di un ballo, che di una battaglia. Insomma, aveva chiesto di essere ricevuto dall’Ammiraglio Worthington per parlargli della ricca cerimonia in onore del suo nuovo ruolo, ed ecco che Aubrey gli rompeva le uova nel paniere!

I due Generali erano ignari dello sciocco turbamento di Lord Richard ma, pure se non lo fossero stati, non gli avrebbero dedicato nemmeno mezzo pensiero. Arthur, dal canto suo, sapeva di aver il coltello dalla parte del manico e attendeva che l’altro si arrendesse perché, c’era da starne certi, l’avrebbe fatto eccome.

Sei solo un sassolino sul bordo della strada. Non mi dirai cosa fare.

Anche Stephen sembrava aver compreso i ragionamenti taciuti di Worthington e, forte di questo, le sue labbra carnose si aprirono in un sorrisetto cortese, di una falsità visibile a un chilometro di distanza. “Ne hai fatta di strada, ragazzo” commentò, all’apparenza soave, ma godendosi immensamente la sorpresa che si fece strada sul volto virile dell’uomo davanti a lui. “Simeon ha compiuto un lavoro eccellente, c’è da ammetterlo. Chi l’avrebbe mai detto che saresti diventato uno degli uomini più ricchi e temuti dell’Impero, quando è il fango, la realtà da cui ti abbiamo risollevato?”

Continuiamo, dunque! Sto per farti tanto di quel male che vorrai solo crepare, marmocchio.”

“Ora sono io che vi consiglio di porre attenzione alle vostre prossime parole” lo avvisò Arthur in un tono a dir poco osceno, da diavolo incollerito. La sua espressione mutò in un ghigno crudele e freddo, gli occhi smeraldini splendevano di un rancore cristallino, tagliente; ed egli si fece vicino ad Aubrey scostando al contempo un lembo del suo cappotto blu scuro, da dove quest’ultimo intravide il luccichio inquietante di una spada argentata. “Perché state attraversando un confine dal quale non c’è ritorno.”

Che tutti siano maledetti da questo mio odio profondo, incorruttibile.

“Porti un peso troppo grande. Non puoi continuare ad addossartelo, o ti ucciderà.”

La voce preoccupata della ragazzina fu solamente un eco nella sua testa ma, ugualmente, ebbe l’effetto di sconvolgerlo in meno di un baleno: un bruciante e odioso sentimento si propagò dentro al suo animo oscuro, torcendogli il cuore. Si trattava – figurarsi – di una sensazione a lui del tutto nuova, ignota.

E dire che erano passate quasi due settimane dal loro arrivo in città.

Perché diavolo non riesco a smettere di pensare a lei?

Non era di certo la prima volta che voltava le spalle a una donna e spariva senza fornire troppe spiegazioni, visto che non aveva mai concesso né seconde notti, né permesso che qualcuna delle sue amanti occasionali diventasse più di un semplice sfogo; non che queste ultime non fossero consapevoli del suo inesistente coinvolgimento sentimentale ma, ovviamente, era toccato a Saffie Lynwood l’onore di stravolgere le cose.

L’odiata moglie con cui aveva ingaggiato battaglia nei mesi precedenti era diventata l’unica donna temuta da Arthur, proprio perché egli sentiva, in cuor suo, di desiderarla per ragioni che andavano al di là del mero e gretto possesso. Ragioni che, a quanto sembrava, gli rendevano impossibile persino lasciarla indietro, dimenticarla.

Anzi, più le sei lontano, più questa sofferenza ignota ti divora, Arthur.

“Ohi, ohi! Parola mia, non intendo di certo provocare un duello!” interruppe il suo flusso di pensieri la voce ora beffarda del vecchio Ammiraglio Aubrey, che alzò le grosse braccia davanti a sé, quasi volesse difendersi da un attacco. “Persino io so di essere impotente, contro la spada che ha decimato i ranghi del disgustoso He...”

Una voragine si aprì nel pavimento e Worthington pensò di venire inghiottito dall’abisso.

“Oh, ti arrenderai e imparerai a temere il mio nome, piccolo Arty.”

Il Generale Implacabile stava per fare un passo in avanti e afferrare per il collo taurino lo scellerato essere che evidentemente si era stancato di vivere una vita da ricco Ufficiale ma, per la fortuna degli astanti, fu l’ingresso di un Henry Inrving sorridente a mandare all’aria sia i sanguinosi piani di Arthur che la tensione nella stanza. “Davvero, oggi è stata senz’altro una giornata impegnativa giù al porto!” commentò l’uomo in tono bonario, varcando la soglia della camera dopo aver bussato mezza volta. “Mi avete mandato a chiamare, Ammiraglio Wor…”

Il Capitano dell’Atlantic Stinger si bloccò alla vista della scena, soffermandosi appena sulla minuscola figura di Lord Chamberlain, trincerato dietro il tavolo, ma bensì concentrando lo sguardo sui due gentiluomini più vicini alla porta, intenti a guardarsi con il rancore fermo di due cani pronti ad azzannarsi a vicenda; le iridi smeraldine di Arthur, poi, erano di una rabbia impossibile sostenere.

“Ah, caro Henry!” latrò Stephen, spezzando il silenzio e allontanandosi prudentemente dalla sagoma minacciosa di un Ammiraglio Worthington pronto a uccidere. “Mi stavo giusto chiedendo se sarei riuscito a salutarvi prima della mia partenza, pure se – ahimè – direi che dovrete portare alla vostra esotica donna i miei omaggi.”

Un’espressione anomala, costituita di gelida cortesia, si dipinse sul viso del nuovo venuto. “Forse volevate dire La signora Inrving, ammiraglio” fece Henry monocorde, per poi trovarsi a pensare: “Aubrey. Ora mi spiego perché il nervosismo in questa sala si taglia con un coltello.”

E perché Worthington abbia a malapena il controllo su di sé.

“Giusto, giusto: avete fatto di una discendente dei Taino vostra moglie. Il suo popolo è quasi del tutto estinto, non è così?” ironizzò crudelmente l’Alto Ufficiale, forte della sua superiorità di rango. Si portò sull’uscio della stanza in pochi pesanti passi e poggiò la mano sulla spalla del Capitano, quasi i due fossero amici di vecchia data. “Il futuro! Un tempo i nostri avi hanno collaborato a massacrare quei selvaggi e ora ci mischiamo con loro, persino.”

Mostro.

Inrving non riuscì a concretizzare altra realizzazione, perché fu Arthur a parlare, salvandolo così a sua volta. “Aubrey, non rivolgetevi al Capitano Inrving, ma all’uomo che lo comanda” si levò il tono di pietra dell’Ammiraglio, che aspettò di vedere Stephen voltare la testa imparruccata nella sua direzione per aggiungere: “Volevate vedermi e avete ottenuto ciò per cui siete venuto: sarò io stesso a soccorrere le vostre navi se le circostanze lo richiederanno, ma non osate offendere me o l’onore dei miei sottoposti un’altra volta, perché il giorno che lo farete sarà quello in cui vi spedirò all’inferno.”

Un fremito di terrore nascosto attraversò i lineamenti dell’interessato. “Sboccato come sempre, ragazzo” commentò infine, sardonico. I suoi occhi azzurri guardarono per un’ultima volta il demonio che lui e Simeon avevano liberato dalle sue pesanti catene perché, se fosse stato possibile, Aubrey avrebbe scelto di tornare indietro e lasciar morire di fame il ragazzino ossuto che Il Grande Diavolo aveva reclamato come suo.

Sei stato maledetto da Dio, Arthur Worthington.

“Ricordate: se le circostanze lo richiederanno” fu il saluto enigmatico con cui l’ammiraglio Stephen si congedò dai tre signori presenti, sparendo nei corridoi della fortezza e lasciando dietro sé il tanfo di una colonia tanto forte quanto nauseabonda.

“Serpente” fece l’agitata vocina di Lord Richard, una volta che Aubrey fu fuori portata di voce. “Dico io, voler pronunciare il vero nome di quell’uomo davanti all’Ammiraglio! È stato terribilmente spiacevole e inopportuno!”

Come se nulla fosse accaduto, Arthur si voltò con il solito movimento agile e tornò a sedere a capotavola, lasciandosi cadere stancamente sull’imbottitura della sedia e portando le lunghe dita davanti agli occhi chiari, i polpastrelli tesi a sfiorare la fronte ampia. Ancora, il suo sguardo freddo sembrava perdersi dentro a un’oscurità lontana, ma sempre presente.

“...che sai solo fare del male? D’altronde, sei nato per portare disgrazia e morte a chi si avvicina a te.”

Mi sono illuso che Saffie potesse comprendere, ma ora anche lei mi vede come un mostro.

“Stephen Aubrey cerca di screditarvi, Ammiraglio. Ha sempre cercato di farlo” gli disse Henry, avvicinandosi al tavolo e intenerendosi di fronte alle fragilità nascoste del tremendo Worthington. “Oggi ha superato il limite, ma non dovete lasciare alla sue parole alcun potere.”

“La sua sola presenza nella Marina getta discredito sulla nostra professione. Inoltre, ha insultato Teresa.”

“Oh, se è per questo, io e la mia signora abbiamo dovuto affrontare ben di peggio in questi lunghi anni di matrimonio. La mia ricchezza tiene al sicuro Teresa, ma saranno sempre in tanti a non approvarci” glissò l’argomento il capitano Inrving, seppur lanciando uno sguardo significativo verso un certo Lord che – guarda caso – dimenticava puntualmente di invitarli ai suoi fastosi ricevimenti. “Per quale motivo mi avete mandato a chiamare, Ammiraglio?”

Un secondo di muto silenzio aleggiò nella stanza e a Henry parve quasi che Arthur esitasse a parlare. Alla fine, l’uomo schiuse le belle labbra sottili e chiese, in un tono impossibile da decifrare:

“Mia moglie ha tutto ciò che le serve alla Zuimaco? Le occorre qualcosa?”

Non si era degnato di alzare la testa scura, ma Inrving colse al volo la preoccupazione che le domande dell’uomo celavano: era cosa nota a tutti la lontananza che intercorreva fra quest’ultimo e la Duchessina Saffie di Lynwood; non si trattava chiaramente dei chilometri che distanziavano la casa padronale da Rockfort, ma di un freddo e rancoroso distacco.

Quasi quindici giorni erano passati da quando Worthington aveva preso possesso di Kingston, eppure l’uomo non si era recato nemmeno una volta in visita alla casa padronale dove risiedeva Saffie che, da parte sua, non aveva fatto alcuno sforzo per mettersi in contatto con il forte e, di conseguenza, con suo marito. La città più ricca dei Caraibi Inglesi era grande, ma le voci correvano in fretta; tutti, ormai, erano a conoscenza del netto rifiuto che i coniugi provavano l’uno per l’altra.

Uno strano sorrisetto stiracchiò le labbra di Inrving. “Parete preoccupato, Ammiraglio” fece Henry, per poi incassare un’occhiataccia smeraldina e aggiungere, di gran fretta: “La Duchessina non potrebbe essere meglio sistemata: passa gran parte del suo tempo nei giardini della Zuimaco e si è recata spesso in città insieme a Teresa, accompagnata ovviamente dalla scorta che le avete messo a disposizione. Devo dire che è stato un gran sollievo per me, saperla sotto la protezione del luogotenente Murray!”

Uno scatto nervoso mosse la testa scura di Arthur, che si voltò subito verso il Capitano dell’Atlantic Stinger, tradendo uno stupore che non gli era famigliare. “Come avete detto?”

“Beh, che il luogotenente e i suoi uomini scortano sovente la signora Worthington durante i suoi spostamenti, visto che è pur sempre vostra mo…”

“No” lo interruppe bruscamente l’altro, in un tono che stava cominciando ad assumere sfumature pericolose. “Parlo di Murray. Earl Murray?”

Gli occhi grigi di Henry si spalancarono leggermente ed egli si chiese il perché di quel cambiamento d’umore improvviso, quasi Aubrey fosse rientrato nella stanza e loro non se ne fossero accorti. “S-sì, Ammiraglio” gli rispose, cauto. “È un giovane veramente attento e a modo, ve lo posso assicurare. Un ottimo ragazzo. Mi ha accompagnato lui fin qui dal porto, oggi.”

“Non hai intenzione di negare, Ammiraglio, di avermi portata via dall’unico uomo che io abbia mai amato?”

Come se non avesse ogni ragione per detestarti. Ipocrita. Mostro.

Quel sentimento nuovo opprimeva il suo cuore, intossicandolo e facendogli provare una rabbia che non sapeva se rivolgere a Saffie o a sé stesso; perché l’uomo non intendeva riconoscerne il vero nome. Il solo pensarci, lo riempiva di un terrore cieco, su cui non aveva alcun controllo.

Ma la mancanza di lei brucia da morire.

Arthur non fu cosciente di essersi alzato in piedi in automatico, di aver preso congedo da Richard e Henry con una voce da vero assassino. “Incantevole. Desidero parlare con questo zelante soldato di persona” gli sembrò di aver detto, mentre guadagnava la porta a passo svelto e ignorava al contempo lo sguardo pensieroso del Capitano, che non era comunque uno sprovveduto.

“Forse farete in tempo a trovarlo vicino alle stalle” disse quest’ultimo, alzando un sopracciglio grigio.

Arthur non gli rispose nemmeno e, anzi, sparì nel corridoio sbattendo la porta dietro di sé, piantando i due gentiluomini in asso senza troppi complimenti.

Dopo un secondo di mutismo sbigottito, fu Lord Chamberlain a parlare: “Ma…dovevamo organizzare la festa di insediamento” commentò debolmente, abbassando gli occhietti tristi verso terra.


§


Earl Murray uscì tranquillamente dalla stalla dove aveva lasciato il suo fedele Grigio e fece appena in tempo a pensare di essersi meritato un buon boccale di birra schiumante, che non comprese nemmeno cosa gli piombò addosso.

I suoi occhi neri avevano colto solo un fulmine blu, mentre una forza spaventosa l’aveva spinto all’indietro e fatto barcollare fino a una trave di legno grezzo, antistante il recinto di un cavallo che aveva nitrito sonoramente, infastidito. Il luogotenente aveva allora cercato di allungare una mano diafana e afferrare l’elsa della spada ma, ovviamente, fu la voce glaciale e beffarda che udì a farlo desistere immediatamente dal suo intento.

“Guarda, guarda chi ho incontrato” scherzò Arthur Worthington, pure se il suo tono omicida non promise affatto bene. “Non eravate di stanza a Port Royal, Murray?”

L’interpellato alzò la testa rossiccia e un cipiglio piuttosto infastidito si palesò sul suo viso da ragazzino; una volta passato l’attimo di timorosa soggezione che gli aveva provocato il trovarsi davanti un a dir poco inferocito Generale Implacabile, il luogotenente poté dirsi più che altro seccato dall’agguato dell’uomo in questione. “Lo ero fino a pochi mesi fa, ma sono stato riassegnato qui prima che tornaste” gli rispose, cercando di non mettersi sulla difensiva. “Sono passati cinque anni, ammiraglio…e ancora non vi fidate di me?”

Uno strano bagliore pericoloso attraversò le iridi chiare di Arthur, prima che quest’ultimo si allontanasse di un passo da Earl e lo asciasse così respirare liberamente, senza incombere su di lui come una bestia affamata. “Certo, fiducia. Avete una bella maniera di provarmi di esserne degno.”

“Solo perché sono un plebeo, non signi…”

“È perché non mi avete avvertito di essere a Kingston, dannato ragazzo!” esplose Worthington, spazzando l’aria con un unico gesto nervoso del braccio. “Oh, ma immagino siate stato troppo impegnato a riunirvi felicemente con delle vecchie conoscenze, non è vero?!”

Non lo desidero questo sentimento opprimente. Non lo desidero e, al contempo, non riesco a liberarmene.

Con enorme rabbia, Arthur notò la sagoma alta di Earl irrigidirsi sul posto, il suo sguardo oscuro abbattersi sul pavimento pieno di paglia. “Dovevo immaginarlo” asserì il luogotenente, dopo una prima incertezza. “È chi, se non la Duchessina di Lynwood, può essere la causa di questa vostra furiosa preoccupazione? Temete io le abbia rivelato il motivo per cui sono ancora in vita?”

È questo ciò che più temo?

“Il cuore di Saffie è mio, mio soltanto.”

No, la verità è ben altra.

“Lo dirò solo una volta” fece quindi l’ammiraglio, con una voce di pietra, che non metteva repliche. Si avvicinò di nuovo a Murray e si puntellò sul recinto di legno con una mano, il volto virile stravolto da un sentimento spaventoso. “State alla larga da mia moglie.”

Dal canto suo, Earl ebbe di che stupirsi: non era un mistero il disinteresse pressoché totale del Generale per le donne, così come chiunque era a conoscenza dello sterile rapporto coniugale che lo univa alla Duchessina; la stessa Saffie non si sbottonava mai sull’argomento, evitandolo come la peste. Eppure, al luogotenente vennero in mente gli occhi combattuti e tristi con cui la ragazza gli aveva chiesto se fosse stato Worthington ad assegnargli il compito di sorvegliarla.

In un attimo, lo vide anche Earl Murray, il legame crudele che gli aveva portato via Saffie per sempre.

“Non mi avvicinerei mai alla signora Worthington nel modo che credete voi, penso lo sappiate bene” disse il luogotenente, scuotendo la chioma rosso sangue. “Inoltre, potrebbe andare a vostro vantaggio, se lei venisse a scoprire gli accadimenti di cinque anni fa.”

Arthur scrollò le ampie spalle, quasi quell’argomento non gli suscitasse altro che indifferenza. “Come se questo potesse cambiare le cose, ormai” pensò l’uomo, tentando di ignorare la fitta dolorosa che gli trapassò il cuore a tradimento.

Non posso fare a meno di questo bruciante sentimento, anche se Saffie mi odierà per sempre.

“Avete fatto un giuramento” tornò a rivolgersi a Murray, distruggendo ogni sua altra patetica opposizione attraverso un unico sguardo minaccioso. “Ergo, non le rivelerete un bel niente.”

“Come ordinate, Sua Eccellenza. Solo – permettetemi di dirvelo – siete sempre stato molto perspicace nei confronti degli altri, ma cieco quando si tratta di voi stesso” osò commentare Earl, grattandosi distrattamente la testa e arrossendo al contempo di imbarazzo, rivelandosi per l’uomo tanto impacciato quanto onesto che aveva fatto innamorare la Duchessina di Lynwood.

Arthur, tu non potrai mai essere come lui.

Una smorfia infastidita deturpò i bei lineamenti del Generale Implacabile: avrebbe preferito morire, piuttosto che ammettere ad alta voce di essere invidioso dell’uomo davanti a lui.

“E voi state ciecamente dimenticando il vostro posto, luogotenente” sbottò. “Vedete di non giocare con la mia pazienza, perché oggi non sono affatto in vena.”


§


In barba alle preoccupazioni ansiose di Lord Chamberlain, la cerimonia prevista per celebrare l'insediamento del famoso Ammiraglio Worthington ebbe infine luogo una settimana più tardi, durante una di quelle calde e serene mattinate che facevano venire voglia di rimanere a zonzo tutto il giorno.

Il cielo sopra Kingston era infatti terso, privo di qualsiasi cupa nuvola che avrebbe potuto annunciare una tempesta in arrivo e così rovinare la festa agli eccitati partecipanti. In primis Lord Richard che – ovviamente – si palesò indossando un timido justaucorps ricamato d'oro, ricco di pizzi e merlettature; il fatto che il colore della veste fosse un brillante verde acido, poi, lo fece sembrare una ranocchia velenosa, solo troppo cresciuta.

Accanto a lui, si mostrò l’altezzosa Catherine, bellissima ed elegante nel suo vestito rosa cammeo, pure se la gonna era talmente voluminosa da averle dato non poche difficoltà nell'attraversare il volto in pietra che dava accesso al cortile interno di Rockfort.

Il fortino seicentesco era stato difatti preparato di modo che potesse accogliere non solo gli Ufficiali e i soldati riunitisi per l’occasione, ma anche gli ospiti più in vista della florida cittadina commerciale: lasciando da parte i sobri addobbi, era stata chiamata a suonare l'orchestra del teatro inaugurato a Kingston l’anno precedente mentre, vero piatto forte della cerimonia, non sarebbe venuto a mancare un prelibato banchetto all’aperto.

Così, a un quarto d’ora dall’entrata in scena di Worthington, ogni partecipante aveva fatto la sua comparsa, i gentiluomini della Marina Britannica svettavano in prima fila come era richiesto che fosse e gli stessi servitori assunti per l’occasione parevano prontissimi a servir da bere. Uno stupendo quadro della grandezza raggiunta dal Generale Implacabile, se non fosse stato per l’evidente ritardo di una certa persona.

Non mancavano che quindici minuti allo squillo di trombe e Arthur già schiumava di vera e propria rabbia, messa a malapena a tacere. Osservando il suo bel volto irreprensibile e severo, nessuno avrebbe potuto dire con certezza che l’ammiraglio, in realtà, stava covando nelle viscere quintali di rancore inesploso; nemmeno lui stesso, in effetti, avrebbe immaginato che Saffie fosse intenzionata a muovergli guerra per davvero.

La versione ufficiale che venne fornita più tardi agli astanti fu uno sfortunato colpo di calore della signora Worthington, ma l’ufficiosa – che si diffuse in una notte tra i vicoli della città – disse ben altro: in verità, dalla Zuimaco era giunta una carrozza vuota, al cui interno era stato lasciato un biglietto indirizzato all’attenzione di Worthington. In due misere righe, la Duchessina di Lynwood aveva espresso la ferma volontà di non prendere parte al ricevimento e, di conseguenza, rifiutava cortesemente l’invito del marito.

Per fortuna, toccò al solo James Chapman assistere alla scena che effettivamente accadde, poiché la reazione di Arthur non fu di certo quella che ci si sarebbe aspettata da un gentiluomo del suo calibro; men che meno dall’affascinante Ammiraglio che tanti aveva ammaliato con il suo contegno elegante.

“Le ho fatto recapitare una missiva tre giorni fa, ordinandole di essere presente alla cerimonia in qualità di moglie e di futura Duchessa” ringhiò Worthington, passeggiando avanti e indietro a braccia incrociate dietro la schiena, incapace di tenere a freno il suo stesso corpo in preda all’ira. “Perché non si è ancora fatta vedere?”

Oh, odiava sentirsi in quel modo. Preda di un sentimento così ossessivo e opprimente.

“Potrebbe essere incorsa in un contrattempo, signore. Un ritardo, magari?” fu la frase di un poco convinto James, impegnato a inseguire la figura possente di Arthur con due ansiose iridi metalliche. “Ricordo che mia madre impiegava delle ore alla toeletta, quando doveva prepararsi per un ricevimento.”

Ovviamente, il Generale Implacabile non aveva neanche voltato la testa scura nella sua direzione. Dietro la falda del suo importante tricorno piumato, due occhi di un chiaro terrificante si alzarono di botto sul vialetto d’ingresso e l’uomo che li possedeva fece subito un violento scatto in avanti, nell’udire il suono di ruote e zoccoli che calcavano il selciato.

“La principessa ci ha finalmente degnato della sua presenza” commentò ad alta voce, il tono traboccante di un’ironia oscura, malvagia; ed era talmente fuori di sé, che non aveva pensato nemmeno a quanto fosse triste incontrare di nuovo Saffie in quella maniera, dopo aver annegato il suo tormento fra le sue braccia, condiviso una medesima sofferenza. “Per quale dannato motivo ci avete messo così tanto?”

“A-Ammiraglio, ecco…”

Il balbettio e la voce tremolante del cocchiere alla guida del mezzo non aiutarono affatto. Il cuore di Arthur saltò un battito ed egli si portò vicino alla carrozza, spalancando con decisione il portello e osservando con uno sguardo orribile i cuscini delle sedute tragicamente vuote, come se già da lontano non si fosse accorto della realtà dei fatti.

“La tua ambizione è mostruosa. Tu sei un mostro, Arthur.”

L’idea di rivedermi ti disgusta a tal punto?

Allora il suo cuore precipitò dentro a una voragine immensa, un abisso fatto di sensi di colpa e sentimenti tanto contrastanti quanto crudeli, gli stessi che con tanta forza lui stava continuando a respingere, a voler dimenticare. Sì, pensò, tanto valeva comportarsi come il mostro che lei lo aveva accusato di essere, piuttosto che continuare a soffrire in quel modo nuovo, mai sperimentato prima.

Il biglietto lasciato dalla piccola strega venne letto in due secondi netti, caratterizzati da un glaciale silenzio:

“Ho detto che sarei rimasta vostra moglie, non la vostra schiava. Non sarò mai l’ennesimo trofeo che tanto desiderate mostrare al mondo intero, Ammiraglio.”

No, tu sei l’insopportabile crepa sulla superficie liscia dello specchio.

Un’ira immensa, incontrollabile, esplose infine dentro al suo animo a pezzi ed egli perse del tutto il controllo. Arthur sbatté la portiera con una violenza inaudita, facendo tremare i vetri dei finestrini e sobbalzare di paura il cocchiere ancora alle redini dei cavalli; insensibile alla soggezione che stava spargendo intorno a sé, l’uomo si voltò seccamente verso Chapman e commentò, brutale: “Donna presuntuosa!”

James si era fatto pallido tutto di un colpo, presagendo – a ragione – guai all’orizzonte. “Signore?”

“La mia amata consorte vuole fare l’impertinente, ma pagherà cara questa sua provocazione” disse Worthington, incamminandosi a larghi passi spediti verso l’interno di Rockfort, dove metà Kingston stava aspettando solo lui. “Io sono un uomo di parola, dopotutto.”

Scoppiò in questa maniera, ciò che i cittadini chiamarono La piccola guerra fra la Zuimaco e Rockfort.

Il mattino seguente la cerimonia, una tranquilla Saffie di Lynwood scese dabbasso di buon ora, pronta per la ricca colazione fatta preparare dall’inflessibile Teresa Inrving, che ormai teneva compagnia alla Duchessina praticamente cinque giorni su sette.

La signora Worthington poteva affermare di essersi svegliata di buon umore, malgrado ben sapesse di aver appena mosso in avanti la prima pedina di una pericolosa scacchiera. Aveva inizialmente pensato di partecipare al ricevimento, in realtà; questo, finché non era giunta dal forte la breve lettera con cui il Generale Implacabile le ordinava perentoriamente di essere presente nel suo ruolo di figlia del famoso Duca Alastair e di moglie, ricordandole con molto tatto quanto egli non fosse incline ad accettare alcuna disobbedienza:

“Avete deciso di vostra spontanea volontà di rimanere legata a me, per cui agghindatevi con i migliori gioielli che possedete, indossate il vostro abito più bello e mettete su la dolce facciata che tanto bene fingete. Entrambi sappiamo quanto siete brava a farlo.”

Se avesse potuto, la ragazza castana avrebbe risposto che non vi era altra opzione disponibile, tranne quella di venire rinchiusa in manicomio e cadere in disgrazia; pure se una piccola e sofferente parte di lei le aveva suggerito che ormai non si trattava più di scampare alla minaccia di suo padre.

La confusione nella sua anima era immensa, ma ben sapeva su che fondale giaceva il suo cuore.

Così, infuriata sia con sé stessa che con l’ammiraglio Worthington, Saffie aveva deciso di prendersi una minuscola e personale rivincita, comportandosi forse come una fanciulla viziata ma, davvero, godendosi un senso di trionfale soddisfazione inebriante.

“Io so-sono pronta quando volete, signora Saffie” disse Keeran, palesandosi timidamente in sala da pranzo non appena l’altra ragazza ebbe concluso la colazione e in questo modo distraendola dai suoi pensieri su un certo Arthur. “Part-partiamo subito?”

La moglie dell’Ammiraglio lanciò un’occhiata intenerita all’entusiasmo contagioso della sua dama di compagnia e sorrise, annuendo con la testa. “Immediatamente” le rispose con gentilezza, alzandosi in piedi e andandole incontro con le mani giunte leziosamente in grembo. “Ho già dato ordine di preparare una carrozza abbastanza spaziosa per noi e la signora Inrving.”

“Oh, ha deciso di recarsi giù in ci-città?”

Saffie emise un leggero sbuffo divertito, mentre provvedeva a raggiungere il cortile insieme a Keeran. “Ha detto che se il suo impegnato Capitano non viene da lei, allora sarà lei ad andare dal suo Capitano” ridacchiò infine, ormai abituata al carattere a dir poco adamantino della donna di colore. “Inoltre, quale migliore guida per noi, amica mia? Oggi finalmente visiteremo la scuola che Teresa ha collaborato a fondare l’anno scorso, grazie alla generosità di suo marito!”

“So-sono entrambe due persone molto buo-buone, signora” concluse l’irlandese, arrossendo di imbarazzo e chinando il capo corvino, memore dei modi paterni con cui il capitano dell’Atlantic Stinger l’aveva trattata durante la traversata in mare.

“Non potrei essere più d’accordo, Keeran. Ah! Non dimentichiamo di fermarci dal signor Goddard: oggi è il giorno in cui riceverai il tuo primo Journal, no?”

Le due dame varcarono la soglia della Zuimaco e vennero investite da una luce calda e accecante, dai versi allegri degli animali e dalla sagoma ingobbita di un vecchio domestico africano piuttosto in ansia. L’espressione serena di Saffie si disfece in un secondo e quest’ultima precedette la sua domestica, scendendo i gradini di legno bianco in tutta fretta, raggiungendo il centro di un cortile privo – in effetti – di qualsiasi tiro a quattro in attesa. Perplessa, la Duchessina domandò: “Buongiorno, Charles. Dov’è la carrozza che ho ordinato di preparare?”

Un fremito strano, ma inquietante, attraversò gli occhi neri dell’attempato servitore ed egli si inchinò profondamente, nascondendo i lineamenti impauriti del suo volto alla padrona. “Signora Worthington, sono veramente dispiaciuto, ma…ecco, a proposito delle carrozze…”

“È a causa di un guasto?” chiese ancora la ragazza castana, genuinamente confusa dal comportamento del povero Charles che, senza alcun dubbio, pareva essere in evidente difficoltà. “Se è così, sono sicura potremo stringerci e prendere una carrozza più piccola, tra le altre che ho a diposizione.”

Il domestico scosse la testa piena di corti riccioli grigi con forza, come a voler negare le parole della Duchessina. “Per voi” sillabò alla fine l’uomo, avvicinandosi a lei e porgendole una busta chiusa con mani tremanti. “È arrivata stamattina presto, mentre ancora dormivate.”

“Qual è la provenienza?”

Charles non rispose e un orribile presentimento si affacciò nella mente di Saffie che, il cuore improvvisamente furioso, ruppe il sigillo di ceralacca, dispiegando la carta di pergamena davanti ai suoi grandi occhi sbalorditi:

“Siccome non avete intenzione di muovere un dito per ottemperare ai vostri doveri matrimoniali, allora d’ora in poi non vi sposterete affatto.”

“Il padrone ha fatto portar via ogni mezzo” chiarì l’ovvio la voce bassa di un Charles imbarazzato oltre ogni dire. L’uomo si spostò da un piede all’altro nervosamente e, al contempo, il suo sguardo pieno di timore scivolò lontano dalla Duchessina perché, in realtà, egli temeva la reazione della testarda creatura che l’Ammiraglio Worthington aveva portato con sé dal Vecchio Mondo: prima che Arthur lo mettesse a capo della servitù di casa Zuimaco, Charles aveva vissuto una vita da schiavo nei possedimenti agricoli di mezza Giamaica e mai, in cinquantacinque anni di sofferenza, aveva incontrato una donna simile a Saffie di Lynwood.

Al contrario delle altre altezzose figlie dei bianchi, la giovane aveva tenuto un comportamento alquanto singolare fin dal suo primo giorno in città, presentandosi con cortesia al piccolo schieramento di domestici messole a disposizione dal marito e ordinando con gentile fermezza che nessuno la chiamasse con l’appellativo di Padrona, ma solo signora Saffie o – se proprio dovevano – signora Worthington.

Insomma, Charles poteva dire di ben conoscere il carattere orgoglioso dell’uomo che dieci anni prima gli aveva salvato la vita, quindi non fu difficile per lui indovinare la misura in cui la moglie doveva avergli dato un diavolo per capello. Pure se, aveva considerato il domestico di colore, era bizzarro intravedere una sorta di somiglianza fra la ragazza e il suo padrone.

Sono uguali, poiché i loro occhi promettono guai terribili.

E difatti, Saffie non ebbe di che deluderlo visto che, dopo un minuto di attonito silenzio, ella si voltò indietro, piantando le sue meravigliose iridi castane sulla signorina Byrne, rigidamente in attesa come una statua scolpita nel marmo. “Hai sentito, Keeran?” domandò in maniera palesemente retorica la Duchessina, aprendo con uno scatto pieno di sdegno il suo ventaglio colorato. “Sembra che il mio tanto ammirato marito abbia voluto usare il suo potere per tagliarmi fuori dal mondo.”

“Po-potremo mandare un se-servitore a prendere una carrozza a nolo, magari?”

“Sarò onorato di recarmi fino in città a piedi” si propose con slancio Charles, quasi dovesse farsi perdonare il colpo basso di Arthur. “È meno strada di quanto si pensi, anche se è il caldo a rappresentare una vera difficoltà.”

Dal canto suo, la moglie di Worthington ascoltò le parole dei due chiusa in un mutismo pensoso, distante; dentro al suo cuore si contorcevano due sentimenti fin troppo chiari, ma in lotta fra loro. I denti bianchi della ragazza affondarono nella morbida carne del labbro inferiore ed ella pensò che, ancora, quel doloroso senso di vuoto non accennava ad abbandonarla; così come non riusciva a mettere da parte la rabbia per essere stata tradita da colui con cui aveva creduto di condividere una identica sofferenza.

Avrei voluto mi parlassi dell’altro passato. Di te. Invece non hai nemmeno provato a risalire l'abisso in cui ormai sei rinchiuso per tua sola volontà. Hai scelto di continuare a mentire e così condannarci entrambi.

L’attenzione di Saffie fu catturata da un movimento dietro le spalle larghe di Keeran e il suo visino grazioso inseguì distrattamente la figura minuta di una servetta africana, intenta ad attraversare il cortile con uno strabordante cesto del bucato stretto fra le braccia.

Non so che fare, di questo sentimento che mi mangia l’anima, morboso e terribile.

Un sorrisetto combinaguai si dipinse su un’espressione di intelligenza vivace, di immaginazione fin troppo accesa. “Charles” chiamò infine la ragazza, gli occhi assorti nella contemplazione del misero quanto leggero vestito di cotone della giovane domestica che – a una prima occhiata – giudicò avere le sue stesse misure. “Ci sarà un cambio di programma. Ho deciso che la gita di stamattina si trasformerà in una bella camminata.”

Il servo preso in causa chiuse per un attimo le palpebre e si disse che avrebbe dovuto aspettarsi una cosa del genere dalla moglie del Generale Implacabile, l’irriverente e ingestibile Duchessina di Lynwood.


§


Il pettegolezzo si sparse per tutta Kingston con la velocità di un fulmine. Alla stessa stregua della storia riguardante l’assenza della signora Worthington alla cerimonia dell’Ammiraglio e della conseguente vendetta di quest’ultimo, il fatto che la moglie del Generale avesse preso l’abitudine di scendere in città aiutata solo dalle sue nobili gambe provocò in tutta la cittadinanza un divertimento che superò di gran lunga l’indignazione: certo, la futura Lady Chamberlain era quasi soffocata nel suo tea quando era venuta a conoscenza della cosa, ma Saffie incassò per lo più l’ammirata simpatia della gente attorno a lei.

Ora, si chiedevano tutti, quale sarebbe stata la prossima mossa dell’Implacabile?

Ovviamente, la voce arrivò alle orecchie di Arthur nel giro di due giorni netti, lasciandolo in preda a una fredda ira che aspettava solo di poter essere sfogata. Tra le vie di Kingston, in mezzo agli scaffali dei negozietti e alle bancarelle dei venditori, si mormorava che solo gli impegni urgenti dell’Ammiraglio trattenevano quest’ultimo dal prendere doverosi e dolorosi provvedimenti.

“Dio ci salvi, signora Worthington” sospirò rassegnato il luogotenente Murray, massaggiandosi la fronte con le dita diafane. “Ci protegga dalla tempesta che sta per piombare sul nostro collo.”

Un brivido sottopelle, tanto dolce quanto indesiderato, scosse in gran segreto la Duchessina di Lynwood che, con una noncurante scrollata di spalle, lanciò uno sguardo piuttosto beffardo sul suo fidanzato di un tempo. “È passata una settimana e ancora non ho visto nessuno barricare le porte della Zuimaco” commentò Saffie, alzando davanti al viso sorridente un cappellino piumato dalle vivaci tonalità verdastre. “Questo sarebbe piaciuto molto ad Amandine.”

“…perdonaci e perdona anche l’ambizione di Arthur Worthington, poiché so bene cosa accadrà quando non sarò più qui.”

Già. Sono stata io la sciocca, mentre tu avevi visto tutto.

“Mi dispiace così tanto per la sua sorte, davvero. So quanto eravate legate.”

La ragazza annuì piano, muovendo appena la testa castana, i cui capelli raccolti in un’acconciatura morbida davano l’idea che lei fosse un’affascinante popolana, e non la discendente di uno dei Ducati più antichi di Inghilterra. “Era serena, nella fine” sillabò poi, fissando le piume di pavone che adornavano il cappello con una strana intensità, tacendo in questo modo i segreti di sua sorella a Earl. Saffie sapeva che non sarebbe stato giusto rivelarli, perché avrebbe scoperchiato un’altra volta un vaso di Pandora.

Inoltre, erano passati cinque anni e lei aveva l’impressione che Murray in realtà conoscesse il detestato marito molto più di quanto aveva dato ad intendere.

I fili del legame crudele non sono spariti, perché continuano a portarmi a lui.

Saffie stava per approfittare di quel momento in cui era miracolosamente sola con il suo accompagnatore, che il campanello appeso alla porta della merceria tintinnò sonoramente e mandò all’aria i suoi piani di investigazione. Un soldato della Corona entrò nel negozio e, dopo aver salutato i presenti con un rigido cenno del capo, richiese l’immediata presenza del luogotenente Murray in strada.

“Andate pure” disse la ragazza, leggendo l’incertezza negli occhi di Earl. “Penso di potermela cavare per qualche ora pure senza la vostra diligente scorta!”

“Non ho dubbi in merito, signora. Solo, non allontanatevi dal quartiere commerciale: se vi succedesse qualcosa, Teresa non me lo perdonerebbe mai…e nemmeno io, del resto.”

Detto questo, l’uomo se ne andò insieme al suo sottoposto, lasciando Saffie sola con un leggero rossore imbarazzato. Se era vero che il suo cuore non apparteneva più a Murray, altrettanto veritiera era la gratitudine che provava nell’averlo nuovamente nella sua vita, quando invece aveva pensato suo padre l’avesse condannato a morte certa per ripagare l’affronto subito.

Saffie passò un’altra decina di minuti nel negozio, prima di decidere di proseguire nel suo giro di acquisti settimanale: d’altronde, la signora Inrving si era recata di nuovo al porto per vedere il suo elusivo marito e avrebbe dovuto aspettare sia il suo ritorno, che quello di Earl. Così, varcò la soglia della merceria, solo per venir uccisa sul posto non dalla pungente aria salmastra, ma dalla voce che aveva giurato di non voler più ascoltare.

“È stata piacevole la passeggiata, moglie?”

Una sferzata diretta al cuore avrebbe forse causato meno paura, meno dolore. La ragazza sobbalzò e voltò il visino sbalordito alla sua destra dove, appoggiato con la schiena al muro dell’edificio, stava in agguato il tanto detestato Arthur Worthington: le ampie spalle adese alla parete e le braccia incrociate sul petto tonico, l’uomo le parve un imponente monumento dalla bellezza mozzafiato. I capelli scuri si muovevano con la brezza marittima e, tra le ciocche ribelli, due iridi di un verde incredibile la fissavano in attesa di una sua risposta, immobili e fredde.

Un rossore violento, ben diverso da quello provocatole da Earl poco prima, infiammò il volto di una Saffie dal cuore impazzito. Il sentimento che da settimane giaceva dentro alla sua anima esplose in tutta la sua portata e lei dovette fare uno sforzo immane per metterlo a tacere, per rimanere coerente con la delusione rabbiosa che effettivamente provava nei confronti del Generale Implacabile.

“Oltremodo rilassante, Ammiraglio” riuscì a rispondere a tono la ragazza, inchinandosi leggermente; e alzando con apparente innocenza la veste di cotone grezzo con cui soleva scendere in città. “Devo ringraziarvi per il favore che mi avete reso.”

Gli occhi da predatore di Arthur scesero sul misero abito della Duchessina senza lasciar intendere emozioni di sorta, ma, oh, Saffie sapeva quanto l’uomo stesse in verità sforzandosi di mantenere una parvenza di contegno elegante in pubblico. Sentiva di aver mosso un’altra pedina sulla scacchiera di un gioco tanto pericoloso quanto desiderato.

Piangi i torti che ti hanno inferto, ma rimani una donna ipocrita, Saffie. Bugiarda con tutti e con te stessa.

Non volendo dare ascolto ai suoi pensieri, la ragazza interruppe il contatto visivo con il marito e gli diede le spalle, cominciando a camminare lungo la via affollata, pregando perché lui non la seguisse. Non sapeva affatto come comportarsi, ora che Arthur le rivolgeva la parola per la prima volta dopo il loro tragico ultimo incontro. Dopo che lei lo aveva chiamato mostro.

“Deve dilettarvi parecchio la compagnia di Earl Murray” fu il crudele commento di Worthington che, implacabile, cominciò a seguirla tenendosi a breve distanza; l’uomo vide la moglie irrigidirsi leggermente e fu grande il tormento provato. “Forse avete dimenticato con chi siete sposata.”

“Mentre voi dimenticate di aver promesso di non rivolgermi la parola” asserì subito Saffie, infastidita dal senso di arrogante superiorità di un Arthur che, davvero, non aveva capito un bel niente.

“Non vi devo alcuna promessa, visto che avete deciso di muovermi guerra.”

“Vedi di tenere fede alle parole che hai appena pronunciato, Duchessina; perché, lo sai, mettersi contro di me non porta vittoria alcuna.”

L’ammiraglio raggiunse Saffie ed ella poté quasi sentire il calore del suo corpo contro la schiena. “Vi siete rivelata sciocca, mia cara” la prese in giro Arthur, godendosi ogni parola pronunciata, trionfante soddisfazione di chi sta covando un’ira incontrollata.

Finalmente, la piccola strega si voltò di scatto nella sua direzione e un mare di onde castane sfuggì dall’acconciatura, andando a incorniciare un visino corrucciato, ma bellissimo. “Ah!” esclamò Saffie, senza potersi trattenere. “E voi siete un esperto di ricche donne sciocche, non è vero?”

“Ma… di cosa diavolo state parlando, ragazzina?!”

“Del fatto che non avete alcun diritto per farmi la predica sul luogotenente Earl Murray; anzi, siete l’ultimo nella posizione di poter dire alcunché! Lo sapete molto bene, no?”

Arthur si fermò di botto, tanto colpito quanto sorpreso.

Insaziabile bugiardo. L’hai sempre saputo di essere un mostro, no?

Perché la crudeltà è forza, il controllo è potere.

Dal canto suo, la Duchessina era talmente concentrata a mettere pace all’ossessivo e morboso sentimento che le aveva azzannato il cuore, da non accorgersi di starsi comportando esattamente come una preda terrorizzata. Un cervo indifeso che si mette all’angolo di sua volontà: nel disperato tentativo di sfuggire al marito, imboccò un vicolo a caso e cominciò a percorrerne le anguste ombre senza vera coscienza di sé.

Uno spasmo alla bocca dello stomaco fu tutto ciò che provò nel trovarsi il passo sbarrato da un alto steccato di legno. I lineamenti del suo volto si pietrificarono in un istante, mentre fu uno strano sudore freddo a riempirla di brividi. Era in trappola.

Neanche il tempo di rendersene conto, che la presa di una mano grande si agganciò alla sua vita sottile. Arthur non aveva più sprecato parola alcuna e, anzi, aveva approfittato dell’occasione che gli si era presentata su un piatto d’argento, catturando colei che ancora si illudeva di poter ribellarsi alla sua volontà.

Saffie si sentì tirare indietro con un unico gesto rabbioso e un piccolo urletto sorpreso le sfuggì dalle labbra, poiché la sua schiena sbatté contro l’addome tonico di Worthington che – figurarsi – non aspettò un secondo prima di attaccarla di nuovo, ingaggiare battaglia con lei: l’uomo chinò l’imponente corpo su quello della ragazza, che quasi pensò di venir inghiottita da un’alta onda di oscurità. “Questi vestiti non si addicono alla moglie di un Generale” le sussurrò una voce roca e piena d’ira all’orecchio. Le dita lunghe di Arthur scivolarono sopra il tessuto ruvido del suo abito da popolana, lasciandola in balia del disprezzo che nutriva per sé stessa: la sua collera, il suo rancore, erano lo specchio di quelli del marito, ma non sapeva che dire del bruciante desiderio che quel demonio aveva il potere di causarle solo sfiorandola.

Come se, dentro al suo cuore bugiardo, non avesse in realtà mai smesso di aspettare Arthur tornasse dal lei.

Saffie di Lynwood tremava tutta, da capo a piedi, rinchiusa fra le braccia possenti dell’uomo che l’aveva condannata all’abisso da cui non riusciva più risalire. Le dita minute premute conto i polsi di Arthur, la ragazza provò con forza patetica e troppo poca convinzione ad allontanarsi dal marito, liberarsi dall’opprimente sentimento che le stava offuscando i pensieri.

Worthington, dal canto suo, pareva avere ben altri piani. “Questi sono gli abiti di una serva” continuò imperterrito l’Ammiraglio, il tono fattosi di pietra; e quando la moglie provò a dimenarsi, lui strinse di più la sua presa, lasciando il corpo aderire alla schiena di Saffie. “Perché li state indossando?”

Oh, Arthur, non è questa, la sciocchezza che ti ha fatto perdere la testa.

“Ve l’ho già detto: non…ciò che faccio del mio tempo libero, non è affar vostro” fu il balbettio rabbioso di una Duchessina ormai in fiamme. “Il nostro è un contratto, dove non esiste alcuna clausola che ci obblighi a occuparci l’uno dell’altra.”

L’eco di quelle parole lontane, uscite direttamente dalla loro prima notte di nozze, risuonò cupamente fra le pareti di quel vicolo deserto e ricordò a entrambi la tragedia da cui ogni cosa aveva avuto inizio, il disgustoso e falso confine su cui avevano costruito quei loro sentimenti così violenti, disperati.

“Mia moglie gira per la città vestita come una domestica, coprendosi di ridicolo” disse infine Arthur, tagliente; il suo volto virile e tanto ammirato, stravolto ora dalla rabbia, scese vicino a quello arrossato di Saffie, quasi accarezzandone le guancia bollente. “Questi sono affari che mi riguardano eccome.”

Ma è un’altra, la domanda che ti sta facendo impazzire per davvero.

“Perché vi siete vestita in questa maniera?” chiese una seconda volta, prima di abbassare il capo scuro su di lei. Saffie sentì i capelli dell’uomo solleticarle il viso e un alito caldo sfiorare le sua spalla, nel medesimo attimo in cui Worthington posò le labbra sottili sul suo esile collo; egli cominciò poi a tormentarlo lentamente, baciandolo e mordendolo con la dovizia di un torturatore nato, succhiando lembi di pelle indifesa. “Per chi vi siete vestita in questa maniera?”

Le mani grandi di Arthur si allungarono sui seni della ragazza, stringendoli attraverso la morbidezza delle stoffe.

È per lui, per quel plebeo, che l’hai fatto?

Tra le acque oscure di quell’irresistibile piacere, le ultime parole dell’Ammiraglio trapassarono il cuore di Saffie come una fucilata e, con grande amarezza, lei pensò di nuovo che il maledetto marito non riuscisse a capire nulla. Fu forse questa considerazione a farle alzare leggermente la testa verso di lui, incrociando così lo sguardo cristallino e feroce di due iridi verdi, irresistibili.

“Per te” soffiò piano, trattenendosi dal sbattergli in faccia non solo il dolore, ma anche il senso di ingiustizia provato in tutti quei giorni. “L’ho fatto per sfidarti, Generale.”

Sì, sono una ipocrita perfetta perché, in fondo, una piccola parte della mia anima voleva ferirti. Costringerti ad accorgerti di me.

Oh, Arthur non aspettò un altro invito per accogliere la provocazione della moglie: in un secondo, le dita dell’uomo spinsero l’esile corpo della ragazza castana di lato, contro il muro di mattoni a neanche un metro da loro. La schiena di Saffie aderì alla parete e due occhi enormi, da cerbiatto spaventato, si alzarono di scatto sull’espressione brutale di un Ammiraglio veramente fuori di sé, consumato dal terribile buio di una fame indomabile; ferito da un sentimento nuovo che non voleva comprendere e di cui lei, la fastidiosa crepa sullo specchio, era responsabile.

Due iridi verde scuro brillarono pericolose nell’ombra dell’angusta via e i due poterono solo udire il suono emesso dai loro respiri.

Divorala, Arthur. Cancella con la forza il ricordo di Earl Murray dalla sua mente.

La vorace ambizione sussurrava idee velenose al suo orecchio, corrompendogli i pensieri. Dall’alto della sua statura, l’ammiraglio si chinò in avanti e dominò su una Saffie che non si mosse di un millimetro, come se attendesse di essere colpita a morte: in un silenzio pieno d’attesa, le mani dell’uomo si allungarono sulla mascella della ragazza, intrappolando il suo visino da preda impotente. Un brivido sottopelle, ed ecco che il pollice di Arthur premette sulle labbra della moglie, obbligandola a schiudere le labbra per lui, ad arrendersi.

Ancora, Saffie continuava a osservarlo con uno sguardo colmo della sua strana innocenza irriverente, tanto mansueta e docile che quasi al Generale Implacabile non sembra di riconoscerla. Un desiderio tremendo fulminò il basso ventre di Worthington ed egli capì che la piccola strega non gli avrebbe impedito di farla sua.

Era questo il modo in cui bensì l’avrebbe combattuto, ferendolo con la sua stessa bocca impertinente.

Entrambi, alla fine, parevano non riuscire a farne a meno.

In bilico sull’odiato confine che li portava sempre l’uno fra le braccia dell’altra, Saffie e Arthur si avvicinarono contemporaneamente, mossi da un sentimento costituito da pura disperazione desiderosa. Una forza ossessiva e crudele, che si alimentava non solo del rancore, ma pure della mancanza che i due negavano di provare.

Era quella stessa sofferenza che non volevano più riconoscere come loro, ma da cui non potevano fuggire.

Le bocche arrivarono a sfiorarsi, il respiro caldo e ansante era un invito a perdersi nell’abisso.

Pure se non ti amerà mai?

Mostro. Assassino.

All’ultimo, proprio quando Saffie credeva lui l’avrebbe baciata, l’uomo si tirò indietro con un unico gesto violento, quasi strappandosi via da lei. Neanche un secondo dopo, ella udì il rumore sordo di un pugno che veniva picchiato contro la parete di mattoni, sopra la sua tesa castana.

“Dannazione.”

Era stata solo un’imprecazione bassa e roca, ma alla Duchessina parve come se Arthur gliela avesse urlata contro.

Appoggiato con il braccio al muro, l’ammiraglio continuava a dominare sul minuto corpo della moglie, ma due iridi di un chiaro agghiacciante si sollevarono sul viso rosso di quest’ultima, tradendo il tormento di un sovrano in catene. “Perché la tua esistenza deve torturarmi così?”

“Non tentare un uomo disperato.”

Saffie non seppe dire perché il diario di Amandine le venne alla mente ma, di sicuro, poteva essere dolorosamente certa del batticuore esploso dentro al suo petto. Senza aggiungere una parola, Worthington si staccò dalla parete e lei lo vide voltarle le spalle, facendo per allontanarsi a passo lento.

“Torna a casa e togliti quei vestiti di dosso” le ordinò monocorde, non sognandosi di voltarsi nella sua direzione. “Avrai di nuovo accesso alle carrozze oggi stesso, ma fa’ che Kingston non debba vederti più in questo stato.”

Fa’ che io non ti veda più così vicina a Earl Murray…anche se, lo so, non mi sorriderai mai come sorridi a lui.

Io non posso custodire il tuo cuore, né so in che modo dovrei starti accanto.

Saffie non ribatté e Arthur stesso guadagnò la strada principale in pochi minuti, attraversando il vicoletto e letteralmente scappando dall’unica donna che poteva affermare di temere, oltre che desiderare.

In mezzo a una folla che i suoi occhi non riuscivano a riconoscere, fu un miracolo per l’uomo intravedere una carrozza a nolo, mantenere quel tanto di presenza di spirito per avvicinarsi al cocchiere e lanciargli una moneta d’oro, sibilandogli di dirigersi immediatamente a Rockfort.

“Ammiraglio Worthington!”

Dal nulla, apparve la sagoma vestita di rosso del maledetto luogotenente Murray. L’uomo si stava avvicinando a lui con la sua migliore espressione da bambino ingenuo e perplesso, ma Arthur lo bloccò subito sui suoi passi, inchiodandolo sul posto con due occhi pieni di severità brutale. “Mia moglie deve essere scortata alla Zuimaco” disse, indicando il vicoletto con un gesto rigido del braccio. “Portatela a casa subito.”

“Cosa le avete fatto?”

Non posso risalire questo abisso e raggiungerti nel paradiso luminoso che ti appartiene.

“Obbedite al mio ordine senza fiatare” asserì Worthington, glaciale. Al solito, non aspettò che l’altro gli rispondesse ma entrò dentro al tiro a quattro come se ne stesse andando della sua stessa vita; una volta che il mezzo fu partito, egli non si rilassò sulle morbide imbottiture ma, anzi, si chinò in avanti, i gomiti appoggiati alle ginocchia e la testa castana fra le mani tremanti.

Un tormento insopportabile infuriava dentro di lui, lasciandolo impotente di fronte al desiderio che continuava a divorarlo dentro. Una sete tremenda, insoddisfatta.

Maledizione. Sono riuscito a trattenermi a malapena.

Nei suoi pensieri comparve l’immagine del visino stravolto e adorabile della piccola strega, impegnata a fissarlo nella penombra con gli occhi grandi pieni di lacrime e di attesa. Arthur immaginò di aver premuto le dita sulle cosce accaldate della ragazza e, senza poterne fare a meno, si vide sollevarla di peso e prenderla con disperata urgenza; lì, contro il muro di una casa ignota.

Gli sembrò persino di udire distintamente i gemiti di Saffie, soffocati contro la stoffa della sua divisa blu; sentire le piccole mani della moglie aggrapparsi alla sua schiena, quasi fossero aghi penetrati nella pelle. Dolorosi. Letali.

Perché mi appartiene. È mia, solo mia.

Un’altra scarica di desiderio lo riportò alla realtà e l’uomo si riscoprì febbricitante, il cuore che gli martellava nella cassa toracica fino a fare male fisicamente.

Pure se non ti amerà mai?

Il sorriso gentile di Saffie squarciò la sua anima lussuriosa e l’ammiraglio si disprezzò immensamente.

“Ho superato il limite” sibilò a sé stesso, sottovoce. “Dovrei solo vergognarmi.”

Mi sono comportato da animale disgustoso, come il mostro che lei pensa io sia.

Non posso nemmeno essere paragonato all’uomo per cui ha abbandonato ogni cosa.

Il Generale Implacabile non avrebbe potuto immaginare che, in quello stesso momento, i sentimenti della moglie non erano poi dissimili dai suoi: quel loro ultimo incontro, lì sulla linea del confine invisibile, aveva provocato nella Duchessina di Lynwood pensieri a dir poco impuri.

Difatti, Saffie non riuscì a muovere un solo muscolo per diversi minuti, tanto l’aver avuto Arthur così vicino l’aveva fatta impazzire; infine, la ragazza si portò le dita alle labbra umide e i suoi polpastrelli premettero sulla morbida carne, provocandole una serie di brividi nascosti.

Le mani di suo marito lasciavano marchi di sofferenza e piacere che lei non desiderava dimenticare.

La schiena della signora Worthington aderì alla parete dietro di lei, mentre quest’ultima alzava il visino verso l’alto, su un cielo azzurro che non era nient’altro se non un ritaglio sottile fra gli alti tetti delle case. Si concesse un pesante sospiro, nel tentativo disperato di calmarsi e poter far ritorno alla strada principale senza far mostra di alcun vergognoso rossore, ma con la grazia che veniva richiesta a una donna del suo ceto sociale.

Il silenzio faceva da padrone al vicolo angusto e buio. Tutt’attorno, la presenza di Worthington bruciava ogni cosa.

“Perché la tua esistenza deve torturarmi così?”

Sono io, che dovrei farti una domanda del genere.

Per fortuna, venne a salvarla un Earl Murray in allarme. La ragazza vide con la coda dell’occhio la sua figura alta sbucare in lontananza, dal fascio di luce proveniente dalla strada trafficata, e continuò a guardarlo mentre si portava di tutta fretta vicino a lei, correndo.

“Saffie!” la chiamò, buttando alle ortiche qualsiasi onorifico, ansimando. “Ero così in ansia! L’Ammiraglio Worthington ti ha spaventata? Minacciata?”

Il luogotenente ebbe la sorpresa di vederla scuotere le sue lunghe onde con forza e rispondere, accennandogli un sorriso breve, dalla tristezza disarmante: “No. Solo, pensavo…non ce la faccio più”. Una singola lacrima attraversò la guancia fredda della Duchessina ed ella si portò una mano sul viso, sfregandoselo con la stessa goffaggine che avrebbe usato un bambino e cancellando così l’unica evidente traccia del suo dolore. “Sono così meschina, come sempre è stato!”

Ma non puoi continuare a mentire a te stessa, Saffie.

Sei innamorata del terribile Arthur Worthington e il tuo desiderio più grande è stare al suo fianco, essere ricambiata da lui, pure se il vostro è un passato fatto di dolore, di peccati.

Lo hai già superato da un pezzo, il confine di cui più avevi paura e, forse, nemmeno te n’eri accorta.

Di nuovo, fu la voce seria di Murray ad essere fondamentale. Il luogotenente si tirò indietro i capelli rosso sangue con una mano, mostrando alla ragazza un volto rassegnato, due oscuri occhi velati di malinconia. “Ti porterò a casa” le disse, con la solita gentilezza che scaldava il cuore. “Prima di questo, però, vorrei venissi in un posto insieme a me: ci sono delle persone che mi piacerebbe molto presentarti.”


§


“Questo è un legame più crudele di quanto potessi immaginare, perché si era nascosto nel mio cuore, facendomi credere di avermi abbandonata quando, in realtà, mai se n’era andato.





Angolo dell’Autrice:

*Se il capitolo ti è piaciuto, spero prenderai in considerazione di Votarlo e Recensirlo!*

C’era una scena, che poi non ho potuto trascrivere, in cui Teresa definiva Saffie e Arthur come due bambini ottusi e litigiosi.

Beh, credo abbia qualche ragione per affermarlo!

Buonasera! \(^u^)/

Come state? Spero vada tutto bene e che i vostri giorni siano passati serenamente, che vi siate divertiti a abbiate fatto tante cose interessanti!

Io, ahimè, sono caduta sotto i colpi del lavoro e di uno stato di salute che – a causa del caldo incessante – mi ha dato parecchie grane! (T.T) Purtroppo non sono riuscita a pubblicare entro Giugno, ma eccomi qua!

Per quanto sia stata un’odissea portarlo a termine, devo dire che la piccola guerra fra i nostri protagonisti mi ha divertito parecchio! Oh, penso che finalmente Saffie abbia ammesso con sé stessa i suoi veri sentimenti, accettandoli per quello che sono…e Arthur? Mh, non so, intravedo un percorso di crescita, ma lui è un uomo parecchio enigmatico, di difficile comprensione, non è vero?

L’unica cosa certa è che volevano saltarsi addosso! XD

A parte gli scherzi, ho deciso di rendere più “realistica”(?) l’interazione tra Murray e la protagonista: Earl e Saffie hanno consumato un amore proibito all’età di ventitré anni, per poi ritrovarsi a quasi ventotto. La vita e gli anni cambiano le persone, quindi sono anche i sentimenti a mutare.

Beh, la gelosia non manca comunque, direi? (*w*)

Vorrei ringraziare tutti coloro che continuano a seguire con pazienza la mia storia, che si prendono un po’del loro tempo per recensirla, farmi sapere cosa ne pensano e votarla! Mi fate veramente felice, sapete?

Ora, la domanda più ovvia: vi andrebbe di farmi sapere cosa ne pensate di questo Sedicesimo Capitolo? :D

Voglio provare a pubblicare entro fine Luglio! Dita incrociate!

Vi abbraccio forte, forte.

Sweet Pink


  
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