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Autore: crazyfred    07/07/2022    4 recensioni
Ritroviamo Alex e Maya dove li avevamo lasciati, all'inizio della loro avventura come coppia, impegnati a rispettare il loro piano di scoprirsi e lavorare giorno dopo giorno a far funzionare la loro storia. Ma una storia d'amore deve fare spesso i conti con la realtà e con le persone che ci ruotano attorno.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sotto il cielo di Roma'
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Capitolo 13

 
Il traffico di Roma è qualcosa che si dimentica facilmente, anche solo andando via dalla città per pochi giorni. Bloccato nel van dai vetri oscurati che aveva trovato ad attenderlo in aeroporto, Alex aspettava impaziente di uscire dal Raccordo Anulare mentre Stefano e Nardi gli parlavano, ma lui sentiva le loro voci come un brusio indistinto. Meccanicamente riusciva anche a rispondergli, ma non aveva la benché minima idea di cosa stessero parlando. Mentalmente era completamente prosciugato. L’adrenalina, che lo aveva tenuto all’erta durante tutto il soggiorno parigino, ora stava crollando, lasciandolo devastato. Non era stato un viaggio negativo, Roma Glam era sulla bocca di tutti e la presentazione sul network che avevano creato con le altre riviste era stata un trionfo, ma la sua testa era rimasta ferma alla sera prima della partenza e tutto il resto, anche il suo discorso, andava con il pilota automatico.
“Ci vediamo lunedì in ufficio” tagliò corto, quando il van si fermò davanti al suo residence per farlo scendere per primo, neanche a dirlo “per prima cosa rivediamo tutto il materiale e così chiudiamo questo capitolo”
Non era sicuro che avere la domenica a disposizione per stare da solo e riposarsi fosse la cosa migliore che potesse capitargli in quel momento. Aveva bisogno di risposte, risposte che era sicuro di non poter ottenere perché l’unica persona che poteva dargliele lo aveva cacciato di casa malamente, senza dargli diritto di replica.
Non aveva fatto altro che pensarci in quei giorni, appena il gran chiasso di numeri, percentuali e fatturati taceva e smetteva di sormontarlo. In alcuni momenti sentiva l’aria mancargli nei polmoni, come fosse in alta montagna. Avrebbe voluto qualcuno – no, non qualcuno, Maya - al suo fianco che gli slacciasse la cravatta, gli sbottonasse la camicia e, sistemato il colletto, gli dicesse che tutto sarebbe andato bene, sorridendogli. Quando lo faceva da solo, di fronte allo specchio di una toilette asettica del centro conferenze, non era per niente la stessa cosa.
Sfilare con il trolley lungo il marmo grigio e lucido nella hall dalle pareti bianche non aveva il sapore di rientro a casa che normalmente si vorrebbe.
“Buonasera signor Bonelli! Bentornato! Fatto buon viaggio?” Il receptionist in giacca e cravatta lo salutò cordiale.
“Buonasera Angelo” ricambiò lui, leggendo il nome dalla targhetta dorata sul bavero della giacca blu scuro del giovane “le chiavi del mio appartamento per favore, le ho lasciate qui prima di partire”
Il receptionist annuì, girandosi al tabellone delle chiavi. “Ecco qua. Ah, signor Bonelli, in appartamento le abbiamo lasciato gli abiti puliti dalla lavanderia e la posta che è arrivata in questi giorni. Serve altro?”
“Potrebbe ordinarmi la cena per favore? Per le 20. Faccia lei, ma qualcosa di mooolto romano. Ne ho abbastanza di zuppe, aglio ovunque e formaggi per dessert”
Il ragazzo, sempre molto formale, si lasciò andare ad un sorriso complice; Alex non gli diede molto retta, prese le chiavi e se ne andò verso gli ascensori. Il suo unico obiettivo era chiudere le persiane, stendersi sul letto e fissare, al buio, il soffitto della camera da letto per le due ore successive.
Entrato in casa, trovò un pacco sulla panca all’ingresso. Non aveva ordinato nulla e non c’erano mittenti. Non era particolarmente pesante e si sentiva che lì dentro qualsiasi cosa ci fosse ballava un po’. Lo poggiò sul tavolo da pranzo e prima di prendere un coltello per aprirlo si versò del whisky dal minibar. Il sapore dell’alcol era troppo forte, ma forse aveva più a che fare con l’ora che con la qualità del distillato. Tornò al pacco, poggiando il bicchiere lì di fianco, sul tavolo; una volta liberatosi dell’imballaggio una coltellata lo colpì in pieno petto: prese un lungo respiro, quasi accasciandosi e ricordandosi che non poteva prendere a pugni nulla in quell’appartamento che era solo in affitto.
Maya gli aveva mandato indietro le sue cose, quelle che per quel poco tempo che erano stati insieme aveva lasciato a casa sua. Un pigiama – il più delle volte gli rubava la maglietta lasciando a lui solo il pantaloncino, un paio di magliette bianche e degli slip, una felpa con la zip, lo spazzolino e il kit per la barba e naturalmente la moka con le due tazzine che lui aveva comprato per fare colazione insieme come piaceva a lui.
Messaggio ricevuto: aveva messo quelle settimane in una scatola e le aveva rispedite al mittente.
Era prevedibile ma fino a quel momento aveva sperato che fosse solo una parentesi; che concedersi qualche giorno di lontananza sarebbe stato utile ad entrambi per ricalibrare testa e cuore e ripartire. Dentro di sé però lo sapeva bene, fin dal primo istante, quando aveva chiuso la porta dietro di sé ed era andato via, che non sarebbe mai successo. Come poteva? Quegli occhi così caldi e accoglienti erano neri come la pece, lo sguardo spento da quella luce che sapeva emanare, pieno solo di odio nei suoi confronti.

In quei giorni aveva pensato e ripensato a quello che era successo, al perché era successo, a come erano stato possibile non capire che stavano prendendo due strade separate. Lei lo aveva accusato di non darle spazio, di mettere sempre davanti gli altri, ma non era stato un periodo facile; forse era vero che aveva riversato tutta l’attenzione su Edoardo ma era comprensibile, e lei questo non poteva capirlo perché non figli non ne ha, e forse stava a lui farle capire perché non poteva darle tutte le attenzioni che reclamava, che in quella relazione non potevano essere davvero solo in due; però era anche vero che lui non si era accorto di quella richiesta e di questo non riusciva a capacitarsene.
Scolò in un solo sorso tutto il restante whisky dal bicchiere, bruciandosi la gola. Nota: prossima volta, on the rocks. Lo deglutì con una smorfia.
Prese il telefono dalla tasca dei pantaloni. Sullo sfondo un selfie che lo aveva obbligato a fare con lei al mare, ancora bagnati, avvolti nell’asciugamano. Non era riuscito a cambiarlo. Lui non si era mai fatto dei selfie prima di Maya, nemmeno per gioco con Giulia. Figurarsi usare una foto personale come sfondo. Forse era stato stupito da parte loro illudersi che la loro relazione potesse essere sempre così, ma non si era mai sentito meglio in vita sua come in quei giorni con lei. Per una persona come lui era da incoscienti credere di poter vivere una storia d’amore come un adolescente … per una persona come lui … imporsi un ruolo e dei limiti era proprio quello che aveva fatto naufragare il matrimonio con Claudia. Che fare, allora? Chiamarla? Non avrebbe risposto. Scriverle? Per dirle esattamente cosa? Non lo sapeva nemmeno lui. Anche perché non era così stupido da credere che un pacchetto di scuse ben apparecchiate sarebbe bastato. La conosceva bene, forse non così bene da evitare quanto era successo, ma abbastanza da capire come avrebbe reagito se si fosse avvicinato.
E questo gli ricordò che in meno di 48 ore avrebbe dovuto affrontarla di nuovo comunque, lavorarci a stretto contatto. Non voleva pensarci, forse la cosa migliore da fare era improvvisare sul momento; magari le cose sarebbero tornate da sole a posto, vedendosi … sì, credici
Mentre se ne stava a sognare ad occhi aperti il loro primo incontro, il telefono gli vibrò tra le mani.
“Claudia?” rispose, massaggiandosi la fronte.
“Ehi ciao! Sei tornato?”
“Sì sono appena rientrato”
“Disturbo?”
“Ehm no, sto disfacendo le valigie. È successo qualcosa?
 il suo pensiero corse immediatamente al figlio Come sta Edoardo?”
“No … niente…tranquillo, Edo sta come un fiore. Solo mi chiedevo se avessi programmi per la serata …”
Il riferimento a Maya era palese, ma certo non poteva dirle cosa era successo; era diventata più comprensiva, ma conoscendola si sarebbe fatta un’impressione sbagliata o peggio si sarebbe creata false speranze.
“Ehm .... no veramente” ma non riuscì a trattenere un grosso respiro di sconforto.
“Che succede? Tutto bene?”
“Sì sì, tutto bene. Sono solo stanco”
“Senti … pensavo … fai una bella doccia e vieni a cena da noi, sono cinque giorni che i bambini non ti vedono, alla fine nemmeno sei passato martedì sera”
“Sì lo so, ma è successo un casino con il lavoro, te l’ho detto” era il meglio che riuscito ad inventare quella sera e dopo che era andato via da casa di Maya aveva avuto bisogno di fare un lungo giro in moto e rientrare che quasi era giorno. “Comunque ti ringrazio ma non ce la faccio, anzi … credo di essermi preso un bel malanno. Il tempo faceva veramente schifo, sembrava novembre!”
“Va beh … domani però pranzi con noi?”
“Non lo so … vediamo” sviò, notando come il suo modo di fare fosse tornato pressante anche se nascosto da modi garbati “dai passami Giulia che la sento abbastanza assillante fin da qua”
“Non ne hai idea”
 
 

Alice!” chiamò Maya, affacciandosi dalla sala relax nell’area dell’ingresso dove la collega se ne stava nel suo angolino, fissa con lo sguardo sullo schermo del computer, il mouse in mano: con molta probabilità stava solo giocando ad un solitario.
“Alice!” Al volume di voce più sostenuto, la receptionist finalmente alzò lo sguardo. “Ti va un caffè?”
Senza farselo ripetere due volte, Alice sistemo all’orecchio l’auricolare bluetooth e lasciò la sua postazione, guardandosi intorno con fare circospetto e comico, come fosse in procinto di compiere un crimine.
“Perché stiamo bevendo il caffè di Alex? Hai istinti suicidi per caso?” domandò, quando vide Maya versare il caffè dalla moka.
“No, semplicemente ho dato per scontato che lo volesse e ora mi trovo con un caffè costosissimo appena fatto che il diretto interessato non vuole” “Guarda che se ti ha accordato un permesso speciale puoi dirmelo eh…” continuò la ragazza ammiccante, ma Maya fece finta di non cogliere le sue insinuazioni.

Naah, è solo la forza dell’abitudine”
Seh, ora si chiama forza dell’abitudine. Certo non poteva dirle che avevano iniziato a smezzare una moka a metà mattinata, prima della riunione di redazione. Così come non poteva certamente spiegarle che quella mattina l’aveva caricata meccanicamente dimenticandosi che non ci sarebbero state più pause caffè insieme. Era stato già un miracolo riuscire a gestire il suo rientro al lavoro senza avere una crisi di nervi: pur con tutta la fatica del mondo entrambi erano sembrati troppo indaffarati per guardarsi in faccia o restare da soli nella stessa stanza; il caso stava facendo loro un favore grosso come una casa e Maya avrebbe volentieri acceso un cero al santo patrono dei segretari perché era ben conscia che quella distanza di sicurezza non poteva durare a lungo.
Mentre le due colleghe prendevano quel caffè, Alice si perdeva nei dettagli del suo prossimo cosplay per una fiera di comics di cui sicuramente Alice le aveva detto il nome ma Maya stava a sentirla troppo distrattamente per ricordarsene, concentrata a trovare le parole giuste per indorare la pillola che stava per darle. “Devo dirti una cosa …” la interruppe. Ma proprio in quel momento, Alex entrò nella sala, imperioso. Alice di scatto si alzò, come fosse un preside e lei la studentessa da espellere. Maya restò dov’era, impassibile, finendo il suo caffè con calma.
“Che c’è?” domandò, poggiando la tazzina sul tavolino.
“Devo parlarti”
“Sono in pausa … tra un quarto d’ora”
“Vieni subito nel mio ufficio, poi per quanto mi riguarda puoi prenderti anche un’ora di pausa”
“Molto bene” decretò Maya, alzandosi e andando verso l’uscita della sala “Alice pensi tu alle tazze per favore?” domandò, sussurrandole un grazie quando la ragazza annuì, mortificata da quella patetica sceneggiata. Con tutta la flemma di questo mondo si diresse verso l’ufficio: sapeva cosa l’aspettava e sarebbe scappata volentieri se non avesse significato dare spettacolo di sé o, peggio, fare davanti ad lui la figura di chi scappa dai problemi.
Alex chiuse la porta del suo ufficio dietro di loro, anche se probabilmente sarebbe servita a poco: quella scenetta in un’area comune avrebbe presto raggiunto l’attenzione di molti, ed era solo per un minimo di decenza non avrebbero trovato una marmaglia di pettegoli ad origliare dietro la porta.
“Allora?” domandò lei, le mani sui fianchi, in piedi di fronte alla scrivania dell’uomo.
“Cos’è quella pagliacciata che ho trovato sulla scrivania?”
“Intendi la mia lettera? Non è una pagliacciata … rimani ancora il mio capo, volevo farti sapere che ho preso la decisione di andarmene e tra qualche giorno le Risorse Umane riceveranno comunicazione formale via PEC”
“Perché?”
“C’è bisogno che ti faccia uno schemino per spiegartelo? Non posso più lavorare per te, non fa bene a nessuno dei due”
“E se io non volessi?”
“Sai che non puoi farlo, a meno che tu non voglia finire in tribunale. Avrai 30 giorni di preavviso, come previsto dalla legge, così puoi trovare un sostituto, e sarò al mio posto fino alla fine, ma non chiedermi di restare. Anzi … ti do un consiglio: nell’inserzione, chiedi una reperibilità h24 per la prossima candidata …”
“Ti chiedo solo di aiutarmi a capire…non mi ero reso conto che forse ti sei sentita messa da parte nell’ultimo periodo, su questo ti do ragione, ma era inevitabile visto che nessuno doveva sapere di noi ufficialmente”
“Ma ci fai? Pensi davvero che fossi scontenta di non essere la tua compagna in pubblico? Sono stata io a chiederti di non fare annunci. IO! E ti svelo una notizia incredibile: lo farei di nuovo, perché non è mai stato quello il problema. Mi hai fatta sentire stimata, ma per quello mi bastava già il contratto di lavoro, non c’era bisogno di stare insieme. Com’è che hai detto tu? Ah sì, utile … non amata”
“La vita non è un perenne weekend a Santa Marinella, Maya”
Maya gli voltò le spalle: non voleva che vedesse quanto quel commento l’avesse ferita. Una coltellata in pieno petto avrebbe fatto meno male probabilmente.
“A me lo dici?!” esclamò, tornando a guardarlo in faccia pur con estrema fatica “Io che per vivere come se la mia vita fosse un film stavo per rimanere senza un quattrino!”
“Fammi finire … il punto è che c’è sempre qualcosa che ci porta via del tempo o imprevisti che ci trattengono”
“Certo che sì, ma quando una persona dice di amarti speri che ti metta sullo stesso piano delle altre persone a cui vuole bene. E non diventi l’ultima ruota del carro, buona per passarci del tempo solo quando non ha altro per la testa”.
In quel momento, Alessandro avrebbe solo voluto avere a disposizione una macchina del tempo per andare indietro e rimangiarsi tutte le stronzate che le aveva detto prima di partire, e tirare due schiaffi al coglione che qualche giorno prima aveva pensato di essere l’unico da compatire, l’unico che stava passando un brutto periodo, senza rendersi conto del peso che lei si portava dentro da giorni. Provava un disgusto viscerale per sé stesso perché, ora se ne rendeva conto, aveva smesso di guardarla davvero. L’aveva data per scontata. La sua comprensione, la sua generosità, tutto era diventato improvvisamente dovuto perché tanto erano insieme.
“Sono stanca …” disse Maya, respirando a fatica, ricacciando in dentro le lacrime “come devo dirtelo Alex? Abbiamo chiuso, è finita”
“Non è finita. Io non voglio chiuderla.”
Le si avvicinò e, lentamente, scostò il ciuffo ribelle di capelli che, come sempre, le finiva davanti agli occhi quando li lasciava sciolti. Un brivido corse lungo la schiena di Maya non appena le dita dell’uomo la sfiorarono impercettibilmente. Chiuse gli occhi: se non poteva vederlo, sperava, non stava succedendo davvero. Lui tornò a sentire quel profumo che gli faceva girare la testa eppure ora faceva malissimo: era diventata inaccessibile. Non giocava a fare la preziosa, era incattivita e stremata ed era tutta per colpa sua. Neanche la castrazione sarebbe stata una penitenza sufficiente ad espiare. Sei un uomo di merda, Bonelli, si disse.
“Ritorna con me … perdonami” soffiò, sottovoce “io ti amo!”
“Smettila per favore …” si allontanò da lui, portandosi vicino ad un finestrone aperto. La leggera brezza di quella giornata al 19esimo piano si trasformava in folate di vento energiche, aiutandola a spazzare dalla testa tutti i pensieri, buoni o cattivi che fossero.
“Vorrei solo che tu capissi quanto ho bisogno di te …” continuò l’uomo, alle sue spalle, poggiando le sue grandi mani sulle braccia e parlandole all’orecchio.
“Adesso basta!”
Alex avrebbe dovuto impedirle di urlare ma non l’avrebbe fatto. Non gli interessava di nient’altro all’infuori di lei, e se era l’unico modo per riuscire a rimettere insieme i cocci, avrebbe accolto volentieri ogni pettegolezzo.
“È questo il punto… tu hai solo bisogno.” sbraitò, voltandosi verso di lui e guardandolo dritto negli occhi; le faceva male ma lui doveva sapere che faceva sul serio. “Ma io non sono un gioco con cui passare il tempo quando ti senti solo o annoiato o … o hai voglia di fare sesso. Non siamo in un film in cui è scritto che i due protagonisti devono finire insieme nonostante tutto a cinque minuti dalla fine. Se mi vuoi davvero … te lo devi guadagnare! Dimostrami che sei ancora l’uomo meraviglioso che mi aveva promesso di lavorarci un passo alla volta, INSIEME, e non lo stronzo per cui tutto era sempre più importante di me. Fino ad allora abbiamo chiuso.”
Forse, pensò Maya, uscendo dalla stanza e correndo in bagno, non c’era altro modo per finire la loro storia. Non poteva esserci calma o tenerezza, perché non ci si può lasciare così come ci si è amati, sarebbe un controsenso. Altrimenti non ci si lascerebbe.
Era stato troppo bello per essere vero aveva pensato, una volta rimasta sola, la sera che lo aveva cacciato di casa. E ora detestava quella frase come detestava lui, perché era stato bellissimo ed era stato tutto tremendamente vero.
 
 
“Maya? Tutto bene?” Alice entrò nel bagno delle signore dopo averla intravista uscire in fretta dall’ufficio di Alex, la testa bassa e le braccia strette contro il torso. A metà tra una crisi di pianto e una di vomito. Quale che fosse, non aveva proprio una bella cera. “Maya?!”
Maya si era chiusa in uno dei due cubicoli; non rispondeva, ma i singhiozzi arrivavano ben distinti.
“Tesoro si può sapere che succede? Non sono qui per farmi i fatti tuoi … ma … ma se vuoi puoi parlarne con me, sfogarti un po’. Sarò una tomba. Lo giuro”
Alice rimase per qualche minuto appoggiata alla porta dello scomparto dove Maya si era infilata, sentendola calmarsi poco alla volta. Quando la sentì aprire la serratura, fece un passo indietro.
“Non c’è bisogno di giurare, Alice” le disse Maya, uscendo “mi fido.”
Era un cadaverino, bianca come un lenzuolo. Si appoggiò di peso sul piano del lavandino, prendendo un fazzoletto dal dispenser e passandolo sotto gli occhi per eliminare il trucco sbavato guardandosi allo specchio. Era un disastro. E la carta era così ruvida che quasi le fece male, lasciandole il contorno occhi arrossato.
“Che succede? Che mi dovevi dire prima?”
“Me ne vado Alice” disse, tirando su col naso e guardando la collega dal riflesso sullo specchio “Ho detto ad Alex che a breve riceverà le mie dimissioni. Più o meno tra un mese avrai una nuova assistente su cui spettegolare”
Maya le rivolse un occhiolino perché Alice fosse sicura che la stava solo prendendo in giro, senza cattiveria. Il tempo dei sospetti e dei bisticci per loro era ormai passato.
“È successo qualche casino per il lavoro? Lo sai che sono dalla tua parte se serve, non ti puoi licenziare così”
“Non è per il lavoro, o almeno non del tutto”
“E allora?”
Maya si guardò un attimo intorno e fuori dalla porta, chiudendo a chiave la porta del bagno per assicurarsi che nessuno entrasse all’improvviso.
“Sto per dirti una cosa … ma prima mi devi giurare che non urli, non saltelli e non te ne esci con nessuno, neanche con i sanpietrini per strada …”
“Parola di coccinella” giurò Alice, prima tenendo in alto la mano come fanno gli scout e poi portandola davanti alla bocca, per frenarsi. A Maya scappò da ridere per quella situazione surreale, nonostante tutto.
“Io ed Alex ci siamo lasciati” sussurrò. Dalla bocca autoimbavagliata di Alice venne fuori un mugugno che suonava tanto come un Cosa? ma Maya tirò avanti per la sua strada “la sera della festa di Roma Glam ci avevi visto bene”
Alice tolse la mano dalla bocca e mimò un urlo muto, finché non fu in grado di imporre a sé stessa di parlare a bassa voce come la collega.
“Io lo sapevo! Raccontami tutto ti prego …”
Long story short … dopo che te ne sei andata siamo andati a fare una passeggiata e poi … beh non te lo devo dire, lo immagini”
Gli occhi di Alice sembravano quelli di una bambina la mattina di Natale, quando scopre sotto l’albero il regalo più desiderato. Ma presto la sua soddisfazione aveva lasciato il posto alla compostezza, notando lo sguardo malinconico di Maya.
“Aspettami qui …” le disse, andando via per un istante.
Maya tirò fuori un lungo respiro. Non era la prima a cui diceva cosa era successo, sua sorella ed Olivia erano già al corrente ma le aveva tenute a distanza, nonostante i loro tentativi di pronto intervento. Non voleva la pietà di nessuno, nessun te l’avevo detto, nessuna storia vera o inventata per farla sentire meno sola nell’universo degli sfigati. Parlare a quattr’occhi con Alice invece le stava dando per la prima volta la dimensione di quanto quello che era successo fosse vero, paradossalmente di più degli schiaffi verbali volati tra lei ed Alex. Ora davvero non si tornava indietro.
Alice tornò con il borsello dei trucchi di Maya e lo esibì con aria furba ed orgogliosa.
“Non dobbiamo dargli a vedere che ti ha fatto male, capito?” 
le disse Alice, strizzando l’occhio. La ragazza iniziò a prendere le salviette struccanti e il correttore per sistemare le sbavature lasciate dal mascara scolato “Però amo sei troppo alta per me, scivola un po’ con il sedere per favore!!!” 
Maya fece come le era stato chiesto, appoggiandosi come poteva con la schiena sul ripiano del lavandino. Alice senza dire una parola prese a sistemarle il trucco e Maya non poté fare a meno di notare quanto perfettamente naturale fosse quel momento tra loro, senza alcun imbarazzo; in passato non le avrebbe mai permesso di invadere così tanto la sua sfera personale. Ma troppa acqua era passata sotto i ponti. E Maya si sentì immediatamente meglio, come fosse una sessione di massaggi in una spa. 
“Possibile che Alice non vuole sapere proprio nient’altro? O è solo psicologia inversa?” ironizzò Maya.
“Sono pettegola ma non così come si dice in giro. Ti sei aperta con me e questo per me vale tanto, più di tutto. Spero solo che non abbia giocato con te, perché gli renderei la vita un inferno qui dentro, te lo giuro”
“Non ti mettere nei guai”
“Non ti preoccupare tu. Se pensa che noi siamo delle bambole …”
“No, tranquilla. Solo visioni diverse, mettiamola così”
“E sono così inconciliabili? Non si può fare proprio niente per rimettere a posto le cose?” domandò, passandole della terra sul viso.
“Tutto dipende da lui … se ci tiene come dice sa cosa deve fare. Altrimenti addio”
“Oh Maya!” la ragazza, i cui occhi si riempirono poco alla volta di lacrime, scoppiò a piangere “se te ne vai come sopravvivo io qui?”
Maya l’abbracciò forte, strofinandole energicamente la schiena. Era tutto troppo assurdo eppure così vero e bello: Alice era riuscita a tirarla su ma ora aveva finito lei col consolare la collega.
“Tanto per cominciare venerdì dopo il lavoro vieni a casa mia … e poi quando sarà il momento si vedrà”


 

Ciao a tutt*! Dopo una settimana di stop (dovevo pubblicare una OS che mi portavo dietro sul pc da troppo) mi faccio perdonare con un capitolone bello lungo. Maya e Alex fanno i conti con quello che è successo e hanno avuto un confronto più che dovuto, anche se non è andato proprio come Alex avrebbe voluto. E Maya prende una decisione drastica ma secondo me inevitabile. Che ne pensate? Ah e abbiamo aggiunto una nuova amizia alla "truppa" di Maya, chi l'avrebbe mai detto.
Spero di sentire la vostra opinione a riguardo e rinnovo l'appuntamento alla settimana prossima, o giù di lì. A presto, 
Fred ^_^
 

 
   
 
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