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Autore: Retsuko    04/07/2022    0 recensioni
Durante il ritiro della nazionale juniores, fra nuove sfide e vecchi ricordi, Kaede Rukawa si ritrova a dover condividere la stanza con Eiji Sawakita.  
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Altro personaggio, Kaede Rukawa, Shinichi Maki
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Mi sono resa conto che i miei tempi di aggiornamento coincidono più o meno con i tempi di uscita delle stagioni di Stranger Things. Forse quando Undi avrà sessant’anni riuscirò a finire una storia.
Ho paura di aver scritto questo capitolo solo per me, ma vorrei tanto che qualcun* (semmai  arriverà fino alla fine) possa ritrovarvi un pò di sé stess*
Buona lettura.

Retsuko 

 

…Eiji ha combattuto a lungo contro la noia.
Tetshuaro Sawakita
Takehiko Inoue, Slam Dunk, capitolo 255 Sawakita

Eiji Sawakita era cresciuto in una casa bellissima fra foreste e risaie. Il legno la rendeva un luogo caldo, accogliente e il campo da basket in giardino poteva definirsi semplicemente wow. Il primo agglomerato urbano degno di questo nome distava dieci chilometri, un delizioso villaggio ai piedi delle montagne, rinomato per le sue terme e popolato principalmente da anziani. I pochi bambini delle zone limitrofe frequentavano la scuola elementare in quel paese. La scuola era un piccolo edificio circondato da un giardino curato dagli alunni e le alunne sotto la supervisione della maestra Aoki. Quando Eiji cominciò le elementari l’insegnante era già avanti negli anni, ma il suo spirito era rimasto quello fresco e curioso di una ragazzina. Era una maestra fantastica, autorevole ma non autoritaria, accogliente eppure mai iperprotettiva e dopo anni di esperienza aveva trovato il metodo di insegnare divertendo la classe, senza mai cadere nella frivolezza. I bambini e le bambine adoravano Aoki. La compagna preferita di Eiji era Sumiko, una bambina schietta e sveglia con la lingua pungente e il caschetto corto. In seconda elementare si giurarono eterna amicizia. Lui voleva così bene a Sumi-chan  che se lei gli avesse chiesto di lasciare il basket, lui l’avrebbe fatto senza obbiettare. 

Eiji Sawakita era cresciuto in mondo che sapeva di aria pura e libertà. Un mondo dove d’estate si andava al lago in campeggio e d’inverno ci si radunava davanti al camino ad ascoltare mamma che leggeva un libro o un vecchio vinile. Eiji era un bambino allegro dagli occhi grandi. Trascorreva la maggior parte del tempo da solo con il suo ruvido pallone arancione, eppure sapeva apprezzare anche la compagnia dei coetanei, gli piaceva conoscere persone nuove. Tetsu e Aimi gli avevano insegnato che la vita è relazione con l’altro. Gli avevo detto che poteva esprimere le proprie emozioni e i propri pensieri, senza però giudicare ed offendere la diversità. «Ogni persona ha una storia che non conosci» diceva spesso mamma «quindi sii gentile, sempre»

Eiji Sawakita si rese conto che qualcosa non tornava in quinta elementare. Quell’anno Aoki andò in pensione e venne sostituita da un giovane insegnante alla sua prima esperienza. Il nuovo maestro era un appassionato di calcio, sport in cui il piccolo Eiji si dimostrò una schiappa totale. In occasione della giornata nazionale dello sport, la sua classe partecipò ad un piccolo torneo di calcetto a squadre miste che si svolgeva ad Akita. Durante una delle partite, si scontrò con un’avversaria. Involontariamente finirono per darsi una testata ed entrambi si accasciarono a terra, prima di scoppiare a piangere entrambi. Lei venne consolato, lui sgridato.
Per Eiji fu uno shock. 

 

«Smetti di piangere» 
«Ma fa male» si lamentò Eiji tra i singhiozzi. L’insegnante gli scoccò un’occhiata severa prima di premergli una borsa del ghiaccio sulla fronte.

«Resisti al dolore. I ragazzi non piangono»
Eiji ricacciò indietro le lacrime e tirò su col naso, finendo per ingoiare il suo stesso moccio. Seduto sulla panchina, piegò la testa all’insù alla ricerca dello sguardo del maestro. Non era un’impresa facile con quell’impacco gelato che gli ostacolava la visuale. Alla fine fu l’insegnante ad accovacciarsi per guardarlo in faccia. Gli occhi liquidi del ragazzino incontrarono quelli duri dell’adulto. 
«Solo i bambini piangono, Sawakita. Gli uomini non piangono e tu diventerai un uomo prima di quanto tu creda»
Era una cosa che non sapeva, peggio, del tutto contraria a ciò che aveva imparato. Lui aveva visto Tetsu piangere qualche volta e mamma diceva che il pianto è espressione di umanità, che piangere è una reazione normale. Anche la maestra Aoki non si era mai arrabbiata se lui piangeva, al massimo, quando Eiji scoppiava in lacrime per delle banalità, lei gli spiegava pazientemente il perché la sua fosse una reazione eccessiva. In quell’occasione, invece, il motivo gli era oscuro.
«Perché gli uomini non piangono?»
«È così e basta. Ora torna in campo»
I ragazzi non piangono.

Poi arrivarono le scuole medie. Si abbatterono su Eiji come una scure che trancia di netto un misero ramo secco. Nella vita di Eiji le medie erano state lo spartiacque fra un prima e un dopo. Nonostante rimanesse uno dalla lacrima facile, era riuscito ad interiorizzare la lezione “i ragazzi non piangono”, anche grazie al gentile contributo dei compagni che si erano impegnati a canzonarlo, sbattendogli in faccia quanto sia  vergognoso per un maschio piangere in pubblico. In maniera incredibilmente pragmatica per un ragazzo della sua età, Eiji aveva preso a guardarsi intorno con l’obiettivo di sviluppare una sorta di ricettario dell’essere maschio basato sulle emozioni socialmente accettabili. La rabbia era ok e tutto sommato anche la gioia veniva tollerata, mentre la tristezza solo in determinate occasioni, giustificata da motivi specifici e consentita solo se espressa in un certo modo, un modo che ovviamente non prevedeva il pianto. Ad esempio a lui era concesso mostrarsi triste dopo aver perso una partita, ma entro certi limiti, altrimenti sarebbe sembrato un debole e la debolezza provocava il disgusto. La paura era totalmente inaccettabile. Quella era un vero e proprio tabù, un’emozione da tenere nascosta ad ogni costo.
Un giorno, all’inizio della seconda media, un gruppetto di compagni di classe avevano portato a scuola un’asse di legno abbastanza lungo da poter essere appoggiato ai cornicioni di due edifici adiacenti, distanti l’uno dall’altro circa un metro e mezzo. Intenzionati a cominciare un pericoloso esercizio di equilibrismo, si erano sfidati vicendevolmente a camminarci sopra.

Eiji sbirciò il vuoto oltre il bordo del cornicione. 
«Andate a quel paese. Io mi rifiuto.»

«Palle mosce, palle mosce, palle mosce!»
Ignorando il coro derisorio dei quattro compagni di classe, Eiji girò i tacchi, diretto verso la porta che conduceva alla scale. Se ne fregava degli insulti, niente lo avrebbe convinto a fare una cazzata del genere. Soffriva terribilmente di vertigini, inoltre perdere la vita così giovane non rientrava esattamente fra i suoi propositi. Probabilmente sarebbe stato meglio se nessuno di loro tentasse l’impresa, forse avrebbe dovuto avvertire gli insegnanti e avrebbe dovuto farlo in fretta… Pochi secondi dopo la porta venne spalancata con violenza. Tre insegnanti, ansanti e terrorizzati, piombarono su di loro. 

«Eiji, torna immediatamente qui!»
Il ragazzo salì le scale di corsa e si rifugiò in camera sua. Tetsu poteva benissimo continuare a sbraitare sino a perdere la voce, ma lui non si sarebbe scusato proprio con nessuno. Il preside aveva intenzione di sospenderli tutti? Tanto meglio, qualche giorno lontano da quella scuola di merda gli avrebbe fatto solo bene. Informato dell’accaduto suo padre si era incazzato come una belva ed Eiji aveva reagito allo stesso modo. Per la prima volta in vita sua provò una rabbia viscerale, totalizzante e insopportabile nei confronti dei suoi genitori. Era solo colpa loro se si era trovato in quella situazione assurda. Lo avevano cresciuto nel bel mezzo del fottuto niente per poi lasciarlo da solo ad esplorare il resto del mondo con una preparazione totalmente inadeguata. Era stato preso in giro proprio dalle persone che dicevano di amarlo, gli avevano insegnato ad esprimere le sue emozioni quando invece avrebbero dovuto educarlo a contenerle. Maledetti loro e la loro educazione da hippie. Perché gli avevano detto solo bugie? Perché non gli avevano insegnato che i ragazzi non devono avere paura?

Alle scuole medie Eiji dovette combattere a lungo contro la noia. Provava quel malessere interiore sia durante gli allenamenti del club sia durante le ore di lezione. Nonostante tutta la sua buona volontà trovava noioso stare con i compagni, facevano cose stupide, parlavano sempre degli stessi argomenti e ridevano per delle battute imbecilli che Eiji squallide Schiacciato dalla malinconia per la mancanza di Sumiko, iscritta dai genitori in un’altra scuola, aveva infine deciso di rinunciare ad andare d’accordo coi maschi: preferiva di gran lunga la compagnia femminile. Disgraziatamente anche quella scelta divenne motivo di sfottò, ma Eiji, giunto alla fine del secondo anno, ormai sapeva ignorare gli atteggiamenti di scherno nei suoi confronti, allora venne definitivamente etichettato come quello strambo e finalmente fu lasciato in pace. Del resto che Sawakita fosse un pò strano era risaputo sin dall’inizio, lo dicevano persino i compagni di squadra. Su di lui giravano alcune storielle buffe, la maggior parte erano falsità accuratamente sparse nei corridoi da alcuni compagni di squadra invidiosi e umiliati.
L’episodio della doccia, però era veritiero.
Risaliva al primo anno di scuola media, quando gli allenamenti del club erano cominciati da una decina di giorni. Per Eiji si trattava della prima esperienza all’interno di una squadra, una squadra che già gli era ostile a causa della sua schiacciante superiorità su ognuno dei giocatori. Un pomeriggio, mentre si asciugava dopo essersi lavato, adocchiò casualmente un ragazzo più grande. Eiji se l’era trovato davanti completamente nudo e non aveva potuto far a meno di notare le dimensioni abbondanti del pene altrui. Nello sguardo di Eiji c’era solo la curiosità del confronto, nessuna malizia o doppio senso. Il proprietario di quel grosso arnese, però, aveva mal interpretato e aveva reagito malamente: «Che cazzo hai da guardare, frocetto?» Eiji aveva abbassato silenziosamente lo sguardo, inorridito dall’uso di quella parola. 

 

«La vuoi smettere?!?» domandò Eiji piuttosto seccato. Raccontare a Sumiko l’episodio della doccia era stato un grande, grandissimo errore. Eiji cercava da lei spiegazioni, ma finora l’unica cosa che era riuscito ad ottenuto era un attacco di ridarella isterica. Proprio quando era sul punto di rompere il loro patto di eterna amicizia, Sumiko finalmente riuscì a darsi un contegno. 
«Non devi fissare il pene degli altri ragazzi, Eiji» gli spiegò pazientemente. 

«Non lo stavo fissando! Era lì e mi è sfuggito lo sguardo. Ho solo notato la differenza fra i nostri così, tutto qui»
Eiji conosceva il senso del pudore e non voleva passare per il guardone di turno.
«È uguale» lo liquidò Sumiko in fretta. Pensieroso, Eiji la osservò prendere il pallone e mettersi in posizione per tentare un tiro dalla linea dei liberi.
«Scusa, tu e la tua amica Kaori state sempre a confrontarvi la crescita del seno. Ve lo siete pure toccato una volta. Eravamo al lago, vi ho visto» insistette lui. 
«Oddio, hai provato a toccarlo?!?» domandò lei ad occhi sgranati. Per lo stupore la palla le sfuggì dalle mani.
«No, certo che no!» ribatté Eiji, scandalizzato.
«Senti, le ragazze in privato possono guardarsi i seni a vicenda, i ragazzi non possono guardarsi il pene.»
«Perché per i maschi è diverso?»
«E che ne so! Non c’è un motivo, è così e basta» aveva concluso Sumiko scollando le spalle. Di nuovo qualcosa che gli era vietata solo perché maschio. Non che Eiji volesse mettersi ad esaminare tutti i peni che gli fossero capitati sottocchio in futuro, piuttosto sentiva il bisogno di comprendere i motivi alla base di certe differenze fra ragazzi e ragazze, ma nessuno era capace di dargli una risposta, inoltre gli sembrava di essere l’unico interessato alla faccenda. Forse avevano ragione su di lui; era un tizio strano che faceva un sacco di domande strane su questioni semplici. Sumiko aveva intuito la sua confusione e gli aveva dato qualche pacca d’incoraggiamento sulla spalla.
«Eiji, quando tuo padre usa quei paroloni complicati sul genere e gli stereotipi parla più o meno questo» 
«Lui la fa sembrare una roba semplice, ma in realtà è un gran casino» 
«Altroché» annuì Sumiko con aria solenne. 
«Ehi, voi due!» li richiamò Aimi affacciandosi sul porticato «è pronta la cena.»
«Arriviamo, mamma.» 
Eiji sospirò e non fece mai più domande sull’argomento. 

Una settimana dopo Eiji si ritrovò sdraiato a terra a guardare il cielo. Non sentiva nemmeno più il dolore delle botte, soltanto una gran voglia di restarsene lì ad ammirare quel pezzo di azzurro.
«D’ora in avanti stai attento a come parli, moccioso. Capito?!» 

«Eh eh, guardate, sta piangendo, il frocetto!!» 
Spostò gli occhi pesti e pieni di lacrime sui senpai che lo circondavano. 
«Coraggio, rispondi! Oppure vuoi prenderne ancora?!?» 
Si sentiva così stanco…
«Voialtri, siete proprio una noia» 

Oltre a dover fare i conti con una realtà deludente e avversa, Eiji in quel periodo era piuttosto preso dalle sensazioni legate agli improvvisi cambiamenti del suo corpo. Il ricordo della sua prima erezione era legata ad una domenica d’estate, calda e appiccicosa. A undici anni compiuti era stato preallertato dell’imminente arrivo della pubertà, ma né le parole pazienti di sua madre, né le fredde spiegazioni di anatomia nell’ora di scienze, lo avevano preparato davvero ad affrontare quel momento. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, Eiji aveva preso sempre più confidenza con il suo nuovo corpo e in qualche modo, attraverso una misteriosa crescita parallela, era perfino riuscito a scendere a patti con tutti i suoi perché. Alla fine delle scuole medie si era sentito miracolosamente vicino ad un equilibrio. 

Cominciare le superiori fu come riprendere a respirare dopo minuti di apnea forzata. Grazie alla squadra Eiji ritrovò l’entusiasmo del gioco e ritrovò la serenità nella presenza di Sumiko, ammessa al Sannoh con una borsa di studio per merito scolastico. Essere la stella nascente della squadra di basket gli aveva conferito un’indiscussa popolarità ed Eiji, che si era sempre ritenuto una persona socievole, aveva trovato quella novità tutto sommato positiva. 

«E’ la tua ragazza?»
Eiji alzò lo sguardo dal proprio pranzo e lo puntò sul viso di Nobe. Aveva lineamenti così duri che sembravano tagliati con l’accetta. 

«Chi?» domandò perplesso.
«Quella di 1^B con cui vai a casa tutti i pomeriggi» rispose Nobe con un sorrisetto complice. 
«Oh ti riferisci a Sumiko. No, non è la mia ragazza, siamo solo amici, ci conosciamo praticamente  da una vita» spiegò Eiji.
D’istinto si guardò intorno alla ricerca dell’amica, ma di fatto sarebbe stato impossibile individuarla nella folla. Il caldo afoso di fine estate aveva finalmente lasciato spazio ad un mite sole d’autunno e gli studenti si erano riversati in massa nel giardino per la pausa pranzo. Lui e Nobe erano riusciti ad accaparrarsi un bel posticino all’ombra di un salice, su un fazzoletto d’erba ai margini del piazzale centrale. Nel via vai di persona un gruppetto di ragazze ciarliere si fermò proprio davanti a loro. Dopo una serie di gomitate vicendevoli e risatine imbarazzate, una di loro si fece avanti con audacia. 

«Ciao, Sawakita» disse decisa, fissandolo dritto in viso. Lui ricambiò il saluto sorridendo educato, poi riprese tranquillamente a mangiare, mentre un allibito Nobe guardava quella ragazza dai lunghi capelli lucidi rientrare fra i ranghi delle amiche.
«E quella chi è?» domandò appena il gruppetto ridacchiante si fu allontanato abbastanza. 
«Boh» fece Eiji alzando distrattamente le spalle. 
«Certo che sei proprio strano tu» 
«Sai che novità»

Il fatto che Sawakita non approfittasse della sua notorietà per uscire con le ragazze divenne motivo di stupore fra i suoi coetanei e lo stupore si concretizzò sotto forma di un chiacchiericcio più o meno sussurrato. Eiji era abbastanza temprato da ignorare quei pettegolezzi e sopratutto, a contare davvero era solo il basket.

Il giorno in cui il mister aveva annunciato che durante le vacanze primaverili la squadra sarebbe partita per un ritiro negli Stati Uniti, Eiji aveva seriamente temuto di pisciarsi sotto dall’emozione. L’ultimo giorno di scuola, Tetsu lo aveva portato fuori per festeggiare l’evento imminente. Il ristorante cinese in cui stavano cenando era famoso in tutta la zona per l’ottima cucina a prezzi modici. Si trovava a Noshiro, ad una decina di minuti a piedi dal Sannoh, e occupava il pianterreno di un fabbricato cadente che risaliva almeno ad una quarantina di anni prima. Subito accanto all'entrata c'era la cassa, vecchia e polverosa; poi spiccava un paravento molto sgargiante; e alle pareti erano appese varie fotografie paesaggistiche sbiadite dalla luce. I pochi tavoli in legno del piccolo locale erano spartani e il colore originale delle pavimento era indefinibile. Mentre la cameriera portava via i piatti degli antipasti Tetsu sospirò sonoramente e disse:
«Fra poco compirai sedici anni, Eiji» 

Ohi, ohi. Niente di buono in vista. Quando Tetsu esordiva in quel modo, puntualizzando la sua età,  Eiji finiva sempre invischiato in una di quelle assurde conversazioni padre-figlio.
«Sei un adolescente adesso. Come è giusto che sia sentirai il bisogno di avere momenti e spazi tutti tuoi per costruire la tua individualità o per restare in intimità con un’altra persona. Capisci cosa intendo?»
Accidenti, era peggio di quanto pensasse.
«Se stai cercando di farmi il discorsetto sulle api e i fiori, sappi che sei arrivato in ritardo» 
Suo padre scrollò la testa.
«Non esattamente come lo intendi tu, Eiji. Io e mamma vorremo che tu possa sperimentare la tua sessualità in maniera serena, con tutti gli strumenti adeguati»
Eiji uggiulò come un cane trascinato dal veterinario.
«E io vorrei tanto che mi aveste insegnato a credere in un qualsiasi Dio solo per poterlo pregare di uccidermi all’istante» borbottò a bassa voce, sentendosi arrossire. Si guardò intorno, quasi alla ricerca di aiuto. Quella sera, a parte loro due, c’erano una coppia sulla cinquantina alquanto taciturna, tre uomini in tuta da lavoro che gustavano rumorosamente un piatto di râmen e un'allegra famiglia con una bambina di quattro o cinque anni. Forse avrebbe potuto farsi adottare da quelli là.
«Per favore, papà, siamo in pubblico» lo supplicò, lamentoso. Tetsu agitò una mano con noncuranza.
«Nessuno ascolta le conversazioni altrui al ristorante»
«Senti, conosco anche il resto; ok? Usare sempre il preservativo, prestare attenzione al partner,  accertarsi del consenso, eccetera, eccetera» disse spiccio, sperando che bastasse a chiudere la questione, invece Tetsu tornò alla carica e sembrava più agguerrito di prima.«Ascolta» disse appoggiando i palmi sul tavolo per sporgersi un poco verso Eiji «mi rendo conto di quanto questo confronto possa metterti in imbarazzo…»
«Oooh io non credo proprio, invece» intervenne lui. 
«…però è importante parlarne, con delicatezza, ma senza liquidare l’argomento» continuò imperterrito «perché vedi, Eiji, per quanto tu possa essere informato, sei inesperto. In quei momenti è facile cedere a compromessi, le emozioni confondono e si possono commettere imprudenze senza pensare alle possibile conseguenze» 
«Papà, il sesso non m’interessa.»

Tetsu aveva creduto che il figlio gli stesse confessando di non avere una relazione, cosicché gli aveva sorriso indulgente e si era lanciato in un epico pippone sull’importanza della sfera affettiva nel sesso. Eiji lo aveva lasciato andare a briglia sciolta, ben intenzionato ad evitare di chiarire l’equivoco.
Il sesso non m’interessa.
Con quelle parole lapidarie, affiorate d’improvviso alla coscienza, Eiji non voleva sottintendere proprio nulla. Le ragazze, l’attrazione, il sesso, tutte quelle cose che riempivano una buona fetta delle conversazioni dei suoi compagni, lo lasciavano indifferente. Gradualmente imparava nuovi kanji, si approccia a calcoli sempre più complicati, ma quel compito di crescita, che agli altri sembrava venire così facile, lui non riusciva proprio a superarlo. Non sapeva nemmeno da dove cominciare. La sua testa si riempì di nuovo di domande che gli inceppavano il cervello, cosa avrebbe dovuto provare? Come si sarebbe dovuto comportare? A che pensavano gli altri ragazzi mentre si masturbavano? Eiji dedicava quel momento solo a se stesso. Scivolava in una bruma leggera e soddisfava i suoi desideri senza immaginare nulla. Ad un certo punto aveva pure rimuginato sulla possibilità di farsi prestare da Kawata uno dei suoi numerosi manga hentai, poi aveva desistito. Gli era già capitato di sfogliarne qualcuno durante un ritiro, i ragazzi si divertivano un mondo a portarseli dietro di nascosto per guardarli tutti insieme la sera. Eiji aveva finto che anche lui piacessero da morire, ma in realtà quelli disegni così espliciti lo ripugnavano. Tutti intorno a lui si muovevano in quella direzione, persino Sumiko aveva cominciato ad uscire con un ragazzo. Eiji aveva la sensazione di essere rimasto indietro. Ormai era impossibile ignorare l’anomalia della sua condizione, senz’altro c’era qualcosa di sbagliato in lui. Il fragile equilibrio raggiunto si era spezzato. 

Trovò casualmente Sumiko in un’aula vuota del terzo piano, seduta ad un banco ingombro di libri e appunti. Anche i banchi intorno a lei erano ricoperti di fogli zeppi di schemi e mappe concettuali tutte colorate. Ad ogni colore era associato un significato preciso, in un’ordine maniacale. Eiji si avvicinò all’amica, che seguitava a a sfogliare convulsamente il manuale di scienze. 
«Puoi interrogarmi?» chiese allungandogli impaziente il libro. Eiji lo prese solo per chiuderlo e metterlo da parte.

«Basta così, Sumi-chan. E’ inutile ripassare a questo punto, gli esami cominciano domani» 
Nonostante gli occhi rossi e il viso stravolto dalla stanchezza, Sumiko tentò un ultimo assalto.
«Per favore, Eiji, fatico a memorizzare le combinazione delle basi azotate del DNA» 
«Non è vero, le sai» la rassicurò sorridendole «comunque; Apple in the Tree, Car in the Garage. Adenina con Timina, Citosina con Guanina. E’ tardi, andiamo a casa.» 
S’incamminarono verso la stazione sotto una cappa di calore asfissiante. Il temporale abbattutosi sulla città nelle prime ore del pomeriggio si era lasciato dietro un’umidità insopportabile. Eiji sentiva la camicia aderire alla schiena bagnata di sudore e una gran bisogno di sfogare le sue preoccupazioni con Sumiko, ma ormai non parlavano più come prima. Lo studio e la disciplina quasi militaresca imposti alla squadra gli avevano riempito la vita come mai prima. Per Eiji quei ritmi estenuanti erano stati una benedizione perché non gli concedevano il tempo di soffermarsi sui suoi pensieri confusi, da l’altra parte l’amicizia con Sumiko ne aveva risentito tanto. Lei faceva parte di ogni genere di club e dedicava i week end al suo ragazzo, un tizio di un’altra scuola conosciuto alle olimpiadi di matematica. A malapena riuscivano a ritagliarsi qualche minuto durante l’intervallo. Eiji la sbirciò di sottecchi, Sumiko era assorta, probabilmente ancora impegnata a ripassare mentalmente. 
Attraversato l’incrocio davanti alla scuola, lei gli tirò piano una manica. 
«Vieni, tagliamo per il parco» 
Una volta lì, invece di seguire il sentiero coperto di ghiaia che attraversava il parco, sbucando proprio davanti alla stazione, svoltò a destra, verso l’area giochi. Salì su uno scivolo e si sedette sulla piattaforma, dando le spalle alla discesa, poi fece cenno ad Eiji di avvicinarsi. Lui mollò la cartella per terra e si piazzò alla base delle scale. La metà sinistra del viso di Sumiko era illuminata dalla luce del tramonto, mentre la destra era immersa nella penombra. 
«Ultimamente ci siamo un pò allontanati l’uno dall’altra, non è vero?» domandò di punto in bianco, piegando un poco la testa di lato. Eiji inghiottì lentamente la saliva e annuì. D’improvviso si sentì tremendamente in colpa. Fissò il piccolo naso ricoperto di lentiggini di Sumiko e disse a bassa voce: «Mi dispiace»
«A me no» 
Incapace di aprir bocca, stupefatto, Eiji si limitò a guardare l’amica chinare il capo. 
«Mi ha aiutata ad abituarmi all’idea che da settembre sarai ad un oceano di distanza» mormorò con lo sguardo fisso sulle sue ginocchia «vorrei poter dire di essermela cavata bene…» poi le venne meno la voce. Eiji esitò qualche istante prima di prendere le mani di Sumiko fra le sue. Rimasero così, mani nelle mani, a lungo, senza dire niente. Nel parco regnava una quiete incredibile, tanto da far dubitare che lì intorno potessero esistere edifici e strade brulicanti di persone. Ad Eiji quasi dispiacque rompere quel silenzio miracoloso.
«Mi mancherai molto anche tu, Sumiko, ma ricordati che c’è un voto di eterna amicizia fra noi e nemmeno il Pacifico può rompere un patto fatto con lo sputo a sette anni. Quindi ti toccherà sopportarmi per tutta la vita» disse abbozzando un vago sorriso. Al che Sumiko rialzò lo sguardo, trasse un profondo sospiro e ricambiò il sorriso.
«Prometti solo una cosa, Eiji» disse, stranamente solenne.
«Cosa?»
«Promettimi che non fisserai il pisello degli altri ragazzi»

Con gli esami alle spalle le giornate cominciarono a scorrere più velocemente. Poco prima dei campionati nazionali Eiji e Sumiko si presero una serata solo per loro, conclusasi a vomitare vodka scadente nel giardino di casa Sawakita. Nemmeno da sbronzo era riuscito a condividere con Sumiko le sue preoccupazioni. Tuttavia il loro dialogo nel parco era servito a scuoterlo; Eiji si era rientrato su sé stesso e sui suoi obiettivi. Gli Stati Uniti. Eiji sapeva che l’America sarebbe stata tutt’altro che un sogno, era conscio degli immensi ostacoli che lo aspettavano, delle fatiche che avrebbe dovuto affrontare, eppure nel suo cuore non nutriva alcun dubbio. Aveva fatto del basket la sua ragione di vita ed era solo quello a contare davvero, tutto il resto poteva essere messo da parte. 

Poi c’erano stati i campionati, la sconfitta e infine Kaede Rukawa.

 

  
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