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Autore: Enchalott    11/07/2022    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dispersi
 
Sferzato da violente raffiche di vento, Eskandar rinvenne dal torpore.
Il suo corpo estenuato, in preda a una pesante sensazione di nausea, oscillò in quello che gli apparve un mondo capovolto.
Dove…?
Brividi ghiacciati gli incresparono l’epidermide, snebbiandogli la mente. Impiegò poco a capire di trovarsi a testa in giù, appeso a un provvidenziale sostegno: la catena si era impigliata tra i rami, ancorandolo a pochi metri da terra e risparmiandogli l’impatto con il suolo.
In normali condizioni fisiche sarebbe stato un salto elementare, ma lo stordimento e le energie languenti lo rendevano complicato.
Sarebbe banale rompermi l’osso del collo lontano dalla battaglia...
Si mosse cauto, ma il vincolo metallico non si disincagliò. Avvertì lo sbilanciamento causato la regina minkari che pendeva inerte all’altro capo: gli anelli arrugginiti si erano arpionati alle vesti e l’avevano salvata.
Quanto detesto le femmine delicate! Questa poi è anche ostinata… tsk!
Contrasse gli addominali, obbligando le proprie membra a collaborare, le dita intorpidite ad afferrare la catena. Provò a raggiungere la diramazione.
Uno strappo imprevisto lo trascinò in basso, vanificando gli sforzi compiuti. Il legno scricchiolò sinistro, seminando frammenti di corteccia.
Non spezzarti proprio adesso!
Eskandar ripeté la manovra, l’unica che gli avrebbe consentito di scendere senza scossoni lungo il tronco e di recuperare la donna, viva o morta non gli importava.
È merce utilizzabile e basta.
Il braccio annaspò in aria e mancò la presa. Aumentò il dondolio per fornirsi lo slancio, ma dovette fare i conti con la debilitazione e fermarsi a rifiatare. Le tempie gli pulsavano come se il cervello dovesse schizzargli fuori.
Il ramo cedette di schianto.
Il reikan piombò giù a peso morto, urtando contro il terreno ghiacciato. Percepì un colpo, emise il fiato e tutto prese a girare in un vortice di dolore e disorientamento.
 
Amshula riprese i sensi in un turbinio di immagini confuse e spaventose.
Ho sognato?
Schiuse le palpebre e lo scenario silvestre risolse il dubbio in negativo. Intirizzì, muovendosi per verificare di essere tutta intera e per scrollarsi il gelo di dosso. Gli arti le risposero indolenziti, pesanti come piombo.
Da quanto sono qui?
Spostò le mani e sfiorò qualcosa di inconsueto. Sussultò incredula.
Sotto di lei, il corpo nudo del demone era immobile nella neve. L’aveva isolata dal freddo e in tutta probabilità aveva attutito la botta finale: le escoriazioni sulla pelle di entrambi e i rami spezzati al suolo indicavano che la vegetazione aveva frenato la caduta, ma precipitando da quell’altezza sarebbe morta.
Gli posò le dita sul collo, certa di non percepire alcun battito. Sgranò gli occhi.
Dèi, è ancora vivo!
Si scostò con un moto di raccapriccio. Lui gemette flebile nell’incoscienza.
Il primo istinto fu quello di fuggire, condannandolo all’assideramento. L’implacabile notte invernale sarebbe calata, non sarebbe sopravvissuto nonostante le sue nove vite di creatura maledetta. Ci ripensò.
Non posso abbandonarlo. È il lasciapassare di Shaeta.
Provò a orientarsi con il riverbero che penetrava il fitto incombere della vegetazione. A prima vista i tronchi secolari non presentavano le incisioni destinate a guidare i viandanti o i cacciatori nella foresta: gli alberi erano in maggioranza karugi selvatici e le edere avviluppate in tralci tenaci denotavano una zona poco frequentata.
Se escludiamo i lupi.
La consapevolezza le diede il batticuore. Avrebbe dovuto cercare un riparo alla svelta per non incappare in un branco affamato. Raggiungere il palazzo senza conoscerne la direzione era improponibile, i Khai e le belve l’avrebbero rintracciata per primi. Il fatto che non fosse già avvenuto, accrebbe la sua convinzione di trovarsi nella Selva degli Spiriti. L’agitazione aumentò.
In passato era una zona abitata, poi le dure condizioni di vita avevano preso il sopravvento, spingendo le persone a emigrare. La guerra aveva scoraggiato persino gli eremiti che veneravano le forze naturali, così nessuno si occupava di ammansire le anime vaganti che infestavano quel luogo, offese dall’indifferenza dei mortali.
Deglutì un’ondata di paura e tornò a guardare il demone, che almeno non era parte degli spettri rifiutati dall’oltretomba.
Non si era mosso. Il torace si sollevava piano, la caviglia era piagata per la frizione con la catena e le altre ferite non avevano un aspetto migliore. La neve era arrossata dal suo sangue.
Se i predatori ne fiutano l’odore…!
Confortata dal pensiero che al momento era incapace di difendersi e che quindi lo avrebbero divorato per primo, meditò sulla strategia da adottare. Lo scoglio era quello del trasporto: impensabile caricarsi un essere tanto robusto sulle spalle e, qualora lo avesse ridestato, avrebbe perso il vantaggio su di lui.
Dopo quindici anni di lontananza mentale, benedisse il nome di suo padre, che l’aveva portata con sé durante le battute di caccia e le aveva insegnato i rudimenti. Non amava quel passatempo e il soggiorno nei boschi non era sempre piacevole, ma non aveva più sperimentato la sensazione di libertà provata allora. Provò una strana fitta di nostalgia, ma la cacciò nei meandri del passato.
Slacciò il mantello e lo stese per terra: come per i cervi, avrebbe funzionato anche per quel feroce animale a due zampe. Lo avrebbe trainato al riparo in una grotta o tra le radici di un ceppo secolare, poi avrebbe pensato al resto.
Rivoltò il demone, dirigendolo con cautela sulla stoffa dopo avergli legato i polsi. Il suo corpo era tiepido e solido come marmo. Lui non rinvenne e non diede segno di essere vigile, ma la regina non si fidò.
Mi ha raggirata, fingendosi sull’orlo del trapasso! È intelligente, altro che bestia!
Certo non ne aveva l’aspetto. Alla luce naturale, malgrado gli strati di lordura e di sangue rappreso, era bello come un’alba estiva.
 
Amshula trascinò il suo carico umano per una mezz’ora, aiutata dalla superficie sdrucciolevole della neve ghiacciata.
Dovette sostare a più riprese per prendere fiato e aggirare ogni minimo ostacolo del terreno, evitare le salite troppo ripide, risistemare il mantello ridotto a brandelli e sperare che reggesse.
Intensificò la frequenza delle tappe, disperando al calar del sole. I dubbi antecedenti svanirono quando incontrò una segnalazione incisa a coltello, ormai sbiadita: era davvero nella Selva degli Spiriti e le speranze di incontrare anima viva si assestavano sullo zero assoluto.
Coraggio…
Costeggiò la sponda di un torrente congelato e scorse un ponticello sgangherato, la cui manutenzione doveva essere cessata da anni.
Potrei trovare il rudere di un’abitazione o la tettoia di un fienile…
La sua costanza fu premiata: individuò un vecchio capanno da caccia e lo raggiunse proprio mentre la tormenta tornò a infuriare.
 
Eskandar fu destato da un suono indistinto di ciottoli. Gli risuonò nelle tempie, accrescendo il loro pulsare innaturale. Aveva freddo e caldo insieme, sintomo di un grave sbalzo termico. Era sdraiato sulla schiena, le costole e il braccio sinistro gli dolevano come se fossero stati percossi da un maglio.
Sono caduto e poi…?
Aprì gli occhi e nel buio distinse il legno spoglio di un’abitazione. Una figura era china sul focolare nel tentativo di innescare le fiamme.
Amshula?
Lo sguardo saettò alla parete dirimpetto, dove un arco da caccia impolverato penzolava da un gancio. Le frecce giacevano sparse sul pavimento, sfuggite a una gerla smagliata. C’era una finestra sprangata, forse le imposte erano inchiodate. Lo spiffero gelido sulla pelle gli segnalò la posizione dell’ingresso. Non percepì altri odori a parte quello noto della regina.
È stata lei a portarmi qui?
Lo stupore fu sostituito dalla preoccupazione per Mahati, che dissipò parte del torpore. Elaborò il piano di evasione in un tempo minore di quello adoperato per ottenere il quadro della situazione. Calcolò quanto avrebbe impiegato per raccogliere le forze, impossessarsi dell’arma, neutralizzare la donna e darsi alla macchia.
Un minuto scarso.
Fece leva sui gomiti, attento a non produrre scricchiolii. Il suo corpo non rispose. La fitta scese dalla spalla fino alla punta delle dita, occupandogli i polmoni con ferocia soffocante. Iniziò a tossire in cerca d’aria.
Amshula sobbalzò, abbandonando le pietre focaie.
«Che fai!?» esclamò trattenendolo per le spalle, il panico negli occhi sgranati.
Eskandar ringhiò tra le zanne per la stilettata aggiuntiva. Lei ritirò le mani, ansimando.
«Se hai qualche costola rotta, potrebbe bucare un organo vitale!»
A dispetto del saggio suggerimento, il reikan si girò su un fianco e riuscì a mettersi seduto. Il sudore gli scivolò dalla fronte, il dolore al braccio deflagrò. Nel mare di spasmi che lo fiaccavano non comprese se fosse incrinato o soltanto slogato.
Non conta, devo uscire da qui!
Arrancò verso la porta.
«Hai la febbre, fuori è notte e sta nevicando. Moriresti subito.»
La vita del principe è più importante.
La ignorò caparbio, coprendosi con la stoffa stracciata su cui si era ritrovato steso. Amshula lo raggiunse con un moto d’irritazione e gli sbarrò la strada: le sue mani tremavano, ma la decisione nel suo sguardo era inequivocabile.
Il guerriero khai la fissò ostile, assottigliando le palpebre in una smorfia intimidatoria.
«Con voi valgono solo le maniere forti, vero?» brontolò lei.
Afferrò la catena e lo mandò a terra con un unico strattone, poi lo bloccò con il proprio peso. Eskandar si lasciò sfuggire un grido di sofferenza ma si ribellò per la seconda volta, troppo debole per imporsi.
«Smettila! Se vuoi prevaricare, rimettiti in sesto! Così non spaventi nessuno!»
Le iridi ciclamino la fissarono con astio, ma l’opposizione calò d’intensità.
«Sacrificare la vita all’orgoglio non ti renderà un eroe. Non ti riporterò a Minkar, demone. A palazzo nessuno appoggerebbe le mie decisioni e tu torneresti a marcire nelle segrete. Non è quanto desidero. Perciò ora accenderò il fuoco e mi occuperò di te finché non sarai in grado di viaggiare. Allora mi accompagnerai dal tuo Kharnot, chiunque sia. Non avete accettato lo scambio tra te e Shaeta, perciò mi offrirò come ostaggio al posto suo. Per voi non cambierà nulla. Capisci quello che dico?»
Il reikan si accasciò senza forze. Non rispose, persistendo nel rifiuto comunicativo. Non sarebbe riuscito a superare la soglia della baracca, altro che raggiungere l’accampamento. Inoltre Ankŭrsai non era in grado di atterrare nella foresta. La scelta migliore era quella del riposo forzato.
Dovrai curarmi alla svelta, altezza. Se Mahati muore, smembrerò tuo figlio e ti farò mangiare il suo cuore ancora caldo!
Amshula trasse un sospiro, assuefatta al suo mutismo, ma lo interpretò come una rinuncia. Tornò a lottare con il camino, lasciandolo a meditare sul pavimento.
«Non viene usato da molto, ci vorrà pazienza» mormorò più a se stessa che a lui «Dopo penserò al cibo, che è il vero problema…»
Due mani forti e affusolate le sottrassero gli inneschi, causandole un sussulto.
Eskandar strinse i denti per il dolore aggiuntivo causato dalla posizione scomoda e sfregò le pietre, mandando le scintille sulla legna accatastata. La fiamma divampò in pochi secondi, colorando d’arancio la stanza.
Femmina incapace, ci voleva tanto?
La regina pietrificò al suo sguardo sprezzante, sconvolta per non averlo sentito avvicinare.
Avrebbe potuto restituirmi a Reshkigal a suo piacimento!
«G-grazie…» farfugliò per recuperare un barlume di contegno.
Il demone si voltò verso le fiamme, godendosi la ventata calda: gli occhi riflessero i bagliori rossi, l’epidermide accesa dall’ondeggiare delle vampe e scossa dai brividi, nudo come quando era venuto al mondo. Una visione ipnotica, terrificante e sublime.
Amshula recuperò il mantello e lo posò sulle sue spalle, cavandosi da un impaccio che lui non pareva subire. La situazione opposta l’avrebbe precipitata nel panico. Lo stomaco si contrasse in una morsa al pensiero di potersi trovare in sua balìa.
Un nemico dichiarato non può risultare peggiore della falsità di chi si dice amico.
Quel moto di rassegnazione contribuì a rinfrancarla.
«Vado a prendere la neve fresca. La farò sciogliere, abbiamo bisogno di bere.»
Eskandar la ignorò come al solito e si avvolse nella lana sdrucita, approssimandosi ai mattoni del focolare per arrestare i brividi.
Questo dannato freddo! Non ho mai avuto la febbre in vita mia!
Quando la donna rientrò, l’esalazione della sua paura era svanita. L’atteggiamento rimaneva prudente e insicuro, ma non pareva intimidita da lui come prima.
Tsk! Non riesco a spaventare una Minkari! Sommo Belker, non vergognarti di me!
Gli passò la ciotola: l’acqua odorava di freddo e di terra. Il reikan la accostò al fuoco, lasciandola intiepidire, rifiutandosi di propinare quel gelo liquido allo stomaco sottosopra. Poi si dissetò in lunghe sorsate.
«Ho trovato delle pellicce dietro il capanno» gli si rivolse lei «Ne avrai bisogno, non ho nulla per abbassarti la temperatura, almeno stanotte starai al caldo.»
Abbassare? Sono un Khai, dovrei alzarla per stare meglio!
«Domani raccoglierò la corteccia di salice senza che gli spiriti mi ostacolino.»
Che diavolo stai farneticando? Quali spiriti?
Amshula avvicinò il paiolo pieno di neve al focolare, poi stracciò un lembo dalla sottoveste e si ripulì il viso.
«Vorrei lavarmi» sospirò fissando la danza delle fiamme con una vena di imbarazzo «Non m’importa farlo davanti a te, nemmeno se mi salterai addosso… è che non riesco a sciogliere i lacci posteriori del corpetto. Vedi?»
Scostò la chioma ondulata e mostrò l’intreccio che si dipanava dal collo alla vita. Eskandar inarcò un sopracciglio.
Vuoi che ti spogli? Tenti la carta della seduzione, altezza? Trascurando il fatto che, anche se sono a digiuno da parecchio, non riuscirei a sollevare il mignolo, tu non fai al caso mio.
Lei indicò i nodi.
«Non offenderti, ho bisogno del tuo aiuto. Odio sentirmi sporca.»
Almeno su questo siamo d’accordo, però mi avete strappato gli artigli. Dovrei fare come le dorei al tuo servizio?
Rimuginò seccato, tuttavia allungò il braccio sano e con un po’ di impegno dipanò il garbuglio. Sfilò il nastro dalle asole e finalmente la tela della biancheria si aprì, lasciando intravedere uno spicchio di pelle.
Per l’Arco delle battaglie! Questo cosa sarebbe!?
Sulla schiena di lei si diramava una ragnatela di segni chiari, simili a vecchie cicatrici.
Sono colpi di frusta!
Amshula si ritrasse e gli rivolse un’occhiata avvilita, come se non volesse affatto esibire quel particolare umiliante. Eskandar mantenne l’impassibilità, ma non poté fare a meno di domandarsi come mai la regina dell’Irravin portasse quello sfregio.
 
 
Confuso tra le ombre del crepuscolo, Kamatar s’inoltrò nel passaggio che portava ai sotterranei del palazzo minkari, sopportando la morsa dell’acqua gelata alla vita.
Raggiunse i pontili, ma non trovò nessuno nonostante il segnale convenuto.
Allora è vero, sono dei luridi traditori!
«Elefter…»
Il comandante hanran si voltò, incontrando lo sguardo del suo uomo migliore.
«Ti ascolto.»
«Danyal non verrà, è incosciente da giorni. Non è certo che sopravviva.»
«Vorrei finirlo con questa spada! È colpa sua se il Šarkumaar…»
La spia assentì ma rispose con obiettività.
«Suppongo non sia stato doppiogioco, bensì un tentativo di forzarci la mano. La vita di Mahati in cambio di Shaeta, ma qualcosa è andato storto. Noi non abbiamo l’antidoto e loro non hanno il ragazzino.»
«Ignobile! E poi che ne è della regina? Da lei mi sarei atteso una spiegazione!»
«Sparita. I suoi stanno impazzendo.»
Kamatar lo fissò interrogativo e l’uomo riferì della rocambolesca evasione, ma non si dichiarò sicuro dei fatti. I nemici erano restii a parlarne, le informazioni ardue da reperire e troppe domande in quel frangente sarebbero risultate compromettenti.
«Se è come penso, si tratta del generale Eskandar. Non so altro, Sheratan è l’unico tra i Khai a conoscere i particolari. Insistendo, rischierei di giocarmi la copertura.»
«Mi fido del tuo giudizio. Resta il fatto che, con Amshula e Danyal fuori gioco, siamo senza agganci e soprattutto senza rimedi. Come sono le condizioni di Mahati?»
«Disperate. Il principe Rhenn si sta occupando del passaggio di consegne e questo ci lascia poche speranze.»
Elefter inspirò in preda all’angoscia.
«Ritieni che Shaeta sappia qualcosa dell’arma minkari?»
«Probabilmente no, però nessuno lo ha torchiato.»
«Non ho scelta, andrò da lui senza pensare alla sua giovane età.»
«È fuori questione. Sebbene la vigilanza all’accampamento sia allentata, se ti riconoscessero per noi sarebbe finita. Me ne occuperò io.»
Kamatar soppesò l’obiezione.
«D’accordo. Io cercherò di capire le intenzioni dell’Ojikumaar. Dov’è ora?»
«Al capezzale del fratello con la principessa salki.»
«Cosa?»
La spia scosse la testa, parimenti sconcertato.
«Non so cosa stiano tentando, ma spero funzioni.»
 
Il comandante hanran si separò dal compagno rimuginando sull’ultima informazione. Rhenn era l’amante di sua sorella e questo, oltre ai metodi spietati, lo rendeva inqualificabile. Le voci sulla sua assidua frequentazione della giovane straniera erano dunque molto più che pettegolezzi e lo ponevano in una luce ancora più ambigua. Concedere a una shitai di lasciare Mardan, pur trattandosi della fidanzata di Mahati, era quantomeno bizzarro e meritava un approfondimento.
Ho sbagliato a valutare Yozora? È stato un errore pensare che perorasse la nostra causa?
Attraversò l’accampamento, puntando la radura. Si limitò a scambiare il saluto militare con gli altri reikan, evitando interazioni. Funzionò finché non si imbatté in due donne, delle quali una indossava l’uniforme delle guardie reali.
Nisenshi? Che ci fanno sul campo di battaglia?
 
Mirai squadrò il guerriero che transitava in tutta fretta e i loro sguardi si incrociarono.
Quegli occhi li avrebbe riconosciuti tra mille.
   
 
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