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Autore: Evali    17/07/2022    0 recensioni
Un villaggio isolato, un popolo spezzato in due in seguito ad una terribile calamità, due divinità da servire, adorare e rispettare in egual modo: Dio e il Diavolo.
"- Io amo gli uomini.
- E perché mai io sono andato nella foresta e nel deserto? - replica il santo. – Non fu forse perché amavo troppo gli uomini? Adesso io amo Iddio: gli uomini io non li amo. L’uomo è per me una cosa troppo imperfetta.
- È mai possibile! Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire nella sua foresta che Dio è morto!"
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Apoteosi
 
 
Erano trascorsi quattro giorni. Quattro giorni di lettura ininterrotta di quei “diari”.
I diari dei bambini sciagurati.
Heloisa divorava, beveva quelle parole come fossero continue sorsate di acqua gelida, capace di congelarle la gola e lo stomaco insieme.
Eppure, non riusciva a farne a meno.
Imogene, di giorno in giorno, si intrufolava furtivamente nella cripta segreta e copiava quelle scritte sui muri ricolmi, grazie alla magia, e lei se le ritrovava scritte su quel taccuino.  
Avevano scoperto essercene altre, di cripte.
Anche nella cattedrale del Diavolo ve ne erano, sempre seppellite allo stesso modo, per tenerle nascoste.
Imogene le aveva scovate grazie alla magia sciamanica.
Era come se l’intero villaggio fosse disseminato di cripte…
Solo che, nelle altre, non vi erano tutti i diari e le scritte che vi erano nella prima che Imogene aveva scovato, la quale presentava un immenso tesoro di quelle agghiaccianti e inconsapevoli testimonianze.
Imogene tornò alla casa alla palude, come ogni sera, e trovò sua cugina ancora impegnata a leggere, mentre Ioan dormiva.
- Sembra che il bambino che scriva più spesso si chiami “Dom”. Dunque Dominic, suppongo – esordì Heloisa ancora con il viso totalmente sepolto nelle pagine, non salutando neanche sua cugina.
- Ho preso la cena. Ma vedo che il “fiorellino” è già crollato, mentre tu sembri troppo presa da quelle pagine per avere fame. Vorrà dire che mangerò questo tacchino da sola.
Ad ogni modo, buonasera anche a te, cugina – rispose Imogene, tirando fuori dalla sacca l’animale già spellato e mettendolo a cuocere sul fuoco, immerso nelle spezie.
- Sto leggendo una pagina in cui parla un’altra bambina, senti qui:
“Oggi devo esercitarmi a scrivere perché non sono brava come Dom a farlo.
I più bravi sono Dom e Nadia.
Ma Dom dice che scrivo cose stupide, quindi è meglio che non lo faccio.
Allora vorrà dire che oggi scriverò cose non stupide:
questa notte sono morti altri tre di noi.
Ce lo ha detto padre Hadler stamattina.
Ma noi ce ne eravamo già accorti che erano morti, perché non respiravano più.
Maja è morta perché aveva la febbre da troppo tempo ed era dimagrita troppo.
Yannick è morto di freddo.
Mentre Olga è morta perché padre Ross è stato troppo violento con lei, e sembra che ha perso troppo sangue.
Succede spesso, e non tutti lo sopportano bene.
A me, per esempio, è successo spesso di perdere tanto sangue dopo che padre Ross mi aveva chiamata nella sua stanza, ma io sono resistente.
Madre Moreen dice che solo i più resistenti di noi sopravvivranno.
Solo chi non dimagrisce troppo quando non mangia, solo chi non soffre il freddo, solo chi sopporta bene le malattie e non sente il dolore della violenza.
Siamo rimasti in venti, forse.
Ma se domani ne muoiono altri tre, saremo diciassette.
Oggi so già che non mi chiamerà nessuno.
L’altra volta i monaci si sono arrabbiati con me perché non riuscivo a soddisfarli.
Non mi importa essere una delle loro preferite.
Tanto so già chi sono i loro preferiti, lo sanno tutti, quelli che vengono chiamati sempre:
Per i maschi è Devin, perché Devin è tanto obbediente e servizievole, fa tutto quello che loro gli dicono. In realtà, il loro vero preferito è Dom, perché i monaci dicono che Dom è il più bello. Però, anche se è tanto bello, rimane troppo testardo e impertinente. Dom non fa mai tutto quello che loro gli dicono, perché a lui piace anche fare quello che vuole.
Le preferite di noi femmine sono Sarah e Amelia. Sono le preferite perché sono tanto belle e tanto ruffiane. Sono bravissime a soddisfare i monaci in ogni modo, anche quando fanno le richieste più strane.
Non mi mancheranno Maja, Yannick e Olga.
Così come non mi mancano Grace e Tara” – concluse Heloisa, e non diede il tempo a Imogene di rispondere che riprese immediatamente: - Questo è Dominic, invece:
“Tutti dicono che moriranno altri di noi se le temperature si abbassano ancora e se i monaci continuano ad essere così violenti con noi.
Se le temperature si abbassano ci daranno anche meno cibo da mangiare.
Io penso che, se ne moriranno altri, sarà meglio.
Almeno avremo più cibo e coperte per noi e staremo più caldi.
Tommy dice che non dovrei dire certe cose, e che i monaci potrebbero arrabbiarsi.
Ma io lo so che i monaci non si arrabbiano per queste cose.
Si arrabbiano per molto altro.
Harper ieri ha scritto sul muro e mi ha promesso che non avrebbe scritto cose stupide.
Io ho letto quello che ha scritto. Bugie.
Non è vero che i monaci hanno preferiti.
Siamo tutti preferiti fin quando non si stufano o non li facciamo arrabbiare.
Anche io lo pensavo, prima.
Pensavo che dessero da mangiare di nascosto a Sarah perché lei è tanto brava ad usare la lingua.
Come faceva l’anno scorso padre Joyjon con me.
Ma poi ho capito che nessuno di noi riceve più cibo in più, perché non ne hanno più neanche per loro.
Moriremo tutti di fame e freddo prima del prossimo inverno.
Gli altri mi chiedono come faccio a sapere tutte queste cose, ma io le so e basta.
Oggi è successa una cosa. Cam ha detto che sicuramente i nostri genitori là fuori ci stanno cercando.
Sono rimasti tutti zitti quando l’ha detto.
L’ho scoperta io per primo la cosa dei genitori: un giorno, quando eravamo a letto, padre Joyjon mi ha parlato dei suoi genitori che stavano per morire di vecchiaia. E mi ha spiegato che i genitori sono una mamma e un papà, e che tutti ce li hanno.
Da quel giorno i monaci ci dicono sempre che nessuno di noi bambini ha dei genitori, perché noi siamo speciali.
Però noi non ci crediamo.
E se abbiamo dei genitori, Cam dice che ci stanno cercando, perché non sanno dove siamo.
Ma perché ci cercano se ci hanno dato ai monaci?
O forse sono i monaci che ci hanno portato via di nascosto.
Ma se loro ci stanno davvero cercando… perché non ci trovano mai?”
- Accidenti.. – commentò Imogene, trafficando ancora con il tacchino sul fuoco. – Mi piace lui. Come sai che è Dominic a scrivere?
- Riconosco la calligrafia oramai. E poi.. lo riconosco da quello che scrive, da come lo scrive. Ho letto così tanto i loro “diari”, da darmi l’impressione di conoscerli, a volte.. come se fossero qui davanti a me, lui soprattutto.
Non so quanti anni abbia, però, o che aspetto abbia, nessuno di loro.
Non credo avessero specchi, lì dentro. Magari aveva già sedici anni quando ha scritto questi diari, ma credeva di essere ancora un bambino perché i monaci glielo facevano credere… – disse Heloisa, continuando a leggere silenziosamente. – Devo sapere di più su di loro. Insomma, sulla gerarchia che vi era dentro queste cripte, tra i bambini. Dominic e Harper parlano dei preferiti, parlano di come li trattavano i monaci, del fatto che soffrissero la fame, il freddo e la crudeltà di quei rapporti sessuali abominevoli, ma… voglio di più, mi serve sapere di più.
- Di più? Cosa vuoi sapere più di questo, Heloisa?
- Voglio sapere tutti i nomi dei monaci che hanno compiuto questo scempio.
Voglio scoprire anche i nomi delle monache che li coprivano.
Voglio scoprire chi ha dato inizio a tutto ciò, per quanto tempo è continuato.
Vorrei sapere cosa provassero, nel profondo… come vivessero tutto ciò, quali menzogne raccontavano loro i monaci.
Voglio scoprire se qualcuno di loro ha mai provato a scappare.
Dominic faceva tante domande, certo, ma sembra un bambino intelligente, non credo sia stato tanto sprovveduto e avventato da provare a fuggire.
Però avrebbe potuto tentare… magari, dato che piaceva tanto ai monaci, loro lo avrebbero risparmiato anche se lo avessero scoperto e riacciuffato.
E poi, non dicono dove i monaci mettevano i cadaveri dei bambini che morivano…
Heloisa, avendo già avuto il tempo di metabolizzare tutto ciò, riusciva a parlarne con lucidità.
Ma, all’inizio, non era stato così. Il primo giorno, quello in cui sua cugina le aveva portato il taccuino e le aveva detto di aver scoperto che le sue teorie fossero fondate, non immaginava minimamente la portata di tutto ciò.
Aveva pianto. Aveva pianto per un’intera nottata e un’intera giornata. Alternava lacrime amare per Rolland e per quei bambini, man mano che leggeva le parole di Dominic impresse sulla carta.
Voleva tanto sapere che aspetto avessero.
Avrebbe dato tutto per scoprirlo.
Così da poterli immaginare più reali.
Ioan, dal canto suo, si era quasi rassegnato all’idea di dover rimanere lì, in quel luogo selvaggio, con lei e Imogene, ma talvolta si lamentava e piangeva ancora.
Non capiva appieno come mai sua madre si angustiasse tanto per le parole scritte in quel taccuino, ed Heloisa preferiva non farglielo sapere.
La sola idea che lui potesse venire a conoscenza di tanto male…
Ma Ioan, fortunatamente, non faceva troppe domande.
Anzi, non parlava proprio. Con Imogene non aveva scambiato neanche una parola. La considerava la sua rapitrice, evidentemente.
Si era rinchiuso in un mutismo scandagliato in una routine semplice: dormiva fino a tarda mattinata, mangiava il cibo che aveva portato loro Imogene, giocava con il fagiano, si lavava con l’acqua dolce del piccolo torrente a pochi minuti dalla casa, poi tornava nella dimora e di riaddormentava.
Heloisa, dal canto suo, era troppo impegnata a leggere tutto il giorno.
- Tempo al tempo, cugina.
Dobbiamo informarci di più su tutta questa storia.
So che sei impaziente di avere risposte.
Come lo sei di muovere guerra all’ordine dei monaci, e di far sapere a tutti cosa è stato fatto.
Lo sono anche io.
Tuttavia, dobbiamo andare fino in fondo a questa storia, prima.
- Secondo te come facevano a nascondere la scomparsa di tutti quei bambini?
- Probabilmente li rapivano quando erano ancora in fasce, facendo credere ai genitori fossero morti. Si saranno inventati una sorta di epidemia.
Erano monaci, d’altronde: la gente prendeva per vero e consacrato tutto ciò che fuoriusciva dalle loro fetide bocche.
- Quando tutto questo sarà finito… nessuno di loro potrà più dettar legge. Mai più – affermò Heloisa, risoluta e inviperita.
- Dobbiamo prima scoprire se anche loro hanno mai compiuto atti simili.
Non possiamo accusarli di un peccato che hanno commesso i loro antenati secoli fa.
- Studierò ancora questi diari. Magari ce ne sono alcuni più recenti.
Tu, intanto, cerca di penetrare anche nelle altre cripte.
- Non è così facile con i monaci alle calcagna.
Già sto rischiando tanto venendo qui ogni sera, Heloisa.
Probabilmente è un miracolo divino che Judith non si sia resa conto di nulla.
E, adesso, dobbiamo preoccuparci anche di un paio di occhi invadenti in più… - concluse Imogene servendo il tacchino a sua cugina e a se stessa, accomodandosi di fronte a lei.
- Di chi parli?
- Non te l’ho detto? Il prete straniero che ospitavate in casa vostra.. – disse Imogene addentando una coscia di tacchino. – adesso vive nella cattedrale con noi.
- … cosa?! – domandò Heloisa allibita. – Per quale motivo?? Non è più a casa con Blake e Quaglia?
Imogene negò con la testa. – Da come dice lui.. sembra che il prete e tuo figlio abbiano avuto una brutta discussione.
Ora Heloisa era turbata.
La bionda la scrutò, roteando gli occhi al cielo. – Non è la fine del mondo, che tuo figlio sia rimasto solo con quell’uomo col nome di un pennuto.
- Forse non avrei dovuto portare Ioan con me.. – disse Heloisa, voltandosi a guardare il corpicino di Ioan addormentato tra le pellicce. – Insomma.. lui e Blake sono molto legati. Per di più, Ioan vuole tornare da lui, non gli piace stare qui con me. Ed ora, ora che mi dici che anche che padre Craig se ne è andato…
- Sono certa sappia ben badare a se stesso.
- Cosa diavolo sta facendo da solo in casa…? - la voce sospettosa di Heloisa le fece alzare un sopracciglio.
- Non chiedermi di tenerlo d’occhio. Ho già troppo a cui pensare.
- Non te lo avrei mai chiesto. Quaglia sa come trattarlo, ci penserà lui a tenerlo sotto controllo.
Ad ogni modo, padre Craig non è un problema: lui sa che tu mi stai nascondendo.
- Lo so che lo sa, non è questo il punto: mi lancia occhiate sin troppo strane davanti a Judith. Come se voglia sapere dove ti nascondo, come se pretenda che io gli dia delle informazioni che non ha il diritto di avere – disse infastidita.
- Padre Craig è sempre stato un po’ impiccione. Ma è buono di cuore.
- Finché non dirà nulla a Judith e non mi metterà i bastoni tra le ruote potrà anche ficcare il naso dove vuole – sospirò seccata, facendo una breve pausa. Il suo sguardo andò altrove, concentrandosi in un punto a distanza, sopra il camino. – Toglimi una curiosità, cugina.
- Sì?
- Cosa c’era tra tuo figlio e Judith, prima che lei perdesse la memoria?
Tale domanda spiazzò Heloisa, tanto che quasi si strozzò col boccone di tacchino.
Si pulì elegantemente la bocca e posò gli occhi tristi e turbati sulla figura di sua cugina. - Perché vuoi saperlo…?
- Perché l’ho osservata da lontano prima di conoscerla, ma mi sono resa conto di non averlo fatto abbastanza – ammise la bionda. – Lui mi è sfuggito. Ed è stata una grava mancanza da parte mia.
- Perché dici così?
Imogene si voltò a guardarla. – Perché mi sembra che tuo figlio occupi i suoi pensieri più di quanto sia convenzionalmente possibile. Perché mi ha parlato di lui e ho visto come si guardavano e toccavano al funerale di Rolland.
- Imogene.. – richiamò la sua attenzione su di sè Heloisa, poggiandole una mano sulla sua. – Ora Judith è con te. Di cosa ti preoccupi?
- Mi preoccupa il fatto che sia bastato incontrarlo un paio di volte, pur non ricordandosi di lui, per farla allontanare da me.
- Imogene…
- Perché lui ha deciso di sparire dalla sua vita dopo che lei ha perso la memoria?
Heloisa non rispose. Rimase boccheggiante, non sapendo quali parole usare per confortare sua cugina.
- Imogene, lei non si ricorda di lui, non sa cosa avevano prima.
Per Judith Blake è solo un ragazzo che ha perduto suo padre e che ha qualcosa in comune con lei, null’altro.
- Erano amanti, dunque?
- Erano… promessi.
Imogene ammutolì, stupita.
- Oh... capisco. Immagino avessero già raggiunto una certa intimità fisica, dunque..
- Non te lo so dire con certezza – rispose sinceramente Heloisa. – So solo che.. Blake teneva molto a lei. E lei a lui, lo si poteva osservare a miglia di distanza. Erano molto legati, sì – abbassò lo sguardo, non sapendo più cosa dire.
- Non credi sia assurdo, cugina?
- Che cosa?
- Che tu stia consolando me, che tu sia più dispiaciuta per me che gliel’ho rubata, piuttosto che per tuo figlio che l’ha perduta?
Heloisa accennò un sorriso amaro, trattenendo le lacrime. – Even ha una spessa corazza costruita addosso – spiegò. - L’ha sempre avuta. Affronta le avversità e le disgrazie della vita con un atteggiamento diverso dagli altri. Talvolta sono certa che… anche se sparissero tutti all’improvviso e lui rimanesse l’unico essere umano sulla faccia della terra… vivrebbe bene comunque. Per tale motivo lui può farcela. Può vivere senza Judith. Tu, invece, cugina… non ne sono così sicura.
 
 
“Cara Judith,
perdonatemi se non vi ho risposto tempestivamente, ma sono stati giorni impegnativi per me, e non solo a causa del mio lutto.
Certo, tutti gli impegni connessi alla galleria che ora gravano su di me mi hanno preso del tempo, ma sono altre le questioni che stanno monopolizzando totalmente la mia mente al momento.
Innanzitutto, voglio ringraziarvi per esservi aperta in modo tanto spontaneo e immediato con me, nonostante ci conosciamo da così poco.
Solitamente non mi sento a mio agio quando qualcuno esterna una così genuina e gratuita fiducia nei miei confronti. Mi confonde e mi spaventa.
Ma nel vostro caso non è stato così.
Mi piace la vostra schiettezza.
E no, non vi ritengo né inopportuna né presuntuosa.
Riguardo al libro, avrei più di un paio di cose da dirvi.
Ovviamente ho iniziato a leggerlo, ma non so ancora dirvi quando lo finirò.
Avevate ragione, sono costretto ad ammetterlo: è un racconto davvero intenso e molto, molto particolare.
Talvolta mi sembra di star vivendo io quello che sta accadendo alla protagonista, tanto è dettagliato e catartico.
Non mi era mai capitato prima e, considerando i miei gusti in fatto di libri, potete ritenervi molto soddisfatta di aver ottenuto un tale risultato con me.
Tramite questo racconto state riuscendo, discretamente, a farmi distogliere la mente da certe faccende che mi stanno oscurando i pensieri e talvolta mi tolgono il respiro.
Perciò vi ringrazio, davvero.
A mio avviso, comunque, il racconto nasconde molto di più di quello che mi avete narrato.
Percepisco qualcosa, oltre la superficie, un dramma molto più cupo e macabro di quello che descrive la protagonista.
Ne riparleremo.
Ad ogni modo, cambiando argomento, non voglio che crediate che io non abbia voluto dirvi il mio nome perché avete sbagliato approccio con me, né tanto meno perché non vi ritenessi meritevole di conoscermi. Voi non dovete farvi perdonare niente da me, non dovete riscattarvi, perciò non pensatele mai più certe assurde sciocchezze.
E no, non è stato neanche a causa di un capriccio o di semplice presunzione.
Il motivo per cui non volevo presentarmi ufficialmente a voi, è un altro, molto più criptico di quel che pensate, e riguarda forse più me che voi. Purtroppo, non posso rivelarvelo, perciò non chiedetemi di farlo.
E sì, sono stato accusato dai monaci, è vero, ma come me, molti altri innocenti lo sono stati.
Ed io non mi sento meno innocente degli altri, anzi, tutt’altro.
Talvolta mi sento totalmente in errore.
Altre volte, invece, mi rendo conto che, se mi fermassi, morirei.
Non potrei mai fare a meno di fare quello che faccio, perché è nella mia natura, non sarei io altrimenti.
Capisco sia difficile da comprendere, e probabilmente vi sto solo confondendo e spaesando immotivatamente.
Mi dispiace per il vostro stato di salute, ad ogni modo.
Arrivati ad un certo punto della gravidanza è del tutto normale sentirsi come vi sentite voi, ma di certo non dovrei essere io a dirvelo.
In merito ai vostri ricordi perduti, posso solo dirvi che anche io vorrei li riacquisiste tutti, così come vorrei scoprire chi vi ha fatto ciò.
Non disperate a riguardo. Forse il colpevole verrà scovato. Magari chiunque vi abbia aggredita è la stessa persona che ha assassinato mio padre. Spero lo scopriremo presto.
Anche io sono felice di aver fatto la vostra conoscenza, Judith, dico davvero.
Per quanto concerne la celebrazione di cui parlate… sì, ero presente anche io.
Vi posso riferire alcuni nomi di chi ricordo fosse presente quella notte, ma non so quanto possano esservi d’aiuto: io e la mia famiglia, padre Craig, Virve Beitris e altri nomi che immagino non conoscerete.
Anche io ho ricordi molto confusi di quella notte. Anzi, si potrebbe dire che non ne ho affatto.
Eravamo tutti sotto l’effetto di un potente incantesimo, e non è cosa rara durante le celebrazioni.
Concordo con voi nel riconoscere sia accaduto qualcosa di anomalo quella notte, senza ombra di dubbio. Ma ciò non mi tocca al momento.
A quanto pare a voi sì, invece. Se è vero ciò che dite, fareste bene ad indagare maggiormente.
Tutto ciò che so di quella notte, è di essermi risvegliato, coperto di sangue, con il corpo intrecciato a quello di Beitris. Ella è la giovane strega che ha dato inizio alla rivolta, una mia vecchia amica e amante, e al momento è rinchiusa nelle segrete. La sua esecuzione è stata rimandata a data indefinita, in quanto, ora come ora, i monaci hanno deciso di adottare la soluzione dei riti di purificazione per lei.
Se può esservi d’aiuto, potete chiedere anche a lei.
Detto questo, la mia lettera giunge a conclusione.
Volevo anche domandarvi se padre Craig è venuto a chiedere ospitalità da voi. Suppongo di sì, conoscendo l’affezione che vi lega. In caso affermativo, fatemi solo sapere se sta bene.
Per quanto io nutra ancora del rancore e della rabbia nei suoi confronti, rimane pur sempre un amico, e anche Quaglia vorrebbe sapere come sta.
Ammetto, Judith, che, inizialmente, non volevo rispondere alla vostra lettera.
Non prendetela come una questione personale o un’offesa.
Vi sono delle ragioni specifiche e legittime dietro la mia reticenza, ragioni di cui, nuovamente, non vi posso parlare.
Tuttavia, alla fin fine, ha vinto la mia impulsività, perciò ho accontentato il mio desiderio di rispondervi.
Grazie ancora per la vostra lettera e per il libro, Judith.
Ah, e salutate Nellie da parte mia (ovviamente tornerò a trovarla. Ho l’impressione di aver attirato le sue simpatie e me ne compiaccio, modestamente).
 
Ah, e spero troviate abbastanza comprensibile la mia calligrafia.
Se così non fosse, la prossima volta mi impegnerò maggiormente a renderla quanto più illeggibile possibile. Non ringraziatemi per la premura.
 
 
                                                                                                                                            Vostro, Blake”
Judith terminò di leggere la lettera appena consegnatale dal bambino che si occupava di consegnare pacchi e lettere, e rise di gusto, senza fare nulla per celarlo.
Era indubbiamente lieta che lui le avesse risposto.
Sarebbe stato stupido nasconderlo.
Ripiegò la lettera su se stessa accuratamente, ridendo ancora tra sé, mentre intanto accarezzava Nellie.
La fanciulla rifletté su quando avrebbe trovato il tempo di rispondergli, e la gatta, intanto, si arrampicò sulle sue voluminose ciocche di capelli rossi, sulle quali iniziò a fare il pane con le zampette.
- Oh, perdonatemi! – Judith venne immediatamente riscossa da quella voce familiare: padre Craig era appena entrato in biblioteca e aveva il viso completamente rosso di vergogna mentre la guardava.
- Padre? Cosa c’è?
- Nulla! È che non credevo di trovarvi in … solo con la vestaglia addosso! – esclamò spostando subito lo sguardo sulle mattonelle del pavimento, mentre il viso gli si imporporava ancor di più.
Judith lo osservò alzando un sopracciglio, poi guardò il proprio corpo, elegantemente accomodato su una sedia e coperto solo da quel sottile strato di seta color panna, che le fasciava le forme piene e sensuali, lasciandole scoperte le cosce diafane.
Talvolta la fanciulla si dimenticava che i monaci ormai fossero abituati a vederla andare in giro per le varie stanze della cattedrale vestita in tal modo di prima mattina, e che non si scandalizzassero più, in quanto la consideravano come una figlia.
Padre Craig, invece, non l’aveva mai vista seminuda, giustamente, ed era anche un prete votato alla castità, quindi era naturale che gli facesse un certo effetto osservare il corpo semiscoperto di un’avvenente giovane donna.
- Oh padre, perdonatemi voi! È che devo ancora abituarmi ad avervi qui, sono passati solo quattro giorni dal vostro trasferimento – disse lei sorridendo di gusto, solo lievemente imbarazzata. – Siete venuto qui per dirmi qualcosa? Oh, avanti, non esagerate! La vostra estrema pudicizia mi mette a disagio – lo incoraggiò.
Ma lui rimase imperterrito con gli occhi fissi verso il muro alla sua destra e la faccia rossa. – Ma siete molto poco vestita…
Judith sorrise ancora, intenerita, provando un immenso affetto nei suoi confronti.
- Padre, le zone importanti sono coperte. Vi state scandalizzando in tal modo solo per un po’ di coscia nuda? Avanti, su. Capisco che a casa di Blake eravate abituato a vedere solo figure maschili seminude, ma credo vi sarà capitato, ogni tanto, di scorgere anche la bella moglie di Rolland appena sveglia, con solo una vestaglia addosso, no?
Imporporandosi addirittura ancor più di prima, il prete, tuttavia, si convinse finalmente a posare lo sguardo sulla ragazza.
- Visto? Non è stato così difficile. Allora? Cosa volevate dirmi? – gli domandò lei.
Padre Craig cercò di fare mente locale e di ricordare il motivo per cui aveva cercato Judith dentro la biblioteca appena finito di consumare la sua colazione, mentre osservava la gattina addentare gustosamente una ciocca morbida e rossa con la sua minuscola bocca felina.
Ma mentre pensava, ricordò il bel sorriso di Judith che aveva scorto appena aveva aperto la porta, poco prima di accorgersi di come fosse vestita. – Come mai stavate ridendo appena sono entrato? – le domandò incuriosito, poi posando gli occhi sul quadratino di carta ripiegata che Judith conservava tra le mani. – È per la lettera che avete in mano? – ipotizzò.
Ma non appena glielo domandò, Judith nascose accuratamente la lettera dentro un libro. – Oh, non è nulla, padre – gli rispose in modo vago.
- Beh, ad ogni modo, ero venuto qui per domandarvi se aveste qualche compito per me, oggi.
- Oh, giusto, fatemici pensare – disse lei prendendo la micetta e portandosela sopra le gambe. – Avete già chiesto a Imogene?
- In realtà Imogene sta ancora dormendo. Credo che ieri notte sia rientrata tardi.
- Beh, se avete già fatto colazione e avete voglia di prendere una boccata d’aria, potete accompagnarmi a fare alcuni acquisti questa mattina. Che ne dite?
- Quali acquisti? – le domandò avvicinandosele.
- Devo comprare dei cristalli e delle pietre preziose. Alcuni mi servono per rinnovare l’arredamento, incastonarle nei candelabri e nelle cornici, mentre altre sono per uso personale – disse ella rialzandosi in piedi velocemente. Forse sin troppo velocemente, si rese conto nel momento in cui un dolore lancinante, dal pancione le si diramò in tutto il corpo, paralizzandola.
Padre Craig notò che la ragazza stessa barcollando dinnanzi a sé, perciò l’afferrò prontamente, reggendola. – Judith?? Judith, tutto bene?
- Non allarmatevi, padre … - rispose lei, con voce estremamente calma e gli occhi chiusi. – Imogene mi ha insegnato come far fronte a questi momenti – disse seria e controllata, respirando profondamente.
- Il bambino… il bambino vi sta facendo male?
- Il bambino non può farmi del male, padre – rispose lei, ostentando ancora quella voce ferma e consapevole, riaprendo lentamente le palpebre e puntando i suoi occhi da cerbiatta in quelli allarmati dell’uomo che la stava stringendo. – Va tutto bene, padre. Non crollerò a terra come una torre pericolante. Potete stare sereno. Ora lasciatemi andare.
Solo in quel momento il giovane prete si rese conto che, per l’immensa agitazione che l’aveva colpito nel vederla perdere l’equilibrio, l’aveva stretta con poco garbo, arpionando le dita sulla carne tenera dei fianchi e delle braccia della fanciulla. Allentò la presa, ma non la lasciò. – Ne siete sicura? Posso reggervi io.
- Apprezzo la vostra premura, ma non ce ne è bisogno. Ce la faccio da sola – rispose decisa, prendendo le mani del prete cortesemente e allontanandole da sé.
Ora si sentiva meglio. Il metodo della respirazione e dell’estraniazione dalla realtà funzionava contro quei malori improvvisi.
- Dunque? Verrete con me, padre?
- Certo. Vi accompagnerò.
Lei gli sorrise in risposta. – Bene. Ah, quasi dimenticavo. In questo giorno della settimana, padre Cliamon ha sempre dei forti malori. Malori talmente debilitanti che lo spingono a rinchiudersi nella sua stanza e a non uscirne fino a domani mattina. Motivo per cui oggi dovremo portargli i pasti e lasciarli dinnanzi alla sua porta.
Padre Craig alzò un sopracciglio, sospettoso.
Improvvisamente ricordò la conversazione avuta con Ambrose riguardo padre Cliamon e la tremenda maledizione di cui era vittima il giovane Folker.
- Solo in questo giorno della settimana, tutte le settimane? È un po’ strano… - indagò.
- Difatti. Ne abbiamo parlato con lui, e lui sospetta che qualcuno gli abbia fatto una sorta di maledizione.
- Una maledizione per cui, un giorno alla settimana, soffre di gravi malori? – domandò il prete, sempre meno convinto.
- Già. Ci pensate voi a portargli la colazione per oggi? Così almeno risparmiamo tempo, dato che voi siete già pronto, mentre io devo ancora abbigliarmi per uscire. In realtà è un po’ tardi: solitamente gliela lascio davanti alla stanza quando sta ancora dormendo. Starà morendo di fame, povero padre.
- Gliela devo lasciare davanti alla porta?
- Esatto. Non provate ad entrare, chiude sempre la porta a chiave.
- D’accordo, vado subito.
- Perfetto. Io vado a prepararmi, poi vi aspetto all’uscita.
Padre Craig fece come gli era stato detto: andò nelle cucine, prelevò un vassoio con la ricca colazione per padre Cliamon, poi fece tre piani di scale e tornò nel corridoio che avrebbe condotto alle camere. Camminò fin quando non individuò la porta che ricordò essere quella che Judith gli aveva indicato come la stanza di padre Cliamon.
Ma non appena arrivò a meno di dieci metri dalla porta, sbiancò nel momento in cui notò la figura di Myriam dinnanzi ad essa, intenta a completare chissà quale stregoneria, in religioso silenzio.
Padre Craig si avvicinò quatto quatto a lei, nella speranza di capire cosa stesse facendo, ma ogni tentativo divenne vano nel momento in cui la strega si voltò di scatto verso di lui, e gli lanciò lo sguardò più truce e fulminante che gli avessero mai rivolto. Forse secondo solamente a quelli che gli rivolgeva Blake.
- Voi… cosa Diavolo state facendo qui?
- Dovrei domandarlo io a voi, Myriam! – esclamò il prete senza paura, sempre più convinto della propria tesi, e di quella di Ambrose di conseguenza. – Il fatto di star per diventare monaca e di vivere qui non vi dà il diritto di esercitare la magia nera per imprigionare le persone. Cosa avete fatto??
- Ho semplicemente silenziato la stanza.
I suoi urli erano troppo fastidiosi. Quei malori lo stanno facendo soffrire troppo, se fosse andato avanti così avrebbe svegliato tutta la cattedrale.
Fu in quel momento che padre Craig realizzò pienamente, allibito.
Il vassoio con la colazione gli cadde dalle mani sudate, facendo precipitare a terra tutte le uova in camicia, la zuppa di zucca e le pagnotte calde.
In quella stanza non c’era più padre Cliamon, bensì Folker, intrappolato lì dentro, in quel corpo che non gli apparteneva, ignaro di tutto, isolato, e impossibilitato a chiedere aiuto. Per un’intera giornata.
Si sarebbe disperato. Padre Craig ne era certo e ne era a dir poco agghiacciato.
Doveva fare qualcosa. Doveva necessariamente fare qualcosa.
Si fiondò sulla porta e provò ad aprirla violentemente, ma fu inutile.
“…chiude sempre la porta a chiave”
A quel punto si voltò verso la strega, accanto a lui, puntandole il dito contro. – Voi… avete chiuso a chiave la porta dall’esterno, non è vero??? E fate tutto ciò ogni volta che avviene lo scambio, ogni settimana.. Voi lo rinchiudete lì dentro, facendo credere a tutti che si sia chiuso da solo, e silenziate la stanza per non far udire le sue urla… e gli fate arrivare i pasti all’interno, sempre con la vostra maledetta magia! E padre Cliamon vi regge il gioco quando torna dentro il suo corpo!
- State decisamente delirando, prete.
- Così che egli faccia quel che gli pare e piace dentro il corpo di quel povero ragazzo! Perché?! Per quale motivo lo state facendo??
- Ora mi state davvero irritando.
A ciò, padre Craig iniziò a dare vigorosi pugni sulla porta e ad urlare: - Folker!! Folker, mi sentite?? Resistete, Folker!! Vi prometto che-
Ma non riuscì a terminare la frase, che Myriam, in un sol gesto, gli aveva tolto la capacità di parlare, facendo svanire la sua voce nell’aria.
Padre Craig apriva la bocca ma non usciva nulla, neanche una parola o un verso. Solo il vuoto.
L’uomo sgranò gli occhi nel guardare il sorriso compiaciuto della strega dinnanzi a sé.
- Non provate neanche a pensare di andare a dirlo ad anima viva.
Né tanto meno pensate di correre verso l’abitazione di Folker e di fare qualcosa a quel monaco.
Egli è sotto la mia protezione – gli intimò minacciosa, facendolo tremare.
La voce di padre Craig tornò normale, e lui riprese a respirare.
Rivolse uno sguardo angosciato, deluso e disgustato alla diabolica strega.
- E se non vi ascoltassi… e se lo dicessi a qualcuno… cosa mi farete?
Insomma… non fareste mai e poi mai del male a Blake, né alle persone che sono a lui care. E, si dà il caso, che le stesse persone che sono care a Blake sono care anche a me.
Inoltre, c’è anche Imogene di mezzo…: se provaste a sfiorare Judith o Heloisa, dovreste vedervela con lei.
Se fate del male a me, non mi importa.
Detto ciò… non potete minacciarmi – tentò, sapendo di star commettendo un grave errore nel momento stesso in cui lo disse.
Il sorriso sprezzante di Myriam si estese ancor di più mentre gli si avvicinava, fino ad arrivargli ad un palmo dal viso:
- Oh.. ma io non ho bisogno di minacciare le persone a voi care.
Sono innumerevoli i doni che posso togliervi, padre, per minacciarvi… siete davvero privo di fantasia.
Padre Craig deglutì a vuoto, attendendo che continuasse.
- La voce, ad esempio: ve l’ho tolta per pochi secondi, poco fa, ma posso togliervela definitivamente con un semplice schiocco di dita, sapete? Vorreste che vi strappi via la voce, padre?
Padre Craig negò ampiamente con la testa.
- Oppure… - continuò lei. - ..potrei rendervi vittima della stessa maledizione di Folker. Che ne dite? O benedizione, dipende dai punti di vista... – lo tentò la strega, avvicinandosi ancora. – Potreste risvegliarvi dentro il corpo di Imogene e avere Judith... non sarebbe male, non è vero? Oppure, magari desiderereste trovarvi nel corpo di qualcun altro.. per avere qualcuno che non potreste mai e poi mai avere nel vostro corpo – Myriam sapeva dove andare a parare, dove colpirlo per far vacillare la sua volontà di ferro, la sua morale intoccabile. Era scaltra, e un’attenta osservatrice.
I nomi che i suoi desideri reconditi gli fecero apparire alla mente, come possibili vittime di uno scambio di corpi, gli fecero accaponare la pelle per il disgusto verso se stesso.
No. Lui non bramava uno scambio di corpi per avere colui o colei che amava, con l’inganno.
Non lo avrebbe mai fatto. Mai e poi mai. La sola idea lo repelleva.
Se anche non li avesse mai avuti, nessuno dei due, non importava, non lo avrebbe comunque mai fatto, era insensato, ingiusto, ignobile e ripugnante.
Improvvisamente gli tornarono alla mente le seducenti sensazioni provate in quei vaghi ricordi che aveva di quella notte maledetta, quando il suo corpo era stato scambiato con quello di Beitris.
Erano state sensazioni rigeneranti, sconosciute ed estremamente affascinanti e soddisfacenti, che il suo corpo e i suoi lombi frementi ricordavano ancora.
A diavolo quelle sensazioni.
Al diavolo la lingua biforcuta di quella strega, che credeva di farlo cedere in questo modo.
Se il prezzo per avere Blake fosse stato quello di rubare il corpo ad un’altra persona, di ingannare e di fare del male in tal modo, allora avrebbe rinunciato a Blake, e avrebbe rinunciato anche a Judith, pur di non prestarsi a quell’atto immondo e inumano.
Padre Cliamon, evidentemente, non la pensava allo stesso modo.
Padre Cliamon aveva venduto la sua anima… per cosa?
Padre Craig se lo domandò. Solo ed esclusivamente per essere l’oggetto della bellezza, agli occhi degli altri?
Sì, evidentemente. Padre Cliamon non desiderava conquistare il cuore di qualcuno, come lui, no.
Lui voleva solamente essere adulato da una mandria di persone diverse.
Gli veniva il voltastomaco.
- Non mi convincerete in tal modo.
Ogni vostro tentativo sarà inconcludente – le rispose fermamente.
- Bene. Vorrà dire che domani mattina vi risveglierete dentro il corpo di padre Petrit. E che farò in modo di farvici rimanere a vita.
- No! – esclamò con disperazione. – Non dirò niente – promise, mordendosi la lingua per la rabbia e la frustrazione. – Non dirò niente a nessuno. Lo prometto. Avete la mia parola.
- Bene. Sappiate che, se mi state mentendo, lo verrò a sapere. Io vengo sempre a sapere tutto – gli garantì lei, allontanandosi da lui, già diretta verso le scale. – Continuate a fare ciò che siete sempre stato così bravo a fare, padre: guardare – concluse, lasciandolo solo.
Padre Craig rimase immobile per diversi minuti, senza dire una parola.
Era in trappola. Era impotente. Non poteva fare nulla.
Niente di niente.
Si sarebbe riversato sul letto nella stanza vuota che Judith aveva fatto preparare per lui, restandoci per tutta la giornata, se solo il pensiero di Judith che lo stava aspettando all’entrata della cattedrale non lo avesse riscosso.
Si voltò verso la porta chiusa e silenziata, poggiandovi una mano sopra.
Sperò che Folker fosse vicino ad essa e che riuscisse così a captare la sua voce al di là del legno:
- Mi dispiace, Folker.
Vedrete che si risolverà tutto, in qualche modo.
Ve lo prometto.
Si sistemerà tutto.
Probabilmente, se anche avesse udito quelle parole, la mattina seguente, una volta risvegliato nel proprio corpo, il ragazzo si sarebbe dimenticato ogni cosa.
Padre Craig si ricompose e scese le scale, raggiungendo Judith all’entrata, avvertendo il grave macigno sulle spalle, provocato dalla discussione con Blake, divenire sempre più pesante e insopportabile a causa di ciò che era appena accaduto.
Cercò di non pensarci e di concentrarsi solo sulla ragazza dinnanzi a sé, che si stagliava in tutta la sua bellezza, nel suo elegantissimo vestito di velluto verde foresta e i capelli cremisi ben acconciati in alto.
Era rivolta verso l’esterno, verso la vita pullulante del mercato di prima mattina, che si estendeva dinnanzi a lei, grazie al portone della cattedrale spalancato.
Le poggiò delicatamente una mano sulla spalla per annunciarle la sua presenza, e lei si voltò verso di lui, sorridendogli, rabbuiandosi un po’ subito dopo. – Padre.. tutto bene?
- Sì, tutto bene.
- Siete sicuro? Sembrate turbato. Siete sicuro di voler venire con me a comperare cristalli questa mattina?
- A dir la verità, mia cara, venire con voi a comperare cristalli è l’unica cosa che vorrei fare oggi.
Judith gli sorrise in risposta, poco prima di venire raggiunta da una piccola presenza che si aggrappò al suo abito con i ditini sporchi.
- Signora… vi prego.. ho tanta fame. Potete darmi qualcosa da mangiare? – le domandò una bambina di circa cinque o sei anni, con voce flebile e stanca, tutti i capelli unti e sporchi, il visino scavato e i vestiti rovinati.
Un’orfanella.
- Oh, povera cara, ma certo – le disse Judith sorridendole pazientemente. – Padre, portatela dentro e conducetela nelle cucine. Raccomandatevi con i cuochi di sfamarla a dovere e di non farla andare via fin quando non avrà il pancino sazio.
Padre Craig annuì, prese la bambina per mano e la condusse dentro, come gli era stato detto.
A ciò, nell’attesa, lo sguardo della fanciulla si posò su un gruppo di cani randagi riuniti e impegnati ad annusare qualcosa, qualcosa che si trovava proprio a ridosso della fiancata laterale della cattedrale, quella meno visibile e visitata dalle persone.
Incuriosita, Judith si avvicinò ai cani e li scacciò con garbo, per poi accovacciarsi a terra e scoprire cosa fosse l’oggetto tanto ambito da quei canidi.
Impietrì e sgranò gli occhi scuri d’improvviso nel momento in cui capì di cosa si trattasse:
prese in mano degli stralci strappati e sgualciti di un abito di lino beige, un abito che ricordava perfettamente aver visto indossare a Hinedia. L’abito era completamente macchiato di sangue, oramai asciutto.
Riapparvero chiare nella sua mente le immagini della sua amica, delirante, disperata e completamente nuda, che bussava alla porta della cattedrale come un’ossessa in piena notte, e le immagini del suo stato quasi catatonico la mattina seguente, la stessa mattina in cui era stato ritrovato il cadavere sgozzato e dissanguato di Dun Rolland davanti alla galleria.
Rimase a bocca aperta per diversi minuti, in quella scomodissima posizione, nascosta alla folla.
Poi, dandosi un contegno, fece la prima cosa che l’istinto le suggerì: scavò una piccola buca sul terreno e vi ripose dentro gli abiti insanguinati, seppellendoli.
Poi, tornò davanti alla porta della cattedrale per attendere padre Craig.
 
 
 
Ambrose bussò alla porta della casa di Folker, attendendo che Prudence aprisse.
Ma, stranamente, fu lo stesso Folker ad aprire la porta.
- I tuoi genitori? – gli domandò prima di salutarlo.
- Sono fuori casa. Al mercato – gli comunicò il biondo, facendosi poi da parte per farlo entrare.
Ambrose si diresse subito verso la camera dell’amico, poggiando la sua sacca nel letto che un tempo era stato di Bonnie, affianco a quello di Folker.
Ma il servo del Creatore si accorse subito che qualcosa non andasse nell’espressione del biondo:
non appena egli aveva poggiato le sue cose sul letto della defunta sorella, Folker si era irrigidito, il suo sguardo si era fatto cupo e quasi sulla difensiva.
- Che c’è? – gli domandò preoccupato.
- Non puoi dormire lì. Nessuno dorme più sul letto di Bonnie da…
Dalla sua morte.
A ciò, Ambrose, a disagio, guardò il letto, poi guardò l’amico. – Allora… dove vuoi che mi metta? A dormire, intendo. Se tu dormi sul tuo letto e non vuoi farmi dormire in quello di Bonnie.. dove dormo? Forse potrei… mettere una coperta a terra e dormire per terra, che ne dici?
- No. Tu dormi nel mio letto. E io dormirò in quello di Bonnie. Preferisco dormirci io, a questo punto.. - decretò il biondo.
A ciò, Ambrose deglutì a vuoto e annuì, spostando la sua sacca nel giaciglio dell’amico.
- Sei sicuro che ai tuoi genitori stia bene che io resti a dormire qui, stanotte? – gli domandò poi.
- Lo hai detto a tua madre e a tuo padre?
- Sì. Erano un po’ diffidenti ma… dato che ho sempre parlato bene di te, alla fine hanno accettato - disse il moro soddisfatto.
- Bene. Allora a loro sta bene, sì.
- Folker? Tutto bene? – gli domandò facendo un passo verso di lui.
Il biondo, in risposta, lo guardò con i suoi occhi limpidi, liquidi e distrutti. – Un uomo è venuto a cercarmi. Alla Taverna.
- Un uomo? Chi?
- Un servo del Diavolo con cui, a quanto pare… - il ragazzo si bloccò. La sua voce si era spezzata, il suo sguardo aveva virato verso la finestra, i suoi occhi erano diventati lucidi.
Ambrose capì al volo e sbiancò. – No…
- Sì. E io, ovviamente, ero ignaro di tutto, fin quando una delle locandiere non mi ha detto che mi stava cercando.
- Io lo uccido. Ti giuro sul Creatore e sul Diavolo che ammazzerò quel monaco con le mie mani.
- Ci penserò già io a farlo – disse il biondo con la voce intrisa di rabbia, serrando la mascella.
- Cosa voleva ancora quell’uomo da te?
- Non lo so. Probabilmente voleva ripetere l’esperienza.
- Alla Taverna c’è anche quella donna che si sta svendendo e sta guadagnando molti soldi.
Sai se… anche lui si è fatto pagare?
- No, sembra di no, grazie al Diavolo.
Ambrose tirò un sospiro di sollievo, almeno per quello.
Poi, Folker gli andò incontro, tirando fuori dalla cintola un pugnale affilato.
- Cos’è quello..? – gli domandò Ambrose basito.
Folker glielo porse in mano, continuando a guardarlo negli occhi, con sguardo perso e rassegnato. - Non posso sopportare che faccia di nuovo una cosa del genere.
Questo corpo è mio.
Ma non lo sento più mio da quando quel mostro ne sta prendendo possesso.
Sono stanco, Ambrose.
Sono stanco dei riti di purificazione e sono stanco di questa maledizione.
Non ce la faccio più.
- Folker… cosa stai cercando di dirmi??
- Quando ti accorgerai che dentro di me c’è lui… voglio che lo uccidi.
- Cosa…?? No, mai! Ucciderei anche il tuo corpo in tal modo!! – esclamò lasciando cadere il pugnale a terra.
- Ambrose, è l’unico modo. Non riusciremo mai ad avvicinarci abbastanza a lui da ucciderlo.
E se lo faremo verremo arsi al rogo.
È questo che vuoi?
Io lo voglio morto. Ad ogni costo.
Anche a costo di perdere il mio corpo per sempre.
- Folker, no. Non lo farò – disse fermamente Ambrose, imponendosi su di lui, nonostante la sua voce stesse tremando.
La fermezza e la determinazione nello sguardo di Folker lo stavano spaventando.
- Perché no? – chiese il biondo, mantenendo la calma.   
- Perché non voglio uccidere nulla di te, di tuo.
Non voglio ucciderti. Anche se si tratta solo del tuo corpo. Non voglio.
- Io sarei comunque vivo in un altro corpo.
- Ma non è giusto. Questo corpo è il tuo! Devi combattere per riaverlo! Non puoi arrenderti in questo modo! Troveremo un modo. Troveremo un modo per ucciderlo, te lo prometto!
- Il tuo amore arriva a tanto?? – lo schernì il biondo, iracondo. – Arriva a tanto da non voler uccidere niente che mi appartenga?? Anche se questo fosse l’unico modo per liberarci di quel mostro??
- Sì, esatto!
- Oh, per favore! Tu non vuoi uccidere questo corpo solo perché non fa altro che alimentare i tuoi desideri e i tuoi sogni bagnati!
- Non è affatto così.
- Ah no??
- Folker, il corpo di quel monaco è anziano. Lo hai visto anche tu? Anziano e pieno di acciacchi. Se restassi lì dentro… Vorresti davvero morire tra qualche anno dentro quel corpo, pur avendo ancora tutta la vita da vivere?
Non vuoi provare a riavere questo tuo corpo, giovane e in salute… e tuo di diritto?
E poi non sappiamo quali siano le implicazioni di questo incantesimo. È troppo rischioso.
- Uccidendo questo corpo… mi libererei anche di qualcos’altro.
Fu in quel momento che Ambrose comprese, finalmente. – Tu vuoi liberarti della strige. O meglio, vuoi liberarti del “volto della strige”. Per questo vuoi uccidere questo corpo. E così facendo, uccideresti anche quel monaco.
Il biondo non disse nulla, stringendo i pugni e chiudendo gli occhi, cercando di calmarsi.
- Folker, lotta, ti prego.
Non arrenderti.
Lotteremo per avere giustizia su quel monaco.
Lotteremo per far capire alle persone che tu non sei una str-
- Io ho paura della strige!
La sento, la sento dentro di me, Ambrose, non lo capisci??
Mi sta divorando dall’interno! – esclamò abbracciandosi da solo e sedendosi sul letto, ansimando come in preda ad un attacco d’ansia.
Dinnanzi a quella visione, ad Ambrose si strinse il cuore.
Come avevano potuto ridurlo così?
Il suo amico, la sua belva feroce.
Ora sembrava più un cucciolo smarrito, e la voglia di proteggerlo da tutti e da qualsiasi cosa crebbe esponenzialmente nel servo del Creatore.
Si avvicinò a lui, senza paura, sapendo che l’avrebbe accolto, perché si fidava, si fidava ciecamente di lui.
Difatti, Folker alzò il volto e si lasciò toccare le spalle, dalle mani capienti, gentili e calde di Ambrose.
- La strige esiste solo nella tua testa, Folker.
E il tuo corpo tornerà tuo. Tuo come lo era all’inizio. Vedrai – gli disse rassicurante, rivolgendogli un sorriso determinato e adorante. Poi, senza dire altro, lo abbracciò, inglobandolo contro di sé.
Dopo un attimo di resistenza, Folker si sciolse tra le sue braccia, il suo respiro arrivava dritto nell’orecchio del moro.
- Come posso fare per riprendermi il mio corpo? Per sentirlo di nuovo mio? – gli sussurrò nel timpano, facendolo rabbrividire visibilmente.
Sentire Folker così vicino, la sua pelle nivea, il suo profumo, i suoi capelli chiari a solleticargli il viso, il suo respiro caldo addosso… Ambrose ritenne fosse il momento di staccarsi da lui, ma quando provò ad allontanarsi, inaspettatamente, il biondo rinforzò la presa e lo tenne ancorato a sé.
- Folker? Che stai facendo…?  - gli domandò fremendo, cercando di calmarsi e di calmare la voce.
A ciò, il ragazzo, come un bellissimo serpente, strisciò con la faccia sulla sua guancia, facendogli percepire la consistenza delle sue labbra umide sulla pelle, per poi porsi con il viso di fronte al suo, i nasi in contatto.
Lo guardò negli occhi con i suoi diamanti di topazio liquidi, inchiodandolo sul posto e stregandolo.
Gli si strusciò addosso con tutto il corpo, facendogli sentire il proprio calore e la propria intimità risvegliata e nascosta dai pantaloni leggeri.
Fu a quel punto che Ambrose gemette rumorosamente, non riuscendo a farne a meno, completamente esposto e debilitato da quegli attacchi inaspettati, irresistibilmente provocanti e diabolici.
Fu in quel momento che Folker approfittò della bocca aperta dell’amico per infilargli la lingua in bocca, e al contempo far sgattaiolare una mano dentro i suoi pantaloni, oramai tesi completamente dentro la costrizione del tessuto. Tastò la sua intimità tesa e ben proporzionata alla sua stazza importante, sorridendo nel bacio.
Il povero servo del Creatore era completamente alla sua mercè, mentre il biondo lo baciava a piena bocca, e gli massaggiava sapientemente l’erezione dentro i pantaloni.
Ambrose gemette ancora e ancora, tremando e riscaldandosi come se avesse la febbre, totalmente in estasi, in trance, come se non avesse più il controllo del proprio corpo.
Fermati   si ripetè  Fermati. Non te lo perdonerà mai se non ti fermi.
Questo qui non è lui.
Non è lui… non è lui..
Quel solo pensiero bastò a farlo tornare in sé, a ignorare tutto quel ben di Dio offertogli e a sua completa disposizione, a ignorare la mano affusolata che massaggiava la sua intimità come se non avesse fatto altro per tutta la vita, ignorò il suo profumo intossicante, ignorò il suo corpo snello, intagliato e longilineo premuto meravigliosamente addosso, ignorò le sue esperte labbra carnose, rosse e tumide dal sapore buonissimo, ignorò i suoi occhi liquidi di lussuria e il suo sorriso infernale.
Gli afferrò con rabbia i polsi e lo sbatté sul letto, placcandolo e salendogli sopra, facendo però attenzione a non schiacciarlo.
Vederlo e sentirlo sotto di lui, con i polsi stretti e bloccati sopra la testa, dopo quello che avevano appena fatto, gli fece venire un groppo alla gola di eccitazione insoddisfatta.
Gli sembrava di essere tornati ai tempi delle lotte con la congrega, alle sere in cui lo sfidava e Folker finiva in quella stessa posizione, sotto di lui, sbattuto a terra.
Ma ora, ora era cambiato tutto.
Senza contare che il vero Folker, a quei tempi, avrebbe impiegato tutte le sue invidiabili doti combattive per liberarsi da lui e avere la meglio, usando, ad esempio, una delle sue lunghe e forti gambe per colpirlo sui testicoli, facendogli vedere le stelle e capitombolare a terra invaso dalle lacrime di dolore.
Ma quello sotto di lui non era Folker.
Difatti, per liberarsi, si limitava a muovere il busto e la testa come un ossesso in preda a violenti spasmi, cercando inutilmente di liberare le mani dalla presa di ferro del moro.
Urlò, quel dannato monaco con le sembianze di Folker, ebbe il coraggio di urlargli in faccia con tutto il fiato che aveva, e poi di ricadere con la testa sul cuscino e ridere come un pazzo, in un tripudio di capelli biondissimi sparsi ovunque.
- Tutta questa sceneggiata, tutte quelle paure, tutta quella drammaticità… era tutta una finzione per riuscire a sedurre anche me?? – gli domandò sempre più adirato, dovendo trattenersi dallo stingergli ancor più forte i polsi, fino a perforarglieli con le unghie.
No, non avrebbe fatto del male al corpo di Folker.
Quegli stessi segni se li sarebbe ritrovati la mattina dopo, li avrebbe sofferti la mattina dopo. Non poteva permetterlo.
Il monaco sotto di lui rise ancora. – Ovviamente. Sapevo saresti stato un osso duro, Ambrose… sapevo lui ti avesse già rifiutato, ovviamente, e sapevo anche che ti avesse messo in guardia su di me, facendoti promettere che non avresti ceduto ai miei tentativi di sedurti.
- Non mi ha costretto a prometterlo. Sono io che ho voluto prometterglielo! Non toccherei mai e poi mai qualcuno come voi, monaco. Mi ripugnate. Mi disgustate in un modo inspiegabile.
- Oh, non essere ridicolo! Hai ancora un’erezione dura come il marmo che mi sta spingendo sulla coscia!
Ambrose premette ancor di più le unghie nei suoi polsi, fino a fargli male.
- Non riesco a controllare le reazioni del mio corpo! Sono umano, dannazione! Però posso controllare le azioni del mio corpo, come vedi!
- Ne sei sicuro? Prima non sembrava, considerando che per almeno cinque minuti abbondanti ti sei lasciato toccare e vezzeggiare dalle mie mani, hai persino ricambiato il mio bacio.
- Chiudi quella bocca!
- Ammettilo!
Ammetti che averlo così inerme qui sotto, te lo fa diventare duro almeno quanto baciarlo o fartelo toccare da lui!
Oh, chissà come reagirebbe Folker se solo lo scoprisse!
Se scoprisse che cosa hai fatto poco fa!
O meglio, cosa gli stavi per fare!
- Mi sono fermato!
Mi sono fermato subito, come pattuito!! – gli urlò in faccia, rinforzando la presa e schiacciandolo ancor di più sul letto. – Mi sono fermato non appena ho realizzato pienamente non fosse lui! È lui che voglio, non il suo corpo!
- Sei davvero patetico, ragazzino.
Menti a te stesso come facciamo tutti noi servi del Creatore, quando proviamo inutilmente a ragionare su che utilità concreta abbiano i servi del Diavolo all’interno del nostro villaggio, un’utilità che non sia quella di farci voltare a guardarli in mezzo alla strada, o di farci fantasticare su di loro durante la notte! Nessuna, appunto!
- Taci!
- Il ragazzo che ti piace tanto è un violento, sadico, con problemi di gestione della rabbia e incapace di pensare ad altri che non siano se stesso!
Non ami lui, ami il suo corpo e null’altro!
- Io amo lui!
Lo amo così com’è, nonostante sia una persona tremenda per alcuni! – riaffermò con convinzione.
- Sii onesto con te stesso: ti sei fermato, poco fa, solo per la paura della sua reazione, quando avrebbe scoperto che hai abusato del suo corpo come tutti quelli che io ho sedotto!
Quando avrebbe scoperto che non sei diverso dagli altri ti avrebbe cacciato via a calci, urlandoti di non cercarlo mai più.
Per questo ti sei fermato, non perché hai realizzato che dentro il suo corpo ci fossi io e non lui.
Se non avessi avuto paura della sua reazione l’indomani, mi avresti preso e sodomizzato qui su questo letto in maniera animalesca, sfogando tutta la tensione sessuale che stai reprimendo da mesi, incurante del fatto che ci fossi io dentro di lui.
Dillo!
Arrivò improvviso e doloroso lo schiaffo con cui Ambrose lo colpì in pieno volto.
Un rivolo di sangue colò dalle labbra del biondo, macchiandogli il mento, facendo sentire ancora più in colpa il moro.
Tuttavia, per quanto stesse provando un intenso dolore, fisico e mentale, nel vedere il corpo del suo amico posseduto in tal modo da quel verme perverso, Ambrose si impose di andare fino in fondo.
Era l’unica occasione che aveva per farlo. Se se la fosse lasciata sfuggire, forse non l’avrebbe più riacciuffato.
Lo fece alzare dal letto e continuò a tenerlo stretto per i polsi, assicurandosi che la presa fosse abbastanza forte da non farlo scappare via. Gli sarebbero rimasti i lividi sui polsi per giorni, ma non importava, avrebbe compreso non appena Ambrose gli avrebbe spiegato tutto.
Lo fece sedere su una sedia e gli legò strettamente le braccia dietro lo schienale con una corda.
I suoi capelli erano sfuggiti alla costrizione del nastro che li legava ed ora erano tutti scarmigliati e spettinati, il rivolo di sangue oramai secco imperava su quella pelle con il suo rosso borgogna.
Il monaco sorrise ancora, guardandolo dal basso. – Dunque, ragazzo? Cos’è che vuoi fare ora? Non puoi farmi del male, non lo faresti mai, lo hai detto tu stesso: non nuoceresti mai al prezioso corpo di Folker.
- Come sei diventato così?
Sei un monaco, dovresti avere a cuore il bene del popolo, anche dei servi del Diavolo.
Per quale motivo ti sei macchiato di tale ignobile peccato? – la sua voce era dura, infuriata, molto più adulta dell’età che aveva.
- Non sono affari che ti riguardano – lo liquidò il monaco. - All’inizio non avrebbe dovuto essere così.
- Ah no?? E come sarebbe dovuto essere?
- Un gioco, un dono innocuo. Il tuo amico dimentica tutto nel momento in cui torna nel suo corpo: discreto e indolore.
Ambrose avrebbe voluto sputargli addosso in risposta, ma si trattenne e gli pose un’altra domanda:
- Cosa speravi di ottenere? Qual è lo scopo? Perché proprio lui?
- Mi ha colpito la sua bellezza – rispose semplicemente.
- Dunque lo scopo … riguarda solamente il desiderio di essere bello??
- Per te potrebbe anche essere poco, Ambrose, ma per me è tutto – rispose il monaco con solenne serietà.
- E allora perché proprio io?? Potresti avere tutti i servi e le serve del Diavolo del villaggio con il suo corpo a disposizione! Perché ci tieni tanto a sedurre un semplice e grottesco servo del Creatore come me?
- Per il modo in cui lo guardi.
Per l’adorazione che nutri nei suoi confronti.
Non lo desideri solamente, tu gli sei dedito e fedele.
È come se avessi offerto il suo cuore a lui e fossi incurante di ciò che Folker possa farne.
Ambrose ammutolì e continuò a guardarlo.
- A chi ti sei rivolto per avere tutto questo?
Voglio il nome della strega.
- Non puoi torturarmi per estorcere questa informazione da me.
- No, non torcerò un capello a Folker, ma posso fare qualcos’altro: posso pur sempre spargere il verbo e far sapere all’intero villaggio che cosa hai fatto, prima dell’alba.
Il monaco raggelò, sbiancando.
- Allora? Cosa ne dici?
Mi rivelerai il suo nome?
Dopo qualche minuto di esitazione, Cliamon confessò:
- È colei che sta diventando monaca del Diavolo, Myriam.
Ambrose la conosceva solo di vista, ma ciò era già abbastanza.
Uscì dalla casa di Folker e corse, corse, cercandola ovunque.
Solo dopo tre ore di ricerche ininterrotte la trovò, sul ciglio del fiume vuoto, in procinto di farsi un bagno.
- Voi! – la richiamò col fiatone.
Non avrebbe mai picchiato una donna, né l’avrebbe strattonata, a meno che non si trovasse ad uno degli incontri della congrega.
Myriam si voltò verso di lui, squadrandolo.
- Che cosa volete?
Ambrose si avvicinò a lei. – Parlare con voi.
- E di cosa potremmo mai parlare, io e voi, giovane uomo?
- Del perché avete maledetto il mio amico, permettendo ad un maniaco dall’anima corrotta di abitare il suo corpo – affermò deciso, riuscendo a sorprenderla.
- Dunque ha confessato tutto, quell’infame dal cuore marcio… – dedusse lei.
- Perché??
- Abbiamo un patto, io e lui.
- C’è un modo per far finire tutto questo?
- Non mi basta. Non mi basta far finire tutto questo. Gli provocherebbe un grande dolore, certo, ma voglio farlo soffrire ancor di più.
Voglio condurlo al punto di fargli desiderare di porre fine alla sua esistenza.
Ambrose temette gli occhi della donna, trovandovi dentro tutto l’odio che non aveva mai visto in vita sua.
Lo sguardo della strega era qualcosa di estremamente risoluto e pericoloso.
A ciò, decise di sfruttare la cosa a suo favore: 
- Proprio per tal motivo tutto questo deve giungere al termine.
La persona che sta soffrendo di più, in questa situazione, non è il monaco, bensì un ragazzo innocente, che sta letteralmente impazzendo.
Per condurre al suicidio il monaco quanto vi ci vorrà?
Non sarà mai, mai abbastanza per voi.
Vi scongiuro, sono disposto a fare tutto ciò che mi chiederete, per farvi porre fine a questo supplizio, per farvi liberare il mio amico.
Tutto ciò che volete!
Lui può essere libero e voi potrete comunque avere la vostra vendetta! – esclamò inginocchiandosi umilmente a terra, prostrandosi a lei, nonostante lei rappresentasse il nemico.
Nonostante non fosse la sua dea, né sua madre o la sua signora.
Myriam rimase sinceramente colpita da una tale dimostrazione d’amore nei confronti di Folker, tanto da provare compassione e rispetto per quel goffo ragazzone prostrato ai suoi piedi.
- Alzatevi, Ambrose – lo incoraggiò, vedendolo storcere il naso nell’accorgersi che lei conoscesse già il suo nome. – Uno come voi non può dare niente ad una come me – gli rispose sinceramente. - Tuttavia, c’è un modo per far finire tutto questo, per farvi riavere il vostro amico.
Seguitemi. Vi spiegherò tutto.
 
 
 
   
 
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