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Autore: Rosa Bianca 08    16/07/2022    0 recensioni
Il suo nome era sulla bocca di tutte le famiglie, che la circondavano, tutte erano a conoscenza di quanto si prodigava per essere sempre attiva e presente, era quindi molto conosciuta e stimata anche da alcuni popoli oltre il suo territorio.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LA LEVATRICE

Il mantello, sobrio nel suo colore che ricordava la sabbia bagnata in
un giorno di pioggia intensa, o quel color mattone con cui erano
tinteggiate l’esterno delle case, svolazzava e soleva
distaccarsi dalle vesti imbrattate di sangue di quella esile donna che
tentava di difendersi dallo sferzante vento.

Quel vento, che ella conosceva bene, che se solo avesse aumentato la
sua forza bruta avrebbe sollevato le polveri di quel terreno arso dal
sole di giorno e scavato a piccoli solchi nel momento
dell’imbrunire. Polvere che se colpiva l’iride o la
pupilla avrebbe potuto portare infezione, pertanto ella cercava di
prestare la massima attenzione coprendosi il capo e il viso quanto
più le riusciva.

Quella “Terra” la faceva sorridere ma nel contempo
intristire.  Terra che veniva amata quasi osannata quando era
baciata dalla fortuna perché investita dalle acque del cielo
che essa accoglieva con grande umiltà e beatitudine
permettendole di produrre cibo e tutto ciò che servisse per
rifocillare gli abitanti, suoi ospiti.

Oppure con profonda rabbia odiata e disprezzata nei momenti
più bui di siccità, quando non era in condizioni
di far progredire tutti gli step delle sementi e delle piante e non
consentire la crescita e la maturazione dei propri frutti e gli animali
non avendo di che nutrirsi e interrompendo prematuramente il loro
divenire adulti non era permesso loro di procreare la propria specie.

Il nome della donna era Quiesha, un nome africano che significa
“preferito”. Era di media statura e il color della
sua pelle era indefinito; l’aspetto era lucido e leggermente
più scuro del color olivastro; i suoi capelli folti, ricci e
neri li teneva sempre raccolti e coperti, per mantenerli puliti e privi
di polvere.  

Era una donna sempre in movimento e la sua alimentazione non sempre
propriamente ricca o generosa, a volte per cause di cattive stagioni
altre per carenza di tempo, non le permettevano di strutturare in modo
appropriato il suo fisico, che risultava sempre molto magro ma non
privo di quella muscolatura che le consentisse di muoversi agilmente e
velocemente qualora se ne presentava l’esigenza.

Non aveva mai sentito l’esigenza di legarsi ad un uomo, amava
profondamente sentirsi libera di agire senza dover giustificare le sue
assenze che sostanzialmente erano dovute al suo lavoro, che lei
svolgeva all’interno della sua comunità e non
solo, ma che potevano essere legate anche ad altre motivazioni. In ogni
caso non era più giovanissima, aveva oltrepassato la
maturità già da tempo, quindi chiunque la
conosceva aveva accettato le sue idee di buon grado.  

Quiesha apparteneva ad un popolo che aveva ben chiaro cosa significasse
lavorare con fatica e sacrificio per poter sostentarsi, nulla lo
spaventava.  

Era un popolo pacifico e sempre preposto alla riflessione e a ritenere
che i grandi sacrifici avrebbero ricevuto un corrispettivo e sarebbero
stati ripagati.  Un popolo che forse credeva nei sogni in
quanto la realtà era sovente durissima o forse era un modo
per raccogliere le forze in modo incisivo anche quando, ed era il
più delle volte, lo sfiancava non ricompensandolo
adeguatamente.

Esso era ben conscio di quanto duro lavoro richiedevano quei territori
eppure un legame granitico e indissolubile lo teneva stretto a quei
luoghi.

Sudore, sangue e morte erano ben noti ma le tradizioni e gli affetti
erano un connubio assai radicato.

Lo spirito di quel popolo preservava saggezza, racchiudeva
sapientemente in quel profondo involucro la capacità di
amalgamare vigore e forza d’animo che con grande destrezza
indicava loro il percorso di vita da intraprendere. Non era facile e la
strada della sopravvivenza era tortuosa ma l’amore e la fede
aleggiavano nelle loro credenze e la speranza trovava spesso spazio nei
loro cuori.

Quiesha intanto sentì calare un velo di tristezza
perché dover sostare per un tempo così lungo, che
a lei pareva quasi interminabile, non le sembrava giusto visto che
l’uomo, che lei non vedeva ancora arrivare, avrebbe dovuto
essere già lì ad attenderla per riportarla a
casa.

I suoi pensieri vagavano e un po’ e si struggeva dalla
preoccupazione. La mente però cercava di tenere a freno i
timori che la sopraggiungevano ogni qualvolta si sentiva a disagio, e
cercava di raccogliere la calma, di infondere a se stessa una sorta di
fiducia; un sentimento a cui lei notoriamente si aggrappava per
allontanare le peggiori paure, obbligandosi a credere che vi era
sicuramente un motivo valido che giustificasse quel ritardo.

Nel contempo, anche contro il proprio volere, un dolore sordo colpiva
il suo stomaco e la morsa le fece correre un brivido per tutto il
corpo. Scoraggiata da quegli istanti in cui non reggeva la sua
solitudine per cercare un poco di conforto, e di far volar la sua mente
e riempirla di quei vuoti di speranza, cominciò a pregare
rivolgendosi con enfasi divina verso il creatore affinché
quell’uomo rimanesse incolume e non avesse trovato noie a
causa di qualche malfattore.

La fame purtroppo conduceva a compiere atti violenti anche per pochi
viveri o per qualche spicciolo.

Durante quella eterna attesa i suoi grandi occhi neri si velavano di
commozione e al chiaror della luce stellare si ravvisava un fitto
luccichio per la contentezza nel rivivere quei momenti
poc’anzi vissuti in quella casa, a dir il vero poco
più di una capanna, all’interno della quale la sua
esperienza e maestria permisero a quella giovane fanciulla, poco
più che una bambina, di sgravare e condurre alla luce quella
piccola vita.  

Quiesha non aveva avuto figli ma tutti quelli che aveva aiutato a
venire al mondo li sentiva anche un poco suoi e ne sentiva una
sensazione intensa.

La giovane donna piangeva alla vista di quel pargolo che ora era
lì posato sul suo grembo che vagiva con tanto vigore. Ella
si sentiva rincuorata per essere riuscita a condurre a termine quella
gravidanza, che aveva portato avanti tra le difficoltà e la
sofferenza, ed ora aveva il suo bambino tra le sue calde braccia.

La fatica e il dolore ancora vivi sembravano scomparire man mano che
accarezzava e coccolava con il suo trepido amore, che solo una madre
può provare, quella creatura con una dolcezza infinita da
far commuovere il peggiore dei cattivi.

Per Quiesha ogni volta era un’emozione immensa poter essere
presente ad un evento così grandioso ed essere
l’assistente di donne che si affidavano a lei completamente
senza remore, senza riserve, con consapevolezza e profondo rispetto.

Il suo nome era sulla bocca di tutte le famiglie, che la circondavano,
tutte erano a conoscenza di quanto si prodigava per essere sempre
attiva e presente, era quindi molto conosciuta e stimata anche da
alcuni popoli oltre il suo territorio.

Il suo compito era quello di aiutare nei momenti più
complicati, dare conforto e offrire la sua compagnia a quelli
più sfortunati che purtroppo sovente si presentavano per i
motivi più disparati. Quando il fato decideva di remare
contro la situazione non regalava i risultati sperati.

In cuor suo sapeva di avere sempre cercato di dare il meglio di
sé restando sempre vigile e attenta e quando si
concretizzavano le peggiori difficoltà le donne
comprendevano, che non sempre le cose prediligevano la migliore delle
direzioni e ogni cosa poteva presentare i propri limiti, e vi erano
determinate situazioni in cui si sentivano tanto più forti
di lei da essere loro a consolarla con un tenero abbraccio
trasmettendole calore e sostegno.

Il profondo dispiacere, l’impotenza che traspariva
chiaramente sul volto di Quiesha; la sua anima e il suo cuore si
sentivano sconfitti, a pezzi, e graffiati dalla disperazione. Era
così evidente che le donne non si sentivano di addossarle
colpe per quelle infauste circostanze.

Il tempo nel frattempo era trascorso e l’uomo sul calesse
trainato da un fiero cavallo color nocciola le si era affiancato ma lei
distratta nelle sue elucubrazioni non si era accorta. L’uomo
le aveva rivolto la parola ma anche a causa del frusciare del vento non
lo aveva udito.

Quando Quiesha si accorse della sua presenza tirò un sospiro
di sollievo. Il primo pensiero lo rivolse in alto e si sentì
sicura e grata che la sua preghiera era stata ascoltata ed esaudita.
Rinfrancata e sollevata nell’animo di aver posto fine a
quell’attesa pose le dovute attenzioni all’uomo,
rivolgendogli brevi domande, accertandosi che non fosse stato coinvolto
in nessun brutto evento.

Le motivazioni del ritardo fortunatamente erano legate a motivi di
lavoro. Egli le raccontò che gli era servito un
più ampio tempo per terminare degli imballi di partite di
merce che avrebbe dovuto spedire l’indomani.

La risposta dell’uomo le sembrò convincente e a
quel punto, sorrise soddisfatta e, i suoi pensieri si concentrarono
sulla necessità e il desiderio di raggiungere casa per
corroborare il suo corpo, far riposare la sua mente perché
il giorno seguente sarebbe stato sicuramente non privo di eventi
importanti.

Quiesha era conscia che le sue ansie e le fatiche le avrebbe dovute
tenere sempre sotto controllo perché erano parte integrante
della sua quotidianità ed esistenza; tuttavia lo stress era
davvero intenso e talvolta era quasi insostenibile. Questo la portava a
volte a travisare situazioni ed entrare in uno stato di ansia emotiva
che notoriamente affrontava, per raggiungere i suoi intenti, sempre in
modo paziente e fiducioso, come le era stato insegnato fin da
fanciulla.

Ella sperava un mondo giusto e pieno d’amore e in cuor suo
confidava di incontrare ragazze forti nel carattere, capaci e
desiderose di svolgere “la sua missione” per
lasciarla in eredità ed essere sostituita quando lei non
fosse stata più in grado di praticarla.
   
 
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