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Autore: Neamh Moonstar    20/07/2022    1 recensioni
La giovane Ann adora fermarsi a leggere nella calda e polverosa libreria del signor Fell. Una volta è persino riuscita a farsi prestare un libro, e già questo avrebbe dovuto farle sospettare che qualcosa non andava.
Quando il distinto e gentile libraio sparisce nel nulla e nessuno ne parla, però, tutto prende una piega inaspettata. Tra loschi figuri sotto le finestre, un pub che chiude dall'oggi al domani, pettegolezzi e una punta di stregoneria, Ann si ritroverà a scoprire qualcosa di incredibile su sé stessa, sul mondo e su un serpente.
°°
Outsider POV/Giallo
Genere: Angst, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anatema Device, Aziraphale/Azraphel, Crowley, Newton Pulsifer, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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    «Shakespeare, eh?» Commentò Zac, rileggendo gli appunti di Ann. «Ma non scriveva opere teatrali?»

    «Sì, anche» affermò lei. «Ma i sonetti erano popolari all'epoca: tutti ne scrivevano una raccolta.»

    Zac annuì, riprendendo a leggere ciò che sua cugina aveva tanto elegantemente ricopiato. «Sono un appassionato di musica, non di letteratura» disse poi con un sospiro. «Non capisco molto il senso di queste parole.»

Si erano spostati in camera di lei dopo pranzo e subito avevano aperto il pc di Crowley solo per scoprire che era ovviamente protetto da una password. Intanto che Ann provava a scoprire se le sue doti di scassinatrice valevano anche per le porte chiuse virtuali, Zac si era offerto di rileggere qualche verso.

    «Nemmeno io ho capito tutto all'inizio» disse lei intanto che osservava la casella vuota sullo schermo di fronte a sé, «così ho fatto qualche ricerca e ho scoperto che i "Sonetti" di Shakespeare possono essere divisi in due parti, dedicate ognuna ad un soggetto diverso.»

    Zac alzò un sopracciglio: «Ricordami perché hai smesso con gli studi?»

    Ann scosse la testa, ignorando la domanda. Poi continuò: «Primo soggetto: un ragazzo giovane, bello, biondo, quasi divino. Dall'altro una donna non esattamente bellissima, anzi: proprio brutta, ma che a quanto pare ci sa fare con gli uomini.»

    Il rosso ridacchiò. «Ehi» esclamò poi, «il diavolo e l'acqua santa, come direbbe Mary.»

    Ann lo fissò sbalordita. «Esatto! Cavolo, Zac. Sei un genio!»

Il rosso sbatté un paio di volte le palpebre, confuso.

    «Ragiona» lo spronò lei. «Fell e il tuo capo sono praticamente opposti: gusti, atteggiamenti, persino aspetto fisico. Come i destinatari delle poesie.»

    Zac schioccò le dita: «Il libro parla di loro» concluse. «Tipo metafora di loro stessi.»

    «E Fell me lo ha lasciato...» ragionò Ann. «Come se sapesse già.»

    «Aspetta. Sapeva che sarebbe sparito?»

    «È plausibile. E poi c'è questa» disse lei, indicando i versi che aveva staccato dalla bacheca. «Parla dell'amore in generale. È quella che mi ha maggiormente colpito: dev'esserci un motivo.»

    Zac prese il pezzetto di carta, rileggendolo più volte. «Magari si riferisce alla loro relazione» Azzardò. «Non so se ho capito bene, ma parla dell'amore come qualcosa di duraturo.»

    Ann annuì: «Duraturo e abbastanza forte da sopravvivere all'apocalisse. Ha senso se ripensi alla foto in bianco e nero.»

    «Appunto. L'amore immortale... Carino, ma mette i brividi» commentò suo cugino. «Beh, ora abbiamo la conferma del fatto che stanno assieme. Anche se "conferma" è un parolone.»

    «Quanto dev'essere terribile perdere l'amore della propria vita?» Mormorò Ann ripensando a ciò che avevano detto poche ore prima, durante il tragitto di ritorno. 

    «E se Fell non fosse scomparso nel senso di sparito, ma scomparso nel senso di, beh...» propose Zac, incespicando nell'ultima parola che non pronunciò mai. «Magari qualcuno o qualcosa ha trovato il modo di farlo fuori? Tutte le creature immortali hanno un punto debole: vedi i vampiri.»

    Ann avrebbe voluto alzare gli occhi al cielo alla cosa del vampiro, ma il suo cuore perse un battito all'idea del cugino. «E pensi che tutti gli altri stiano indagando per trovare il colpevole?»

Zac annuì e non disse nient'altro. Certo, era un'opzione davvero triste ma altrettanto plausibile.

    «Spero tu abbia torto» sospirò Ann, tornando a guardare il computer con aria sconsolata. «In quanto alla password, temo di non riuscire a passare da ladra in erba ad hacker in così poco tempo.»

    «Ed io non posso aiutarti» affermò Zac. «Avrei provato a sparare una data di nascita, ma questo punto non ne ho idea.»

    «E quindi siamo bloccati. Nessuno a cui chiedere, niente contatti... Possiamo solo contare su Mary.»

    «Che d'altronde non ha né chiamato, né inviato un messaggio» notò Zac prendendo il suo cellulare. «Dici che è riuscita a cavare un ragno dal buco?»

    Ann fece spallucce: «Quando e se accadrà ce lo farà sapere, immagino: sai com'è quando si concentra su qualcosa. E poi domani dobbiamo comunque tornare da lei.»

    «Giusto, giusto» affermò il rosso.

Seguirono alcuni minuti di silenzio in cui Zac si mise a girare distrattamente tra le app ed Ann ad aggiornare le note.

    «Ehi,» disse quest'ultima ad un certo punto. «Forse è un'idea stupida ma, e se provassi a chiamare il tuo capo? Hai il suo numero in fondo.»

    In risposta, suo cugino si mise il telefono all'orecchio e recitò: «Oh salve signor C, come va? Non è che può dirmi la password del pc che le ho appena rubato dall'ufficio?»

    Ann si mise a ridere: «Stupido. Non è un'idea così terribile, dai.»

    «Non lo sarebbe se solo rispondesse alle chiamate» puntualizzò Zac. «Giuro: è difficile che risponda di persona. Ha una maledetta segreteria telefonica che lavora al posto suo.»

    «C'è ancora chi usa la segreteria telefonica?»

    «Immagina scoprirlo quando hai bisogno di un cambio turno. Però se vuoi posso provare lo stesso.»

    Ann sorrise: «Saresti fantastico, grazie.»

    Osservò suo cugino prendere il numero dalla rubrica e poggiarsi il cellulare all'orecchio. Neanche tre secondi dopo, il rosso alzò gli occhi al cielo: «Sì, sì, so cosa devo fare e mi piacerebbe farlo con stile ma ehi, la situazione è grave» sussurrò frustrato al messaggio registrato - frustrato e con una buona dose di sarcasmo. Ann alzò un sopracciglio, evidentemente confusa, ma non commentò.

    Subito dopo, Zac provò un altro paio di volte ma non ci fu niente da fare. «Però adesso sa che ho provato a parlargli. Magari si renderà conto che il suo piano di occultamento è fallito e proverà a contattarmi?» Azzardò poi.

    «Non sarebbe male» rispose l'altra spegnendo il pc e alzandosi. «Direi che potremmo prenderci una pausa a questo punto.»


Passarono il pomeriggio guardando un film, chiacchierando di qualcosa che non implicasse gente scomparsa o piani della realtà che non fossero quello visibile. Tornarono in camera di Ann solo più tardi perché a Zac era venuta l'idea di provare a mettere la data di cinque anni prima, il 2019, come password del pc del suo capo, ma l'idea si rivelò un buco nell'acqua.

Ormai decisa a lasciar perdere, Ann andò ad appostarsi contro la finestra, la mente in subbuglio. La sera si stava trasformando in una grigia nottata autunnale e il lampione dall'altro lato della strada si accese tremolando. Passava poca gente, soprattutto di ritorno da lavoro, imbacuccata come pupazzi di neve per sopravvivere al vento.

    Zac si mise davanti a lei, anche lui con lo sguardo fisso sulla strada. «Ehi, la mia era solo una supposizione» disse, il tono dispiaciuto. «Per quel che riguarda Fell, dico. Sai che sono ottimista di solito, ma-»

    «Lo so, lo so. Non è per quello, non preoccuparti, è che...» sospirò lei, «non mi piace sentirmi davanti ad un muro.»

    «Nemmeno a me. Ma che vuoi farci?» Rispose lui, irrompendo in uno sbadiglio. Era presto ma gli eventi di quella mattina avevano lasciato il segno, almeno su Zac.

    Già, si disse Ann, forse avevano ficcanasato abbastanza per il momento. Magari era la volta buona per farsi una sana dormita e cercare di riprendere un minimo di vita normale dopo gli ultimi eventi. Fece per staccarsi dal vetro e chiedere a suo cugino se volesse dormire di nuovo da lei, ma qualcosa attirò la sua attenzione: «Lo vedi anche tu?» Chiese, indicando l'area sotto al lampione.

    Zac aggrottò le sopracciglia e strinse gli occhi, osservando a sua volta: «Che cosa?»

Ad Ann pareva come se l'asfalto si stesse deformando, ondeggiando quasi. Stava per chiarire quel concetto, quando dal terreno iniziò a sbucare qualcosa, anzi, qualcuno.

Se non li avessero visti spuntare dal marciapiede come nulla fosse, li avrebbero probabilmente scambiati per senzatetto. Uno di loro era avvolto in una giacca vecchia e consunta, così come vecchia e consunta pareva la sua faccia grigiastra. Alla penombra del lampione i suoi occhi sembravano neri e vuoti - o forse lo erano davvero, difficile dirlo. Il suo smilzo compare dalla pelle scura appariva più giovane, reduce probabilmente da una delle peggiori fasi emo mai viste - oltre che da uno degli appuntamenti dal parrucchiere più disastrosi della storia, a giudicare dalla strana capigliatura a mo' di corna.

Si erano messi a conversare come se per loro emergere dal marciapiede fosse l'equivalente di un appuntamento al bar. Il primo si accese una sigaretta venuta fuori dal nulla, guardandosi attorno con una punta di curiosità, mentre l'altro aveva materializzato un blocco note del quale stava probabilmente recitando qualche punto. Non c'era bisogno di una conferma per capire che non erano esattamente tizi raccomandabili: erano proprio lo stereotipo delle persone a cui non affideresti nemmeno le piante d'appartamento.

Ann non poté vedere di più, dato che Zac tirò le tende così velocemente da lasciarla inebetita per un secondo.

    «Cosa diavolo ho appena visto?» Chiese lui, il respiro veloce e gli occhi sbarrati di chi sa di non poter dare una spiegazione logica a ciò a cui ha assistito.

    Ann scosse la testa: «Non ne ho la minima idea.»

    Zac si allontanò dalla finestra, mettendosi a passeggiare freneticamente per la stanza. «Non è un caso: sono qui per noi. Siamo inseguiti da- da... Cosa diamine sono quelli?»

    «Qualunque cosa siano» rispose lei, affiancandolo, «sicuramente non se ne andranno se ci facciamo prendere dal panico.»

    Il rosso iniziò ad annuire in un disperato tentativo di riprendere in mano le redini della situazione. Non ci riuscì. «Va bene, d'accordo. Sorvoliamo sul fatto che hai appena visto due cosi venir fuori dall'asfalto e non hai quasi battuto ciglio. Ora che he facciamo? Gli chiediamo gentilmente di levare le tende?»

La verità era che Ann aveva sì paura: brevi ondate di ansia e preoccupazione le facevano su e giù per la spina dorsale come in balìa di un ascensore impazzito. Aveva iniziato a torturarsi le mani non sapendo bene cosa dire, conscia del fatto che in ogni storia c'è un antagonista, e forse i loro li aveva appena raggiunti.

    In mancanza di una risposta, Zac riprese il suo frenetico andirivieni. «Dobbiamo fare qualcosa» disse. Poi sbarrò gli occhi: «Aspetta, sanno che siamo implicati? Come accidenti fanno a sapere che siamo implicati?»

    Con un sospiro, Ann lo bloccò delicatamente, prendendolo per le spalle. «Rilassati. Dobbiamo ragionare, va bene? Ragioniamo». Cercò di mettere su il tono più convincente possibile, soprattutto perché vedere suo cugino in preda al panico era una prassi, ormai, che non le piaceva per niente.

Zac scosse la testa, senza dire un'altra parola. Era terrorizzato ma almeno aveva smesso di gironzolare, il che era già qualcosa.

In assenza di altre idee, Ann lo avvolse in un abbraccio, passandogli la mano lungo la schiena. Incredibilmente sembrò funzionare: poté sentire la tensione scivolare via dalle spalle dell'altro, il respiro che si calmava e persino la tensione generale che dissipava. Attorno a loro calò il più assoluto silenzio, rotto solo dallo strusciare della mano di Ann contro la maglia di Zac.

    «Va meglio?» Gli chiese lei dopo un po', senza staccarsi.

    Lui annuì, facendo mezzo passo indietro. Sembrava solo terribilmente stanco adesso, oltre che un filo preoccupato. «Sono ancora lì?» Chiese cauto.

Ann voltò la testa verso le tende. Poteva sentire come una specie di vibrazione nell'aria che le diceva che sì, erano ancora ben appostati sotto al lampione. Perciò non si stupì tanto quando fece un leggero spiraglio e si accorse di avere ragione.

    «Ascolta» disse poi a Zac, «finchè restano fermi lì non c'è problema, no?»

    Il rosso sospirò: «Non lo so. Non voglio che tu stia qui, però: e se ti vedono ed entrano?»

Era come se il breve panico lo avesse lasciato con poco più di un minimo di energie, ed Ann non poteva certo accettarlo. Non poteva nemmeno accettare che si preoccupasse tanto, perciò decise di lasciar perdere momentaneamente tutto ed occuparsi di lui.

    «Ho un'idea» disse, andando a recuperare qualche cuscino e coperta nell'armadio.

    «Che vuoi fare?» Mormorò Zac, lo sguardo interrogativo.

    Ann gli fece cenno di seguirla e andò in salotto. «Ricordi quando da piccoli giocavamo al campeggio?» Chiese, sapendo che suo cugino se lo ricordava eccome. «Ci mettevamo a dormire per terra e i nonni ci lasciavano mangiare schifezze.»

    Sul volto dell'altro fece breccia un sorriso: «Ancora mi chiedo come abbiamo fatto a non avere mai una carie.»

Ecco, quello era lo Zac che Ann conosceva.


Spostarono il tavolino davanti alla tv e prepararono il loro giaciglio improvvisato. Ann fece avanti e indietro per prendere i cellulari e metterli in carica alle prese più vicine, dopodiché andò a raggomitolarsi sotto le coperte.

Da piccoli lei e Zac erano capaci di andare avanti a parlare fino a notte fonda, ma stavolta suo cugino si addormentò non appena ebbe toccato la guancia col cuscino. Un po' le dispiacque: conversare lo avrebbe distratto, ma vero era che aveva bisogno di riposare. In quanto a lei, beh: dormire era diventata una cosa strana.

Provò a chiudere gli occhi ma si svegliò poco più che mezz'oretta dopo, avvolta nel buio dell'appartamento, dal rumore delle poche auto che passavano e da quello del lieve respiro di suo cugino. Sbuffò, chiedendosi se la sua insonnia non fosse colpa dello stress. Ricordò poi che l'insonnia dovrebbe lasciarti senza energie, nervoso, stanco... Lei era fresca come una rosa.

Si tirò su senza far rumore, tenendo d'occhio occhio Zac per paura di svegliarlo. Riprese il suo smartphone e gli occhiali, andò in punta di piedi in camera sua e buttò subito un veloce sguardo fuori dalla finestra. Il duo della notte non era in vista, ma il suo sesto senso le diceva che erano ancora lì e sicuramente stavano facendo il giro della via. Suo cugino aveva ragione: li stavano cercando; vagavano in tondo come se sapessero chi fosse il loro obiettivo ma non conoscessero l'ubicazione precisa. 

La trama si stava infittendo ma Ann ancora non ci stava capendo granché. Le sembrava di essere nel bel mezzo di un labirinto che si faceva sempre più intricato, e ora aveva persino qualcuno da evitare: figure misteriose provenienti dai bassifondi. In un momento migliore l'avrebbe appuntata come idea per un fantasy.

Si passò una mano tra i capelli e andò a sedersi sul letto. In condizioni normali avrebbe persino chiamato la polizia, ma qualcosa le disse che Scotland Yard le avrebbe riso in faccia se avesse detto che aveva paura di due tizi dal fare poco raccomandabile - oltre che dall'aspetto improbabile - emersi dal marciapiede come il Kraken dalle profondità dell'oceano.

No, dovevano cavarsela da soli. Anzi: avrebbe volentieri lasciato Zac fuori da tutta quella storia e forse forse anche Mary. Si sentì in colpa ad averli tirati dentro in primis, ma vero era che ormai erano in ballo.

Sbloccò lo smartphone e si rimise a girovagare distrattamente tra le note, le pagine social salvate, persino tra i vecchi messaggi tra lei e Zac. Rilesse qualche notizia risalente a cinque anni prima senza sapere bene cosa cercare, poi passò a qualcosa che potesse distrarla - aveva sviluppato una predilezione per i reel di persone che costruivano piccoli oggetti o ne riparavano altri, libri inclusi. Si fece l'una di notte e lei, ovviamente per nulla stanca, decise di dare un'occhiata al thriller che avevano preso dall'ufficio di Crowley per passare il tempo.

Fu allora, poco prima di bloccare il dispositivo, che il suo pollice ricadde prima sull'icona della rubrica telefonica e poi sull'icona del tastierino numerico. Istintivo e fluido, un movimento che ormai Ann conosceva bene, così come conosceva bene quella specifica regola del gioco. Era stato facile come trovare la pasticceria, aprire le porte chiuse, percepire le sensazioni che ormai usava come bussola.

Osservò la tastiera e decise di lasciarsi guidare: in fondo, finora le era sempre stato utile assecondare quella particolare capacità.

Compose un numero una cifra alla volta, spostando le dita da un tasto all'altro come se sapesse esattamente chi stava per raggiungere. Salvò il nuovo contatto come: "Qualcuno" e andò ad aprire l'app che usava per chattare. A meno che "Qualcuno" non avesse specifiche impostazioni di privacy attive, avrebbe dovuto vedere l'immagine di profilo, o perlomeno il nome, forse anche l'ultimo accesso. Magari c'era qualcun altro invischiato in quella bizzarra faccenda, qualcuno che i suoi misteriosi e nuovi "superpoteri" le avevano consigliato di contattare, il "Qualcuno" per eccellenza.

Quando riuscì a trovarlo tra i nuovi contatti - le riuscì facile dato che era l'unico - Ann sussultò e balzò in piedi, il cuore a mille.

Non aveva un'immagine profilo vera e propria, ma nel classico cerchietto c'era lo stesso identico serpente attorcigliato su sé stesso che se ne stava ben raffigurato in ogni possibile vetrata del pub. Non aveva nemmeno un nome vero e proprio ma tre lettere in stampatello: AJC. Minimal, un profilo fatto apposta per essere raggiunto e riconosciuto solo dai suoi conoscenti - e non c'era bisogno di Sherlock Holmes per arrivare a quella conclusione. 

Ann aveva appena scoperto - ma come non avrebbe saputo dire - il numero di Crowley. Zac non glielo aveva mai dato, di quello era sicura - anche perché non ne avrebbe avuto motivo. Perciò non sapeva quale spiegazione logica darsi, ma capì presto che non ce n'era una: lo conosceva e basta... Per qualche motivo.

Rimase in piedi, immobile, senza sapere cosa fare. Aprendo la chat, venne a scoprire che l'ultimo accesso di ex-Qualcuno era invisibile, ma alla fine non era un problema così rilevante. Che doveva fare? Mandare un messaggio? Sì, certo: Salve signor C, conosco uno dei suoi dipendenti. Si può sapere che sta succedendo?

No, ovviamente non poteva porsi così. Anzi, forse non era cosa saggia farsi bloccare sul nascere ed eliminare quell'unica possibilità di contatto. Magari avrebbe potuto chiamarlo, o meglio, avrebbe potuto lasciare un messaggio in segreteria. Sarebbe stata breve, concisa, e avrebbe spiegato nel modo migliore possibile la situazione - sempre sperando che Crowley ascoltasse ancora i messaggi.

Così Ann si mise all'opera. Prese il suo quadernetto e provò a buttare giù un breve resoconto degli eventi. Non sapeva con chi aveva a che fare, nonostante ciò c'era qualcosa dentro di lei che le diceva che quella era la soluzione migliore. Forse sarebbe finalmente riuscita a sbrogliare almeno un po' di quella matassa di eventi al di fuori del normale; o almeno: quella era la speranza.

Si disse anche che lasciare messaggi a quell'ora della notte era oltremodo fuoriluogo, ma non poteva aspettare fino al mattino, non quando la sua stessa casa era diventata un posto poco sicuro - o meglio: la strada al disotto.

Alla fine rilesse più e più volte le righe che aveva buttato giù, sapendo che da quelle dipendeva la sua prossima mossa. Si rialzò, cellulare in una mano e discorsetto nell'altra - passeggiare mentre telefonava era prassi per lei: lo aveva fatto anche al negozio di Mary quando qualcuno chiamava per un'informazione. Fece partire la chiamata e si poggiò il telefono all'orecchio, tenendo il fiato sospeso.


Ann non aveva mai risposto ad una segreteria telefonica, perciò non sapeva bene cos'aspettarsi.

Quel problema venne stroncato sul nascere.

Non partì nessun messaggio, nessuna voce registrata che le diceva di fare quel che doveva - con stile, a detta di Zac - o comunque nessun: "lasciare il messaggio dopo il bip". Ciò che la ragazza sentì poco dopo aver fatto partire la chiamata, furono i suoni lunghi, bassi, leggermente tremolanti e prolungati di un telefono che squilla.

Qualcuno avrebbe effettivamente risposto stavolta.

    La ragazza non fece in tempo a pensare a cosa fare adesso che la situazione si era ribaltata. I suoni finirono e dall'altra parte della cornetta si sentirono vari fruscii, uno scricchiolare di ruote sull'asfalto, un motore che si spegneva e vari colpetti che non avrebbe saputo identificare. «Pronto?» Balbettò, non sapendo che altro fare.

    Ci fu un secondo di silenzio, poi una voce maschile chiese: «Chi è?»

Era un tono duro, leggermente roco, a metà tra il confuso, il seccato e lo speranzoso. Un tono che Ann non aveva mai sentito.

Ma che le fece salire il cuore in gola.


Fu come se qualcuno avesse premuto il tasto "pausa" sul telecomando del mondo. La ragazza smise di respirare, gli occhi sbarrati e i brividi a mille. 

Finora le sensazioni erano state lievi ed istintive, mentre stavolta fu come essere travolti da uno tsunami. La sua mente andò in subbuglio, colpita da tanti sprazzi lontani ma udibili di quella stessa voce che diceva: "Ehilà!", "'Giorno", "Come va?", "Che si fa stasera?". Ricordò che Zac le aveva detto che Crowley e Fell parlavano sempre del più e del meno le volte che si vedevano, e ora poteva tranquillamente figurarsi quella voce dire cose come: "Qual'è quel ristorante di cui mi avevi parlato?", "Passeggiata al parco domani?", "Giuro che se una delle rose al cottage ha anche solo provato ad appassire...". 

E poi la sentì ridere.

Ricordava quella risata così naturale, con la testa che ricadeva all'indietro.


    Si sentì un altro fruscio. «Ehilà? C'è qualcuno?» Esclamò Crowley, ora con molto più che una punta di sbigottimento. Sembrava preoccupato, quasi ansioso, come se non stesse aspettando una semplice risposta ma una risposta in particolare.

Ma Ann si fece scivolare il cellulare dalle mani. Sentiva il cuore sbatterle contro le costole e dovette poggiarsi alla scrivania per non traballare fino a terra. Era la prima volta che lo telefonava, allora perché si sentiva come se gliene avesse fatte mille? Non si erano mai visti, allora come faceva a sapere in che modo rideva? O come si rivolgeva alle sue piante? O comunque come parlava con-

Non con lei, no. Non si conoscevano, non avrebbe avuto senso. Infatti tutti gli sprazzi di conversazione che le stavano soffocando il cervello non erano rivolti a lei.

    «Nah, sai che a me non cambia niente» aveva detto una volta. «Solo, non è da te cancellare una cena in questo modo.»

Ann non aveva idea di cosa volesse dire, né del perché tutto ciò stesse accadendo adesso. Sentiva solo un terribile senso di nausea, oltre che un crescente disorientamento.

Provò a fare qualche passo, ma si ritrovò a terra, presa dal fiatone e sopraffatta da qualsiasi cosa le fosse preso. Provò a chiamare Zac, ma la voce le morì in gola. Provò a muoversi, ma si sentì mancare un attimo dopo averci provato.

Chiuse gli occhi e si lasciò andare.

L'incoscienza si portò via anche le voci nella sua testa.

   
 
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