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Autore: Afaneia    15/07/2022    0 recensioni
Fanfiction partecipante alla challenge 200 Summer Prompts indetta dal gruppo Facebook "Non solo Sherlock".
«Quello che hai detto quando sei venuto a salvarmi. Di dirti che stavo bene...»
«Lo avrai sognato.»
«Ma ero ancora sveglio quando sei arrivato. Ti ho sentito.»
«Allora avrai avuto le allucinazioni. Può succedere in battaglia.»
«Erano piuttosto realistiche come allucinazioni.»
Genere: Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Link
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fanfiction partecipante alla challenge 2oo Summer Prompts indetta dal gruppo Facebook Non solo Sherlock – Gruppo eventi multifandom (https://www.facebook.com/groups/366635016782488).

Verrà un giorno in cui smetterò di far interagire questi due in un contesto di guerra, ma non è questo il giorno.

 

 

Difesa

 

Nel fronteggiare situazioni in cui rischiano davvero di perire, i soldati faranno l’impossibile pur di salvarsi; intrappolati all’interno di terreni ritenuti fatali, essi sopravviveranno.

Sun Tzu, L’arte della guerra.

 

 

Si sente le spalle al muro, le irregolarità della parete di roccia gli si conficcano nella pelle attraverso la tunica, ghiaia e terra si staccano dai massi al di sopra di lui e spiovono sui suoi capelli e le sue spalle. Link sbatte le palpebre e si scrolla tutto come un cane bagnato per liberarsi gli occhi dalla polvere, ripone la spada e imbraccia il suo arco.

È disperato, nel senso del termine che denota un’assoluta mancnza di speranza. Ha combattuto abbastanza battaglie da rendersi conto che da quella situazione non c’è via di fuga: è tagliato fuori dai suoi compagni, in una zona in fondo al Canyon di Tanagar che forse non è neppure sulle mappe. Alle sue spalle c’è una grotta, ma dentro di sé Link stabilisce di arretrarvi soltanto quando non riuscirà più a mantenere questa posizione. Dove si trova ora ha ancora la possibilità di venir visto dall’alto – è una possibilità remota, perché il fulcro della battaglia, Link lo sente dagli scoppi e i boati che echeggiano sempre più lontani dal suo orecchio, si sta allontanando, e le pareti del canyon appaiono vertiginosamente strette al di sopra della sua testa; ma, ancora, c’è. Alla disperazione Link si adegua come ha sempre fatto: con imperturbabile calma, perché agitarsi non porta a nulla e sarebbe anzi controproducente, Link trova contro la roccia la posizione più comoda per poter resistere a lungo, si sfila lo scudo che lo appesantisce e lo impaccia e appoggia la faretra piena contro il ginocchio. I boblin rumoreggiano e insorgono vociando sotto la ristretta piattaforma di roccia dov’è riparato, Link vede da pochi centimetri di rilievo le loro facce orrende, bavose, deformi, avide di raggiungerlo; sono mostri animaleschi, con una loro intelligenza elementare che in questo momento è incentrata tutta su di lui. Non saranno in grado di arrampicarsi fino a lui senza utensili, ma al di sopra della sua testa Link sente fischiare sassi e pezzi di legno. Lo stanno bersagliando. La sua salvezza, per ora, è che i boblin sono troppo in basso rispetto a lui e non riescono a vederlo abbastanza bene da colpirlo. La fregatura è che non sono così stupidi da non saper aggiustare il tiro.

Link tende l’arco e tira in mezzo al mucchio. Non vede neppure dove colpisce: sente gridare, l’ondata incalzante dei boblin ondeggia e si ricompone per coprire il punto rimasto vuoto, e questo è quanto. Ha colpito qualcuno, ma la vastità del mare di mostri sotto di lui è rimasta immutata.

In quel momento in sasso lo colpisce a una spalla mozzandogli il respiro.

Non è nulla di grave, è un dolore acuto ma sordo e si attenua subito, e Link riprende a respirare ma per poco: non può resistere a lungo. Rispetto ai boblin ha una visibilità migliore e il vantaggio dell’altezza, ma loro sono infiniti. Di questo passo, potrà resistere forse un’ora.

Link alza lo sguardo per cercare al di sopra di sé una via di fuga che sa già non esserci: la roccia è troppo ripida, il canyon troppo profondo. Se anche riuscisse ad arrampicarsi, i boblin avrebbero tutto il tempo di mirare e colpirlo. La cosa più sicura, paradossalmente, per lui è restare arroccato su questa guglia di roccia finché gli dureranno le frecce. Gliene rimangono una trentina, e in aggiunta a esse l’ultima freccia esplosiva; ma per quest’ultima la gola è troppo stretta, e Link si ritroverebbe ferito nell’esplosione. Una volta finite le frecce, gli resteranno soltanto la spada e la grotta.

È in questo istante, mentre rapidamente la sua mente conta le munizioni e le speranze che gli rimangono, che i suoi occhi ritornano quasi senza volere sull’impennaggio colorato della freccia esplosiva. Non può usarle per colpire i boblin all’interno della gola, ma può usarle fuori.

Link afferra una freccia esplosiva dalla faretra e punta verso l’alto, verso l’alta fessura stretta della gola che si apre perpendicolarmente sopra la sua testa, e scocca. Al di sopra della sua testa sbocciano rossi fiori di fuoco.

 

Non sa quanto tempo sia passato. Sta sanguinando, qualcosa lo ha colpito sulla fronte, ha gli occhi pieni di sangue, la bocca che sa di terra e di ferro, le braccia che gli tremano. Non ha sempre coscienza di dove si trovi: ha momenti di vuoto. Quando se ne risveglia, dopo pochi istanti, è ancora lì, sulla roccia, ha il suo arco tra le mani, una freccia tra le dita che sta cercando di incoccare; e i boblin lo incalzano ogni momento più da vicino. Link incocca la freccia e colpisce ancora nel mucchio, nel mucchio. Cade un boblin, gli altri strillano, si riorganizzano, ondeggiano e si ricompattano: ma ormai non hanno più paura di lui. Per quanto possano essere stupidi, a quest’ora devono essersi accorti d’essere in soprannumero, che lui è solo, e che non potrà respingerli ancora per molto.

Non ha più le forze per restare esposto. Per un po’ ha creduto che avrebbe sentito il rumore di Medoh che si avvicinava, ma non l’ha udito; e se Revali non è riuscito ad avvistarlo finora, ormai è chiaro che non arriverà più in tempo. Non c’è da fargliene una colpa. È la guerra. Se non ha fatto in tempo, è perché qualcuno o qualcosa gliel’ha impedito; ma Link non ha più abbastanza forza per aspettare ancora.

La faretra è vuota, Link l’abbandona su una roccia perché non avrebbe senso trascinarsela dietro. Lo scudo, che aveva posato prima perché non lo impacciasse, gli pare di una pesantezza mai provata prima: sotto lo sforzo di sollevarlo, il braccio gli trema incontrollabilmente e le sue dita non si chiudono abbastanza da trattenerne la cinghia. Link lo lascia al suolo.

La grotta che ha visto prima si apre sulla parete di roccia alla sua sinistra, indietro di pochi metri rispetto a lui. È alla distanza di poche falcate, o lo sarebbe se Link potesse alzarsi; ma levandosi in piedi si renderebbe più visibile, e in ogni caso le sue gambe non lo reggerebbero.

Appiattendosi al suolo, Link inizia la sua strada trascinandosi verso la grotta. I boblin insorgono, gridano, lo vedono strisciare tra le rocce e la polvere come un verme, mirano e cercano di colpirlo: Link ingoia l’orgoglio e il sangue e la polvere e striscia verso la grotta che gli appare lontanissima. Su di lui piovono pietre e bastoni, l’impatto di un proiettile sulla schiena gli strappa un grido e uno sbocco di sangue: Link l’osserva sulla terra e sulle sue mani, rosso e denso, sentendosene distante come se neppure appartenesse a lui...

L’aria attorno a lui vortica di una folata di vento, i boblin ora gridano come impazziti. Link combatte col vuoto e col buio della sua mente e fa forza su se stesso per aprire le palpebre. Non riesce a girare la testa; ma sul terreno, di fronte a sé, vede disegnarsi la forma di larghe ali. Concede a se stesso di chiudere gli occhi di nuovo, irrazionalmente rassicurato, e reclina il capo sulla spalla sentendo di non aver più niente da temere.

«Link! Stai bene?»

«Sei arrivato» risponde Link senza alcuna logica e senza neppure curarsi di venir sentito.

«Link, devi dirmi che stai bene!»

Link sente allentarsi i suoi contatti colla realtà a poco a poco.

 

Gli scorre acqua sulla fronte, acqua tra le labbra; Link ne acquisisce consapevolezza e ne prova la sensazione di frescura e refrigerio, tossisce, beve, avvolto in una nebbia; poi la realtà si allontana di nuovo. Non prova angoscia ad abbandonarsi nel buio. Riposa.

La dolcezza dell’acqua lo sveglia ancora un paio di volte; ogni volta la nebbia che lo circonda è meno densa e l’aria meno confusa. Link beve e si riaddormenta subito, senza provare a lottare. Non ha paura.

Quando apre gli occhi di sua spontanea volontà, ha la bocca secca ma non molto, e un po’ caldo: ha un mantello ripiegato sotto la nuca, vicino alle sue gambe scoppietta un fuoco. Si trova nella grotta, ma in qualche modo questo lo sapeva già.

«Ehi» dice, o meglio gracchia, per comunicare d’esser sveglio.

Revali riposa a pochi passi da lui, con la schiena poggiata contro la parete di roccia e le ampie ali ripiegate e incrociate sul petto. Non sta dormendo, però, e di questo Link è certo anche senza saper dire il perché.

«Ben svegliato» risponde Revali senza degnarsi d’aprire gli occhi.

Link si solleva a sedere lentamente per saggiare le proprie forze e si sfiora la fronte colla punta delle dita: sente una benda e, al di sotto di essa, l’irregolarità di una grossolana cucitura. Allontana le dita di scatto.

«Non toccare» lo ammonisce Revali, che evidentemente lo sta tenendo d’occhio attraverso la fessura delle palpebre semidischiuse. «È soltanto finché non potrà curarti Mipha, ma tu vedi di non stuzzicare i punti.»

Link, che non prova il minimo desiderio di toccare le suture, obbedisce senza discutere.

«I boblin...»

Revali si stringe nelle spalle. «Li ho ricacciati indietro. Non credo che torneranno stanotte, e per domattina saremo fuori di qui. Tu nel frattempo riposa.»

«Dov’è Medoh?» insiste ancora Link, che piuttosto che riposare preferisce aver contezza di ciò che è successo.

Revali inspira profondamente per manifestare la sua insofferenza verso quelle domande, ma Link è ormai troppo abituato alla sua drammatica teatralità per prestarvi attenzione. «Non sarei mai riuscito a raggiungerti dentro questa gola su Medoh, e spostandomi da solo sarei stato meno visibile. Sono venuto volando.»

Questo spiega perché Link non l’ha sentito avvicinarsi: se lo conosce bene, Revali ha lasciato Medoh in volo solitario da qualche parte a nord del canyon per distrarre i nemici.

«Grazie» dice sinceramente a questo punto, ora che ha tutto chiaro: Revali ha lasciato la sicurezza della Bestia sacra ed è venuto a salvarlo. È quanto gli basta sapere.

«Uhm» risponde Revali con sufficienza, ancora senza sollevare le palpebre. «Non c’è di che. Vorrei poterti dire che un giorno tu farai lo stesso per me, ma dubito che mi troverò mai con le spalle al muro com’è capitato a te, perciò...»

Link sorride tra sé senza rispondere. Quello è il solo modo che Revali abbia per dirgli non preoccuparti, siamo compagni d’armi, anche tu avresti fatto lo stesso per me; non avrei voluto che morissi; ma gli va bene così. Ha già fatto abbastanza sforzi per lui senza che debba pure sforzarsi a esprimere come si sente.

Link torna a distendersi sul mantello ripiegato che gli fa da cuscino e chiude gli occhi per riposare ancora: quando respira e si muove contemporaneamente avverte una gran fitta al costato, tra il fianco e la schiena, ma non sembra nulla di grave. Sopravvivrà. È sopravvissuto a cose peggiori.

«Perché volevi che ti dicessi che stavo bene?»

Adotta la stessa strategia di Revali e lo osserva al di sotto delle ciglia appena accostate: Revali s’irrigidisce un po’ contro la parete e apre gli occhi per un attimo, il tempo necessario ad assicurarsi che non possa vederlo. Link lo intravede attraverso le palpebre, ovviamente, ma si sforza di non cambiare espressione perché non se ne accorga. «Come, prego?»

«Quello che hai detto quando sei venuto a salvarmi. Di dirti che stavo bene...»

«Lo avrai sognato» taglia corto Revali tornando ad adagiarsi contro la roccia.

«Ma ero ancora sveglio quando sei arrivato. Ti ho sentito.»

«Allora avrai avuto le allucinazioni. Può succedere in battaglia.»

«Erano piuttosto realistiche come allucinazioni.»

Revali schiocca la lingua con aria comprensiva. «Già, già. Succede sempre così. Lo dicono tutti.»

Link ride tra sé, scuote la testa e rimane in silenzio. Non l’avrà mai vinta, perciò non vale la pena sprecar le forze a insistere su questo argomento; ma sarebbe divertente vedere quali altre scuse Revali s’inventa per nascondersi e difendersi da lui, come uno scudo. Lascia perdere.

«Hai fatto bene a tirare quella freccia esplosiva, comunque. È stata una buona mossa. Senza non sarei mai riuscito a trovarti.»

Link lo scruta di sottecchi reclinando un po’ il capo dal suo cuscino improvvisato. «Ho scoccato perché sapevo che stavi tornando a cercarmi.»

Revali sta per dire qualcosa, per un attimo Link riesce quasi a vedere attraverso la barriera delle sue difese e la roccaforte del suo orgoglio; ma dopo quest’attimo di debolezza le sue spalle s’irrigidiscono ancora e Revali torna a reclinare comodamente il capo contro la parete per mettersi a dormire.

«E avevi ragione. Perché ora non ti rimetti a riposare invece di far tante domande? Dobbiamo essere fuori di qui prima dell’alba se non vogliamo renderci visibili.»

Arroccato nella difesa del suo ego e del suo orgoglio, Revali non gli darà mai più soddisfazione di così; ma per Link, che lo conosce bene, la sua acredine parla più forte di qualsiasi parola. Perciò Link sprimaccia un poco il suo mantello che odora di piume e di guerra, si distende e si rimette a dormire in attesa dell’alba, perché in questa grotta si sente ora al sicuro come nel mare calmo.

   
 
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