“
Was I stupid to love you?
Was
I reckless to help?
Was
it obvious to everybody else
That
I'd fallen for a lie?
You
were never on my side
Fool
me once, fool me twice
Are
you death or paradise?
Now
you'll never see me cry
There's
just no time to die.”
Billie
Eilish, No time to die (2021)
Era
notte inoltrata quando Albus Silente riuscì a raggiungere la
roccaforte di
Grindelwald. Il mago si nascondeva molto bene: il castello medievale
era ben
sorvegliato. Dal suo nascondiglio, Silente riusciva a scorgere ben due
robusti
figuri all’ingresso principale e doverosamente spalancato; ma
c’erano altre tre
sentinelle sul tetto dell’edificio e ben quattro per ogni
lato del palazzo.
Se
non era precauzione, questa, non sapeva davvero cosa fosse altrimenti.
Sorrise
beffardo Albus, dal suo angolo in ombra, la bacchetta sfoderata, il
ciondolo del
patto di sangue, scintillante di rubino e d’argento, ben
nascosto nel taschino
del panciotto color oltremare che gli fasciava i fianchi e il petto
occluso.
Era
teso, in allerta come una faina tra l’erba alta, attendendo
paziente il momento
giusto per fare la sua mossa.
L’occasione
gli venne concessa ad una distrazione – seppur minima
– della seconda
sentinella al portone d’ingresso. La più giovane,
la meno esperta. Sicuramente
scelta dal suo padrone per ben altri talenti, a discapito
dell’attenzione
preposta al suo attuale incarico.
Un
anello in oro bianco gli scivolò dall’indice
sinistro, quello che non stringeva
assieme alle altre dita la bacchetta nera. Un luccichio nel buio, un
tintinnio
pietroso e quasi assordante nel silenzio della notte nuvolosa.
Sbuffando
e ridotto a poco più di una sagoma oscura contro uno sfondo
accecato dai lumi
delle fiaccole esterne, il ragazzo arrestò il suo passo
lento e si chinò per
raccogliere dal pavimento il suo gioiello. Albus ritirò
piano la bacchetta,
mezzo utilizzato per compiere la sua piccola magia.
Uscì
dall’ombra e si lasciò illuminare sfacciatamente
dalle luci dei bracieri
interni. Avanzò sbrigativo, a passo felpato, e quando il
ragazzo, rindossato il
suo anello, si voltò e lo vide dinanzi, fu troppo tardi:
silenziato sia lui che
il suo attento vicino, entrambi finirono a terra pietrificati, gli
occhi
spalancati ad osservare negli occhi azzurri dell’altro il
bagliore della loro
negligenza, accompagnati dal suono smorzato di un suo risolino.
“
Perdonate, signori, ma è stato necessario.”
Bisbigliò
loro, come se fossero complici della stessa marachella. I due poterono
solo
sgranare di più gli occhi, incapaci perfino di ruotarli
nelle orbite. Silente
accentuò il suo sorriso, lesto e divertito.
Controllata
per un attimo con atteggiamento più vigile e serioso la
posizione della
sentinella che sondava il lato frontale, camminando lungo la cornice
murata
dall’alto del castello, una volta accertatosi di non essere
stato notato, il
mago inglese si premurò con un morbido e veloce movimento
del polso di spedire
i malcapitati servitori a ridosso del magazzino delle scorte a destra,
premurandosi
inoltre di coprirli con un telo per nasconderne la presenza. In
seguito, poco
prima che l’uomo sul tetto lo vedesse, trovò
nuovamente sostegno e riparo
nell’ombra fonda e grigia del portone.
Scivolando
lento e meticoloso lungo la superficie legnosa del pesante battente,
Silente riuscì
a passare inosservato ai più, finché non
trovò il modo di smaterializzarsi e
ricomparire in un’ala rialzata e, a giudicare dai corridoi
che si diramavano
verticalmente e in più direzioni, centrale del maniero.
Sospirando
e sicuro di non essere stato fino a quel momento intercettato, il mago
esperto
di incantesimi percorse il corridoio sinistro, quello che costeggiava
le pareti
in cui si spalancavano le soglie di diverse camere.
Erano
sette in totale. Albus le superò tutte, senza conceder loro
il minimo
interesse.
Consapevole
di starsi avventurando lungo il tragitto giusto, svoltò un
angolo a destra,
evitò di sbattere contro un elegante tavolino con sopra un
enorme vaso di fiori
bianchi e dal gambo lungo– narcisi e calle, per la precisione
del suo olfatto
prima ancora che della sua vista acuta – per poi avventurarsi
in un’altra ala
ancora, più aperta e intervallata qua e là,
percorrendo poi le scalinate da
arcate a tutto sesto, in pietra color sabbia, oltre le quali si
intravedevano
dabbasso giardini rigogliosi e in piena fioritura.
Uno
scenario molto caratteristico, ma per nulla importante ai fini della
sua
ricerca.
Ignorando
il canto dei grilli e il frinire delle cicale, ecco giungere infine
all’androne
che stava cercando.
Sogghignò,
prima di attraversarne il pesto e freddo corridoio, bagnato soltanto
sporadicamente
da poche lame di luce lunare, lungo le pareti gonfie e solide di tufo o
sul
pavimento irregolare e in pietra vulcanica livellata.
Le
sue scarpe fecero un sordo rumore di tacco e sfregamento di suola
quando lo
percossero a passo fermo e misurato, finché non raggiunse la
porta in legno
massello, scura e sinistra nella notte senza stelle, come del resto
l’intero
ambiente circostante.
Silente
si strinse nel cappotto, le mani affondate nelle tasche, il cappello a
celargli
metà viso concentrato.
Solo
i suoi occhi brillarono ad un piccolo fascio di luce tiepida,
strisciante e
fuoriuscente dalla fenditura bassa del battente.
Albus
non bussò quando lo aprì con un incantesimo, la
bacchetta sfilata l’istante
prima dal retro dei pantaloni del completo in madreperla classico.
Ad
accoglierlo, ci pensò un comitato composto da ben quattro
maghi e tre streghe,
ciascuno di loro, a detta delle loro espressioni decise e letali,
pronto a sbarrargli
la strada con ogni modo possibile.
E
chi era lui, per mancare a tanto zelo?
Sorridendo,
quasi come se si fossero dati appuntamento, si tolse il cappello dal
capo come
per salutare. Poi, cambiando espressione, strinse le labbra e
corrucciò lo
sguardo vivace per compiere con risolutezza magie atte ad
immobilizzare,
incarcerare, schiantare e disarmare i suoi vari e diversi oppositori.
Dopo
solo una manciata di minuti, Silente scoprì che i suoi
avversari erano abili e
tenaci: lo combattevano con estremo accanimento; una strega, in
particolare,
pelle d’alabastro e occhi di ghiaccio, gli lanciò
un paio di anatemi che per
poco non lo centrarono in pieno, ma che egli ebbe i riflessi di
evitare, con
soltanto la sfortuna di vedersi bruciacchiare una basetta e la punta
dell’orecchio sinistro.
La
schiantò poco dopo, con suo sentito malincuore, finendo per
farla sbattere
bruscamente contro un muro dietro di lei.
Allo
schianto, seguì il crollo di un quadro sulla sua testa e la
bassa risata di una
terza persona.
A
quel suono, il gingillo nella sua tasca vibrò e un nome solo
rimbalzò
istantaneo nella sua mente.
A
seguire, l’immobilità. Era stato paralizzato e con
lui, notò, il resto dei suoi
ancora in piedi assalitori.
Solo
un mago era libero di muoversi e di parlare. L’unico che
avanzò in mezzo alla foresta
di gambe, bacchette sollevate e mantelli neri per poter sostare proprio
dinanzi
a quel nuovo quanto rumoroso intruso.
Silente
vide Grindelwald fermarsi a pochi passi da lui, la temibile e
riconoscibile
bacchetta di sambuco lasciata distrattamente pendere al fianco destro,
stretta
mollemente alla sua mano, senza nutrire il minimo timore che qualcuno
gliel’avrebbe
potuta sfilar via dalle dita.
Ma
del resto, chi in quella stanza, a parte lui – che non lo
desiderava
minimamente – avrebbe voluto o osato
tanto?
Quindi,
a conti fatti, quel suo atteggiamento pigro e scanzonato era
giustificabile, ai
fini delle sue convinzioni in materia di superiorità magica.
Diversamente si
poteva dire per quel suo schernente e molesto sogghigno sulle labbra
carnose, seppur
spigolose e letali come coltelli affilati di recente.
Quello,
Albus proprio non riusciva a tollerarlo.
Grindelwald
lo vide combattere per sciogliersi dall’incantesimo. Le
fessure dei suoi occhi
cangianti ed ipnotici si strinsero ancor di più nelle
palpebre segnate, ai
lati, da poche e sottili rughe d’espressione, per poi
accentuare di più agli
angoli della bocca tirata quel suo sorriso irritante e sornione da
gatto
ruffiano.
Con
uno scatto improvviso e risoluto, Albus riuscì ad uscire
dalla sua imposta staticità.
Tuttavia, si accorse con ritardo che anche gli altri erano nella sua
medesima
condizione.
Quando
in leggero affanno per lo sforzo di resistere a quel dominio,
più che al
precedente combattimento, rialzò lo sguardo verso di lui,
Silente constatò dall’elevarsi
della sua bacchetta ad una spanna dalla sua testa, che era stato
proprio
Grindelwald a porre fine a quel suo molesto incanto.
Dopo
un sospiro di sollievo collettivo, i suoi sottoposti si strinsero in un
rigido
mutismo. Persino lo sguardo del loro leader si era fatto più
severo, lucido e
inflessibile come marmo ingrigito.
“
Andate. Lasciateci soli.”
Senza
replicare o provare a guardarlo una seconda volta, i tre maghi e la
strega dai
capelli rossi accanto a loro si affrettarono a scavalcarlo per poter
eseguire
l’ordine appena impartito, duro e deciso come uno schiocco di
frusta, dal
proprio signore.
Un
mago dai capelli biondi e lo sguardo incupito aiutò la
strega schiantata a risollevarsi
e, sorreggendola per un braccio, la guidò fuori insieme a
lui.
L’ultima
fu più restia ad abbandonare Grindelwald, tanto da sfiorarlo
appena al suo
passaggio e trattenersi un attimo in più sul posto, solo per
poter incenerire
Silente con uno sguardo che, se avesse potuto uccidere, lo avrebbe
trafitto con
la stessa violenza di mille pugnali.
Fu
comunque la stessa a richiudere la porta alle sue spalle, lasciandolo
definitivamente solo con il mago di fronte a lui, che nel frattempo non
aveva
smesso per un solo istante di sondarlo con i suoi analitici occhi
felini.
Silente
abbassò lo sguardo e sghignazzò beffardo, per poi
deglutire a vuoto e tornare a
guardarlo fisso, lo stampo di un sorriso nervoso a segnare le sue
labbra fini e
rosse come ciliegie mature.
Grindelwald
abbandonò nuovamente la sua aria intransigente, per
concedergli un altro ghigno
lieve e soffiato.
“
Non avresti potuto trovare una maniera meno distruttiva, per irrompere
nel mio
studio?”
Lo
canzonò ironico, voltandogli le spalle per poter raggiungere
la sua scrivania.
Albus
accentuò gli angoli delle sue labbra già arcuati,
per poi guardarsi per un
attimo la punta delle scarpe prima di avanzare di lato, lesto e
circospetto,
verso di lui, bacchetta sempre previdentemente alla mano.
“
Sarebbe stato più saggio, per te, che i tuoi seguaci
restassero.”
Lo
rabbonì quasi, come se fosse uno dei suoi allievi
più talentuosi, ma testardo
ed indolente, e non il nemico numero uno, attualmente, per tutti i
governi
esistenti nel mondo magico.
“
Oh, e perché mai?”
Grindelwald
si sedette al centro della scrivania, sostenendosi ad essa con una mano
sul
bordo legnoso e scuro, l’altra che reggeva la bacchetta
abbandonata tra le
gambe distese ed incrociate, in una posa rilassata e tranquilla che
richiamava
molto la sua.
Silente
distorse la bocca in un mezzo sorriso, quasi indispettito da quelle
inopportune
verosimiglianze.
Intanto,
la voce modulata di Grindelwald pronunciò in tono basso e
sardonico:
“
Per permetterti di trascinarli ancora di qua e di là,
rompendo qualche altro
oggetto della mia preziosa mobilia? Mi devi già un quadro e
una sedia, se è per
questo.”
Silente
non guardò né il quadro né la sedia
semidistrutta citati, ma lui. Gli occhi di
Grindelwald, dal loro canto, non si sottrassero al laccio azzurro dei
propri,
che persistettero a rimanere fissi e seri nei suoi; il mago
notò uno sfarfallio
scherzoso in quelle due gemme di diverso colore, ancora preso
evidentemente dal
suo, a quanto pareva, ultimo svago: provare a fargli perdere le staffe.
Con
un gesto semplice della sua portentosa bacchetta ed evitando di
pronunciare ad
alta voce il ‘reparo’
di rito, tutto
tornò al suo originario stato.
“
Immagino che tu sia venuto qui non di certo perché sentissi
la mia mancanza…”
Il
timbro della sua voce era diverso, ora. Sempre calante ed ipnotico, ma
con
l’aggiunta di una punta di miele che avrebbe nauseato
chiunque si fosse trovato
insieme a lui, ad ascoltarlo. Eppure, traditore, il cuore di Silente
non poté
non palpitare, divenendo appena un po’ più celere
a quella nota d’insolita
dolcezza.
Gli
parve, infatti, che Grindelwald serbasse una speranza in quella frase
lasciata
volutamente sospesa tra loro: quella di venire contraddetto nella sua
affermazione.
Ma
Albus Silente non era così scioccamente ingenuo e
sentimentale da non sapere
quali fossero le priorità di quella sua incursione notturna.
“
Immagini bene.”
Calcò
nonostante tutto, alzando leggermente di una tacca il tono di voce,
rendendolo
quindi squillante e chiaro alle sue orecchie, affinché non
gli fosse concesso adito
ad eventuali fraintendimenti.
Gellert
abbassò lo sguardo al pavimento, scuotendo il capo e
allargando ancor di più il
suo sorriso da gatto del Cheshire, fino a mostrare la spudorata
brillantezza
dei denti perlacei.
“
Sono qui per il ragazzo, Credence.”
Grindelwald
lo guardò inespressivo, il viso leggermente inclinato di
lato, in un
atteggiamento sospettoso. Non gli credeva, forse?
Albus
si accigliò, aggiungendo in seguito severo:
“
Sono venuto qui con nessun altro scopo, se non quello di
liberarlo.”
Gellert
lo soppesò ancora per un po’ con lo sguardo,
mugugnando assorto, finché non gli
indicò la sedia appena ricomposta.
“
Siedi.”
Albus
non si mosse.
Con
un calcio, Grindelwald gli spinse la sedia contro, come a voler
rimarcare il
concetto.
Silente
alzò un sopracciglio folto e fulvo.
“
Siediti, Albus.”
Detto
questo, si rimise eretto, staccandosi dalla scrivania per potersi
sedere
comodamente sul divanetto ad angolo.
Accavallò
elegantemente le gambe, tendendo le braccia lungo lo schienale
imbottito in
broccato rosso, che richiamava nelle tonalità quello
purpureo della sua
sciarpa, che si tolse dal collo con un gesto noncurante.
“
Vuoi del tè?”
Silente
continuò a guardarlo dalla sua postazione, per nulla
intenzionato ad
assecondare i suoi capricci.
“
Non mi farai cambiare idea sulle decisioni prese,
Grindelwald.”
“
Non ne dubito, ma davanti ad una buona tazza di tè diventa
più facile parlare,
non sei d’accordo?”
Di
nuovo quel sorriso convincente.
Albus
abbassò lo sguardo, per nulla intenzionato a lasciarsi
abbindolare.
Tuttavia,
giunti a quel punto, tanto valeva assecondarlo. Magari, sarebbe stato
più
propenso a ragionare nella nebbia contorta della sua follia.
Se
poteva evitare di usare la forza, compromettendo anche se stesso nel
mentre, a
causa del legame magico che ancora li vincolava come monito o una
maledizione,
lo avrebbe volentieri fatto. Finché le circostanze
– o Grindelwald stesso – gli
avrebbero concesso.
Albus
afferrò la sedia e si sedette poco vicino alla larga
poltrona su cui
Grindelwald si compiaceva di troneggiare.
Si
tolse il cappello e se lo posò sulle cosce unite, sfilandosi
al contempo anche
l’impermeabile color oltremare.
Gellert
stiracchiò le labbra in un nuovo sorriso mentre ne seguiva i
movimenti,
soddisfatto, evidentemente, infine di essere stato accontentato.
“
Sembra quasi un dejà-vu,
vero?”
Lo
udì mormorare, gli occhi socchiusi a fissarlo sogghignante.
Albus
storse la bocca in un sorrisetto irritato, per poi aggiungere tra un
sussurro
ammonitore:
“ Te l’ho detto:
non sono venuto per
intrattenerti.”
“
È vero. Però devi ammettere che è
divertente stare qui, a giocare alle vecchie
signore inglesi in veranda.”
“
Molto bene, noto con dispiacere che ti ostini a voler ignorare la
serietà delle
circostanze. Te lo ripeterò fino allo sfinimento, se
sarà necessario, allora:
sono qui per Credence.”
Scandì
ogni singola parola, come se si trovasse di fronte ad un uomo di
difficile
comprendonio.
Lo
sguardo e l’espressione immutabilmente sorniona di
Grindelwald non mutò di un
millimetro.
Albus
intrecciò le mani e accavallò aristocraticamente
le gambe, gettando il cappello
sullo spazio vuoto della poltroncina lasciata in penombra dalla luce
delle
candele giallo-oro del lampadario.
In
seguito, tirando un respiro come a conferirsi calma, si sporse appena
col capo
in avanti, verso di lui, che parve allungarsi ancor di più
con le lunghe
braccia languidamente lungo il divano.
“
Dove lo nascondi?”
Gli
chiese, con aria circuente ma con sguardo severo.
Gellert
si rianimò all’improvviso, schioccando le labbra
prima di proferire, con tono
per nulla turbato:
“
Tutto a suo tempo. Bevi prima il tuo tè. Entra pure, mia
cara!”
Esclamò
gioviale ma autorevole, permettendo ad Albus di voltarsi per incontrare
lo sguardo
sgranato e sorpreso di un’attonita Queenie.
La
sorella di Tina era più pallida e magra di quanto la sua
foto da scomparsa mostrasse
alle locandine.
Ai
colori sgargianti e femminili dei suoi abiti, ora preferiva ammantarsi
di
lunghe mise nere e prive di brillanti, volti a smorzarne la propria
peculiare e
chiassosa civetteria.
Solo
il biondo dei suoi corti capelli arruffati era rimasto, anche se sul
grano
solare delle sue ciocche ondulate era calato una gelida patina di umido
argento.
Sostava
lì, sulla soglia socchiusa dell’entrata, un piede
già dentro, tra le mani il
vassoio del tè.
“
Vieni avanti, Queenie. Silente è stato così
gentile da venirci a rendere
visita.”
Diceva
intanto Grindelwald, del tutto incurante della tensione smaniosa di lui
di
prendere la giovane strega spaventata e condurla il più
lontano possibile dai
suoi efflussi nefasti, come anche di quella confusa e stupita di
Queenie alla
presenza del mago importante e oppositore in quella stanza.
Tuttavia,
ad un nuovo sguardo deciso di Grindelwald, Queenie avanzò e
posò fra loro il
vassoio, servendo il tè in porcellane sottili e delicate,
che solamente un
gusto femminile avrebbe potuto scegliere.
Silente
la ringraziò, chiedendole come stava.
Queenie
fece per rispondergli, ma poi ci ripensò subito,
torturandosi le mani e il
labbro inferiore fra i denti, come se stesse combattendo con se stessa
dal pronunciare
chissà quali parole.
Grindelwald
le sorrise, attento e calcolatore:
“
Chiedi, mia cara.”
“
Come?”
Articolò
lei, distratta e guardandolo con occhi sgranati da cerbiatta.
Gellert
ghignò in risposta al suo stupore, sempre più
temibilmente adulatore.
“ Vuoi chiedere a
Silente come sta il tuo
Jacob, vero?”
Queenie
abbassò lo sguardo, affannandosi appena a quella
constatazione, come una
bambina rimproverata dal padre per i suoi eccessi.
Dopo,
sollevò lo sguardo disincantato domandando a Silente, che la
osservava con
attenzione e preoccupazione insieme, dolce ed ubbidiente:
“
Come sta?”
Albus
si sforzò di sorriderle, incoraggiante:
“
Bene. Sta molto bene.”
Ella
sorrise a quelle parole, sollevata e mostrandosi ad egli quasi
riconoscente per
quella risposta positiva.
Silente
le prese gentile una mano. Lei si irrigidì e, di riflesso,
guardò Grindelwald
in tralice.
“
Tuttavia devo aggiungere che, non gli dispiacerebbe affatto…
riaverti di nuovo
al suo fianco.”
Queenie
cominciò a sudare nella sua mano, gli occhi color nocciola
sempre più luminosi
ed agitati.
Sembrava
terrorizzata dal suo mormorio delicato.
“
Accadrà presto.”
Disse
Gellert, ottenendo di nuovo tutta l’attenzione della strega,
che rimase
immobile e ferma ad ascoltarlo. Pendeva dalle sue labbra, fiduciosa
nonostante
il suo chiaro terrore.
“
Queenie ben presto si unirà di nuovo al suo amato Jacob.
Solo un altro po’ di
pazienza e potranno vivere il loro amore nella più completa
felicità, in uno
stato di grazia guadagnato e degno. Senza alcun obbligo, senza nessuna
ritorsione. Soltanto loro due, finalmente liberi di potersi amare alla
luce del
giorno.”
Queenie
sorrise, sedotta e ammaliata da quei sogni promessi.
Nient’altro che chimere,
illusioni atte ad abbindolarla, ad ottenere il suo pieno ed ossequioso
consenso.
La
strega lasciò la mano di Albus, scivolando via dalla sua
presa come acqua fra
le dita.
Quando
gli si rivolse, era di nuovo leggera, carica di aspettative.
“
Salutamelo appena lo vedi, promesso?”
Silente
non ebbe il tempo di fermarla, seppur si tese sulla sedia e fece per
alzarsi.
“
Lasciala andare.”
Lo
tranquillizzò sibillino Gellert, prendendo
contemporaneamente la sua tazza.
L’azzurro degli occhi di Albus era ancora fisso sulla schiena
minuta e delicata
di Queenie, che trotterellò fuori dalla stanza, il vassoio
vuoto fra le mani,
il cuore sollevato in aria come ali bianche di farfalla.
Ingannata.
Circuita. Rapita.
E
il suo carceriere si vantava di essere il suo salvatore, gustando sotto
la
lingua il sapore amarognolo del suo tè alla menta.
Albus
ritornò a guardarlo mentre lo udiva proferire parole
inappropriate, le mani
strette ai braccioli della sedia, a graffiarne con le unghie corte il
velluto
di porpora. A trattenersi dal compiere un gesto di troppo, consapevole
dal
bruciore insistente del loro magico vincolo e dalla morsa della catena
d’argento al suo collo, che sarebbe stato del tutto superfluo:
“
Una ragazza deliziosa. Così innocente… Adora
follemente il suo babbano. E
follia è la parola giusta, se si guarda al loro legame.
È un vero peccato che
debba ucciderlo, non appena avrò l’occasione di
vederlo.”
Albus
lo incenerì con uno sguardo di gelido risentimento.
Grindelwald
sorrise, adulante nel tono di voce affabulatore:
“
Suvvia, non essere così severo, con me, Albus. Dopotutto,
dovrebbe
ringraziarmi: la sto salvando da una vita mediocre e infelice. Ha
così tanti
talenti, un’anima magica fra le più
lucenti… perché tenerle ancorata al collo
una zavorra simile? Sarebbe quella
la
vera tragedia, non certo la perdita del suo animaletto da
compagnia.”
Bevve
un altro sorso del suo tè, riponendo poi la tazza sul
piattino.
“
Uhm, no, decisamente. Le sto trovando un ottimo sostituto. Un mago,
ovviamente.
Un purosangue d’alto rango. Le piacerà. Donne del
genere sono facili al dramma,
come al rimpiazzo dei sentimenti. Vedrai, alla fine me ne
sarà grata.”
Soffiò
leggermente sulla sua bevanda calda, accostandosi poi tazza e piattino
alle
labbra sporte. Lo sguardo lontano, ora, come se fosse totalmente
immerso nei
suoi pensieri apocalittici.
“
Alla fine, me ne sono grati sempre tutti.”
Constatò
al termine delle sue segrete lucubrazioni, quasi fra sé e
sé.
L’istante
successivo, i suoi occhi erano già di nuovo in quelli
tempestosi di Silente. Tornò
a sorridergli, per nulla turbato dal suo malumore alle sue affermazioni.
“
Non bevi il tuo tè? È al limone, come piace a
te.”
Albus
afferrò la tazza, insieme con il piattino. Tuttavia
tardò ad assaggiarlo, lo
sguardo accigliato, il sospiro trattenuto fra le labbra.
Gellert
sghignazzò:
“
Cosa c’è? Temi sia avvelenato?”
Lo
punzecchiò, quasi divertito dal suo esitare.
Senza
attendere una sua replica, ad un suo spontaneo trasalimento,
Grindelwald gli
prese la tazza dalle mani e ne assaggiò il contenuto al suo
posto.
Silente
lo osservò deglutire e sorridere del suo sbigottimento a
quel gesto.
“
Visto? Sono ancora vivo.”
Detto
questo, gli riconsegnò la tazza. Albus la afferrò
in automatico, ma la depose
sul tavolino insieme col piattino in un tintinnio flebile di porcellana
su
legno duro.
Grindelwald
lo analizzò per un po’ col suo sguardo ipnotico,
per poi colmare ancora il
silenzio tra loro con uno schietto e disincantato chiacchiericcio:
“
Dopotutto non c’è sorpresa in questa rivelazione.
Dovresti sapere che il veleno
non è il mezzo da me prediletto per eliminare qualcuno.
Troppa inerzia, troppo
poca gloria nell’uccidere qualcuno d’inconsapevole.
No, il veleno è per i
codardi. E io non lo sono di certo.”
Il
ghigno che seguì, fu tutt’altro che rassicurante.
Silente
deglutì a vuoto, gli occhi azzurri ancora fissi e sbigottiti
nei suoi, una ruga
a segnargli la fronte ampia e il cipiglio da intellettuale.
“
Mi disapprovi, Albus?”
“
Tendo a farlo, quando ho di fronte qualcuno che parla con estrema
disinvoltura
di sconvolgere o di stroncare vite innocenti.”
Grindelwald
si fece avanti, le ginocchia aperte, la mano sinistra allungata verso
la
zuccheriera, ad afferrare il cucchiaino, a rovistare al suo panciuto
interno,
dosato e meticoloso.
“
Sai, ho imparato, col tempo, che l’innocenza, come la maggior
parte delle cose
della vita, è strettamente correlata a svariati punti di
vista.”
Prima
che Albus potesse obiettare, Gellert gli offrì una zolletta
di zucchero:
“
Zucchero? Ne prendi tre, se non erro.”
“
Faccio da solo, grazie.”
Gli
scostò la mano, il tono gentile screziato da uno stridente
rimprovero.
Gellert
lo assecondò, ritornando poi ad assumere la sua posizione
preferita, da pantera
sazia all’ombra delle palme.
Albus
aggiunse una zolletta al suo tè, provando ad ignorare o
perlomeno a tenere
sotto controllo il fremito di rivalsa contro quel sogghignante
sobillatore di
anime pavide.
Più
mescolava lo zucchero nel tè, facilitando i dolci granelli
bianchi a sciogliersi
nella bevanda tiepida, e più una forte asprezza gli
inzuppava l’antro della
bocca secca.
Tintinnò
debolmente il cucchiaino dorato per poi cominciare ad ingurgitare senza
piacere
quell’intruglio chiaro, solo per evitare di vomitargli
addosso tutto il suo
disappunto riguardo alle sue scelte.
Non
era ancora arrivato il momento di dare la caccia al serpente.
“
Denoto che non sei più tanto goloso.”
Silente
mugolò, evitando di guardarlo mentre sicuramente gongolava
chissà che pensiero
inespresso, seppur palesato nella sua espressione fintamente pacata e
ridente.
Silente
si leccò appena le labbra, prima di dichiarare:
“
Solo quando ne ho l’occasione; e mi perdonerai se ti dico che
quella in cui ci
troviamo adesso, non mi sembra la più adatta per lasciarsi
andare a dolci
tentazioni.”
“
Dipende dalle tentazioni…”
Gettò
lì Gellert, reclamandone lo sguardo non appena, sollevati
gli occhi dalla tazza
fra le proprie mani, Albus incrociò i suoi.
In
quel momento, osservandolo, egli captò un lampo diverso
nelle sue iridi differenti:
qualcosa su cui Albus preferì saggiamente non indagare.
Ma
Grindelwald non era del suo stesso avviso; si avvicinò a
lui, accorciando la
distanza che li separava, come se il tavolino fra loro non esistesse
affatto.
Si
sporse in avanti con la schiena e il capo in un movimento cauto e
felino,
esattamente come aveva fatto nella sala ristorante londinese, con
l’unica
differenza che ora non vi era alcuna apparenza a cui doveva sottostare.
Era
chiaro, dal modo insistente e calamitico in cui lo guardava, che si
sarebbe
spinto molto più oltre di quella volta circondato da babbani.
Un
tremito interiore lo scosse; le dita, divenute fredde per
l’agitazione,
ancorate alla porcellana scricchiolante della tazza ancora ricolma; il
chiarore
dei suoi occhi tenui rannuvolato da un vago sentore di disastro
irreversibile,
oltre che irreparabile.
Gellert
lo scrutò attentamente per un po’, gli occhi
sempre più ridotti a due fessure
languide, incorniciate da lunghe ciglia chiare.
Il
fastidioso e turbante sorriso ad increspargli le labbra morbide e
seducenti,
proprio come il tono di voce che utilizzò subito dopo, per
blandirne lo
scetticismo:
“
Perché non ti unisci a me, Albus?”
Giocò
col suo nome, facendolo ribalzare sulla bocca come il pizzico di
un’ape sui
petali di un fiore non ancora colto.
Silente
abbassò lo sguardo, riponendo tranquillamente la tazzina sul
tavolino e
risedendosi più compostamente sulla sedia, provando con quel
gesto educato a
ridimensionare la discreta distanza fisica e mentale tra loro.
“
Ne abbiamo già discusso, mi sembra, Grindelwald. Credevo che
questo discorso
tra noi oramai fosse più che superato.”
Lo
guardò severamente ora, il sorriso di circostanza scomparso
nella linea
intransigente delle labbra rosee.
“
Non posso unirmi alla tua causa. Non mi appartiene e non mi ci
rispecchio
affatto. Le mie idee di una convivenza tra mondo magico e quello
non-magico
stridono terribilmente con le tue odierne. E credo che anche di questo
tu sia al
corrente. Perciò, date le condizioni attuali, non vedo
perché mai tu debba
ancora insistere su questo argomento.”
“
Perché non mi uccidi, Albus?”
Lo
interrogò ancora Grindelwald, lo sguardo fermo, la maschera
del conquistatore
immutato sui suoi tratti articolati.
Ancora
morte. A quanto pareva, quell’argomento era diventato
progressivamente il leitmotive della
sua esistenza…
Ne
avrebbe avuto mai abbastanza?
In
seguito a quelle brevi riflessioni, Silente gli parlò con
maggior severità:
“
Conosci già la risposta.”
“
Il patto.”
“
Sì.”
“
Ed è solo per questo?”
Bisbigliò,
celiando sia con gli occhi che con il viso, entrambi misteriosi.
Silente
si accigliò, ammonitore:
“
Esiste forse dell’altro?”
“
Per me, sì.”
Allungò
lentamente un braccio e ne tese la mano per sfiorargli con
l’indice e il medio la
barba curata sul mento.
“
E per te?”
Silente
si alzò, facendo gracchiare sgradevolmente le gambe della
sedia sul pavimento e
voltandogli le spalle, affannato e quasi oltraggiato dal modo in cui si
stava
comportando con lui, come anche dal timbro soffiato e circuente assunto
volutamente dalla sua voce roca e sensuale.
Il
ciondolo iniziò a scottare dentro i suoi abiti,
l’animo del mago a ribollire
sotto i multistrati del suo essere.
“
Basta, Gellert! Finiscila con questa falsa!”
Lo
apostrofò minaccioso.
Grindelwald
si ritirò ma non si mosse dal divano, osservandolo adesso
con superbo distacco,
quasi come se lo disapprovasse.
Egli,
a lui?! Inconcepibile!
Questo
pensiero sortì un effetto escoriante su una ferita
già aperta nell’orgoglio di Silente,
che sbottò irritato e sibilante:
“
Credi forse che le tue malie bastino ad incantarmi? Lo so cosa stai
cercando di
fare. Ti conosco abbastanza, ormai, da riuscire a svelare tutti i tuoi
trucchi
e al momento, t’informo che nessuno di essi
basterà a trascinarmi dalla tua
parte.”
“
Sei arrabbiato con me, vedo…”
Commentò
l’altro, allungando un braccio lungo il bordo dello schienale
del divano.
L’indifferenza
nella sua voce, come nelle sue maniere, al suo inalberarsi,
finì con
l’irritarlo ancora di più.
“
Ti sbagli. Non è rabbia, la mia, ma disprezzo.”
Quella
parola, calcata dalle sue labbra, finì col crucciare perfino
la sua fronte
liscia, come anche ad incupire il suo sguardo già velato da
un sentimento,
tuttavia, meno pacifico del precedente.
“
Pensi che non abbia capito le tue vere intenzioni? Stai usando Credence
per
colpire me. Perché credi che solo lui possa infliggermi il
male che tanto fingi
di non augurarmi. Perché sai che la sua natura mi ricorda
terribilmente quella
di Ariana, che tu e la tua arroganza in passato avete portato alla
rovina!”
Lo
additò, l’atteggiamento scomposto, il patto di
sangue sempre più rovente.
Oramai, quasi sembrava voler bruciare i vestiti in cui si celava, per
potergli
più agilmente ustionare la pelle.
Ciononostante,
Silente continuò, incurante della durezza metallica che pian
piano, come
un’onda spaventosa, stava risalendo sul viso e i tratti
spigolosi di
Grindelwald, rendendo il suo volto e le sue labbra strette una maschera
insondabile di disappunto e turbamento.
“
Non posso dimenticare il male che ci siamo fatti, né posso
superare gli errori
del presente. Ma posso provare a porvi rimedio… a cominciare
dalla tua
influenza nefasta su Credence. Lo condurrò via da te e dai
tuoi intrighi e
tenterò di rendere più piacevole e meno dolorosa
la sua vita, già notevolmente
compromessa.”
Prese
fiato e rilassò le spalle, la bacchetta ancora stretta nella
mano destra, l’espressione
ferma e determinata come un idolo di marmo, lucido ed incorruttibile:
“
Non mi ingannerai una seconda volta, Gellert. Qualsiasi cosa tu faccia
o dica,
a partire da questo momento, sarà inutile.”
Detto
ciò, il fardello di un plumbeo silenzio cadde su di loro,
gelando ciascuno
sulle proprie rispettive posizioni e ammutolendoli.
Grindelwald
non si era ancora mosso, gli occhi temibili fissi in quelli risoluti di
Silente.
Dopo
che una nuvola oscurò la luna, Albus si sentì
afferrare di colpo e risucchiare;
e quando i raggi perlacei tornarono a delineare i contorni dello spazio
in cui
si trovava, tutto quello che riuscì a vedere con chiarezza
fu Gellert, chino su
di lui, di nuovo in piedi e con le mani nodose chiuse come artigli
intorno alle
sue braccia.
Il
suo respiro denso e caldo gli si infranse sulla faccia, si
infilò nelle narici,
gli penetrò le labbra semiaperte. Il suggestivo chiaroscuro
dei suoi occhi a
mutare il meravigliato azzurro dei propri.
In
seguito, inaspettatamente così come lo aveva agguantato,
Grindelwald lo lasciò
andare e fece un passo indietro, valutandone da lì in poi la persona e il
comportamento, come se Silente
fosse sotto esame ed egli fosse stato chiamato a giudicarlo.
“
Mi hai rovinato il tè, oltre che l’umore, con
tutte le tue prediche.”
Masticò
dopo quell’attenta analisi, borbottando fra i denti
quell’accusa velata da un rimprovero
cupo e sommesso, per poi sfilarsi la giacca e allontanarsi di molti
passi da
lui.
Con
la bacchetta, accese i lumi che illuminarono il nuovo ambiente in cui
l’aveva
smaterializzato.
Silente
si concentrò su quello, per evitare a sua insaputa di
guardare con fin troppo
interesse la curva ritta delle sue spalle larghe e robuste,
così come gli
apparve sottolineata dalla stoffa ben tesa della camicia e dalle linee
dal
taglio scuro del gilet a tre bottoni nero.
Le
ricordava più magre e sottili… ma del resto,
erano molto giovani quando si
erano avvicendati da non poter che sembrare diversi, a distanza di
molti anni, l’uno
agli occhi dell’altro.
Involontariamente,
prima che potesse fermare la sua mente elucubratrice, Silente si
domandò che
opinione potesse avere Grindelwald sull’aspetto del suo nuovo
sé. Ma come venne
partorito, quel pensiero fu subito metaforicamente soppresso e
scacciato, nella
pratica, da un gesto stizzoso della testa arrovellata e un guizzo
fulmineo
negli occhi aggrottati.
Tornato
bruscamente al presente, il mago si accorse di essere piombato in una
stanza diversa,
più ariosa e meno opprimente, rispetto allo studio compresso
e ritirato di
Grindelwald.
Disseminati
nei vari spazi c’erano un letto a due piazze, un armadio alto
e capiente, un
comò con sopra il poco nécessaire
per
la cura personale, uno specchio ovale dalla cornice dorata e istoriata
e infine
una poltrona in broccato rosso, molto simile alla trama rubino del
divanetto
dello studiolo dabbasso.
Era
nella camera da letto di Grindelwald.
Silente
deglutì, nervoso e irritato.
Perché
lo aveva portato lì? Cosa sarebbe mai potuto cambiare fra
loro, racchiusi in
quelle nuove e differenti quattro mura? Che cosa voleva dimostrare?
Gellert,
intanto, aveva riposto la giacca sullo schienale della poltrona e si
era
sbottonato i polsini, arrotolandone le maniche bianche lungo le braccia
discretamente villose.
“
Rilassati, Albus. Sento gli ingranaggi del tuo brillante cervello
cigolare fino
a qui.”
“
Se lo sai, allora spiegati.”
“
Non c’è molto da spiegare, temo.”
Abbassò
le braccia lungo i fianchi, alzando poi lo sguardo per dichiarare:
“
Ti voglio nel mio letto.”
*
Albus
Silente sgranò gli occhi dopo averli strizzati velocemente
fra le palpebre. Lo
osservò sconvolto, a metà tra
incredulità e sbigottimento.
“
Prego?”
Gellert
abbassò il suo di sguardo, per un attimo, al pavimento
ancora in ombra,
sogghignando spavaldo e irriverente.
A
Silente gli si strinse il cuore, a quell’immagine: per un
momento– solo per un
breve, singolo istante – gli
era parso di intravedere il vecchio Gellert,
il biondo e ingenuo ragazzo di una volta.
Ma
lo era davvero mai stato, innocente e disincantato? O era stata
solamente
un’altra delle sue trappole ben congeniate, per irretirlo e
trascinarlo nella
sua nuvola turpe, fatta di menzogne e manie di onnipotenza?
Fu
malinconicamente che Silente chinò il capo e
spostò lo sguardo sulla punta
delle sue scarpe, ciondolando sui talloni, la mano che non reggeva la
bacchetta
affondata nella tasca del pantalone classico.
“
Dovresti vedere la tua faccia! Sembri quasi terrorizzato,
all’idea che faccia
sul serio.”
Sospirò.
“
Un tempo non avresti reagito così.”
Mormorò
leggero, rovistando poi in una scatola di legno su un tavolino da
camera,
afferrandone poi qualcosa.
Ma
Albus era distratto. Cercava di evitare di arrossire a
quell’esplicita
allusione, seppur internamente sollevato che stesse scherzando.
Si
grattò con l’indice sinistro la punta del naso
adunco, arcuando le sopracciglia
mentre borbottava, un po’ a disagio:
“
Erano altri tempi, altre circostanze…”
“
Sì,” lo interruppe bruscamente, come capitava
spesso ultimamente.
“
Eri decisamente più accondiscendente, te lo
concedo.”
Affermò
convinto e con tono spavaldo, affondando piacevolmente nella poltrona,
incrociando le gambe e puntellandosi con i gomiti piegati sui morbidi
braccioli, mentre si accendeva quello che, a giudicare dalla forma e
dall’odore
speziato, aveva tutta l’aria di essere un sigaro cubano.
Silente
seguì Grindelwald ispirare del fumo ed espirarlo poi in
ampie volute grigiastre,
il lungo sigaro marrone scuro a reggersi in equilibro fra due delle sue
lunghe
e spesse dita.
“
Non ero accondiscendente. Ero solo –”
“
Innamorato?”
Silente
sospirò, accigliandosi infastidito da quel suo pressante
incalzare.
“
Sì.”
Lo
guardò con decisione negli occhi, mentre glielo confessava.
“
Lo sai anche tu.”
Gellert
gli sorrise, placido e consapevole.
“
Sì.”
Alitò,
insieme ad un fievole sbuffo di fumo, come un drago che prendeva aria
per
lanciare fiamme e spargere con esse morte e distruzione.
Silente
scrollò le spalle, sventolando poi la bacchetta e indicando
con essa l’ambiente
circostante, preferendo di gran lunga, con quei semplici gesti,
cambiare
drasticamente discorso:
“
Cosa vorresti ottenere con tutto questo?”
Grindelwald
fumò ancora indisturbato, prima di rispondergli:
“
Volevo solo concederci un minimo di tranquillità.”
“
Non ci sarà mai serenità tra noi, se ti ostinerai
a perseguire queste tue
malvagi pretese di dominio.”
Gellert
pose da parte il sigaro, sospirando pesantemente e quasi con stanchezza
a quei
suoi nuovi e già ascoltati rimproveri.
“
Il potere è pur sempre un ottimo alleato, in caso di
debolezza.”
Lo
guardò con altri occhi ora, come se fosse lui da biasimare e
non egli, con
tutte le sue dissacrazioni.
“
Tu hai delle debolezze? Se è così, non le mostri
affatto. Anzi… mi sembri più
che convinto di non averle.”
“
Mi reputi arrogante?”
Ora
fu il turno di Silente di sorridere:
“
Lo sei sempre stato. Fin da quando ho memoria di te. Molto
più di me,
sicuramente.”
“
E di noi, che cosa mi dici?”
Lo
scrutò solerte, la voce che assumeva toni sempre
più amabili, le braccia e le
gambe tese come a voler fare un balzo verso di lui.
Silente
fermò il suo passo dinoccolato e in parallelo con lui, ma
non indietreggiò né
trasalì dinanzi a quelle sue, ai suoi occhi attenti, mal
celate prepotenze.
“
Sei ancora convinto che le tragedie del passato siano e rimangano
insormontabili,
per un futuro insieme?”
Silente
si crucciò a quel quesito.
“
Mi stai… forse facendo delle avances,
Grindelwald?”
“
Ti sto solo sottoponendo dinanzi l’ovvietà dei
fatti, Silente.”
Il
suo tono, adesso, era più marcato, più lesto. Era
chiaro che quella conversazione
non stava andando secondo i suoi piani e che, anche con ciò
che palesavano i
suoi occhi eterogenei, non ne fosse affatto entusiasta.
A
quel punto, ogni sua reazione nei propri confronti poteva dirsi
inevitabile.
Eppure non si muoveva. Era fermo, quasi passivo allo scorrere delle
parole e
delle pause sospese e ricche di incertezze tra loro.
E
tutta quella sua inerzia, non faceva che aumentare in lui il sospetto.
“
Non verrò mai dalla tua parte.”
Grindelwald
sorrise, come se si aspettasse quell’ennesima dichiarazione
contraria ai suoi
desideri.
“
Molto bene.”
Mormorò,
per poi alzarsi con un colpo deciso delle anche e avanzare lentamente,
ma
inesorabilmente, verso di lui.
Albus
si tese, la mano stretta – quasi aggrappata – alla
sua bacchetta. Gli occhi
fissi nello sguardo subdolo e magnetico del suo rivale. La postura
rigida, ma
non per questo marmorea nella paura di uno scontro, come Grindelwald si
sarebbe
potuto aspettare.
“
Chiarito questo, immagino… che vorrai sapere dove si trova
Credence.”
“
Esatto. È solo per lui che sono qui, te lo
ribadisco.”
“
Oh, ti sento parlare e ostentare il tuo eroismo da diverso tempo,
oramai. Tuttavia,
mi domando perché tu stia tremando, adesso.”
Ora
era vicino. Molto più
vicino del
consentito. I loro visi erano ad un palmo di distanza, i vestiti che si
sfioravano appena negli orli pronunciati…
“
Non sto tremando.”
Sperò
che la sua voce apparisse ferma, mentre lo diceva. Ma il mago non ne
era del
tutto convinto, mentre l’altro lo osservava mansueto ma
incombente.
“
Sicuro?”
Lo
punzecchiò. Albus non rispose.
Il
suo composto e racchiuso silenzio bastò a farlo allontanare,
una mano protesa
verso di lui.
“
Vieni. Siedi con me.”
Silente
lo vide avvicinarsi al letto. Lo seguì senza accorgersene,
il ciondolo che gli
impediva di sollevare la bacchetta e schiantarlo da qualche parte.
Tutto pur di
non averlo di nuovo di fronte a quella distanza ravvicinata.
Si
sedettero in contemporanea sul bordo del letto, come spesso avevano
fatto da
adolescenti nel chiuso raccolto della camera di Albus, a
Godric’s Hollow.
Quei
tempi sembravano così lontani, tanto da apparire sfumati
come immersi in una
lattea e umida foschia nella sua memoria, stantii e pallidi come
gallette di
riso abbandonate in una credenza e lì, dimenticate.
Gellert
non gli tolse gli occhi di dosso, mentre era immerso nelle sue
malinconiche
riflessioni.
Gli
toccò la fronte aggrottata con le dita, gli passò
l’indice sinistro sulla
tempia pulsante, mugugnando assorto e contemplativo.
“
Non essere così turbato. Dopotutto non è una
situazione nuova, fra noi.”
Ci
stava pensando anche lui?
Quel
pensiero lo spinse a cercare di nuovo i suoi occhi. Fu uno sbaglio. Il
suo
sorriso mesto e stiracchiato, il socchiudersi morbido delle sue
palpebre
calanti, il brillio sinistro e serpentesco dei suoi occhi bicolori,
tutto ciò
contribuì affinché cadesse nel giogo delle sue
trame e che, stringendo, lo
tenesse allacciato a lui.
“
Sei teso…”
Constatò
in un carezzevole bisbiglio, toccandogli i capelli, lisciandone il
ciuffo
leggermente mosso tra le falangi.
Silente
gli scostò la mano.
“
Smettila, Gellert.”
Lo
rimproverò bofonchiante e distogliendo con più
difficoltà, ora, lo sguardo da
lui.
“
Potresti evitare almeno di toccarmi, in queste circostanze? Perlomeno
in riguardo
alla decenza.”
“
Che c’è di sconveniente in una mia carezza? Adesso
ti danno fastidio persino le
mie mani su di te?”
“
Non voglio essere toccato da te!”
Esclamò
in un sussurro alterato, come se avesse timore che qualcuno potesse
udirli.
“
Non più.”
Rimarcò
deciso.
Gellert
lo guardò per un po’ inespressivo, per poi tirare
su col naso sprezzante ed
assottigliare il volume pronunciato delle labbra in un ghigno malevolo.
“
Capisco… forse adesso preferisci ricevere attenzioni da
qualcun altro, piuttosto
che da me. Come quello Scamander, per esempio.”
“
Newt?!”
Albus
ritornò a guardarlo di scatto. La sua espressione era quasi
contrariata.
Silente se ne crucciò, disorientato e confuso:
“
Cosa c’entra lui con questo?”
“
C’entra eccome, mi sembra, dal momento che ultimamente ti
affanni così tanto a
difenderlo e a riparare ad ogni sua mossa azzardata.”
Sottolineò
duramente quello, chiudendosi nelle spalle larghe in un atteggiamento
aristocratico e altezzoso al contempo.
A
Silente venne da sorridere, trattenendo un risolino nervoso mentre gli
specificava:
“
È giovane ed è stato un mio studente.
È ricco di talenti ed è una persona
estremamente gentile, modesta e leale. Non ti permetto di coinvolgerlo
in questioni
così abbiette.”
Lo
rimproverò alla fine, divenendo nuovamente terribilmente
serio.
Da
superba, l’espressione sul viso squadrato e tagliente di
Grindelwald mutò in
una quasi annoiata.
Distolse
lo sguardo altrove, mentre gli diceva in tono vellutatamente disgustato:
“
Sì, non ne dubito. In fondo, te ne sono piaciuti di
più insulsi. Come il
commesso della drogheria al villaggio.”
“
Cosa?”
Silente
gli cercò lo sguardo, chiedendogli spiegazioni a quella
nuova, inaspettata
uscita. Grindelwald non si sottrasse a quel richiamo, incrociando
ancora il suo
sguardo con un lampo di rivalsa sul suo volto meno incupito:
“
Com’è che si chiamava? Aspetta, devo
pensarci.”
Mormorò,
sottraendosi ancora una volta all’analisi critica
dell’azzurro perspicace di
Silente, che proferì intanto, oltraggiato e impermalito da
quelle sue
insinuazioni:
“
Stai farneticando! E comunque non è come pensi. Tra me e
Newt esiste solo del
rispetto, oltre ad una sincera e disinteressata affezione. È
un rapporto basato
sulla reciproca fiducia, cosa che evidentemente ti è
divenuta del tutto
estranea…”
“
Jack.”
Silente
strabuzzò gli occhi e fu costretto ad interrompersi a quella
nuova
esclamazione, che gli diede la conferma che fino dall’inizio
non gli stesse
minimamente prestando ascolto.
Gellert
sorrise della sua espressione attonita e velatamente contrariata.
“
Come?”
“
Jack Dalton. Il figlio maggiore del droghiere che lavorava al negozio
del
padre. Era un tipo piuttosto ordinario, anche un po’
tonto… per giunta, babbano.”
Calcò
il termine con disprezzo, come se avesse detto che fosse un poco di
buono.
Albus
lo giudicò malamente per quello. Gellert parve ignorarne le
reazioni, mentre
continuava nel suo ricordo:
“
Eppure, ne eri comunque attratto. Del resto, hai sempre trovato
interessanti i
tipi insignificanti come quello.”
Lo
schernì quasi. Silente rimase tramortito a quelle parole e
non trovò subito il
tempo di reagire, quando Grindelwald sollevò di nuovo una
mano, il palmo grande
e freddo a scaldarsi sulla sua guancia, quando vi si posò.
“
Proprio tu, che meriteresti solo re e regine al tuo fianco, ti perdi a
rincorrere
i giullari di corte.”
Grindelwald
premette ancor di più la mano sul suo viso,
l’anulare e il mignolo a premere
sulla vena del suo collo, il medio a tenergli ferma la mascella
contratta.
Albus
deglutì e il suo volto si increspò sotto il suo
tocco, il sussurro delle sue
labbra a sedurre le sue orecchie, il suo respiro ad inebriargli i
restanti
sensi…
Non
poteva cedere, non doveva lasciarsi
andare al suo incantesimo.
“
Non sei… non sei affatto gentile a dirmi queste
cose.”
“
Forse dovrei prendere lezioni di buone maniere dal tuo
ex-allievo.”
A
quell’ennesima provocazione, Albus lo guardò con
maggior sfrontatezza negli
occhi:
“
Sei geloso?”
Gli
chiese, quasi a rimproverarlo già per quello scomodo
sentimento.
Grindelwald
abbassò per un attimo gli occhi, a quella domanda, come per
rifletterci meglio.
Quando
ricominciò a parlargli, la sua voce era ridotta ad un
enigmatico sussurro:
“
Gelosia non è il termine giusto per definire ciò
che provo in questo momento
per il tuo pupillo.”
“
Non è il mio pupillo. È un mio pari, proprio come
lo eri tu, all’epoca.”
“
E per questo degno di amore, vero?”
Si
sforzava di non darlo a vedere, ma Albus si sentiva sempre
più turbato dallo
scorrere di quegli eventi.
Ma,
nonostante il suo stoicismo, Gellert dovette intuire il suo turbamento,
tanto
da sorridergli, la mano sempre ferma e immobile su di lui. A tenerlo
stretto,
ad impedirgli di allontanarsi.
“
Non sei stanco di fingere, Albus?”
Tenebre
e luce, inferno e paradiso riflessi nei suoi occhi intensi e perigliosi.
Albus
se ne sentì avvinto; tuttavia non cedette del tutto, tanto
da avere ancora la
forza di inumidirsi le labbra, strabuzzare gli occhi spalancati e aprir
bocca
per replicare al suo insinuante mormorio:
“
Tu hai cruciato mio fratello Aberforth. Con le tue azioni e i tuoi
eccessi hai
portato alla morte di Ariana; sei scappato dalle tue
responsabilità. Hai
minacciato, corrotto e ucciso innumerevoli babbani e condotto ad una
fine
peggiore maghi e streghe pacifici e giuste. Del ragazzo per cui un
tempo
provavo un tenero sentimento, purtroppo non ne è rimasto
più alcuna traccia
nell’uomo che vedo di fronte a me, oggi.”
Scosse
il capo. Il tocco di Grindelwald a seguirlo in quel lieve movimento.
L’indaco
dei suoi occhi a bruciare in quelli del mago oscuro, quando gli disse:
“
Non posso sceglierti, Grindelwald. Non chiedermelo più.
Perché sarebbe quella, per
me, la vera finzione: dirti di sì.”
Grindelwald
lo guardò per un po’ immobile ed inespressivo,
finché non si chinò maggiormente su
di lui; la mano, con cui lo teneva ancorato a sé,
scivolò morbida lungo la
carotide, il pollice a sfregare col polpastrello sulla pienezza del
labbro
inferiore.
“
Quante bugie sa proferire questa bella bocca!”
Sibilò,
il suo respiro ad infrangersi ad un solo centimetro di distanza dal
labbro
inferiore di Silente.
Il
mago inglese fece per scostarsi, ma Grindelwald gli afferrò
la nuca da dietro e
strinse con le dita nei pressi della cervicale.
Il
cuore di Albus ebbe un sussulto e nella gola gli risalì un
tremito e un suono
roco sgorgò dalle labbra gutturale e fondo, quando Gellert
fece per scontrare
le loro labbra.
“
No.”
Soffiò
quasi spaventato, alla sola idea di baciarlo.
Così
tanti anni, così tanti eventi a dividerli…
No,
non poteva cedere. Non a quella marea senza via di scampo.
“
No? A cosa stai dicendo di no?”
La
voce di Gellert era più ferma e più composta
della propria. Non era emozionato
quanto lui si aspettava. Questo bastò a farlo ritornare in
sé, ad affrontare di
nuovo a testa alta il suo sguardo ravvicinato:
“
A tutto.”
Pronunciò,
alla fine, fermo e risoluto.
Grindelwald
non rinunciò alla presa sul suo collo, ma reclinò
appena il capo all’indietro,
in quell’atteggiamento altezzoso e dominante che gli aveva
visto sfoggiare più
volte, durante la loro conoscenza e persino da lontani, durante la loro
separazione.
“
A te, a noi. A questo e a tanto altro.”
“
Sii meno enigmatico, Albus. Spesso mi ritrovo a perdermi nella tua
nebbia di
parole.”
Silente
si tirò ancor più indietro. La mano di
Grindelwald scivolò fino al principio
delle sue spalle ritte e lì rimase, aperta e appena
arricciata alle dita,
mentre lo sentiva dire:
“
Non ti bacerò Gellert. Né ora, né
mai.”
Grindelwald
scivolò con lo sguardo sulle sue labbra che proferivano
questo, l’audacia
crescente della sua mano, che ora gli percorreva l’osso
sporgente della spina
dorsale e gli premeva leggermente sulle clavicole.
“
Questo lo avevo capito. Speravo… in una risoluzione
diversa.”
Gli
sorrise, amabile, quasi ammiccante.
Silente
lo ricambiò, le rughe attorno ai suoi occhi a segnargli
appena i contorni del
viso virile e gentile insieme.
“
Sei sempre stato intelligente quanto me. Io invece speravo, da parte
mia, che
avresti impiegato più saggiamente i tuoi talenti, nel corso
di questi anni…”
Grindelwald
sogghignò:
“
Il professore…”
Lo
blandì, facendolo di nuovo sorridere ad occhi bassi.
Gellert
gli risollevò il viso con l’altra mano, due dita a
solleticare piano la sua
barba curata.
Lo
guardò per un attimo in più negli occhi, ogni
traccia di ilarità scomparsa
dalle sue iridi d’acciaio liquido.
Silente
si ritrovò teso nuovamente in allerta, gli occhi sgranati e
luminosi, attenti
ad ogni sua prossima mossa.
Gellert
gli prese il viso tra le mani, il ciuffo solitamente ordinato dei suoi
capelli
di un biondo argenteo, a cadere in avanti, scomposto in una sola larga
onda
sulla fronte sgombra.
“
Non ci riesco.”
Gli
confessò. Un sussurro cupo e morbido a pochi millimetri
dalle sue labbra socchiuse.
“
A fare cosa?”
Pronunciò
Albus, la punta del naso arcuato a sfiorare la linea netta e alla greca
del
suo, in un gioco di sospiri trattenuti e sfioramenti tentennati a cui
egli non
era disposto a partecipare.
Almeno,
non intenzionalmente.
“
A farla finita.”
Gli
rivelò intanto Gellert, buio pece e acqua limpida ed
increspata dai cerchi del
conflitto, nei suoi occhi decisi.
Albus
gli afferrò i polsi e fece pressione affinché gli
lasciasse libero il volto,
conducendoli in basso insieme alle proprie mani, con le quali
provò a placare
le sue.
Gellert
si spose in avanti e gli posò le labbra sulle proprie, in un
bacio tenue e
casto che nulla aveva a che vedere con le sue intenzioni.
Silente
si sottrasse a quel tocco, sentendone comunque investito negli effetti
tumultuosi e avvampati che esso ebbe sul suo corpo.
Il
cuore gli risuonò nei battiti accelerati nelle orecchie, la
gola si ostruì e i
suoi occhi cercarono calma e conforto nel buio delle palpebre calanti.
“
Non riesci ad uccidermi, Grindelwald, esattamente come io non riesco a
superare
quello che c’è stato fra noi.”
Articolò
con una certa difficoltà espressa nel timbro fievole.
“
Che potrebbe ancora esserci…”
Lo
udì nei recessi reconditi della sua mente insinuare.
“
No.”
Negò
deciso Albus, tornando infine a guardarlo.
Era
così bello, così fulgido nei suoi pensieri
contorti da despota conquistatore.
Lo
tentava, anche solo stando fermo, semi-calato verso il basso, inclinato
leggermente sul fianco, il viso di lato, a mostrare alla luce tenue
delle
candele galleggianti il profilo liscio e affilato come una lama
sguainata.
Silente
si sentì rapito da quell’immagine di uomo tanto
amato, ma anche tanto odiato da
lui.
Doveva
liberarsene. Non poteva lasciarsi condizionare così da quel
serpente tentatore.
Rise
di quella sua osservazione, sentendosi un po’ la mela del
peccato o il
peccatore, a seconda dei punti di vista, per poi infrangere nei suoi
occhi
ridenti l’ultima barriera impassibile di Grindelwald.
Tese
una mano e, cogliendolo di sorpresa, gli percorse il volto in una
carezza
rapida, ma decisa, per poi premere il palmo sul suo petto coperto, il
calore
del suo corpo traspirabile al di sotto della stoffa leggera della
camicia, il
suo cuore racchiuso metaforicamente nel suo palmo.
Ebbe
un singhiozzo quando con le dita tastò di più in
quel punto.
“
Non insistere. Devo lasciarti.”
Lo
trafisse, senza in apparenza causare la minima crepa alla sua maschera
di
granito e impassibilità.
“
Noi due siamo destinati a scontrarci, Albus. Che tu lo voglia o no
– e se lo vuoi, davvero
– allora dovrai
anche abbracciare l’eventualità che, alla fine,
uno di noi sopravvivrà
inevitabilmente all’altro.”
Silente
sorrise. Il ciondolo era quieto come l’acqua di un lago in un
pomeriggio
assolato, attorno al suo collo e dentro l’ampolla.
Approfittò
di quella calma apparente di incanti e cuori, per dargli la conferma di
ogni
cosa pronunciata:
“
Sì. Lo accetto.”
Soltanto
dopo, lo colse di sorpresa, sporgendosi in avanti per baciarlo di sua
iniziativa.
Albus
gli afferrò il capo con entrambe le mani e lo spinse in
avanti, aprendo la
bocca per approfondire il bacio. Si crucciò e gemette sulle
sue labbra quando,
quasi con una sofferenza che andava al di là del dolore
fisico, Gellert iniziò
a corrispondere al bacio, premendo la bocca sulla sua con forza e
mischiando i
loro respiri e il loro sapore come se ne avesse un’estrema
necessità, con
evidente e totale bisogno.
“
Lo vedi?”
Gli
mormorò ad un suo breve distacco, scivolando con le labbra
calde e umide sul
suo collo, segnandone la pelle con brividi e impronte di baci continui.
“
Menti a te stesso. Lo fai da sempre.”
Gli
ferì l’orecchio destro con quelle parole simili a
stilettate, per poi
riappropriarsi della sua bocca e modellandole con urgenza e passione
alle sue.
Per
alcuni istanti lunghi un’eternità, Albus Silente
abbandonò decoro, pudore e
compostezza per lasciarsi plasmare da quelle labbra e da quelle mani
corrotte e
grondanti sangue altrui, per poi lasciar cadere ogni proibizione quando
gli
sentì dire:
“
Il tuo sapore è sempre lo stesso: miele con una punta
d’anice. Dolce e aspro
insieme. Come te.”
Grindelwald
fece per spingerlo sul letto. Voleva distenderlo e stendersi su di lui.
Farlo
suo.
Lo
avvertiva dal timbro ombroso della sua voce di velluto, dalla pressione
del suo
bacino avanzante, dalla durezza delle ginocchia contro le proprie,
dallo
sfregamento dei palmi sui suoi abiti eleganti, dalla carezza esperta
delle dita
fra i suoi capelli rossi…
Non
era cambiato.
Lo
desiderava come allora, forse più di allora. Ma non poteva.
Era
bello, troppo bello abbandonarsi a quelle tortuose premure dei sensi.
Ma
Silente era un uomo estremamente razionale e non fu difficile per lui,
come inizialmente
credeva, ritrovare subito il controllo perduto in poco più
di una manciata di
minuti.
La
sua voce era quasi commossa quando, resistendo con invidiabile
disciplina ai
suoi decisi seppur teneri assalti, lo scostò da
sé, le mani a trattenerlo – o a
tenerlo – per le braccia, le fronti ancora a contatto.
“
Gellert.”
Lo
chiamò. Il suo nome sulle labbra, un battito d’ali
d’uccello su un fiume in
piena.
“
Non posso.”
“
Però mi baci.”
Albus
sorrise, a se stesso più che a lui e alla sua blanda
indignazione.
“
Sì. Ma è per l’ultima volta.”
Gli
carezzò più gentilmente il viso leggermente
stravolto dagli ultimi avvicendamenti
fra loro e confuso dalla sua repentina ritirata.
“
Devo andare, ora.”
“
E Credence?”
“
Lo affronterò in un altro momento. Oggi, ritengo di aver
fallito l’impresa di
condurlo sulla retta via. Per un attimo, ammetto di essermi smarrito
anch’io.”
Nei
suoi occhi, sulle sue labbra, come nelle sue parole persuasive.
Ma
convenne con se stesso, che la sua arte persuasiva era molto
più convincente di
qualsiasi folle fiamma incendiaria.
Sogghignò
con simpatica amarezza. Gellert non lo ricambiò.
Con
un tenue e stanco sospiro, Albus si alzò dal letto,
recuperò magicamente la giacca
che Gellert, nella foga, gli aveva fatto scivolare giù dalle
braccia, e il cappello
blu, avvicinandosi poi a passo fiero e misurato alla finestra.
La
aprì con un tocco della bacchetta e fece per issarsi sul
basso davanzale.
“
Silente!”
Lo
richiamò ad un tratto energico e quasi minaccioso,
Grindelwald.
Albus
si fermò, voltandosi a guardarlo di sbieco, solo con lo
sguardo.
Lo
ritrovò immerso in una temibile semioscurità, una
penombra così densa e lugubre
da rivaleggiare col buio manto del cielo notturno all’esterno.
“
La prossima volta che ci rivedremo, dovrai compiere necessariamente una
scelta.
Non accetterò più sconti, che valgano a
giustificarti. Né fughe dalle finestre.”
Albus
sorrise, quasi sghignazzando.
Gli
occhi di Gellert brillarono maggiormente nella penombra, la sua bocca
carnosa
si tese in una linea dura e inflessibile.
Apparivano
già così lontani i desideri e i baci, i sospiri e
le parole trattenute d’amore…
Perché
era amore – oramai ne aveva la conferma palese –
ciò che provava per Gellert
Grindelwald.
Tuttavia…
“
Allora aspetterò che questo avvenga, Grindelwald. Fino ad
allora, ti
consiglierei di tenere ben chiuse le imposte.”
Si
sollevò sul davanzale e fece per smaterializzarsi, il vento
fresco della notte
che gli solleticava le guance e i capelli alle tempie,
l’espressione del suo
viso di nuovo attenta e concentrata verso il passo successivo.
“
Albus…”
La
nota morbida nella sua voce lo costrinse a voltarsi a guardarlo.
Grindelwald
era in piedi, parte del viso e del corpo di nuovo concesso alla luce.
Era così
che vedeva anche il suo animo: obliquamente ed eternamente spaccato tra
bene e
male.
“
Se non posso averti con me e per me
soltanto, allora ti ucciderò.”
Gli
rivelò in un atroce e seducente mormorio.
Peccato
che gli fosse stato chiaro fin dall’inizio.
Turbato
nonostante tutto dall’ovvietà di quelle
dichiarazioni, ne rimase comunque sia
internamente scosso: in quel momento, avrebbe voluto piangere, urlare,
dare un
qualsiasi sfogo al suo malessere.
Tuttavia,
non fece nulla se non donargli generosamente un ultimo sorriso, come
poco
prima, entrambi seduti ed in seguito allacciati strettamente su quel
letto di
sete scure, gli aveva concesso un unico bacio.
“
O mi farai uccidere, immagino. In tal caso, non aspettarti che ti
insegua
veramente all’inferno in cui la tua anima si intrattiene da
più di vent’anni,
Gellert.”
Quest’ultimo
non aggiunse né replicò dell’altro. Si
limitò ad osservarlo, immobile e
controverso.
Albus
si toccò la falda del cappello con le dita, in un cortese
cenno di commiato fra
gentiluomini, proprio mentre ruotava la bacchetta, scomparendo subito
dopo per
infine riapparire all’ingresso del palazzo.
Gellert
avanzò verso la finestra, lo sguardo fisso sulla sua figura
lontana e
ammantata, mentre la nebbia si sollevava e i primi, timidi raggi del
sole
nascente, gli indoravano i colori accesi del suo completo e tingevano
di biondi
riflessi i suoi ricci rosso rame.
Ne
poteva sentire ancora il profumo e la consistenza setosa sotto le
dita…
“
Signore.”
Venne
interrotto nelle sue riflessioni, dalla voce di un suo sottoposto alle
spalle.
“
Lo lasciamo andare?”
Grindelwald
vide Albus frenare il suo passo, le mani affondate nelle tasche del suo
lungo cappotto
blu cobalto, il cappello calato sulla fronte, a nascondere lo sguardo
mentre si
voltava a guardare in alto, verso la sua finestra.
Verso
di lui.
Sorrise,
distorto e soddisfatto.
“
Sì, per ora, sì.”
Si
aggiustò la camicia e rindossò in un gesto secco, seppur
elegante, la giacca
scura, riponendo nei ranghi il ciuffo di capelli che solo poco prima
Albus
aveva accarezzato.
“
Non è ancora tempo che Albus Silente muoia.”
Come
se lo avesse udito fin da quella distanza, Silente si girò e
proseguì il suo netto
cammino, finché dopo due passi non scomparse ancora, in un
luogo noto solo a
lui e ai suoi Auror.
Grindelwald
si voltò anch’egli, lo sguardo più
freddo e deciso che mai in quello tramortito
del suo accolito:
“
Svegliate Credence e preparatelo alla lotta. È finalmente
giunto, invece, il
tempo di cominciare la nostra rivoluzione. Il primo mattone del nostro
nuovo
ordine esigerà la testa del grande
Albus Silente.”
E
il sorriso che accompagnò quella sentenza di morte
preannunciata, fu il più
sinistro con cui Gellert Grindelwald stirò la sua bocca da
sobillatore.
Ora
più che mai, il sentimentalismo aveva ceduto il posto alla
vendetta.
Eccoci qua. Sembra un dejà-vu, non è vero?
Grazie per essere giunti/e fin qui.
La coppia Albus Silente/Gellert Grindelwald, impersonificata sullo schermo rispettivamente da Jude Law e Mads Mekkelsen, non ha ancora del tutto spento il fuoco creativo che arde in me. Tanto è vero che ne avete appena avuto una conferma, con questa one-shot. Vi è piaciuta? ;)
Spero vi abbia deliziato, entusiasmato e divertito come l'ha fatto con me, che ne sono la promotrice diretta.
Ovviamente, chiarisco che:
1) I personaggi descritti non appartengono a me, ma alla loro diretta creatrice, quel genio a mani basse di J.K. Rowling;
2) La ff è ambientata in un contesto parzialmente differente agli eventi descritti nell'ultimo film, Animali Fantastici - I Segreti di Silente. Ho immaginato un incontro alternativo tra Silente e Grindelwald prima dello scontro effettivo a Nurmengard, dove sappiamo tutti come va a finire.
3) Lo scenario e gli spazi in cui si muovono i personaggi sono stati deliberatamente reinterpretati e descritti diversamente da me, assecondando la mia personale visione della fortezza in cui Grindelwald progetta e conta di realizzare i suoi disegni di dominio.
Accetto con piacere qualsiasi parere, opinione, commento o solo impressione su quanto letto.
Al prossimo magico salto dalla finestra.
Vostra,
Fuffy <3
P.S. Vi lascio il link ufficiale della canzone di Billie Eilish che ha influenzato la mia creazione del momento e che dà il titolo dalla mia shot: https://www.youtube.com/watch?v=BboMpayJomw
Ascoltatela, se vi va, mentre leggete o rileggete. ;) Un bacio **