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Autore: BabaYagaIsBack    11/07/2022    0 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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"We were born to dream of heaven in-between
But we're walking towards the slaughter, footsteps right behind the sheep
You better run, you're the maker of your doom"

Shadows, Hollywood Undead

Alex retrocedette barcollando, quasi le gambe non riuscissero a sorreggerla a dovere. Nel giro di qualche secondo, poi, sentì la testa farsi pesante, la vista offuscarsi un poco. Incespicò fin quando non avvertì il muro alle proprie spalle e solo a quel punto, aggrappandosi, abbassò lo sguardo alla ricerca di qualcosa che, doveva ammetterlo, avrebbe preferito non trovare - eppure, persino sul jeans scuro e in quelle condizioni, vide la macchia di sangue allargarsi inesorabilmente. Lì dove quel bastardo aveva stretto le mani c'era il segno evidente di un suo passo falso, di una possibile e non improbabile sconfitta. Non aveva idea di quale tecnica avesse usato il nemico, ma di certo aveva scalfito anche gli effetti benefici della ɛvɛn che aveva ingurgitato ore prima. Ma come? Possibile che Noah avesse destabilizzato il suo corpo a tal punto da impedirle di contrastare un banalissimo alchimista come quello? Si augurò che non fosse così; lo sperò con tutta se stessa, peccato che più la chiazza si faceva grande, meno la sua convinzione restava salda - e una sorta di paura prese il sopravvento.

No, si disse corrugando le sopracciglia e arricciando il naso, non poteva finire così.
Lei non poteva morire così. Aveva ancora delle questioni in sospeso, troppe cose mai dette da confessare: uccidersi per evitare la cattura o essere uccisa nel tentativo di sottrarsi a quella decisione erano quindi le ultime cose che poteva permettersi. Doveva reagire, tirare fuori gli artigli e mostrare le zanne a qualsiasi costo. Dopotutto cosa poteva valere un arto? Nulla se messo a confronto con il resto. Così, al pari di un tuono che arriva all'improvviso, un suono gutturale le salì dal profondo delle viscere trasformandosi in un ringhio appena uscito dalle labbra. La voce di Alexandria cambiò a tal punto da rendere quasi incomprensibile il suo: «Beim nächsten Biss ziele ich auf die Halsschlagader (Al prossimo morso mirerò alla tua carotide)». Nonostante ciò, però, dal lieve sussulto del tizio di fronte a lei fu chiaro che l'avesse comunque capita. Il modo in cui i tendini della mano gli si tesero aumentando la pressione sul collo fu un segno inconfondibile dell'agitazione crescente e, quando poi fece un paio di passi indietro, Z'èv non ebbe più dubbi: aveva un'arma da sfruttare.

Gli occhi di lui non si staccarono mai dal suo viso, le rimasero incollati dandole modo di leggervi dentro la preoccupazione che la sua, più che una minaccia, potesse essere una predizione certa; eppure, quando aprì bocca, a lei non rivolse mezza sillaba. Ripeté per un paio di volte quello che doveva essere il nome del compare e quando questi ripose, avvicinandosi, sembrò esserne sollevato.

Stolto, sfuggì tra i pensieri di Alex. Quella mera tranquillità gliel'avrebbe presto strappata via coi denti. Era ovvio che quella notte qualcuno sarebbe morto e, bagnandosi le labbra, la Chimera ebbe la certezza che non sarebbe stato il suo turno - non ora che sapeva di avere la paura dalla sua parte.

Piegandosi in avanti col busto e preparandosi al contrattacco, Z'èv percepì il corpo mutare. La pelle della schiena, insieme a quella del viso, si tirò a tal punto da farle male, mentre le ossa scricchiolarono in modo agghiacciante sotto alla carne. Le sentì frantumarsi per poi incastrarsi malamente, avvertì la scarica elettrica dell'Ars correrle lungo i muscoli, i nervi, i capillari e ancorare i frammenti di scheletro in modo che potessero sopportare qualsiasi tipo di forza esterna. Si sentì andare a fuoco in quel modo dolce, rassicurante che non sentiva da tempo e seppe, senza nemmeno guardarsi, di non avere più nulla di umano nel proprio aspetto.

I due adepti del Cultus si fecero sempre più vicini, quasi volessero stringersi l'un l'altro per darsi sostegno come dei bimbi di fronte a un film horror. Gli occhi sgranati e le gambe tremanti. Alexandria riuscì a vederlo persino nel buio della sera e una sorta di piacere le tese le labbra.
Percepiva il loro sbigottimento, quell'incantevole timore misto a disagio tipico di chi ha un incubo; e mentre saggiava con gli occhi la loro reazione, quel briciolo di benignità rimastale non riuscì a impedirle di biasimarli. Potevano aver visto più cose dei semplici umani, certo, ma una Chimera viva e vegeta, retta sulle proprie zampe e pronta a mutilarli... beh, era diverso. Quante potevano averne incontrate nella loro misera vita? Probabilmente lei sarebbe stata la prima e anche l'ultima - e, non a caso, mentre i vestiti che aveva addosso si tiravano e stracciavano per la mutazione, sentì uscire dalla bocca di uno dei due alchimisti una domanda. Si trattò di un sussurro, ma le sue orecchie non se lo lasciarono sfuggire.

Wäre das eine chimäre? (Questa sarebbe una chimera?)

Sì, quella che avevano davanti era una chimera e, di certo, aveva ben poco di ciò che si poteva vedere sui libri - Z'èv, ad essere onesti, assomigliava più ai licantropi dei racconti folkloristici che ad altro.

In punta di dita si sfiorò la coscia. Sentiva il sangue caldo appiccicarle i polpastrelli e, quando lo avvertì sotto le unghie, quasi a volersi nascondere, scattò.
Puntando sull'effetto sorpresa e su quell'istante di confusione provò ad avvicinarsi tanto da poterli attaccare, mutilare, uccidere.
L'alchimista che aveva azzannato retrocedette di un singolo passo, mentre l'altro si parò tra di loro. Le sue mani si mossero svelte, toccarono il petto e poi l'asfalto del vicolo. L'elettricità dell'Ars si diramò intorno a loro e prima che Z'èv potesse rendersene conto una lingua scura si levò dal terreno schermando i due uomini. Il suo corpo vi rimbalzò contro, facendola barcollare.
«Dannazione!» imprecò tra i denti, ma non ebbe tempo di aggiungere altro. Da sinistra un attacco si diresse verso di lei alla stessa velocità di un fulmine. Lo vide con la coda dell'occhio per puro miracolo e con un ringhio scartò all'indietro. Sentì la vigorosa sferzata dell'asfalto schiaffeggiarle la punta del muso e il cuore d'un tratto prese a batterle con talmente tanta forza da rimbombarle nelle orecchie. L'aveva scampata giusto in tempo, pensò, ma ciò non la rincuorò minimamente. Erano in due ed erano più veloci di quello che si sarebbe aspettata, mentre lei era sola e meno preparata di quanto avrebbe creduto; e chissà se Zenas se la stava cavando meglio, chissà se a un certo punto sarebbe corso in suo aiuto.
Si morse il labbro.
Non era qualcosa su cui poteva fare affidamento, doveva restare concentrata e convinta del fatto che il fratello non sarebbe tornato indietro per lei - perché il piano era un altro, perché Salomone doveva essere protetto.
Tese i tendini delle mani fino a farsi male e le unghie divennero artigli sempre più lunghi. Doveva trovare un modo per ammazzare quei due nel minor tempo possibile, ma più il suo sguardo si soffermava sulle onde scure che emergevano dal terreno, ferme e minacciose, più il dubbio di non avere speranze si fece strada in lei - eppure si era trovata in situazioni ben peggiori, sant'iddio!

D'improvviso un fischio sommesso interruppe i suoi pensieri, facendola muovere d'istinto. Lo spillo che le era stato lanciato contro a mo' di proiettile nemmeno lo vide, ma ne sentì l'affilatezza sfiorarle il collo, oltrepassare i capelli e ficcarsi in quello che suppose essere un muro. Sgranò gli occhi, ma prima che potesse rendersene conto i suoi piedi presero nuovamente a muoversi. Svelta e silenziosa come un felino si lanciò verso il nemico scivolando tra le lingue d'asfalto che provarono a interrompere la sua corsa. Avvertì la tensione stringerle la gola, percepì la consapevolezza di star rischiando più del dovuto aggrapparsi alle caviglie per rallentarla, eppure non si fermò. Avanzò come una furia, un'assassina, e quando i due alchimisti se la videro spuntare a lato del primo scudo trasalirono.

Quello che aveva plasmato l'asfalto  si portò nuovamente le mani al petto, ma prima di riuscire a sfiorare qualsiasi cosa catalizzasse la sua Ars, Alexandria gli piombò addosso.
Iti miday (troppo lento), pensò mentre con la mano aperta sul suo viso lo spingeva verso terra. Fece leva sulle gambe, ma nonostante la stilettata di dolore non tentennò e appena il suono del cranio di lui contro il terreno le arrivò alle orecchie ogni sorta di male si annullò. Un brivido di puro piacere le corse lungo la schiena, facendole socchiudere appena le palpebre e commettere un passo falso. Ancora.
L'alchimista alle sue spalle emise un verso, poi la sensazione fastidiosa provata al loro primo scontro si palesò all'altezza del bacino.
Alex si lasciò guidare dal corpo. Prima che potesse realizzarlo il suo gomito colpì con inaudita violenza la faccia dell'aggressore. Sentì nitidamente la mascella di lui dissestarsi prima di vederlo ruzzolare a terra.

Un nuovo ringhio.
Un nuovo verso.

«Du musst aufhören! (Devi smetterla!)» muovendosi goffamente gli si fece vicina, torreggiò sopra di lui con la bava che dalla bocca ricadeva sui suoi vestiti scuri. Lo vide arrancare sull'asfalto, trascinarsi con le unghie ferendosi. Aveva sangue ovunque e la paura negli occhi. Sapeva di non poter sferrare altri attacchi, il nemico non glielo avrebbe permesso - ma forse poteva scappare, no?

No, gli rispose Alex senza aprir bocca. «Dummer Mann (stupido uomo)» soffiò subito dopo, schifata. In passato aveva provato pietà, lo doveva ammettere, ma non ci era voluto molto prima che la compassione diventasse astio, ribrezzo, insofferenza.
Si chinò e senza lasciargli tempo di realizzare ciò che sarebbe successo, o semplicemente di gridare, gli afferrò il collo stando bene attenta a posizionare gli artigli lì dove le zanne avevano perforato la carne. Poi strinse.
Negli occhi sgranati dell'alchimista si vide riflessa, si trovò orribile, eppure non allentò la presa. Non le importò quanto lui si stesse dibattendo, quanto i suoi versi fossero gutturali e rabbrividenti. Forse qualcuno l'avrebbe udito di sfuggita senza capire, forse si sarebbe messa a repentaglio, ma ciò non bastò a farla smettere con quella tortura, anzi. Z'èv pigiò con più gusto i polpastrelli nella carne; si permise il lusso di godere della resistenza di quello sconosciuto. Mentre si dibatteva sotto di lei, incapace di liberarsi dalla sua presenza, la Contessa Varàdi faceva maggior resistenza con i propri arti. Doveva, o meglio voleva, farlo sentire un topo in gabbia. Se lo meritava in fondo, no? Dopotutto lui, i suoi predecessori, i loro avi... tutti quegli alchimisti da strapazzo avevano provato a far sentire lei, i suoi fratelli e persino Salomone così - e come diceva il Codice di Hammurabi: "se a un uomo togli un occhio, dovrai pagare con un occhio".
Fece per premere un po' di più, in modo da vedere il terrore sfigurargli i connotati, ma una nuova, fastidiosa vibrazione nell'aria mise in allerta il corpo che, istintivamente, si mosse; peccato che nel ruzzolare lontano dal nemico gli artigli si impigliarono nel collo e, in preda alla foga, Z'èv finì col mozzargli davvero la giugulare. Sentì i rantoli dell'uomo, il suo affogare nel sangue che gli riempiva le vie respiratorie, ma non gli prestò la benché minima attenzione - non aveva tempo.
Usando un ginocchio come perno ruotò su se stessa, tornando a fronteggiare chi aveva sperato essere già morto.
«Merda!» ringhiò in una lingua: «Wenn du Asphalt so sehr liebst, werde ich dafür sorgen, dass du für immer eins bist! (se ami tanto l'asfalto farò sì che siate una cosa sola per sempre!)» aggiunse poi in un'altra. Aveva evitato l'ennesima lingua di bitume per pura fortuna, ma sapeva che la bilancia presto avrebbe iniziato a pendere in negativo; andava sempre così.

Puntò una mano a terra e, come i velocisti, spinse per darsi lo sprint necessario per piombare addosso al nemico.
Era lì, steso al suolo, inerme, retto solo su un gomito mentre il palmo dell'altra mano premeva sul petto. Il fiato corto, il sudore a imperlargli la fronte.
Lo avrebbe ucciso velocemente, pensò Alexandria. Lo avrebbe fatto rompendogli l'osso del collo. Un crack rapido che avrebbe messo fine a quella pantomima.

Si lanciò.
Premendo le suole delle scarpe sull'asfalto fece poche, lunghe falcate verso il bersaglio. Con il cuore pulsante a riempirle le orecchie allungò le braccia per afferrarlo prima, per ghermirlo, per fargli percepire come ultima cosa il tocco della morte, la paura - peccato che si accorse troppo tardi di non essere la sola a desiderarlo.
Alex vide il catrame intorno al braccio poggiato a terra muoversi, ribollire, prendere vita. Lo vide e sgranò gli occhi.
Ecco che la sfortuna veniva a reclamare il suo pegno.

 
   
 
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