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Autore: Cladzky    19/07/2022    1 recensioni
«Forse non fu il romanzo di Melville a spingere il signor Friederich su una baleniera, ma certo lo portò a ribattezzarla "Jungfrau"»
Una piccola avventura ai confini del mondo nel circolo polare artico. 1851; nella Germania ancora non unificata, il signor Friederich decide di finanziare una spedizione nei mari più freddi della terra alla ricerca di una nuova rotta per la caccia alle balene, mercato in declino ad Amburgo. L'equipaggio del suo brigantino, dunque, viene composto della più incivile marmaglia disposti a spingersi oltre i confini conosciuti pur di avere un'occupazione e l'emozione di star sfidando la natura in ambienti tanto remoti da non essere ancora mappati. Johannes, primogenito di un vecchio ramponiere di capodogli, s'imbarca, pur non sopportando la personalità del suo capo. Ad attenderli, un ambiente ancora inadatto all'essere umano, dove solo animali eccezionali sopravvivono, mai studiati prima.
Genere: Generale, Science-fiction, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Forse non fu il romanzo di Melville a spingere il signor Friederich su una baleniera,  ma certo lo portò a ribattezzarla "Jungfrau". L'acquistò a un prezzo risibile quando molti armatori di Amburgo convertirono le proprie flotte in transatlantici e servizi postali, seguendo il modello di Albert Ballin, e di un brigantino non ne potevano fare che legname. Presa il primo di Marzo, passò un anno preciso a rastrellare i porti della Lega Anseatica alla ricerca di mozzi, cuochi, falegnami, chirurghi, primi, secondi e terzi ufficiali e, soprattutto, ramponieri, mentre la nave veniva rimessa a nuovo nell'antico cantiere di Reiherstieg. La Jungfrau, infatti, era quasi un pezzo da museo, vecchia quanto lui, e giaceva ormai da tre anni, inutilizzata, attraccata sull'Elba a marcire. Il suo proprietario l'aveva ereditata dal padre, uno junker della vicina Prussia, che, come molti proprietari terrieri, era un tradizionalista per cui la caccia nell'oceano Artico non era che uno svago rimasto dall'epoca d'oro dell'industria baleniera tedesca del diciottesimo secolo, prima che il blocco continentale imposto da Napoleone l'affondasse e ora fosse occasione buona solo come rito di passaggio per i propri figli e svago per questi ultimi, più interessati a procurarsi pellicce di foca e visitare la Scandinavia.

La ricerca stessa dei marinai si dimostrò un problema, perché, di gente disposta a veleggiare i mari della Norvegia, non se ne trovava ora che le crociere necessitavano di molto più personale e avevano destinazioni meno inospitali, come New Orleans, oltre che una paga salariale invece della incerta divisione dei profitti di una baleniera. Certo avrebbe potuto procurarsi tutta la manodopera di cui aveva bisogno se avesse varcato i confini della Danimarca e assunto i primi marinai di ritorno dalla Groenlandia che vedeva, con i loro bei carichi di grasso delle grasse balene franche, ma era una questione di orgoglio nazionale. L'intero scopo della spedizione, aveva detto, era di ravvivare il mercato della baleneria tedesca. Ma dove trovare allora un equipaggio disposto ad accompagnarlo nel clima più rigido di tutta la terra? Dove trovare ramponieri per arpionare cetacei in un popolo che, per quarant'anni, aveva infiocinato solo trichechi e orsi polari? Questa era la summa di quanto avevo sentito e, in virtù di questa disperazione, mi convinsi di avere buone possibilità di essere assunto.

Mi presentai all'indirizzo segnato dalle inserzioni e dapprima pensai d'essermi sbagliato quando mi trovai a camminare lungo il verde riflesso di Bleichenfleet. Attraversai il Postbrücke, mi trovai sull'affollata Poststraße e fronteggiai la facciata rinascimentale italiana del Postgebäude. Forse me lo sarei dovuto aspettare che dopo un ponte, una strada e un palazzo dedicato alle poste, sarei finito davanti a degli uffici postali, ma mi ero tanto aspettato di andare incontro all'armatore di una flotta che credetti la toponomastica puro anacronismo per ragioni storiche, giacchè in fondo molti edifici vengono riadoperati senza tuttavia cambiare loro il nome. Quando le basiliche romane furono tramutate in chiese nessuno smise di chiamarle a modo, così la reggia reale di Versailles rimase tale con l'abolizione della monarchia, divenendo un magazzino e la porta di Brandeburgo non è tutt'oggi simbolo di pace, benché edificata alla vigilia dei più sanguinosi teatri d'Europa? Ad Amburgo, poi, non avevo messo piede da quando la mia famiglia si era trasferita una ventina di leghe a nord-ovest su per il delta dell'Elba e affacciandosi al mare dei Wadden, poco prima del grande incendio, quando ancora non avevo dieci anni; la pianta era dunque completamente stravolta. Basito, guardai nuovamente il ritaglio dell'inserzione, ma diceva la stessa cosa, esortandomi perché salissi al secondo piano. Esitai. Nonostante la chiarezza di quelle lettere mi raccapezzavo a trovare una soluzione. E se ci fosse un indirizzo omonimo? Ma non potevano esserci un ponte, una strada e un palazzo dal nome uguale. Mi sentivo messo alla prova ancor prima di incontrare il mio datore di lavoro. La città era troppo complicata per uno come me. Piombato com'ero, mi smosse uno scalpiccio di ferri sul lastricato. Un passo in avanti e per poco non mi abbatteva il petto irto e caldo d'un bel baio che si limitò a sbuffarmi sui capelli, spettinandomi per sfregio, ondeggiando i labbroni su quei denti piatti fin troppo vicini ai miei occhi sgranati.

"Scusatemi" Fu la prima cosa che proferii nel momento stesso della rotazione, alzando le mani.

"Al diavolo le vostre scuse, guardatevi intorno, idiota" Proferì amorevolmente il cavaliere, un signorotto sui quarant'anni ben piazzato di spalle e rasato a liscio, con tutti i capelli ancora al proprio posto esclusa la stempiatura a punta, smontando con un salto e dandomi uno spintone per far spazio a un lacchè sbucato dal nulla a cui porse le redini. A sentirmi rimbrottare come faceva mio padre, feci quanto detto e mi vidi in mezzo a un buco di folla ben ampio per aggirarsi in sella ed ero abbastanza sicuro che la via fosse libera anche prima. Ridestato dallo scalpiccio di prima, a cui i riflessi si erano ora abituati a prestare attenzione, mi rimontò un senso d'orgoglio di esistenza che l'educazione non m'aveva mai estinto. Del signorotto vedevo solo la schiena, ammantata d'una bella giacca viola ricamata, e gli corsi dietro. Tentai la via diplomatica.

"Non vi avevo sentito…"

"Non ho tempo per le moine" Controllò, senza fermarsi, un orologio tirato fuori dal panciotto, legato a una cordicella d'argento.

"Anche voi, però…" Gli gridai dietro vedendolo aumentare il passo, temendo di perderlo una volta varcato l'arco gotico degli uffici in mattone rosso.

"Io cosa?" Si voltò di scatto, alzando un sopracciglio folto, che quasi sfiorava le basette, fermandosi nel mezzo di una falcata.

"Con tutto lo spazio che c'era…" Suggerii un'accusa.

"Sono anni che scendo in questo punto preciso ogni mattina alle sei e non intendo cambiare abitiduni per uno come voi" La sua condensa si fece quasi opaca in quel freddo mattino di Febbraio, puntellando ogni sillaba con un indice sul mio sterno.

"Anche al costo di investirmi e…?"

"E lo avrei fatto se non aveste avuto la buona creanza di togliervi dai piedi!" Sbraitò, agitando i pugni e voltandosi nuovamente.

"Voi non potete permettervi di parlarmi sopra" Ma, ciò detto, già aveva varcato le porte ornate di vetrate e rilevi lignei. M'infilai tanto ratto che ancora non s'erano richiuse al suo passaggio. Ci trovammo nel salone d'ingresso pavimentato di pietra riflettente a passare sportelli di servizio mezzi deserti "E neppure di ignorarmi!"

"Volete ancora discutere per questa sciocchezza?" Replicò, svoltando per un corridoio disseminato di stampe.

"Voi mi avete quasi investito in mezzo a una strada sgombra."

"Come se vi foste fatto male" Sbuffò, agitando ridicolmente la testa dai capelli pettinati in cornini.

"E dato dell'idiota".

"Data la mia posizione non è un insulto, è una valutazione" Imboccò una rampa di scale coperta di velluto.

"E mi avete parlato sopra e ignorato."

"Magari mi sono anche fatto vostra madre, così si spiegherebbe la vostra ossessione nei miei riguardi."

Ingoiai prima di terminare, che tutto questo movimento rendeva difficile proseguire linearmente con il tono.

"Prima mi sono scusato, ma ora mi rendo conto di una cosa".

"Che vi siete fatto due piani solo per farvi scaraventare di sotto?"

"Che siete voi a dovermi delle scuse."

"Questa poi!" Si fermò un attimo sul pianerottolo, sbalordito, prima di mutare nell'ilarità e di nuovo accigliarsi, stirandosi la giacca "Ma lo sapete chi sono io?"

"Uno che dovrebbe fare più attenzione a dove mena il proprio mulo" Gli piantai un indice di rivalsa sul naso aquilino, aspettandomi un imminenete manrovescio da quanto si era indispettito.

"Ma come osa toccarmi, uno come voi, e pretendere anche delle scuse?"

"Non le merito, forse?" Posi i pugni sui fianchi. Lui mi squadrò da capo a piede e abbozzò un sorriso.

"Figurarsi!" E sparì dietro un'altra porta. Lo seguì in una sala d'attesa e altri banconi ancora, di un ufficio telegrafico "Uno come voi che cerca scuse da me."

"Non sono forse un uomo come lei?" Insistetti, affiancandolo, pur sapendo già la risposta.

"Ma mi faccia il piacere, vestito com'è!" Attraversò un ultima porta, che dava su uno studio ordinato, e appese la sua giacca viola all'attaccapanni in rococò. Io c’affissai il mio fagotto di stoffa "Per non parlare di quel suo bizzarro accento."

Mi guardai un momento il maglione rosso che indossavo da fin troppi anni, mi tastai il mento poco curato ma mi riaggiustai la visiera del berretto per tentare un'ultima carica.

"Sono un rispettabile cittadino anch'io".

"Non certo di Amburgo" Alludette,  facendo il giro di una vasta scrivania e sprofondando nella poltrona in cuoio.

"No, di Cuxhaven" Portai fuori il petto coperto di lana. Lui trattenne a stento una risata e fallì nell'accendersi una pipa da quanto gli fremeva la mano.

"Ora si spiega tutto, certo, quel villaggio di servi scappati alla gleba. Se ad Amburgo dovessimo portare rispetto per stranieri come voi, perderemmo il tempo a scappellarci anche per i gabbiani. Dopotutto fate lo stesso mestiere, no?"

"Si dia il caso" Mi sporsi con ambo le mani sulla sua scrivania, schiacciando le scartoffie che l'affollavano "Che Cuxhaven è un paese di pescatori che lavorano sodo, autosufficienti, indipendenti e fieri di esserlo."

"Io so solo" Replicò, muovendo le labbra lentamente, ormai persa l'aria bonaria precendente "Che da Amburgo sta per partire una baleniera, mentre a Cuxhaven stanno ancora a scagliare le pietre per tenere a bada le focene."

"Sappiate che quella baleniera avrà a bordo un marinaio da Cuxhaven." Mi strofinai le nocche sul maglione. Il signore quasi mandò di traverso la tirata di tabacco.

"E voi come lo sapete?" Chiese che gli si rizzavano le corna dei capelli dalla curiosità.

"Sono giunto in questa città apposta per arruolarmi nell'equipaggio del signor Friederich" Quasi mi sedetti sulla scrivania dalla baldanza.

"Sì, per fargli da polena" E si diede uno schiaffo al ginocchio. Digrignai i denti, ma trovai la situazione ridicola e infantile, buttando un occhio sulle strade sottostanti alla sua finestra. Non eravamo forse adulti con cose migliori a cui pensare?

"Siete fortunato che sia un gentiluomo, feudatario che non siete altro" Mi rassettai i vestiti, specchiandomi in un paesaggio dipinto sotto vetro.

"Altrimenti cosa, pescatore di salmastro?" Ringhiò di sfida lui, abbassando la pipa, dall'altro capo della stanza, già che avevo recuperato il sacco e spalancavo la porta.

"Altrimenti vi darei l'unica lezione dimenticata da vostro padre" E la sbattei uscendo. Fermai il primo impiegato che passava con aria assonnata, portante degli schedari sotto braccio "Ehi, voi."

"Volete mandare un telegramma?"

"Non ho idea di come funzioni, ma può mandarlo al signor Friederich Meyer?"

"Quel Friederich Meyer?"

"Quello della baleniera, aveva detto di presentarmi qui."

"Cosa gli devo riferire?"

"Che ho seguito l'indirizzo lasciato dall'inserto e mi sono ritrovato in un ufficio postale."

"Credo che non serva un telegrafo per questo. Come vi devo annunciare?"

"Sono il nuovo ramponiere, Johannes Fischer."

"Allora mi segua" E ci dirigenmo verso la stessa porta da cui ero appena uscito. Solo ora notavo i caratteri d'oro della targhetta in cima. L'impiegato bussò tre volte, attese la risposta d'una voce cavernosa e mi aprì, rimettendomi faccia a faccia con il viso corrugato di Friederich Meyer, che aveva appena alzato gli occhi azzurrini di lampo dopo aver sistemato i fogli che gli avevo disfatto. Il terzo uomo si schiarì la voce "È arrivato il signor Johannes Fischer per l'offerta da ramponiere, signor direttore."

"Gli uffici sono ancora chiusi, ma prego, accomodatevi, rispettabile cittadino" Mostrò i denti fino a scoprire le gengive.

"Voi sareste il proprietario della Jungfrau?" Inghiottì un fiotto e puntai il dito tremante.

"E il suo nuovo datore di lavoro, a detta sua".

Che terribile, terribile burla. Lo diceva bene, il mio cervello, di cercare la trappola in quell'indirizzo. Lasciai cadere l’involto, con cautela, sul pavimento.

"Io non ho detto quelle cose per offendervi" m'impasticciai le parole nello strofinare un piede sulla gamba e grattandomi un orecchio.

"Sono certo anch'io che volevate solo fare il modesto a proprorvi solo come ramponiere."

"Certo, è una gran bella coincidenza" Cercai di ridere, sperando che stesse trovando l'assurdità della situazione divertente "E io che credevo di essere giunto nel posto sbagliato."

"A cercar le grane si finisce sempre al posto giusto" Esalò un fumo da vaporiera dietro la pipa intagliata.

"Suvvia" smanacciai per aria "Non intenderà mandarmi via per un disguido sulla precedenza."

"Oh no, dopo una tale dimostrazione sarebbe d’uopo investirvi capitano di tutto il brigantino."

"Vi prego, smettetela di prendermi in giro", feci per indietreggiare, tirandomi giù il cappello per far prendere aria alla mia testa rossa “Non merito questo giudizio.”

“È già tanto che non vi denunci.”

"Sono fuggito di casa a bordo di un traghetto per tutta la notte prima di arrivare qui. Non vedete quanto io ci tenga a quel lavoro?"

"È così divertente vedervi strisciare quando vi rendete conto qual è il vostro posto" Fece la smorfia del sorriso di si crogiola nel mangiare acido. Alzai il capo tanto forte da perdere un attimo la vista e compii grandi passi ciechi verso il despota.

"C'è stato uno spiacevole incidente" Supplicai prima di riacquistare la voce e interrompendo il tremolio delle mie ginocchia "Ma ciò non cambia che io abbia le competenze per salire sulla vostra nave."

"Di attaccabrighe che pretendono rispetto pur parlando dal fondo della scala sociale ne ho fin sopra i capelli" Scosse la testa, prima di soffiarsi il naso con un panno ricamato delle proprie iniziali. Procedette a studiare una striscia di carta appena giunta e rispondere a sua volta premendo a intermittenza il pulsante del proprio telegrafo personale "E ora aria, o finirete per mettervi a litigare anche coi clienti."

Mi morsi il labbro. L'impiegato provò a prendermi per un braccio e questo ennesimo insulto mi fece disinteressare a ulteriori conseguenze. Me lo scrollai di dosso e avanzai nuovamente, sbattendo il pugno sulla superficie di pino.

"Voi mi scacciate solo perché ho osato non farmi calpestare da un borghese come voi, senza neppure darmi la possibilità di mostrarvi che so fare. Certo, potrei dare lezioni sul mare quando ne ho voglia a un signorotto come voi che sogna di fare l'armatore per noia!"

"Franz, perché non ci lasci in colloquio con il signor Fischer?" Si girò i pollici il direttore, osservando quieto, l'impiegato, chiudersi dietro la porta alle mie spalle "Perché invece non cominciamo dalla lezione che mi avevate promesso?"

"Temo di non ricordare" Lanciai il cappello sul bell'attaccapanni rococò.

"Quella che mio padre si era scordata" Si sbottonò il panciotto fino a posarlo sulla poltrona. Frattanto stavo sfilandomi il maglione, rimanendo in canotta e poggiandolo su di una vetrinetta. Prima che me ne rendessi propriamente conto, quell'orso aveva scavalcato la scrivania e mi aveva assestato un diretto destro, caricato da in fondo lo studio. Volai all’indietro, incespicai nel mio stesso bagaglio, schiacciai contro la porta e giù seduto a terra sul tappeto persiano. Mi alzai senza fretta, tastandomi la mascella e smuovendo la lingua, schiacciato al muro.

"Ora che me lo fate presente vi avevo proprio promesso una lezione."

Si avvicinò a passi pesanti sul legno e subito partì di gancio sinistro, mi chinai, sentii l'aria sulla nuca e vidi scattare un altro diretto destro. Lo deviai, scorticandomi, col mio braccio sinistro e risposi di montante allo stomaco che lo piegò appena, il tempo d'un secondo al mento, che lo scapigliò dal contraccolpo e un diretto destro di mia foggia che lo rispedì da dove era venuto, capitolando all'indietro sulla scrivania e quasi rimettendosi seduto.

"Fatemi il piacere di non scordarla" Feci già per riprendere cappello e maglione che un'ombra mi ottenebrò. Voltandomi, lo vidi in cima al mobile, in contrasto con la finestra, prima che mi saltasse addosso con ambo le suole.


***


Quando gli schiamazzi cessarono, l'umile segretario, aprì di nuovo la porta, nella speranza che il suo capo avesse concluso con le percosse per dedicarsi a faccende più serie. Si ritrovò due uomini, un livido solo, che si circolavano come tori dalle corna alzate, ma non si scambiavano più insulti.

"Devo riconoscere che possedete una discreta forza d'animo" Continuò il direttore.

"E anche un bel destro" Aggiunsi prima di fargliene incassare un altro dei suddetti, solo per vedermelo sparire come una talpa, infilarmi la testa fra le gambe e ribaltarmi sopra le sue spalle con un tonfo che fece piegare le assi del pavimento.

"No, su quello avete ancora da lavorare" Ebbe il fiato di dire prima che glielo mozzassi, piegandomi a rospo e torpedinandogli una craniata sotto il diaframma.

"Signor direttore, vi prego, finirà per farsi male" Lo strappò al mio strangolamento quel santo protettore. Quando riprovai a tirare il collo a Friederich, fu lui la barriera che me lo impedì, sdrucciolando i tacchetti sul pavimento "E voi, signor Johannes, comprendetelo, il mio capo è un uomo dai modi rustici. Dopotutto si reca ancora in ufficio come un mandriano."

"Signor Franz, non vi permetto questa confidenza in presenza di ospiti" Lo rimproverò seccato il padrone, spolverandosi la camicia stropicciata, rendendosi conto che gli era saltato un bottone.

"Ora sarei un ospite!" Sputacchiai, recuperando il maglione in una mano e il berretto nell'altra, voltandomi solo per lanciargli un'altra occhiata di bragia "Ma non preoccupatevi, rimuovo la mia presenza immantinente, ora che mi son levato una gran soddisfazione mia e del sangue  voi."

E già solcavo gli stipiti che un vocione mi ritrasse dentro.

"Un momento, signor Fischer!" Friederich stava già facendosi riagganciare il panciotto dal segretario, ma gli riusciva difficile non corrermi dietro.

"Non volevate che sparissi?" Scossi le spalle strette, nuovamente avvolte nella lana. Il direttore si scrutò in fretta l'orologio da taschino prima di rispondermi.

"Forse vi ho giudicato male."

"Intendete chiedermi scusa?"

"Intendo che siete un soggetto interessante."

"Non sono più un bifolco di Cuxhaven?"

"Non mi fraintenda" Si risentì, sfilando davanti una libreria chiusa dietro pannelli di vetro che arrivava fino al soffitto. "Io sono un platonista e credo che ogni essere umano nasca nella propria casta  sociale."

"E voi siete al vertice per diritto di nascita?"

"Non lo prova quanto è florida la mia attività?" Allargò le braccia il signor Friederich, ingrossando il petto e stirando la camicia nell'atto di girovagare per lo stanzone addobbato pacchianamente.

"Siete un calvinista, per giunta" Aggiunsi ciò alle ragioni per cui trovavo detestabile quest'individuo, levando con un dito la polvere dal naso del busto scuro di suo padre.

"Voi no?" Si strinse il farfallino, allentato nella sommossa.

"Per carità, la mia famiglia non ha mai creduto in alcuna predestinazione" Mi rimisi il berretto con un movimento ridicolmente teatrale. Non volevo passare un minuto di più in quella gabbia di matti.

"Perché non volete ammettere le ragioni della vostra condizione” Borbottò come volesse farlo a bassa voce, ma sapevo di essere sentito. Credevo avesse esaurito le offese e invece ne prestigiava una inedita dalle maniche ogni volta, abbastanza per tenermi lì per il gusto di difendermi.

“Perché crediamo che un uomo non è altro che le azioni che compie” Mi battei un pugno sul petto pur di confermare la mia materialità. Vidi un guizzo di compiacimento atteso nei bulbi vitrei di Friederich.

    “Anche noi teniamo in alta considerazione le azioni, ma non in esse stesse” Precisò alzando un dito e facendolo volteggiare, abbassando il mento e distogliendo lo sguardo, adottando un tono paternalistico “Giacché niuno si crea da solo, ma distinguono le genti in gruppi umani. Agiamo in base a come siamo stati creati.”

    “E questo vale anche per il qui presente Franz, suppongo” Lo tirai in ballo annuendo, con un suo fugace disappunto, rovinandogli un così bello spettacolo dall’esterno.

    “Franz svolge a dovere il compito per cui è nato” Rispose come fosse una cosa naturale.

    “Ovvero un servo?”

    “Comandare non è certo nel suo sangue, ma è virtuoso nondimeno.”

    “Ma senti questo” Voltai lo sguardo al segretario, impassibile a mani giunte dietro la schiena “Come puoi lavorare per uno che ti considera un essere inferiore?”

    “Il mio compito non è quello di essere d’accordo o meno con il direttore” Fu il laconico lamento di cui ignoravo se l’origine fosse la sua condizione o la mia solidarietà non richiesta.

    “Franz è perfettamente felice nel suo habitat naturale” Annuì Friederich “Ma voi no, non è vero?”

    “Insomma, dove volete andare a parare?” Sbraitai, stringendo i pugni “Datemi un motivo per non sfuriare fuori a questa stanza piuttosto che sentirvi blaterare.”

    “Mi ascolti bene” Salì l’eco cavernosa di quello che già gli occhi azzurrini lampeggiavano della sua mente contorta, puntandomi un dito fermo sulla mia figura “Ho detto di essere un platonista e lo sono fino in fondo, come Calvino prima di me, e  se lei avesse letto La Repubblica, saprebbe che gli uomini sono divisi in gerarchie, è vero, ma non tutti gli uomini nascono nella loro casta di appartenenza, uomini infelici nelle loro posizioni perché nati per scopi differenti. Voi, signor Fischer, sembravate proprio uno di poco conto, ma più parlavate e m’assillavate e m’assalivate, più mi rendevo conto che c’è qualcosa in voi. Un senso di caparbietà, spirito indomito, orgoglio non comuni fra i suoi simili.”

    “Volete dire che…” Stentai un attimo a credere.

    “Che mi scuso per non avervi riconosciuto per quello che eravate, non un semplice pescatore di Cuxhaven.”

    “Ora mi date delle scuse” Stemperai l’eccitazione invano alla nuova prospettiva “Quindi mi accettate come ramponiere?”

    “Non corriamo, potrei sbagliarmi” Si grattò il mento “Avete mai adoperato un rampone?”

    “Sicuro, o non sarei qui apposta.”

    “Ma davvero?”

    “Donde vengo cacciamo focene, ma non a sassate.”

    “Certo, quelle vi servono per spingerli sulla battigia, ove li sgozzate.”

    “Errate. Io di persona salgo sulla barca di mio padre per scagliare il dardo e li colgo che volano ancora sul pelo dell’acqua.”

    “Credevo che giovani tedeschi come voi si fossero estinti.”

    “La competizione è dura nel mare del Nord, bisogna reinventarsi.”

    “E avreste il coraggio d’infiocinare una balena?”

    “Sarà certo più facile, grandi come sono.”

    “Oh, ragazzo mio” E mi venne incontro per abbracciarmi, ma rifuggì alla sua stretta, lasciandolo con un'espressione attonita a stringere l’aria.

    “Non correte anche voi” Strizzai gli occhi e inclinai il cranio “Prima voglio sapere sulla nave di chi vo imbarcandomi.”

    “Siete cieco, forse?” Si puntellò le dita al petto.

    “Non fate lo spiritoso” Schioccai la lingua “Perché mai il direttore di un ufficio telegrafico vorrebbe finanziare una baleniera?”

    “Non ho il diritto di diversificare i miei investimenti?”

    “Investimenti!” Roteai gli occhi a una motivazione tanto veniale “Crede davvero di rientrare nei guadagni?”

    “Dato il mio patrimonio posso pure permettermi di non farlo” Si ricacciò la pipa perlata in bocca, preparatagli dal suo fedele, accesagli pure da quest’ultimo con un fiammifero svedese in fosforo rosso.

    “Non è altro che un modo per far parlare di voi, vero?”

    “Ma insomma, lo volete il lavoro o no?” Friederich non ebbe il tempo di esalare un alito di fumo.

    “A voi della baleneria non importa nulla” Sollevai il fagotto con un piede e lo presi al volo. Mi grattai la tempia “Vi piace l’idea che qualcuno vada ai confini del mondo per vostro conto, solo per poter dire di non essere un capitalista come gli altri.”

    “Voi non sapete niente di me e sono stanco delle vostre insinuazioni” Agitò un momento le braccia e le gote prima di ricomporsi “E che si dovrebbe dire di voi? Non è ipocrita accusarmi quando voi stesso partite solo dietro promesse di compenso?”

    “Avrei potuto continuare a pescare focene nel mare dei Wadden, o industriarmi in qualunque altro modo e invece mi trovate qui.”

    “E perché, vorrei sapere? Cosa vi spinge a imbarcarvi sulla mia nave per mesi a non finire, a spingervi oltre l’Islanda, fino alle Svalbard e nel circolo polare? Considerate un gioco la caccia alle balene? Dove sono le prove che voi teniate alla baleneria?”

    “Volete le prove” Gli gridai, scoprendo l’involto di stoffa, una delle poche cose portatemi da casa “Ed eccole!”

    La stanza parve illuminarsi quando il bianco manico intagliato venne svelato e la nera punta in ferro battuto fu l’ultima parte a essere scoperta del drappo. Alzai al soffitto l’arma e quasi mi stupii io stesso di che bella fattezza era forgiata. Gli occhi azzurrini di Friederich si erano sbiancati e non riusciva a chiudere la bocca del tutto.

    “Un rampone eccezionale” Dovette ammettere Franz con un sussulto, che fu più di quanto sorpreso io l’abbia mai visto.

    “Quello è…” Balbettò l’armatore.

    “Osso di balena” Strinsi a due mani lo strumento tanto caro, tanto forte che le mie dita divennero pallide quanto la presa “Una mandibola e non una qualunque, ma del più grande leviatano dotato di denti su questa terra.”

    “Non posso crederci, un capodoglio?” Strabuzzò gli occhi Friederich “Come l’avete ottenuto?”

    “Mio padre, signore, mio padre era un ramponiere prima di me” Osservai il pungolo nero, così ruvido nella sua lavorazione grezza. Chiusi gli occhi “Lui mi ha insegnato tutto quello che so in proposito.”

    “Signor Fischer” Fui strappato ai ricordi dalla suadente voce di Franz, con mia sorpresa. Se ne stava lì a studiarmi senza rompere il contatto visivo “Oltre questo avete ereditato anche le sue capacità?”

    Me ne stetti lì un momento, sorpreso di essere sfidato proprio da lui. Guardai in giro per la stanza e lì, alle loro spalle, vidi una grossa stampa delle loro linee telegrafiche mappate in vari colori su tutta la regione circostante. Presi un gran respiro, richiamai tutta la forza nel braccio e piazzai bene le gambe. Ruotai il rampone in posizione di lancio e feci qualche passo verso i due, ritraendo indietro l’arma di fianco l’orecchio.

    “Ferma, che volete fare?” Si scansò goffamente il direttore per togliersi dalla traiettoria. Franz non mosse un muscolo, se non il sopracciglio e seguì il movimento della fiocina liberata dalla mia mano. Passò sopra la sua testa di un metro e si piantò, oltre la mappa e la carta da parati, nel legno sottostante con un tonfo. Friederich sbucò dal suo angolo ed era sul punto di urlare, se non avesse visto prima il risultato.

    “Allora, l’ho centrata Amburgo?”

    Il padrone sbuffò, abbassando le spalle e voltandomi un viso troppo nervoso per mostrarmi soddisfazione.

    “Voglio vedervi fare la stessa cosa su una lancia in movimento.”


***


    Non spenderò parole sull’imbarazzante sforzo di estrarre il cimelio di mio padre dal muro e, in completa franchezza, ero rimasto impietrito anch’io, con un’espressione beota, a temere di aver esagerato, ma i due mi accompagnarono fuori dalla stanza con un secondo indirizzo, stavolta ben più familiare del primo e di presentarmi lì domani sera. A quanto pare avevo fatto appena in tempo. Forse sarei dovuto uscire in fretta, ora che gli uffici circolavano di clienti che spedivano e ricevano raccomandate, in mezzo a cui figuravo non poco, vestito non dissimile dalle mie uscite in barca e con una fiocina avvolta alla bell’è meglio dietro la schiena, ma gli ultimi eventi mi avevano scosso parecchio da come si erano rivoltati in così poco tempo. Ero giunto lì per un lavoro, mi ero inimicato il mio capo prima ancora di conoscerlo, ci avevo fatto a pugni e infine lo avevo ottenuto per davvero quello che cercavo. Mi considerai fortunato, per quanto lo detestassi, d’avere un individuo tanto bizzarro come armatore, perché dubitavo che la mia esibizione avrebbe convinto chiunque altro. E stavo lì a riflettere, davanti la targhetta che recitava, a caratteri d’oro, il nome del direttore, che, fra uno schiamazzo e l’altro dei clienti, sentivo salire la voce sommessa di lui, oltre la porta.

    “Finirete per ammazzarvi prima ancora di partire, voi due.”

    “Oh, amico mio, lo sai che io cerco sempre brutte notizie.”

    “Allora mi spiace deluderti, ma le nostre quotazioni sono rimaste invariate.”

    “E l’appalto per il circuito di Lubecca?”

    “Lo abbiamo vinto.”

    “Qualcosa di negativo dev’essere successo. Forse Samuel Morse vuole ritirarci l’esclusiva.”

    “Tutt’altro, dice che siete il suo miglior usufruitore.”

    “Non c’è nulla da fare, questa società camminerebbe anche se non facessi alcunché. Speravo che vendere le terre di famiglia mi avrebbe rimosso dalla noia esistenziale e invece sono caduto in un investimento sicuro acquistando questo maledetto prodotto americano. L’America, oh Franz, quanto invidio la spensieratezza di quei piccoli Stati Uniti che hanno ancora una storia davanti e neppure cent’anni alle spalle. La Germania, invece, era già vecchia ai tempi di Ottone il grande e rimugina nella sua stagnazione da troppo tempo. Come vorrei qualcosa che scuotesse le cose, che sradichi le certezze e invece regnano tradizioni secolari, famiglie storiche che non hanno niente da temere, forti dello sforzo dei propri avi. Dio non mi concede pena e così mi da quella più grande. Franz, fratello mio, checché io lo nasconda, sono sempre uno junker.

   
 
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