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Autore: Giuxmo1234    09/07/2022    0 recensioni
Dialoghi sparsi e momenti persi nel tempo e nello spazio.
Due coinquilini, un giovane uomo e una donna adulta, lei ex carcerata e lui un ragazzo dal passato altrettanto difficile.
Questa non è una storia d'amore, è una storia fatta di sentimenti complicati e dialoghi altrettanto profondi.
Sono le vite di due persone normali, che di normale non hanno poi tanto, dalle vite fatte di intrecci e dolori, gioia e emozioni temporanee e durature.
Genere: Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Roger pensava che Andrea fosse una delle donne più belle che avesse mai visto.
Ovvio, non glielo avrebbe mai detto, la cosa era fuori discussione, però lo pensava.
Se ne era accorto una sera d’estate, quando era già da qualche tempo che vivevano assieme, anche se il loro rapporto era pressapoco inesistente.
Lui era seduto sul divano a guardare un film, il suo preferito, e quando si era voltato aveva scorto, inondata dalla luce del tramonto, l’elegante figura della donna intenta a fumarsi una sigaretta.
Si era perso nel suo sguardo, nei riflessi che la luce creava sulla sua pelle diafana,
nelle curve aggraziate del suo corpo.
In pantaloncini corti e canottiera, con una catenina di metallo che le si poggiava delicatamente sul petto, gli era parsa la reincarnazione della dea Venere.
Era bella perchè non si sforzava di esserlo, pareva che la cosa non la interessasse nemmeno..
“Che c’è? Perchè mi guardi così?”
Aveva chiesto lei sorridendo, forse intuendo i pensieri del ragazzo.
“Nulla. Puoi passarmi una sigaretta?”
La donna aveva annuito, passandogli direttamente il pacchetto, per poi andare a finire la sua sigaretta affacciata alla finestra.
Il ragazzo l’aveva raggiunta proprio nel momento in cui lei stava spegnendo la sigaretta sul davazale, pieno di rimasugli di cenere per tutte le volte che aveva compiuto quello stesso gesto.
“Dovrei smettere di fumare.”
Aveva detto Roger, scrutando il cielo rosso fuoco, indagando con lo sguardo ogni minimo dettaglio del paesaggio che gli si parava davanti.
“Anche io. Ma non ci riuscirò mai.
Potrei far passare mesi, ma ho la certezza che poi tornerei a ritrovarmi con una sigaretta accesa in mano.”
Roger non aveva detto niente, dopotutto anche lui la pensava come Andrea.
“Ma che te lo dico a fare. Tu di anni ne hai ventiquattro, hai tutto il tempo di smettere.
Sono io quella che si deve mettere il cuore in pace.”
“Ma che dici, te fumi molto meno di me.
Io faccio tutto in maniera irregolare, certi giorni non fumo nemmeno, posso andare avanti in quel modo per due o tre giorni di fila, e poi fumarmene cinque di fila in preda allo stress.”
Roger si era accorto immediatamente che quella frase faceva trasparire molto di più di quello che avrebbe voluto.
Fumare era la sua nuova forma di autolesionismo.
Stress.
Rabbia.
Rancore.
Sofferenza.
Insofferenza.
Sigaretta.
Sollievo.
Non è abbastanza.
Altra sigaretta.
Calma.
Pace.
Normalità:
Il ragazzo aveva osservato di sfuggita le cicatrici che gli percorrevano il braccio, notando che non solo il suo sguardo si era posato su quel lembo di pelle così tanto martoriato, ma anche quello di Andrea.
“Ogni tanto penso che alla fine non sia cambiato nulla.”
Aveva esordito lui, cambiando discorso, incupendosi.
“Non dire così.”
“É così. A volte penso di essere ancora quel ragazzino sfigato che si tagliava nel bagno della scuola.
Di essere ancora lì con la testa, ma di continuare a negarlo a me stesso.”
“Roger, tu non eri uno sfigato, tu soffrivi.”
Il ragazzo era riamasto in silenzio, lei aveva deciso di continuare a parlare.
“Un giorno forse capirai che le cose non cambiano, non si annullano, ma mutano.
La tendenza a farsi del male non può andarsene del tutto, non se ce l’hai da quando eri piccolo, ed un giorno imparerai a conviverci.
La accetterai, ed essa muterà di nuovo, magari in qualcosa di bello.”
“Com’è possibile?”
“Lo è e basta. Troverai un mezzo di sfogo diverso, uno sano.”
“Tipo?”
“Uno qualsiasi, ma la maggior parte delle volte è l’arte che ti salva.
Sembra una cazzata, ma non lo è.
Ho provato sulla mia pelle la violenza, l’ho subita e l’ho provocata a mia volta.
Vuoi sapere una cosa?
Non è mai servito a niente.
In carcere ho iniziato a studiare, a scrivere, a disegnare.
Facevo un’arte violenta, incostante.
Disegni che sembravano brutali solo a guardarli, meri solchi fatti con la matita sul foglio, facce uralnti, distorte, a volte anche solo scritte sovrapposte all’infinito.
Poi quell’arte è cresciuta con me, ed è cambiata, i tratti si sono addolciti, le forme sono diventate più nitide, riconoscibili, ed i colori vivaci e vividi.
Sono mutata anche io, assieme a lei.
Pensaci, dico davvero.”
Aveva detto, prima di augurargli la buona notte e rintanarsi nella sua stanza, al piano di sopra.
 

   
 
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