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Autore: Fuffy91    09/07/2022    1 recensioni
" “ Sei ancora convinto che le tragedie del passato siano e rimangano insormontabili, per un futuro insieme?”
Silente si crucciò a quel quesito.
“ Mi stai… forse facendo delle avances, Grindelwald?”
“ Ti sto solo sottoponendo dinanzi l’ovvietà dei fatti, Silente.” "
Sulla note sensuali e malinconiche di Billie Eilish, Albus Silente e Gellert Grindelwald ancora una volta immersi in un mio alternativo e personale confronto, in uno scenario differente - ma non troppo - a quello visto ne "I Segreti di Silente".
A voi l'ardua sentenza!
* All'interno della ff, troverete nell'angolo dell'autrice ulteriori chiarimenti. Buona lettura!
Genere: Angst, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald
Note: Lime, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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No time to die

Was I stupid to love you?

Was I reckless to help?

Was it obvious to everybody else

That I'd fallen for a lie?

You were never on my side

Fool me once, fool me twice

Are you death or paradise?

Now you'll never see me cry

There's just no time to die.

 

Billie Eilish, No time to die (2021)

 

 

 

 

Era notte inoltrata quando Albus Silente riuscì a raggiungere la roccaforte di Grindelwald. Il mago si nascondeva molto bene: il castello medievale era ben sorvegliato. Dal suo nascondiglio, Silente riusciva a scorgere ben due robusti figuri all’ingresso principale e doverosamente spalancato; ma c’erano altre tre sentinelle sul tetto dell’edificio e ben quattro per ogni lato del palazzo.

Se non era precauzione, questa, non sapeva davvero cosa fosse altrimenti. Sorrise beffardo Albus, dal suo angolo in ombra, la bacchetta sfoderata, il ciondolo del patto di sangue, scintillante di rubino e d’argento, ben nascosto nel taschino del panciotto color oltremare che gli fasciava i fianchi e il petto occluso.

Era teso, in allerta come una faina tra l’erba alta, attendendo paziente il momento giusto per fare la sua mossa.

L’occasione gli venne concessa ad una distrazione – seppur minima – della seconda sentinella al portone d’ingresso. La più giovane, la meno esperta. Sicuramente scelta dal suo padrone per ben altri talenti, a discapito dell’attenzione preposta al suo attuale incarico.

Un anello in oro bianco gli scivolò dall’indice sinistro, quello che non stringeva assieme alle altre dita la bacchetta nera. Un luccichio nel buio, un tintinnio pietroso e quasi assordante nel silenzio della notte nuvolosa.

Sbuffando e ridotto a poco più di una sagoma oscura contro uno sfondo accecato dai lumi delle fiaccole esterne, il ragazzo arrestò il suo passo lento e si chinò per raccogliere dal pavimento il suo gioiello. Albus ritirò piano la bacchetta, mezzo utilizzato per compiere la sua piccola magia.

Uscì dall’ombra e si lasciò illuminare sfacciatamente dalle luci dei bracieri interni. Avanzò sbrigativo, a passo felpato, e quando il ragazzo, rindossato il suo anello, si voltò e lo vide dinanzi, fu troppo tardi: silenziato sia lui che il suo attento vicino, entrambi finirono a terra pietrificati, gli occhi spalancati ad osservare negli occhi azzurri dell’altro il bagliore della loro negligenza, accompagnati dal suono smorzato di un suo risolino.

“ Perdonate, signori, ma è stato necessario.”

Bisbigliò loro, come se fossero complici della stessa marachella. I due poterono solo sgranare di più gli occhi, incapaci perfino di ruotarli nelle orbite. Silente accentuò il suo sorriso, lesto e divertito.

Controllata per un attimo con atteggiamento più vigile e serioso la posizione della sentinella che sondava il lato frontale, camminando lungo la cornice murata dall’alto del castello, una volta accertatosi di non essere stato notato, il mago inglese si premurò con un morbido e veloce movimento del polso di spedire i malcapitati servitori a ridosso del magazzino delle scorte a destra, premurandosi inoltre di coprirli con un telo per nasconderne la presenza. In seguito, poco prima che l’uomo sul tetto lo vedesse, trovò nuovamente sostegno e riparo nell’ombra fonda e grigia del portone.

Scivolando lento e meticoloso lungo la superficie legnosa del pesante battente, Silente riuscì a passare inosservato ai più, finché non trovò il modo di smaterializzarsi e ricomparire in un’ala rialzata e, a giudicare dai corridoi che si diramavano verticalmente e in più direzioni, centrale del maniero.

Sospirando e sicuro di non essere stato fino a quel momento intercettato, il mago esperto di incantesimi percorse il corridoio sinistro, quello che costeggiava le pareti in cui si spalancavano le soglie di diverse camere.

Erano sette in totale. Albus le superò tutte, senza conceder loro il minimo interesse.

Consapevole di starsi avventurando lungo il tragitto giusto, svoltò un angolo a destra, evitò di sbattere contro un elegante tavolino con sopra un enorme vaso di fiori bianchi e dal gambo lungo– narcisi e calle, per la precisione del suo olfatto prima ancora che della sua vista acuta – per poi avventurarsi in un’altra ala ancora, più aperta e intervallata qua e là, percorrendo poi le scalinate da arcate a tutto sesto, in pietra color sabbia, oltre le quali si intravedevano dabbasso giardini rigogliosi e in piena fioritura.

Uno scenario molto caratteristico, ma per nulla importante ai fini della sua ricerca.

Ignorando il canto dei grilli e il frinire delle cicale, ecco giungere infine all’androne che stava cercando.

Sogghignò, prima di attraversarne il pesto e freddo corridoio, bagnato soltanto sporadicamente da poche lame di luce lunare, lungo le pareti gonfie e solide di tufo o sul pavimento irregolare e in pietra vulcanica livellata.

Le sue scarpe fecero un sordo rumore di tacco e sfregamento di suola quando lo percossero a passo fermo e misurato, finché non raggiunse la porta in legno massello, scura e sinistra nella notte senza stelle, come del resto l’intero ambiente circostante.

Silente si strinse nel cappotto, le mani affondate nelle tasche, il cappello a celargli metà viso concentrato.

Solo i suoi occhi brillarono ad un piccolo fascio di luce tiepida, strisciante e fuoriuscente dalla fenditura bassa del battente.

Albus non bussò quando lo aprì con un incantesimo, la bacchetta sfilata l’istante prima dal retro dei pantaloni del completo in madreperla classico.

Ad accoglierlo, ci pensò un comitato composto da ben quattro maghi e tre streghe, ciascuno di loro, a detta delle loro espressioni decise e letali, pronto a sbarrargli la strada con ogni modo possibile.

E chi era lui, per mancare a tanto zelo?

Sorridendo, quasi come se si fossero dati appuntamento, si tolse il cappello dal capo come per salutare. Poi, cambiando espressione, strinse le labbra e corrucciò lo sguardo vivace per compiere con risolutezza magie atte ad immobilizzare, incarcerare, schiantare e disarmare i suoi vari e diversi oppositori.

Dopo solo una manciata di minuti, Silente scoprì che i suoi avversari erano abili e tenaci: lo combattevano con estremo accanimento; una strega, in particolare, pelle d’alabastro e occhi di ghiaccio, gli lanciò un paio di anatemi che per poco non lo centrarono in pieno, ma che egli ebbe i riflessi di evitare, con soltanto la sfortuna di vedersi bruciacchiare una basetta e la punta dell’orecchio sinistro.

La schiantò poco dopo, con suo sentito malincuore, finendo per farla sbattere bruscamente contro un muro dietro di lei.

Allo schianto, seguì il crollo di un quadro sulla sua testa e la bassa risata di una terza persona.

A quel suono, il gingillo nella sua tasca vibrò e un nome solo rimbalzò istantaneo nella sua mente.

A seguire, l’immobilità. Era stato paralizzato e con lui, notò, il resto dei suoi ancora in piedi assalitori.

Solo un mago era libero di muoversi e di parlare. L’unico che avanzò in mezzo alla foresta di gambe, bacchette sollevate e mantelli neri per poter sostare proprio dinanzi a quel nuovo quanto rumoroso intruso.

Silente vide Grindelwald fermarsi a pochi passi da lui, la temibile e riconoscibile bacchetta di sambuco lasciata distrattamente pendere al fianco destro, stretta mollemente alla sua mano, senza nutrire il minimo timore che qualcuno gliel’avrebbe potuta sfilar via dalle dita.

Ma del resto, chi in quella stanza, a parte lui – che non lo desiderava minimamente – avrebbe voluto o osato tanto?

Quindi, a conti fatti, quel suo atteggiamento pigro e scanzonato era giustificabile, ai fini delle sue convinzioni in materia di superiorità magica. Diversamente si poteva dire per quel suo schernente e molesto sogghigno sulle labbra carnose, seppur spigolose e letali come coltelli affilati di recente.

Quello, Albus proprio non riusciva a tollerarlo.

Grindelwald lo vide combattere per sciogliersi dall’incantesimo. Le fessure dei suoi occhi cangianti ed ipnotici si strinsero ancor di più nelle palpebre segnate, ai lati, da poche e sottili rughe d’espressione, per poi accentuare di più agli angoli della bocca tirata quel suo sorriso irritante e sornione da gatto ruffiano.

Con uno scatto improvviso e risoluto, Albus riuscì ad uscire dalla sua imposta staticità. Tuttavia, si accorse con ritardo che anche gli altri erano nella sua medesima condizione.

Quando in leggero affanno per lo sforzo di resistere a quel dominio, più che al precedente combattimento, rialzò lo sguardo verso di lui, Silente constatò dall’elevarsi della sua bacchetta ad una spanna dalla sua testa, che era stato proprio Grindelwald a porre fine a quel suo molesto incanto.

Dopo un sospiro di sollievo collettivo, i suoi sottoposti si strinsero in un rigido mutismo. Persino lo sguardo del loro leader si era fatto più severo, lucido e inflessibile come marmo ingrigito.

“ Andate. Lasciateci soli.”

Senza replicare o provare a guardarlo una seconda volta, i tre maghi e la strega dai capelli rossi accanto a loro si affrettarono a scavalcarlo per poter eseguire l’ordine appena impartito, duro e deciso come uno schiocco di frusta, dal proprio signore.

Un mago dai capelli biondi e lo sguardo incupito aiutò la strega schiantata a risollevarsi e, sorreggendola per un braccio, la guidò fuori insieme a lui.

L’ultima fu più restia ad abbandonare Grindelwald, tanto da sfiorarlo appena al suo passaggio e trattenersi un attimo in più sul posto, solo per poter incenerire Silente con uno sguardo che, se avesse potuto uccidere, lo avrebbe trafitto con la stessa violenza di mille pugnali.

Fu comunque la stessa a richiudere la porta alle sue spalle, lasciandolo definitivamente solo con il mago di fronte a lui, che nel frattempo non aveva smesso per un solo istante di sondarlo con i suoi analitici occhi felini.

Silente abbassò lo sguardo e sghignazzò beffardo, per poi deglutire a vuoto e tornare a guardarlo fisso, lo stampo di un sorriso nervoso a segnare le sue labbra fini e rosse come ciliegie mature.

Grindelwald abbandonò nuovamente la sua aria intransigente, per concedergli un altro ghigno lieve e soffiato.

“ Non avresti potuto trovare una maniera meno distruttiva, per irrompere nel mio studio?”

Lo canzonò ironico, voltandogli le spalle per poter raggiungere la sua scrivania.

Albus accentuò gli angoli delle sue labbra già arcuati, per poi guardarsi per un attimo la punta delle scarpe prima di avanzare di lato, lesto e circospetto, verso di lui, bacchetta sempre previdentemente alla mano.

“ Sarebbe stato più saggio, per te, che i tuoi seguaci restassero.”

Lo rabbonì quasi, come se fosse uno dei suoi allievi più talentuosi, ma testardo ed indolente, e non il nemico numero uno, attualmente, per tutti i governi esistenti nel mondo magico.

“ Oh, e perché mai?”

Grindelwald si sedette al centro della scrivania, sostenendosi ad essa con una mano sul bordo legnoso e scuro, l’altra che reggeva la bacchetta abbandonata tra le gambe distese ed incrociate, in una posa rilassata e tranquilla che richiamava molto la sua.

Silente distorse la bocca in un mezzo sorriso, quasi indispettito da quelle inopportune verosimiglianze.

Intanto, la voce modulata di Grindelwald pronunciò in tono basso e sardonico:

“ Per permetterti di trascinarli ancora di qua e di là, rompendo qualche altro oggetto della mia preziosa mobilia? Mi devi già un quadro e una sedia, se è per questo.”

Silente non guardò né il quadro né la sedia semidistrutta citati, ma lui. Gli occhi di Grindelwald, dal loro canto, non si sottrassero al laccio azzurro dei propri, che persistettero a rimanere fissi e seri nei suoi; il mago notò uno sfarfallio scherzoso in quelle due gemme di diverso colore, ancora preso evidentemente dal suo, a quanto pareva, ultimo svago: provare a fargli perdere le staffe.

Con un gesto semplice della sua portentosa bacchetta ed evitando di pronunciare ad alta voce il ‘reparo’ di rito, tutto tornò al suo originario stato.

“ Immagino che tu sia venuto qui non di certo perché sentissi la mia mancanza…”

Il timbro della sua voce era diverso, ora. Sempre calante ed ipnotico, ma con l’aggiunta di una punta di miele che avrebbe nauseato chiunque si fosse trovato insieme a lui, ad ascoltarlo. Eppure, traditore, il cuore di Silente non poté non palpitare, divenendo appena un po’ più celere a quella nota d’insolita dolcezza.

Gli parve, infatti, che Grindelwald serbasse una speranza in quella frase lasciata volutamente sospesa tra loro: quella di venire contraddetto nella sua affermazione.

Ma Albus Silente non era così scioccamente ingenuo e sentimentale da non sapere quali fossero le priorità di quella sua incursione notturna.

“ Immagini bene.”

Calcò nonostante tutto, alzando leggermente di una tacca il tono di voce, rendendolo quindi squillante e chiaro alle sue orecchie, affinché non gli fosse concesso adito ad eventuali fraintendimenti.

Gellert abbassò lo sguardo al pavimento, scuotendo il capo e allargando ancor di più il suo sorriso da gatto del Cheshire, fino a mostrare la spudorata brillantezza dei denti perlacei.

“ Sono qui per il ragazzo, Credence.”

Grindelwald lo guardò inespressivo, il viso leggermente inclinato di lato, in un atteggiamento sospettoso. Non gli credeva, forse?

Albus si accigliò, aggiungendo in seguito severo:

“ Sono venuto qui con nessun altro scopo, se non quello di liberarlo.”

Gellert lo soppesò ancora per un po’ con lo sguardo, mugugnando assorto, finché non gli indicò la sedia appena ricomposta.

“ Siedi.”

Albus non si mosse.

Con un calcio, Grindelwald gli spinse la sedia contro, come a voler rimarcare il concetto.

Silente alzò un sopracciglio folto e fulvo.

“ Siediti, Albus.”

Detto questo, si rimise eretto, staccandosi dalla scrivania per potersi sedere comodamente sul divanetto ad angolo.

Accavallò elegantemente le gambe, tendendo le braccia lungo lo schienale imbottito in broccato rosso, che richiamava nelle tonalità quello purpureo della sua sciarpa, che si tolse dal collo con un gesto noncurante.

“ Vuoi del tè?”

Silente continuò a guardarlo dalla sua postazione, per nulla intenzionato ad assecondare i suoi capricci.

“ Non mi farai cambiare idea sulle decisioni prese, Grindelwald.”

“ Non ne dubito, ma davanti ad una buona tazza di tè diventa più facile parlare, non sei d’accordo?”

Di nuovo quel sorriso convincente.

Albus abbassò lo sguardo, per nulla intenzionato a lasciarsi abbindolare.

Tuttavia, giunti a quel punto, tanto valeva assecondarlo. Magari, sarebbe stato più propenso a ragionare nella nebbia contorta della sua follia.

Se poteva evitare di usare la forza, compromettendo anche se stesso nel mentre, a causa del legame magico che ancora li vincolava come monito o una maledizione, lo avrebbe volentieri fatto. Finché le circostanze – o Grindelwald stesso – gli avrebbero concesso.

Albus afferrò la sedia e si sedette poco vicino alla larga poltrona su cui Grindelwald si compiaceva di troneggiare.

Si tolse il cappello e se lo posò sulle cosce unite, sfilandosi al contempo anche l’impermeabile color oltremare.

Gellert stiracchiò le labbra in un nuovo sorriso mentre ne seguiva i movimenti, soddisfatto, evidentemente, infine di essere stato accontentato.

“ Sembra quasi un dejà-vu, vero?”

Lo udì mormorare, gli occhi socchiusi a fissarlo sogghignante.

Albus storse la bocca in un sorrisetto irritato, per poi aggiungere tra un sussurro ammonitore:

  Te l’ho detto: non sono venuto per intrattenerti.”

“ È vero. Però devi ammettere che è divertente stare qui, a giocare alle vecchie signore inglesi in veranda.”

“ Molto bene, noto con dispiacere che ti ostini a voler ignorare la serietà delle circostanze. Te lo ripeterò fino allo sfinimento, se sarà necessario, allora: sono qui per Credence.”

Scandì ogni singola parola, come se si trovasse di fronte ad un uomo di difficile comprendonio.

Lo sguardo e l’espressione immutabilmente sorniona di Grindelwald non mutò di un millimetro.

Albus intrecciò le mani e accavallò aristocraticamente le gambe, gettando il cappello sullo spazio vuoto della poltroncina lasciata in penombra dalla luce delle candele giallo-oro del lampadario.

In seguito, tirando un respiro come a conferirsi calma, si sporse appena col capo in avanti, verso di lui, che parve allungarsi ancor di più con le lunghe braccia languidamente lungo il divano.

“ Dove lo nascondi?”

Gli chiese, con aria circuente ma con sguardo severo.

Gellert si rianimò all’improvviso, schioccando le labbra prima di proferire, con tono per nulla turbato:

“ Tutto a suo tempo. Bevi prima il tuo tè. Entra pure, mia cara!”

Esclamò gioviale ma autorevole, permettendo ad Albus di voltarsi per incontrare lo sguardo sgranato e sorpreso di un’attonita Queenie.

La sorella di Tina era più pallida e magra di quanto la sua foto da scomparsa mostrasse alle locandine.

Ai colori sgargianti e femminili dei suoi abiti, ora preferiva ammantarsi di lunghe mise nere e prive di brillanti, volti a smorzarne la propria peculiare e chiassosa civetteria.

Solo il biondo dei suoi corti capelli arruffati era rimasto, anche se sul grano solare delle sue ciocche ondulate era calato una gelida patina di umido argento.

Sostava lì, sulla soglia socchiusa dell’entrata, un piede già dentro, tra le mani il vassoio del tè.

“ Vieni avanti, Queenie. Silente è stato così gentile da venirci a rendere visita.”

Diceva intanto Grindelwald, del tutto incurante della tensione smaniosa di lui di prendere la giovane strega spaventata e condurla il più lontano possibile dai suoi efflussi nefasti, come anche di quella confusa e stupita di Queenie alla presenza del mago importante e oppositore in quella stanza.

Tuttavia, ad un nuovo sguardo deciso di Grindelwald, Queenie avanzò e posò fra loro il vassoio, servendo il tè in porcellane sottili e delicate, che solamente un gusto femminile avrebbe potuto scegliere.

Silente la ringraziò, chiedendole come stava.

Queenie fece per rispondergli, ma poi ci ripensò subito, torturandosi le mani e il labbro inferiore fra i denti, come se stesse combattendo con se stessa dal pronunciare chissà quali parole.

Grindelwald le sorrise, attento e calcolatore:

“ Chiedi, mia cara.”

“ Come?”

Articolò lei, distratta e guardandolo con occhi sgranati da cerbiatta.

Gellert ghignò in risposta al suo stupore, sempre più temibilmente adulatore.

 “ Vuoi chiedere a Silente come sta il tuo Jacob, vero?”

Queenie abbassò lo sguardo, affannandosi appena a quella constatazione, come una bambina rimproverata dal padre per i suoi eccessi.

Dopo, sollevò lo sguardo disincantato domandando a Silente, che la osservava con attenzione e preoccupazione insieme, dolce ed ubbidiente:

“ Come sta?”

Albus si sforzò di sorriderle, incoraggiante:

“ Bene. Sta molto bene.”

Ella sorrise a quelle parole, sollevata e mostrandosi ad egli quasi riconoscente per quella risposta positiva.

Silente le prese gentile una mano. Lei si irrigidì e, di riflesso, guardò Grindelwald in tralice.

“ Tuttavia devo aggiungere che, non gli dispiacerebbe affatto… riaverti di nuovo al suo fianco.”

Queenie cominciò a sudare nella sua mano, gli occhi color nocciola sempre più luminosi ed agitati.

Sembrava terrorizzata dal suo mormorio delicato.

“ Accadrà presto.”

Disse Gellert, ottenendo di nuovo tutta l’attenzione della strega, che rimase immobile e ferma ad ascoltarlo. Pendeva dalle sue labbra, fiduciosa nonostante il suo chiaro terrore.

“ Queenie ben presto si unirà di nuovo al suo amato Jacob. Solo un altro po’ di pazienza e potranno vivere il loro amore nella più completa felicità, in uno stato di grazia guadagnato e degno. Senza alcun obbligo, senza nessuna ritorsione. Soltanto loro due, finalmente liberi di potersi amare alla luce del giorno.”

Queenie sorrise, sedotta e ammaliata da quei sogni promessi. Nient’altro che chimere, illusioni atte ad abbindolarla, ad ottenere il suo pieno ed ossequioso consenso.

La strega lasciò la mano di Albus, scivolando via dalla sua presa come acqua fra le dita.

Quando gli si rivolse, era di nuovo leggera, carica di aspettative.

“ Salutamelo appena lo vedi, promesso?”

Silente non ebbe il tempo di fermarla, seppur si tese sulla sedia e fece per alzarsi.

“ Lasciala andare.”

Lo tranquillizzò sibillino Gellert, prendendo contemporaneamente la sua tazza. L’azzurro degli occhi di Albus era ancora fisso sulla schiena minuta e delicata di Queenie, che trotterellò fuori dalla stanza, il vassoio vuoto fra le mani, il cuore sollevato in aria come ali bianche di farfalla.

Ingannata. Circuita. Rapita.

E il suo carceriere si vantava di essere il suo salvatore, gustando sotto la lingua il sapore amarognolo del suo tè alla menta.

Albus ritornò a guardarlo mentre lo udiva proferire parole inappropriate, le mani strette ai braccioli della sedia, a graffiarne con le unghie corte il velluto di porpora. A trattenersi dal compiere un gesto di troppo, consapevole dal bruciore insistente del loro magico vincolo e dalla morsa della catena d’argento al suo collo, che sarebbe stato del tutto superfluo:

“ Una ragazza deliziosa. Così innocente… Adora follemente il suo babbano. E follia è la parola giusta, se si guarda al loro legame. È un vero peccato che debba ucciderlo, non appena avrò l’occasione di vederlo.”

Albus lo incenerì con uno sguardo di gelido risentimento.

Grindelwald sorrise, adulante nel tono di voce affabulatore:

“ Suvvia, non essere così severo, con me, Albus. Dopotutto, dovrebbe ringraziarmi: la sto salvando da una vita mediocre e infelice. Ha così tanti talenti, un’anima magica fra le più lucenti… perché tenerle ancorata al collo una zavorra simile? Sarebbe quella la vera tragedia, non certo la perdita del suo animaletto da compagnia.”

Bevve un altro sorso del suo tè, riponendo poi la tazza sul piattino.

“ Uhm, no, decisamente. Le sto trovando un ottimo sostituto. Un mago, ovviamente. Un purosangue d’alto rango. Le piacerà. Donne del genere sono facili al dramma, come al rimpiazzo dei sentimenti. Vedrai, alla fine me ne sarà grata.”

Soffiò leggermente sulla sua bevanda calda, accostandosi poi tazza e piattino alle labbra sporte. Lo sguardo lontano, ora, come se fosse totalmente immerso nei suoi pensieri apocalittici.

“ Alla fine, me ne sono grati sempre tutti.”

Constatò al termine delle sue segrete lucubrazioni, quasi fra sé e sé.

L’istante successivo, i suoi occhi erano già di nuovo in quelli tempestosi di Silente. Tornò a sorridergli, per nulla turbato dal suo malumore alle sue affermazioni.

“ Non bevi il tuo tè? È al limone, come piace a te.”

Albus afferrò la tazza, insieme con il piattino. Tuttavia tardò ad assaggiarlo, lo sguardo accigliato, il sospiro trattenuto fra le labbra.

Gellert sghignazzò:

“ Cosa c’è? Temi sia avvelenato?”

Lo punzecchiò, quasi divertito dal suo esitare.

Senza attendere una sua replica, ad un suo spontaneo trasalimento, Grindelwald gli prese la tazza dalle mani e ne assaggiò il contenuto al suo posto.

Silente lo osservò deglutire e sorridere del suo sbigottimento a quel gesto.

“ Visto? Sono ancora vivo.”

Detto questo, gli riconsegnò la tazza. Albus la afferrò in automatico, ma la depose sul tavolino insieme col piattino in un tintinnio flebile di porcellana su legno duro.

Grindelwald lo analizzò per un po’ col suo sguardo ipnotico, per poi colmare ancora il silenzio tra loro con uno schietto e disincantato chiacchiericcio:

“ Dopotutto non c’è sorpresa in questa rivelazione. Dovresti sapere che il veleno non è il mezzo da me prediletto per eliminare qualcuno. Troppa inerzia, troppo poca gloria nell’uccidere qualcuno d’inconsapevole. No, il veleno è per i codardi. E io non lo sono di certo.”

Il ghigno che seguì, fu tutt’altro che rassicurante.

Silente deglutì a vuoto, gli occhi azzurri ancora fissi e sbigottiti nei suoi, una ruga a segnargli la fronte ampia e il cipiglio da intellettuale.

“ Mi disapprovi, Albus?”

“ Tendo a farlo, quando ho di fronte qualcuno che parla con estrema disinvoltura di sconvolgere o di stroncare vite innocenti.”

Grindelwald si fece avanti, le ginocchia aperte, la mano sinistra allungata verso la zuccheriera, ad afferrare il cucchiaino, a rovistare al suo panciuto interno, dosato e meticoloso.

“ Sai, ho imparato, col tempo, che l’innocenza, come la maggior parte delle cose della vita, è strettamente correlata a svariati punti di vista.”

Prima che Albus potesse obiettare, Gellert gli offrì una zolletta di zucchero:

“ Zucchero? Ne prendi tre, se non erro.”

“ Faccio da solo, grazie.”

Gli scostò la mano, il tono gentile screziato da uno stridente rimprovero.

Gellert lo assecondò, ritornando poi ad assumere la sua posizione preferita, da pantera sazia all’ombra delle palme.

Albus aggiunse una zolletta al suo tè, provando ad ignorare o perlomeno a tenere sotto controllo il fremito di rivalsa contro quel sogghignante sobillatore di anime pavide.

Più mescolava lo zucchero nel tè, facilitando i dolci granelli bianchi a sciogliersi nella bevanda tiepida, e più una forte asprezza gli inzuppava l’antro della bocca secca.

Tintinnò debolmente il cucchiaino dorato per poi cominciare ad ingurgitare senza piacere quell’intruglio chiaro, solo per evitare di vomitargli addosso tutto il suo disappunto riguardo alle sue scelte.

Non era ancora arrivato il momento di dare la caccia al serpente.

“ Denoto che non sei più tanto goloso.”

Silente mugolò, evitando di guardarlo mentre sicuramente gongolava chissà che pensiero inespresso, seppur palesato nella sua espressione fintamente pacata e ridente.

Silente si leccò appena le labbra, prima di dichiarare:

“ Solo quando ne ho l’occasione; e mi perdonerai se ti dico che quella in cui ci troviamo adesso, non mi sembra la più adatta per lasciarsi andare a dolci tentazioni.”

“ Dipende dalle tentazioni…”

Gettò lì Gellert, reclamandone lo sguardo non appena, sollevati gli occhi dalla tazza fra le proprie mani, Albus incrociò i suoi.

In quel momento, osservandolo, egli captò un lampo diverso nelle sue iridi differenti: qualcosa su cui Albus preferì saggiamente non indagare.

Ma Grindelwald non era del suo stesso avviso; si avvicinò a lui, accorciando la distanza che li separava, come se il tavolino fra loro non esistesse affatto.

Si sporse in avanti con la schiena e il capo in un movimento cauto e felino, esattamente come aveva fatto nella sala ristorante londinese, con l’unica differenza che ora non vi era alcuna apparenza a cui doveva sottostare.

Era chiaro, dal modo insistente e calamitico in cui lo guardava, che si sarebbe spinto molto più oltre di quella volta circondato da babbani.

Un tremito interiore lo scosse; le dita, divenute fredde per l’agitazione, ancorate alla porcellana scricchiolante della tazza ancora ricolma; il chiarore dei suoi occhi tenui rannuvolato da un vago sentore di disastro irreversibile, oltre che irreparabile.

Gellert lo scrutò attentamente per un po’, gli occhi sempre più ridotti a due fessure languide, incorniciate da lunghe ciglia chiare.

Il fastidioso e turbante sorriso ad increspargli le labbra morbide e seducenti, proprio come il tono di voce che utilizzò subito dopo, per blandirne lo scetticismo:

“ Perché non ti unisci a me, Albus?”

Giocò col suo nome, facendolo ribalzare sulla bocca come il pizzico di un’ape sui petali di un fiore non ancora colto.

Silente abbassò lo sguardo, riponendo tranquillamente la tazzina sul tavolino e risedendosi più compostamente sulla sedia, provando con quel gesto educato a ridimensionare la discreta distanza fisica e mentale tra loro.

“ Ne abbiamo già discusso, mi sembra, Grindelwald. Credevo che questo discorso tra noi oramai fosse più che superato.”

Lo guardò severamente ora, il sorriso di circostanza scomparso nella linea intransigente delle labbra rosee.

“ Non posso unirmi alla tua causa. Non mi appartiene e non mi ci rispecchio affatto. Le mie idee di una convivenza tra mondo magico e quello non-magico stridono terribilmente con le tue odierne. E credo che anche di questo tu sia al corrente. Perciò, date le condizioni attuali, non vedo perché mai tu debba ancora insistere su questo argomento.”

“ Perché non mi uccidi, Albus?”

Lo interrogò ancora Grindelwald, lo sguardo fermo, la maschera del conquistatore immutato sui suoi tratti articolati.

Ancora morte. A quanto pareva, quell’argomento era diventato progressivamente il leitmotive della sua esistenza…

Ne avrebbe avuto mai abbastanza?

In seguito a quelle brevi riflessioni, Silente gli parlò con maggior severità:

“ Conosci già la risposta.”

“ Il patto.”

“ Sì.”

“ Ed è solo per questo?”

Bisbigliò, celiando sia con gli occhi che con il viso, entrambi misteriosi.

Silente si accigliò, ammonitore:

“ Esiste forse dell’altro?”

“ Per me, sì.”

Allungò lentamente un braccio e ne tese la mano per sfiorargli con l’indice e il medio la barba curata sul mento.

“ E per te?”

Silente si alzò, facendo gracchiare sgradevolmente le gambe della sedia sul pavimento e voltandogli le spalle, affannato e quasi oltraggiato dal modo in cui si stava comportando con lui, come anche dal timbro soffiato e circuente assunto volutamente dalla sua voce roca e sensuale.

Il ciondolo iniziò a scottare dentro i suoi abiti, l’animo del mago a ribollire sotto i multistrati del suo essere.

“ Basta, Gellert! Finiscila con questa falsa!”

Lo apostrofò minaccioso.

Grindelwald si ritirò ma non si mosse dal divano, osservandolo adesso con superbo distacco, quasi come se lo disapprovasse.

Egli, a lui?! Inconcepibile!

Questo pensiero sortì un effetto escoriante su una ferita già aperta nell’orgoglio di Silente, che sbottò irritato e sibilante:

“ Credi forse che le tue malie bastino ad incantarmi? Lo so cosa stai cercando di fare. Ti conosco abbastanza, ormai, da riuscire a svelare tutti i tuoi trucchi e al momento, t’informo che nessuno di essi basterà a trascinarmi dalla tua parte.”

“ Sei arrabbiato con me, vedo…”

Commentò l’altro, allungando un braccio lungo il bordo dello schienale del divano.

L’indifferenza nella sua voce, come nelle sue maniere, al suo inalberarsi, finì con l’irritarlo ancora di più.

“ Ti sbagli. Non è rabbia, la mia, ma disprezzo.”

Quella parola, calcata dalle sue labbra, finì col crucciare perfino la sua fronte liscia, come anche ad incupire il suo sguardo già velato da un sentimento, tuttavia, meno pacifico del precedente.

“ Pensi che non abbia capito le tue vere intenzioni? Stai usando Credence per colpire me. Perché credi che solo lui possa infliggermi il male che tanto fingi di non augurarmi. Perché sai che la sua natura mi ricorda terribilmente quella di Ariana, che tu e la tua arroganza in passato avete portato alla rovina!”

Lo additò, l’atteggiamento scomposto, il patto di sangue sempre più rovente. Oramai, quasi sembrava voler bruciare i vestiti in cui si celava, per potergli più agilmente ustionare la pelle.

Ciononostante, Silente continuò, incurante della durezza metallica che pian piano, come un’onda spaventosa, stava risalendo sul viso e i tratti spigolosi di Grindelwald, rendendo il suo volto e le sue labbra strette una maschera insondabile di disappunto e turbamento.

“ Non posso dimenticare il male che ci siamo fatti, né posso superare gli errori del presente. Ma posso provare a porvi rimedio… a cominciare dalla tua influenza nefasta su Credence. Lo condurrò via da te e dai tuoi intrighi e tenterò di rendere più piacevole e meno dolorosa la sua vita, già notevolmente compromessa.”

Prese fiato e rilassò le spalle, la bacchetta ancora stretta nella mano destra, l’espressione ferma e determinata come un idolo di marmo, lucido ed incorruttibile:

“ Non mi ingannerai una seconda volta, Gellert. Qualsiasi cosa tu faccia o dica, a partire da questo momento, sarà inutile.”

Detto ciò, il fardello di un plumbeo silenzio cadde su di loro, gelando ciascuno sulle proprie rispettive posizioni e ammutolendoli.

Grindelwald non si era ancora mosso, gli occhi temibili fissi in quelli risoluti di Silente.

Dopo che una nuvola oscurò la luna, Albus si sentì afferrare di colpo e risucchiare; e quando i raggi perlacei tornarono a delineare i contorni dello spazio in cui si trovava, tutto quello che riuscì a vedere con chiarezza fu Gellert, chino su di lui, di nuovo in piedi e con le mani nodose chiuse come artigli intorno alle sue braccia.

Il suo respiro denso e caldo gli si infranse sulla faccia, si infilò nelle narici, gli penetrò le labbra semiaperte. Il suggestivo chiaroscuro dei suoi occhi a mutare il meravigliato azzurro dei propri.

In seguito, inaspettatamente così come lo aveva agguantato, Grindelwald lo lasciò andare e fece un passo indietro, valutandone da lì in poi  la persona e il comportamento, come se Silente fosse sotto esame ed egli fosse stato chiamato a giudicarlo.

“ Mi hai rovinato il tè, oltre che l’umore, con tutte le tue prediche.”

Masticò dopo quell’attenta analisi, borbottando fra i denti quell’accusa velata da un rimprovero cupo e sommesso, per poi sfilarsi la giacca e allontanarsi di molti passi da lui.

Con la bacchetta, accese i lumi che illuminarono il nuovo ambiente in cui l’aveva smaterializzato.

Silente si concentrò su quello, per evitare a sua insaputa di guardare con fin troppo interesse la curva ritta delle sue spalle larghe e robuste, così come gli apparve sottolineata dalla stoffa ben tesa della camicia e dalle linee dal taglio scuro del gilet a tre bottoni nero.

Le ricordava più magre e sottili… ma del resto, erano molto giovani quando si erano avvicendati da non poter che sembrare diversi, a distanza di molti anni, l’uno agli occhi dell’altro.

Involontariamente, prima che potesse fermare la sua mente elucubratrice, Silente si domandò che opinione potesse avere Grindelwald sull’aspetto del suo nuovo sé. Ma come venne partorito, quel pensiero fu subito metaforicamente soppresso e scacciato, nella pratica, da un gesto stizzoso della testa arrovellata e un guizzo fulmineo negli occhi aggrottati.

Tornato bruscamente al presente, il mago si accorse di essere piombato in una stanza diversa, più ariosa e meno opprimente, rispetto allo studio compresso e ritirato di Grindelwald.

Disseminati nei vari spazi c’erano un letto a due piazze, un armadio alto e capiente, un comò con sopra il poco nécessaire per la cura personale, uno specchio ovale dalla cornice dorata e istoriata e infine una poltrona in broccato rosso, molto simile alla trama rubino del divanetto dello studiolo dabbasso.

Era nella camera da letto di Grindelwald.

Silente deglutì, nervoso e irritato.

Perché lo aveva portato lì? Cosa sarebbe mai potuto cambiare fra loro, racchiusi in quelle nuove e differenti quattro mura? Che cosa voleva dimostrare?

Gellert, intanto, aveva riposto la giacca sullo schienale della poltrona e si era sbottonato i polsini, arrotolandone le maniche bianche lungo le braccia discretamente villose.

“ Rilassati, Albus. Sento gli ingranaggi del tuo brillante cervello cigolare fino a qui.”

“ Se lo sai, allora spiegati.”

“ Non c’è molto da spiegare, temo.”

Abbassò le braccia lungo i fianchi, alzando poi lo sguardo per dichiarare:

“ Ti voglio nel mio letto.”

 

 

 

*

 

 

Albus Silente sgranò gli occhi dopo averli strizzati velocemente fra le palpebre. Lo osservò sconvolto, a metà tra incredulità e sbigottimento.

“ Prego?”

Gellert abbassò il suo di sguardo, per un attimo, al pavimento ancora in ombra, sogghignando spavaldo e irriverente.

A Silente gli si strinse il cuore, a quell’immagine: per un momento– solo per un breve, singolo istante – gli era parso di intravedere il vecchio Gellert, il biondo e ingenuo ragazzo di una volta.

Ma lo era davvero mai stato, innocente e disincantato? O era stata solamente un’altra delle sue trappole ben congeniate, per irretirlo e trascinarlo nella sua nuvola turpe, fatta di menzogne e manie di onnipotenza?

Fu malinconicamente che Silente chinò il capo e spostò lo sguardo sulla punta delle sue scarpe, ciondolando sui talloni, la mano che non reggeva la bacchetta affondata nella tasca del pantalone classico.

“ Dovresti vedere la tua faccia! Sembri quasi terrorizzato, all’idea che faccia sul serio.”

Sospirò.

“ Un tempo non avresti reagito così.”

Mormorò leggero, rovistando poi in una scatola di legno su un tavolino da camera, afferrandone poi qualcosa.

Ma Albus era distratto. Cercava di evitare di arrossire a quell’esplicita allusione, seppur internamente sollevato che stesse scherzando.

Si grattò con l’indice sinistro la punta del naso adunco, arcuando le sopracciglia mentre borbottava, un po’ a disagio:

“ Erano altri tempi, altre circostanze…”

“ Sì,” lo interruppe bruscamente, come capitava spesso ultimamente.

“ Eri decisamente più accondiscendente, te lo concedo.”

Affermò convinto e con tono spavaldo, affondando piacevolmente nella poltrona, incrociando le gambe e puntellandosi con i gomiti piegati sui morbidi braccioli, mentre si accendeva quello che, a giudicare dalla forma e dall’odore speziato, aveva tutta l’aria di essere un sigaro cubano.

Silente seguì Grindelwald ispirare del fumo ed espirarlo poi in ampie volute grigiastre, il lungo sigaro marrone scuro a reggersi in equilibro fra due delle sue lunghe e spesse dita.

“ Non ero accondiscendente. Ero solo –”

“ Innamorato?”

Silente sospirò, accigliandosi infastidito da quel suo pressante incalzare.

“ Sì.”

Lo guardò con decisione negli occhi, mentre glielo confessava.

“ Lo sai anche tu.”

Gellert gli sorrise, placido e consapevole.

“ Sì.”

Alitò, insieme ad un fievole sbuffo di fumo, come un drago che prendeva aria per lanciare fiamme e spargere con esse morte e distruzione.

Silente scrollò le spalle, sventolando poi la bacchetta e indicando con essa l’ambiente circostante, preferendo di gran lunga, con quei semplici gesti, cambiare drasticamente discorso:

“ Cosa vorresti ottenere con tutto questo?”

Grindelwald fumò ancora indisturbato, prima di rispondergli:

“ Volevo solo concederci un minimo di tranquillità.”

“ Non ci sarà mai serenità tra noi, se ti ostinerai a perseguire queste tue malvagi pretese di dominio.”

Gellert pose da parte il sigaro, sospirando pesantemente e quasi con stanchezza a quei suoi nuovi e già ascoltati rimproveri.

“ Il potere è pur sempre un ottimo alleato, in caso di debolezza.”

Lo guardò con altri occhi ora, come se fosse lui da biasimare e non egli, con tutte le sue dissacrazioni.

“ Tu hai delle debolezze? Se è così, non le mostri affatto. Anzi… mi sembri più che convinto di non averle.”

“ Mi reputi arrogante?”

Ora fu il turno di Silente di sorridere:

“ Lo sei sempre stato. Fin da quando ho memoria di te. Molto più di me, sicuramente.”

“ E di noi, che cosa mi dici?”

Lo scrutò solerte, la voce che assumeva toni sempre più amabili, le braccia e le gambe tese come a voler fare un balzo verso di lui.

Silente fermò il suo passo dinoccolato e in parallelo con lui, ma non indietreggiò né trasalì dinanzi a quelle sue, ai suoi occhi attenti, mal celate prepotenze.

“ Sei ancora convinto che le tragedie del passato siano e rimangano insormontabili, per un futuro insieme?”

Silente si crucciò a quel quesito.

“ Mi stai… forse facendo delle avances, Grindelwald?”

“ Ti sto solo sottoponendo dinanzi l’ovvietà dei fatti, Silente.”

Il suo tono, adesso, era più marcato, più lesto. Era chiaro che quella conversazione non stava andando secondo i suoi piani e che, anche con ciò che palesavano i suoi occhi eterogenei, non ne fosse affatto entusiasta.

A quel punto, ogni sua reazione nei propri confronti poteva dirsi inevitabile. Eppure non si muoveva. Era fermo, quasi passivo allo scorrere delle parole e delle pause sospese e ricche di incertezze tra loro.

E tutta quella sua inerzia, non faceva che aumentare in lui il sospetto.

“ Non verrò mai dalla tua parte.”

Grindelwald sorrise, come se si aspettasse quell’ennesima dichiarazione contraria ai suoi desideri.

“ Molto bene.”

Mormorò, per poi alzarsi con un colpo deciso delle anche e avanzare lentamente, ma inesorabilmente, verso di lui.

Albus si tese, la mano stretta – quasi aggrappata – alla sua bacchetta. Gli occhi fissi nello sguardo subdolo e magnetico del suo rivale. La postura rigida, ma non per questo marmorea nella paura di uno scontro, come Grindelwald si sarebbe potuto aspettare.

“ Chiarito questo, immagino… che vorrai sapere dove si trova Credence.”

“ Esatto. È solo per lui che sono qui, te lo ribadisco.”

“ Oh, ti sento parlare e ostentare il tuo eroismo da diverso tempo, oramai. Tuttavia, mi domando perché tu stia tremando, adesso.”

Ora era vicino. Molto più vicino del consentito. I loro visi erano ad un palmo di distanza, i vestiti che si sfioravano appena negli orli pronunciati…

“ Non sto tremando.”

Sperò che la sua voce apparisse ferma, mentre lo diceva. Ma il mago non ne era del tutto convinto, mentre l’altro lo osservava mansueto ma incombente.

“ Sicuro?”

Lo punzecchiò. Albus non rispose.

Il suo composto e racchiuso silenzio bastò a farlo allontanare, una mano protesa verso di lui.

“ Vieni. Siedi con me.”

Silente lo vide avvicinarsi al letto. Lo seguì senza accorgersene, il ciondolo che gli impediva di sollevare la bacchetta e schiantarlo da qualche parte. Tutto pur di non averlo di nuovo di fronte a quella distanza ravvicinata.

Si sedettero in contemporanea sul bordo del letto, come spesso avevano fatto da adolescenti nel chiuso raccolto della camera di Albus, a Godric’s Hollow.

Quei tempi sembravano così lontani, tanto da apparire sfumati come immersi in una lattea e umida foschia nella sua memoria, stantii e pallidi come gallette di riso abbandonate in una credenza e lì, dimenticate.

Gellert non gli tolse gli occhi di dosso, mentre era immerso nelle sue malinconiche riflessioni.

Gli toccò la fronte aggrottata con le dita, gli passò l’indice sinistro sulla tempia pulsante, mugugnando assorto e contemplativo.

“ Non essere così turbato. Dopotutto non è una situazione nuova, fra noi.”

Ci stava pensando anche lui?

Quel pensiero lo spinse a cercare di nuovo i suoi occhi. Fu uno sbaglio. Il suo sorriso mesto e stiracchiato, il socchiudersi morbido delle sue palpebre calanti, il brillio sinistro e serpentesco dei suoi occhi bicolori, tutto ciò contribuì affinché cadesse nel giogo delle sue trame e che, stringendo, lo tenesse allacciato a lui.

“ Sei teso…”

Constatò in un carezzevole bisbiglio, toccandogli i capelli, lisciandone il ciuffo leggermente mosso tra le falangi.

Silente gli scostò la mano.

“ Smettila, Gellert.”

Lo rimproverò bofonchiante e distogliendo con più difficoltà, ora, lo sguardo da lui.

“ Potresti evitare almeno di toccarmi, in queste circostanze? Perlomeno in riguardo alla decenza.”

“ Che c’è di sconveniente in una mia carezza? Adesso ti danno fastidio persino le mie mani su di te?”

Non voglio essere toccato da te!

Esclamò in un sussurro alterato, come se avesse timore che qualcuno potesse udirli.

“ Non più.”

Rimarcò deciso.

Gellert lo guardò per un po’ inespressivo, per poi tirare su col naso sprezzante ed assottigliare il volume pronunciato delle labbra in un ghigno malevolo.

“ Capisco… forse adesso preferisci ricevere attenzioni da qualcun altro, piuttosto che da me. Come quello Scamander, per esempio.”

“ Newt?!”

Albus ritornò a guardarlo di scatto. La sua espressione era quasi contrariata. Silente se ne crucciò, disorientato e confuso:

“ Cosa c’entra lui con questo?”

“ C’entra eccome, mi sembra, dal momento che ultimamente ti affanni così tanto a difenderlo e a riparare ad ogni sua mossa azzardata.”

Sottolineò duramente quello, chiudendosi nelle spalle larghe in un atteggiamento aristocratico e altezzoso al contempo.

A Silente venne da sorridere, trattenendo un risolino nervoso mentre gli specificava:

“ È giovane ed è stato un mio studente. È ricco di talenti ed è una persona estremamente gentile, modesta e leale. Non ti permetto di coinvolgerlo in questioni così abbiette.”

Lo rimproverò alla fine, divenendo nuovamente terribilmente serio.

Da superba, l’espressione sul viso squadrato e tagliente di Grindelwald mutò in una quasi annoiata.

Distolse lo sguardo altrove, mentre gli diceva in tono vellutatamente disgustato:

“ Sì, non ne dubito. In fondo, te ne sono piaciuti di più insulsi. Come il commesso della drogheria al villaggio.”

“ Cosa?”

Silente gli cercò lo sguardo, chiedendogli spiegazioni a quella nuova, inaspettata uscita. Grindelwald non si sottrasse a quel richiamo, incrociando ancora il suo sguardo con un lampo di rivalsa sul suo volto meno incupito:

“ Com’è che si chiamava? Aspetta, devo pensarci.”

Mormorò, sottraendosi ancora una volta all’analisi critica dell’azzurro perspicace di Silente, che proferì intanto, oltraggiato e impermalito da quelle sue insinuazioni:

“ Stai farneticando! E comunque non è come pensi. Tra me e Newt esiste solo del rispetto, oltre ad una sincera e disinteressata affezione. È un rapporto basato sulla reciproca fiducia, cosa che evidentemente ti è divenuta del tutto estranea…”

“ Jack.”

Silente strabuzzò gli occhi e fu costretto ad interrompersi a quella nuova esclamazione, che gli diede la conferma che fino dall’inizio non gli stesse minimamente prestando ascolto.

Gellert sorrise della sua espressione attonita e velatamente contrariata.

“ Come?”

“ Jack Dalton. Il figlio maggiore del droghiere che lavorava al negozio del padre. Era un tipo piuttosto ordinario, anche un po’ tonto… per giunta, babbano.”

Calcò il termine con disprezzo, come se avesse detto che fosse un poco di buono.

Albus lo giudicò malamente per quello. Gellert parve ignorarne le reazioni, mentre continuava nel suo ricordo:

“ Eppure, ne eri comunque attratto. Del resto, hai sempre trovato interessanti i tipi insignificanti come quello.”

Lo schernì quasi. Silente rimase tramortito a quelle parole e non trovò subito il tempo di reagire, quando Grindelwald sollevò di nuovo una mano, il palmo grande e freddo a scaldarsi sulla sua guancia, quando vi si posò.

“ Proprio tu, che meriteresti solo re e regine al tuo fianco, ti perdi a rincorrere i giullari di corte.”

Grindelwald premette ancor di più la mano sul suo viso, l’anulare e il mignolo a premere sulla vena del suo collo, il medio a tenergli ferma la mascella contratta.

Albus deglutì e il suo volto si increspò sotto il suo tocco, il sussurro delle sue labbra a sedurre le sue orecchie, il suo respiro ad inebriargli i restanti sensi…

Non poteva cedere, non doveva lasciarsi andare al suo incantesimo.

“ Non sei… non sei affatto gentile a dirmi queste cose.”

“ Forse dovrei prendere lezioni di buone maniere dal tuo ex-allievo.”

A quell’ennesima provocazione, Albus lo guardò con maggior sfrontatezza negli occhi:

“ Sei geloso?”

Gli chiese, quasi a rimproverarlo già per quello scomodo sentimento.

Grindelwald abbassò per un attimo gli occhi, a quella domanda, come per rifletterci meglio.

Quando ricominciò a parlargli, la sua voce era ridotta ad un enigmatico sussurro:

“ Gelosia non è il termine giusto per definire ciò che provo in questo momento per il tuo pupillo.”

“ Non è il mio pupillo. È un mio pari, proprio come lo eri tu, all’epoca.”

“ E per questo degno di amore, vero?”

Si sforzava di non darlo a vedere, ma Albus si sentiva sempre più turbato dallo scorrere di quegli eventi.

Ma, nonostante il suo stoicismo, Gellert dovette intuire il suo turbamento, tanto da sorridergli, la mano sempre ferma e immobile su di lui. A tenerlo stretto, ad impedirgli di allontanarsi.

“ Non sei stanco di fingere, Albus?”

Tenebre e luce, inferno e paradiso riflessi nei suoi occhi intensi e perigliosi.

Albus se ne sentì avvinto; tuttavia non cedette del tutto, tanto da avere ancora la forza di inumidirsi le labbra, strabuzzare gli occhi spalancati e aprir bocca per replicare al suo insinuante mormorio:

“ Tu hai cruciato mio fratello Aberforth. Con le tue azioni e i tuoi eccessi hai portato alla morte di Ariana; sei scappato dalle tue responsabilità. Hai minacciato, corrotto e ucciso innumerevoli babbani e condotto ad una fine peggiore maghi e streghe pacifici e giuste. Del ragazzo per cui un tempo provavo un tenero sentimento, purtroppo non ne è rimasto più alcuna traccia nell’uomo che vedo di fronte a me, oggi.”

Scosse il capo. Il tocco di Grindelwald a seguirlo in quel lieve movimento.

L’indaco dei suoi occhi a bruciare in quelli del mago oscuro, quando gli disse:

“ Non posso sceglierti, Grindelwald. Non chiedermelo più. Perché sarebbe quella, per me, la vera finzione: dirti di sì.”

Grindelwald lo guardò per un po’ immobile ed inespressivo, finché non si chinò maggiormente su di lui; la mano, con cui lo teneva ancorato a sé, scivolò morbida lungo la carotide, il pollice a sfregare col polpastrello sulla pienezza del labbro inferiore.

“ Quante bugie sa proferire questa bella bocca!”

Sibilò, il suo respiro ad infrangersi ad un solo centimetro di distanza dal labbro inferiore di Silente.

Il mago inglese fece per scostarsi, ma Grindelwald gli afferrò la nuca da dietro e strinse con le dita nei pressi della cervicale.

Il cuore di Albus ebbe un sussulto e nella gola gli risalì un tremito e un suono roco sgorgò dalle labbra gutturale e fondo, quando Gellert fece per scontrare le loro labbra.

No.

Soffiò quasi spaventato, alla sola idea di baciarlo.

Così tanti anni, così tanti eventi a dividerli…

No, non poteva cedere. Non a quella marea senza via di scampo.

“ No? A cosa stai dicendo di no?”

La voce di Gellert era più ferma e più composta della propria. Non era emozionato quanto lui si aspettava. Questo bastò a farlo ritornare in sé, ad affrontare di nuovo a testa alta il suo sguardo ravvicinato:

“ A tutto.”

Pronunciò, alla fine, fermo e risoluto.

Grindelwald non rinunciò alla presa sul suo collo, ma reclinò appena il capo all’indietro, in quell’atteggiamento altezzoso e dominante che gli aveva visto sfoggiare più volte, durante la loro conoscenza e persino da lontani, durante la loro separazione.

“ A te, a noi. A questo e a tanto altro.”

“ Sii meno enigmatico, Albus. Spesso mi ritrovo a perdermi nella tua nebbia di parole.”

Silente si tirò ancor più indietro. La mano di Grindelwald scivolò fino al principio delle sue spalle ritte e lì rimase, aperta e appena arricciata alle dita, mentre lo sentiva dire:

“ Non ti bacerò Gellert. Né ora, né mai.”

Grindelwald scivolò con lo sguardo sulle sue labbra che proferivano questo, l’audacia crescente della sua mano, che ora gli percorreva l’osso sporgente della spina dorsale e gli premeva leggermente sulle clavicole.

“ Questo lo avevo capito. Speravo… in una risoluzione diversa.”

Gli sorrise, amabile, quasi ammiccante.

Silente lo ricambiò, le rughe attorno ai suoi occhi a segnargli appena i contorni del viso virile e gentile insieme.

“ Sei sempre stato intelligente quanto me. Io invece speravo, da parte mia, che avresti impiegato più saggiamente i tuoi talenti, nel corso di questi anni…”

Grindelwald sogghignò:

“ Il professore…”

Lo blandì, facendolo di nuovo sorridere ad occhi bassi.

Gellert gli risollevò il viso con l’altra mano, due dita a solleticare piano la sua barba curata.

Lo guardò per un attimo in più negli occhi, ogni traccia di ilarità scomparsa dalle sue iridi d’acciaio liquido.

Silente si ritrovò teso nuovamente in allerta, gli occhi sgranati e luminosi, attenti ad ogni sua prossima mossa.

Gellert gli prese il viso tra le mani, il ciuffo solitamente ordinato dei suoi capelli di un biondo argenteo, a cadere in avanti, scomposto in una sola larga onda sulla fronte sgombra.

“ Non ci riesco.”

Gli confessò. Un sussurro cupo e morbido a pochi millimetri dalle sue labbra socchiuse.

“ A fare cosa?”

Pronunciò Albus, la punta del naso arcuato a sfiorare la linea netta e alla greca del suo, in un gioco di sospiri trattenuti e sfioramenti tentennati a cui egli non era disposto a partecipare.

Almeno, non intenzionalmente.

“ A farla finita.”

Gli rivelò intanto Gellert, buio pece e acqua limpida ed increspata dai cerchi del conflitto, nei suoi occhi decisi.

Albus gli afferrò i polsi e fece pressione affinché gli lasciasse libero il volto, conducendoli in basso insieme alle proprie mani, con le quali provò a placare le sue.

Gellert si spose in avanti e gli posò le labbra sulle proprie, in un bacio tenue e casto che nulla aveva a che vedere con le sue intenzioni.

Silente si sottrasse a quel tocco, sentendone comunque investito negli effetti tumultuosi e avvampati che esso ebbe sul suo corpo.

Il cuore gli risuonò nei battiti accelerati nelle orecchie, la gola si ostruì e i suoi occhi cercarono calma e conforto nel buio delle palpebre calanti.

“ Non riesci ad uccidermi, Grindelwald, esattamente come io non riesco a superare quello che c’è stato fra noi.”

Articolò con una certa difficoltà espressa nel timbro fievole.

“ Che potrebbe ancora esserci…”

Lo udì nei recessi reconditi della sua mente insinuare.

“ No.”

Negò deciso Albus, tornando infine a guardarlo.

Era così bello, così fulgido nei suoi pensieri contorti da despota conquistatore.

Lo tentava, anche solo stando fermo, semi-calato verso il basso, inclinato leggermente sul fianco, il viso di lato, a mostrare alla luce tenue delle candele galleggianti il profilo liscio e affilato come una lama sguainata.

Silente si sentì rapito da quell’immagine di uomo tanto amato, ma anche tanto odiato da lui.

Doveva liberarsene. Non poteva lasciarsi condizionare così da quel serpente tentatore.

Rise di quella sua osservazione, sentendosi un po’ la mela del peccato o il peccatore, a seconda dei punti di vista, per poi infrangere nei suoi occhi ridenti l’ultima barriera impassibile di Grindelwald.

Tese una mano e, cogliendolo di sorpresa, gli percorse il volto in una carezza rapida, ma decisa, per poi premere il palmo sul suo petto coperto, il calore del suo corpo traspirabile al di sotto della stoffa leggera della camicia, il suo cuore racchiuso metaforicamente nel suo palmo.

Ebbe un singhiozzo quando con le dita tastò di più in quel punto.

“ Non insistere. Devo lasciarti.”

Lo trafisse, senza in apparenza causare la minima crepa alla sua maschera di granito e impassibilità.

“ Noi due siamo destinati a scontrarci, Albus. Che tu lo voglia o no – e se lo vuoi, davvero – allora dovrai anche abbracciare l’eventualità che, alla fine, uno di noi sopravvivrà inevitabilmente all’altro.”

Silente sorrise. Il ciondolo era quieto come l’acqua di un lago in un pomeriggio assolato, attorno al suo collo e dentro l’ampolla.

Approfittò di quella calma apparente di incanti e cuori, per dargli la conferma di ogni cosa pronunciata:

“ Sì. Lo accetto.”

Soltanto dopo, lo colse di sorpresa, sporgendosi in avanti per baciarlo di sua iniziativa.

Albus gli afferrò il capo con entrambe le mani e lo spinse in avanti, aprendo la bocca per approfondire il bacio. Si crucciò e gemette sulle sue labbra quando, quasi con una sofferenza che andava al di là del dolore fisico, Gellert iniziò a corrispondere al bacio, premendo la bocca sulla sua con forza e mischiando i loro respiri e il loro sapore come se ne avesse un’estrema necessità, con evidente e totale bisogno.

“ Lo vedi?”

Gli mormorò ad un suo breve distacco, scivolando con le labbra calde e umide sul suo collo, segnandone la pelle con brividi e impronte di baci continui.

“ Menti a te stesso. Lo fai da sempre.”

Gli ferì l’orecchio destro con quelle parole simili a stilettate, per poi riappropriarsi della sua bocca e modellandole con urgenza e passione alle sue.

Per alcuni istanti lunghi un’eternità, Albus Silente abbandonò decoro, pudore e compostezza per lasciarsi plasmare da quelle labbra e da quelle mani corrotte e grondanti sangue altrui, per poi lasciar cadere ogni proibizione quando gli sentì dire:

“ Il tuo sapore è sempre lo stesso: miele con una punta d’anice. Dolce e aspro insieme. Come te.”

Grindelwald fece per spingerlo sul letto. Voleva distenderlo e stendersi su di lui. Farlo suo.

Lo avvertiva dal timbro ombroso della sua voce di velluto, dalla pressione del suo bacino avanzante, dalla durezza delle ginocchia contro le proprie, dallo sfregamento dei palmi sui suoi abiti eleganti, dalla carezza esperta delle dita fra i suoi capelli rossi…

Non era cambiato.

Lo desiderava come allora, forse più di allora. Ma non poteva.

Era bello, troppo bello abbandonarsi a quelle tortuose premure dei sensi. Ma Silente era un uomo estremamente razionale e non fu difficile per lui, come inizialmente credeva, ritrovare subito il controllo perduto in poco più di una manciata di minuti.

La sua voce era quasi commossa quando, resistendo con invidiabile disciplina ai suoi decisi seppur teneri assalti, lo scostò da sé, le mani a trattenerlo – o a tenerlo – per le braccia, le fronti ancora a contatto.

“ Gellert.”

Lo chiamò. Il suo nome sulle labbra, un battito d’ali d’uccello su un fiume in piena.

“ Non posso.”

“ Però mi baci.”

Albus sorrise, a se stesso più che a lui e alla sua blanda indignazione.

“ Sì. Ma è per l’ultima volta.”

Gli carezzò più gentilmente il viso leggermente stravolto dagli ultimi avvicendamenti fra loro e confuso dalla sua repentina ritirata.

“ Devo andare, ora.”

“ E Credence?”

“ Lo affronterò in un altro momento. Oggi, ritengo di aver fallito l’impresa di condurlo sulla retta via. Per un attimo, ammetto di essermi smarrito anch’io.”

Nei suoi occhi, sulle sue labbra, come nelle sue parole persuasive.

Ma convenne con se stesso, che la sua arte persuasiva era molto più convincente di qualsiasi folle fiamma incendiaria.

Sogghignò con simpatica amarezza. Gellert non lo ricambiò.

Con un tenue e stanco sospiro, Albus si alzò dal letto, recuperò magicamente la giacca che Gellert, nella foga, gli aveva fatto scivolare giù dalle braccia, e il cappello blu, avvicinandosi poi a passo fiero e misurato alla finestra.

La aprì con un tocco della bacchetta e fece per issarsi sul basso davanzale.

“ Silente!”

Lo richiamò ad un tratto energico e quasi minaccioso, Grindelwald.

Albus si fermò, voltandosi a guardarlo di sbieco, solo con lo sguardo.

Lo ritrovò immerso in una temibile semioscurità, una penombra così densa e lugubre da rivaleggiare col buio manto del cielo notturno all’esterno.

“ La prossima volta che ci rivedremo, dovrai compiere necessariamente una scelta. Non accetterò più sconti, che valgano a giustificarti. Né fughe dalle finestre.”

Albus sorrise, quasi sghignazzando.

Gli occhi di Gellert brillarono maggiormente nella penombra, la sua bocca carnosa si tese in una linea dura e inflessibile.

Apparivano già così lontani i desideri e i baci, i sospiri e le parole trattenute d’amore…

Perché era amore – oramai ne aveva la conferma palese – ciò che provava per Gellert Grindelwald.

Tuttavia…

“ Allora aspetterò che questo avvenga, Grindelwald. Fino ad allora, ti consiglierei di tenere ben chiuse le imposte.”

Si sollevò sul davanzale e fece per smaterializzarsi, il vento fresco della notte che gli solleticava le guance e i capelli alle tempie, l’espressione del suo viso di nuovo attenta e concentrata verso il passo successivo.

“ Albus…”

La nota morbida nella sua voce lo costrinse a voltarsi a guardarlo.

Grindelwald era in piedi, parte del viso e del corpo di nuovo concesso alla luce. Era così che vedeva anche il suo animo: obliquamente ed eternamente spaccato tra bene e male.

“ Se non posso averti con me e per me soltanto, allora ti ucciderò.”

Gli rivelò in un atroce e seducente mormorio.

Peccato che gli fosse stato chiaro fin dall’inizio.

Turbato nonostante tutto dall’ovvietà di quelle dichiarazioni, ne rimase comunque sia internamente scosso: in quel momento, avrebbe voluto piangere, urlare, dare un qualsiasi sfogo al suo malessere.

Tuttavia, non fece nulla se non donargli generosamente un ultimo sorriso, come poco prima, entrambi seduti ed in seguito allacciati strettamente su quel letto di sete scure, gli aveva concesso un unico bacio.

“ O mi farai uccidere, immagino. In tal caso, non aspettarti che ti insegua veramente all’inferno in cui la tua anima si intrattiene da più di vent’anni, Gellert.”

Quest’ultimo non aggiunse né replicò dell’altro. Si limitò ad osservarlo, immobile e controverso.

Albus si toccò la falda del cappello con le dita, in un cortese cenno di commiato fra gentiluomini, proprio mentre ruotava la bacchetta, scomparendo subito dopo per infine riapparire all’ingresso del palazzo.

Gellert avanzò verso la finestra, lo sguardo fisso sulla sua figura lontana e ammantata, mentre la nebbia si sollevava e i primi, timidi raggi del sole nascente, gli indoravano i colori accesi del suo completo e tingevano di biondi riflessi i suoi ricci rosso rame.

Ne poteva sentire ancora il profumo e la consistenza setosa sotto le dita…

“ Signore.”

Venne interrotto nelle sue riflessioni, dalla voce di un suo sottoposto alle spalle.

“ Lo lasciamo andare?”

Grindelwald vide Albus frenare il suo passo, le mani affondate nelle tasche del suo lungo cappotto blu cobalto, il cappello calato sulla fronte, a nascondere lo sguardo mentre si voltava a guardare in alto, verso la sua finestra.

Verso di lui.

Sorrise, distorto e soddisfatto.

“ Sì, per ora, sì.”

Si aggiustò la camicia e rindossò in un gesto secco, seppur elegante, la giacca scura, riponendo nei ranghi il ciuffo di capelli che solo poco prima Albus aveva accarezzato.

“ Non è ancora tempo che Albus Silente muoia.”

Come se lo avesse udito fin da quella distanza, Silente si girò e proseguì il suo netto cammino, finché dopo due passi non scomparse ancora, in un luogo noto solo a lui e ai suoi Auror.

Grindelwald si voltò anch’egli, lo sguardo più freddo e deciso che mai in quello tramortito del suo accolito:

“ Svegliate Credence e preparatelo alla lotta. È finalmente giunto, invece, il tempo di cominciare la nostra rivoluzione. Il primo mattone del nostro nuovo ordine esigerà la testa del grande Albus Silente.”

E il sorriso che accompagnò quella sentenza di morte preannunciata, fu il più sinistro con cui Gellert Grindelwald stirò la sua bocca da sobillatore.

Ora più che mai, il sentimentalismo aveva ceduto il posto alla vendetta.

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo dell'autrice


Eccoci qua. Sembra un dejà-vu, non è vero?
Grazie per essere giunti/e fin qui.
La coppia Albus Silente/Gellert Grindelwald, impersonificata sullo schermo rispettivamente da Jude Law e Mads Mekkelsen, non ha ancora del tutto spento il fuoco creativo che arde in me. Tanto è vero che ne avete appena avuto una conferma, con questa one-shot. Vi è piaciuta? ;) 
Spero vi abbia deliziato, entusiasmato e divertito come l'ha fatto con me, che ne sono la promotrice diretta.
Ovviamente, chiarisco che:
1) I personaggi descritti non appartengono a me, ma alla loro diretta creatrice, quel genio a mani basse di J.K. Rowling;
2) La ff è ambientata in un contesto parzialmente differente agli eventi descritti nell'ultimo film, Animali Fantastici - I Segreti di Silente. Ho immaginato un incontro alternativo tra Silente e Grindelwald prima dello scontro effettivo a Nurmengard, dove sappiamo tutti come va a finire.
3) Lo scenario e gli spazi in cui si muovono i personaggi sono stati deliberatamente reinterpretati e descritti diversamente da me, assecondando la mia personale visione della fortezza in cui Grindelwald progetta e conta di realizzare i suoi disegni di dominio.

Accetto con piacere qualsiasi parere, opinione, commento o solo impressione su quanto letto.

Al prossimo magico salto dalla finestra.

Vostra,

Fuffy <3



P.S. Vi lascio il link ufficiale della canzone di Billie Eilish che ha influenzato la mia creazione del momento e che dà il titolo dalla mia shot:  https://www.youtube.com/watch?v=BboMpayJomw
Ascoltatela, se vi va, mentre leggete o rileggete. ;) Un bacio **










  
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