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Autore: sky_full_of_stars    11/07/2022    0 recensioni
Tre momenti speciali in cui le labbra di Yuuri Katsuki hanno baciato quelle del suo più grande idolo di pattinaggio.
Dal testo: Forse era stata colpa di quel dannato profumo di salsedine, che ti entra fin dentro le ossa e se lo respiri troppo rischia davvero di darti alla testa; o forse era stata colpa dello stridio acuto dei gabbiani che si rincorrevano fra i refoli di vento, il suono lieve e cadenzato delle onde a fare da sottofondo a quelle acrobazie in aria; o forse ancora era stato quell’anello, che Yuuri aveva girato e rigirato sul suo dito mille volte quella mattina senza nemmeno sapere bene il perché. Probabilmente era stato per tutte quelle cose insieme che Yuuri si era piegato in avanti trattenendo impercettibilmente il fiato e per la seconda volta nella sua vita aveva premuto le labbra contro quelle di Victor Nikiforov.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Victor Nikiforov, Yuuri Katsuki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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1.
Yuuri non avrebbe mai potuto dimenticare la prima volta in cui le sue labbra sfiorarono quelle del campione di pattinaggio Victor Nikiforov. Ricordava tutto nei minimi dettagli: il luccichio del ghiaccio, il clamore della folla, l’adrelina che ancora gli pulsava nelle vene per l’esibizione appena svolta e la gioia per essere riuscito ad eseguire il celebre salto del suo idolo. E infine la sorpresa quando lui gli aveva buttato le braccia al collo. Migliaia di occhi si erano posati su di loro, ma Yuuri non se ne era curato minimamente: aveva solo sentito due labbra morbide e sottili poggiarsi leggere sulle sue e il cuore scivolargli via dal petto come due pattini sul ghiaccio. Era stata una frazione di secondo, ma abbastanza perché ogni cosa intorno a lui scomparisse: il suono della musica, il frenetico vociferare del pubblico, persino la preoccupazione per la gara e la gioia per la sua esibizione: era tutto svanito in un cortina sbiadita di rumori e luci che si era posata su di loro come un velo trasparente. Erano caduti sul ghiaccio in un turbine di emozioni. Gli occhi di Yuuri brillavano, mentre Victor gli regalava un sorriso immenso, la mano ancora poggiata sotto la sua testa per proteggerlo dalla caduta sul ghiaccio. Il ghiaccio. Ecco dove ogni cosa era iniziata. Quello stesso ghiaccio che li aveva fatti incontrare e aveva intrecciato i loro destini nell’esatto istante in cui avevano messo un paio di pattini ai piedi per la prima volta, mossi dalla stessa irrefrenabile passione; quello stesso ghiaccio che aveva consentito loro di imparare a conoscersi lentamente, in ogni sfaccettatura del loro carattere, rafforzando il loro legame giorno dopo giorno, pattinata dopo pattinata.
Quando Yuuri ripensava a quella giornata, che aveva immediatamente etichettato come la migliore della sua vita – almeno fino a quel momento – non riusciva a fare a meno di sorridere: non c’era altro posto al mondo in cui avrebbero potuto scambiarsi il loro primo bacio.

2.
C’era stata poi quella volta a Barcellona, lo sciabordio delle onde che si infrangevano sugli scogli e l’anello che pareva brillare di luce propria ai tenui raggi dell’alba.
«Quello era Yurio?» gli aveva chiesto mentre Victor si sedeva sulla sabbia ancora fredda. Yuuri lo aveva sentito Victor parlare con qualcuno, mentre era intento a lanciare il bastone a Makkachin avanti e indietro per la battigia; gli era parso di distinguere la voce del giovane rivale russo e si era voltato giusto in tempo per scorgere una massa di capelli biondi allontanarsi lungo il marciapiede.
«Sì, era Yurio.»
«Che cosa ti ha detto?»
Victor aveva atteso qualche secondo prima di rispondere, lo sguardo perso tra le onde del mare.
«Che questo posto gli ricorda l’oceano di Hasetsu.»
Un sorriso si era dipinto sul volto di Yuuri. Una parte di lui era sicura che Victor gli stesse tacendo qualcosa, ma aveva deciso di ignorarla: aveva le sue ragioni e Yuuri si fidava di lui. Così aveva semplicemente inclinato la testa e sorriso. «L’ho pensato anche io, sai?»
«Lo immaginavo.»
Erano rimasti in silenzio per un po’. Il mare davanti a loro luccicava come uno zaffiro e l’odore inconfondibile di salsedine impregnava l’aria e i vestiti.
«Sai, quando l’anno scorso ho perso alla finale del Gran Prix, la prima cosa che ho fatto è stato andare a vedere l’oceano. Mi rilassa sempre e mi fa sentire a casa ovunque io sia.»
«Bisogna sempre avere qualcosa che ti rammenti chi sei e da dove vieni… Tu hai l'oceano e io ho Makkachin, con lui non mi sento mai solo.»
Il barboncino, come se avesse capito che la conversazione si era spostata su di lui, era corso verso di loro e con un balzo si era buttato tra le braccia del suo padrone. Victor era caduto all’indietro, colto di sorpresa e una risata cristallina si era levata nella brezza fresca del mattino.
«Andiamo Makkachin, finiscila! Se mi lecchi mi fai il solletico!»
«Victor?»
Il campione di pattinaggio si era fermato, le braccia alzate a trattenere per i fianchi Makkachinl, sospeso a qualche centimetro sopra il suo petto.
A dire la verità, Yuuri non sapeva perché lo avesse chiamato. Improvvisamente si era sentito in grado di fare qualsiasi cosa, complici il timido sole che faceva capolino all’orizzonte e la città assonnata che si stava appena svegliando alle loro spalle. Aveva sfiorato di nuovo l’anello stretto al suo anulare in quella che doveva essere la centesima volta di quella mattina: non riusciva proprio a smettere di guardarlo. Era un semplice anello, senza rifiniture o pietre preziose ad ornarlo, eppure non lo avrebbe cambiato per nessun altro gioiello al mondo. Era il suo talismano, il loro piccolo portafortuna con cui poter essere sempre vicini, ovunque si trovassero.
«Sì?» gli aveva risposto Victor, l’ombra di un sorriso divertito ancora sul volto.
Forse era stata colpa di quel dannato profumo di salsedine che ti entra fin dentro le ossa e se lo respiri troppo rischia davvero ti darti alla testa; o forse era stata colpa dello stridio acuto dei gabbiani che si rincorrevano nel cielo fra i refoli di vento, il suono lieve e cadenzato delle onde a fare da sottofondo a quelle acrobazie in aria; o forse era stato proprio quell’anello, che Yuuri aveva girato e rigirato sul suo dito mille volte quella mattina senza nemmeno sapere bene il perché, e che improvvisamente gli era sembrato brillare come di luce propria. Forse era stato per tutte quelle cose insieme che Yuuri si era piegato in avanti trattenendo impercettibilmente il fiato e per la seconda volta nella sua vita aveva premuto le labbra contro quelle di Victor Nikiforov. Niente sguardi attoniti o grida da stadio a fare loro da cornice quella volta, solo le nuvole rosa e un’infinita distesa blu cobalto. Yuuri aveva percepito le labbra di Victor piegarsi all’insù mentre lo baciava con tutta la calma del mondo, le guance accese di rosso e gli occhi chiusi.
Forse, si era detto fra sé, aveva trovato qualcos’altro in grado di farlo sentire a casa, oltre all’oceano.

3.
Yuuri ricordava perfettamente quella sera. Nuvole grigie avevano coperto il cielo terso di metà giugno e in pochi minuti un temporale estivo li aveva colti di sorpresa mentre passeggiavano per le vie illuminate di San Pietroburgo. Erano arrivati a casa grondanti d’acqua dalla testa ai piedi, mentre fuori la città veniva investita da un diluvio in piena regola. Immergersi nell’acqua calda della vasca era stato un sollievo. Fosse stato per Yuuri, sarebbe rimasto ore in quel tiepido torpore, che era parso una benedizione dopo la pioggia gelida che avevano preso. Dopo un paio di minuti, però, qualcuno aveva bussato alla porta. Ci aveva messo qualche secondo a realizzare chi si celasse dall’altra parte, ma alla fine si era alzato a malincuore e si era avvolto un asciugamano intorno alla vita.
«L’acqua è ancora calda» aveva detto sulla soglia a Victor. Il campione di pattinaggio lo aveva squadrato da capo a piedi con uno sguardo interrogativo.
«Perché? Non rimani anche tu?»
Senza attendere una risposta, lo aveva preso per mano e lui si era trovato di nuovo avvolto da quell’accogliente vapore che saliva dala vasca. Erano rimasti a mollo per un’ora, ridendo e scherzando, mentre il temporale che imperversava fuori dalle finestre diventava pian piano solo un ricordo passato.
«Quasi meglio delle sorgenti di Hasetsu» era stato il commento finale di Victor. Non ottenendo risposta, si era voltato verso Yuuri sdraiato al suo fianco, le gambe intrecciate alle sue e la testa appoggiata alla sua spalla. Aveva osservato la sua espressione serena per un po’, le palpebre abbassate e le labbra socchiuse, cercando di imprimere quell’immagine perfetta nella sua mente. Poi si era avvicinato al suo orecchio e gli aveva battuto leggermente sulla spalla.
«Yuuri… Hey Yuuri… L’acqua si è raffreddata, perché non andiamo a dormire?»
«Cosa?»
Yuuri si era guardato attorno con aria incerta, il volto ancora stropicciato dal sonno. Quasi non ricordardava di essersi addormentato.
« Ah, sì… Andiamo.»
«Tu va’ pure, io finisco di mettere a posto qui.»
Yuuri aveva annuito e si era passato un mano sugli occhi stanchi prima di afferare gli occhiali appoggiati sul bordo della vasca e uscire.
Forse era stata colpa di quel vapore caldo che gli aveva assopito i sensi, o forse della stanchezza che ancora lo avvolgeva, rendendolo poco lucido, fatto sta che un minuto dopo, senza nemmeno accorgersene, si era infilato nella prima camera da letto che aveva trovato e aveva sprofondato il volto sul cuscino senza nemmeno pensarci. Si era svegliato di colpo sentendo il materasso cigolare sotto di lui e si era ritrovato davanti gli occhi celesti di Victor, che lo osservano tranquillo seduto sul bordo del letto con i capelli ancora umidi.
«V-Victor?»
Un’occhiata alla camera, immersa nella luce calda e vaporosa della abat-jour, era stata sufficiente a capire. Con uno scatto si era seduto appoggiando la schiena alla testata del letto.
«Scusascusascusa! Ero talmente stanco che non mi sono nemmeno reso conto di dove mi stessero portando i piedi. Perdonami, Victor, ora me ne vado subito e–»
«Perché non rimani, invece?»
«Come?»
«Lo so che mi hai sentito, Yuuri. Rimani. C’è posto per entrambi qui.»
Yuuri aveva osservato il sorriso sincero sulle labbra di Victor e soppesato quella proposta che in un attimo gli era sembrata talmente bella da non essere vera. Era come una sorta di desiderio nascosto che aveva sempre celato dentro di sé senza saperlo, una scena che gli pareva di aver già visto da qualche parte. Era quasi come se, in fondo, una parte totalmente inconscia di sè non aspettasse altro che quel momento. Del resto, era da quasi un anno che vivevano insieme. Se avesse dato ascolto a quella voce interiore – cosa che avrebbe davvero voluto – si sarebbe risdraiato immediatamente. Farlo sul serio e dar voce ai suoi pensieri, però, era un altro paio di maniche. «Ma… Ecco, io non… »
«Niente “ma”. Oggi decido io, Yuuri.»
Yuuri era ammutolito all’istante, colto alla sprovvista da quel tono fermo e autoritario, e quasi come un automa si era spostato più in là per fare spazio al campione di pattinaggio. Era stato in quell’istante che Makkachin era balzato sul letto, andando ad accoccolarsi fra i suoi piedi e quelli di Victor.
«Visto? Anche Makkachin vuole che tu rimanga qui!»
«Già» era stata la risposta imbarazzata di Yuuri, prima di accorgersi che Victor lo stava osservando da qualche secondo senza battere ciglio.
«Yuuri?»
«Sì?»
«Dormi seduto, di solito?»
Solo in quel momento Yuuri aveva realizzato di avere ancora le spalle appoggiate alla testiera del letto, mentre Victor aveva già la testa sul cuscino.
«Oh... No, no!»
«Bene, allora sdraiati sotto le coperte.»
«Sì, subito!»
«Ecco, così va meglio.»
Era stato allora che era Victor, nella più totale tranquillità, si era teso verso di lui e aveva premuto le labbra contro le sue in un casto bacio, accompagnando il gesto da un allegro “Buonanotte!”. Il tac dell’interruttore della luce era stata l’ultima cosa che Yuuri aveva sentito, prima di essere sommerso dal buio – cosa di cui era stato estremamente grato, perché gli aveva consentito di nascondere il rosso acceso che si era impadronito improvvisamente delle sue guance. Era rimasto immobile come un blocco di legno, quasi non osando respirare mentre sentiva Victor voltarsi e ripoggiare la testa sul cuscino. Quel breve bacio era stato capace di mandargli il cervello in cortocircuito e mozzargli il fiato come la prima che aveva sentito le labbra del pattinatore sulle sue. Era passato quasi un anno da quel pomeriggio di grida, luci e ghiaccio, e certo c’erano state molte altre occasioni in cui quel semplice gesto si era ripetuto: baci rubati la sera seduti sul divano, quando Victor si voltava improvvisamente e gli regalava quel sorriso che lui aveva imparato a memoria; o quelli rapidi ma intensi che si davano sulla pista quando Yuuri riusciva ad eseguire una sequenza di salti complicata e correva ad abbracciarlo. C’erano state molte volte, ma mai come quella. Quella sera era stato diverso. Quel semplice bacio, dato in un modo così naturale, quasi senza pensarci, seguito da un consueto e banale “Buonanotte”, lo aveva lasciato in uno strano torpore che non riusciva bene a spiegare. Era come una scena già vista, un istante già vissuto, in attesa di essere strappato dal futuro per diventare presente. Gli era parso di vedersi scorrere davanti agli occhi una vita intera nel tempo di un secondo: come uno spettatore silenzioso seduto in un angolo della stanza che osserva tutto ciò che gli avviene intorno, si era rivisto in quella scena altre migliaia e migliaia di volte, in quel gesto che giorno dopo giorno diventava sempre più familiare, smpre più simile a un'abitudine, un rituale banale ma essenziale, da compiere senza nemmeno pensarci, mentre fuori il tempo continuava a scorrere imperterrito, scandito da quel minuscolo gesto che si ripeteva identico ogni singolo giorno… Yuuri si era risvegliato come da un sogno ad occhi aperti: l’imbarazzo, l’agitazione e persino l’ansia che lo avevano invaso solo qualche minuto prima, ora scomparsi del tutto. Si era avvicinato a Victor lentamente, un fruscio impercettibile fra le lenzuola, per non intaccare il silenzio in cui era avvolta la camera.
Quando Victor aveva sentito la testa di Yuri posarsi sul suo petto, per un attimo era rimasto senza fiato. Lui che stava già per chiedergli per quale motivo fosse ancora sveglio, che poteva percepire il suo disagio e la sua tensione senza nemmeno guardarlo, che sapeva come era fatto Yuri e che non era facile per lui lasciarsi andare all’inizo, che aveva bisogno di quella piccola spinta, di quelle due parole e quel gesto di conforto per fargli capire che non c’era alcun bisogno di essere agitato. Ma quel contatto lieve e improvviso aveva cancellato ogni dubbio e infondeva solo una calma genuina, una serenità silenziosa che pareva essersi diffusa in tutta la stanza, come un’onda concentrica su uno specchio d’acqua. Victor aveva sorriso e gli aveva avvolto il braccio intorno alle spalle, beandosi di quel contatto inaspettato. Era certo che Yuuri si fosse già addormentato quando un sussurro leggero ruppe il silenzio.
«Grazie.»
Viktor ci aveva messo qualche secondo a recepire quella parola, a metà tra il sonno e la veglia.
«Per cosa?» aveva mormorato in risposta, cercando di dissimulare la voce impastata dal sonno.
Yuuri aveva atteso un po’ prima di rispondere.
«Per aver aver creduto in me prima ancora che lo facessi io.»
Nella penombra azzurata che filtrava dai vetri Yuuri aveva cercato il suo volto finché non aveva sentito il profumo delle sulle labbra sulle sue. Un bacio leggero quanto un soffio. Si era lasciato cullare dal respiro lento e regolare di Victor fino ad addormentarsi, così come avrebbe fatto ogni notte da lì in poi.
Yuuri riemerse da quel mare di ricordi scoprendo di avere la bocca dolente per aver sorriso troppo. Si sentiva avvolto da quella serena nostalgia di quando ripensi a un bellissimo periodo che ormai appartiene al passato, ma a cui non desideri tornare perché non hai nulla da rimpiangere di quel tempo: lì, nel presente, hai già tutto ciò di cui hai bisogno. Tutto ciò che ti rende felice.

§

La porta d'entrata si aprì con uno scatto. Una folata di aria fredda si insinuò nell’appartamento ena massa di ciuffi argentati fece capolino sulla soglia. Victor non fece nemmeno in tempo a mettere un piede in casa che un ammasso di riccioli castani gli saltò addosso. Il pattinatore si accucciò sul pavimento e salutò Makkachin con un paio di carezze, per poi dirigersi verso la cucina, le buste della spesa strette fra le dita affusolate. Yuuri era seduto al tavolo, un sorriso immenso stampato sul volto e gli occhi lucidi. Victor si era appoggiato allo stipote della porta ed era rimasto a osservarlo in silenzio, quasi trattendo il respiro per non disturbarlo, lo sguardo appena corrucciato nel tentativo di capire cosa mai stesse passando per la mente di quel ragazzo.

Yuuri non lo sentì nemmeno mentre si avvicinava e gli stringeva le braccia intorno alle spalle, troppo perso in ricordi lontani che aveva scoperto avere ancora tutti i colori del mondo.

   
 
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