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Autore: AndyWin24    21/07/2022    4 recensioni
Merlino e Artù, in missione per recuperare la “Coppa della Vita” ed evitare che cada in mani nemiche, vengono attaccati e catturati dai tirapiedi di Jarl, un mercante di schiavi. Qui, si rincontrano con Galvano, anch’egli fatto prigioniero. Ma come ci è finito il giovane guerriero in quel posto così pericoloso? Questa è la storia dal suo punto di vista.
(Gli eventi narrati si svolgono durante l’episodio 12 della 3a stagione della serie tv “Merlin” della BBC)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Galvano
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
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   “Questa è la storia di tre impavidi avventurieri e del loro viaggio alla ricerca del leggendario Tridente dorato.”
   Galvano era in piedi su una sedia e narrava con esagerata enfasi una storia. Nel frattempo, nella taverna si era radunata intorno a lui una dozzina di persone che lo ascoltavano con assoluta attenzione. Ognuno di loro, narratore compreso, era già ben oltre il quinto bicchiere di birra.
   “Uno dei tre era un principe e, per dimostrare allo stolto padre che era meritevole di succedergli al trono, decise di intraprendere una missione che avrebbe provato il suo valore. Fu così che iniziò il suo cammino alla volta del mitico cimelio. La sorte, però, ben presto gli fu avversa.”
   Alcuni dei presenti sussultarono.
   “Ebbene sì. Il suo incredibile coraggio e le sue innegabili abilità non furono sufficienti da sole per raggiungere lo scopo prefissato. Ma il nostro principe non aveva nulla da temere. I suoi due fidati compagni si erano già messi in viaggio, pronti per accorrere in suo aiuto: uno dal carattere compassionevole e altruista come pochi, l’altro aitante e bello come il sole.”
   Galvano fece improvvisamente un salto.
   “Ma non credete! Anche il loro tragitto fu difficile ed impervio. Il luogo che dovevano attraversare era il peggiore che brava gente come noi possa mai immaginare: la Valle dei Re caduti!”
   Un silenzio quasi assoluto scese sulla taverna. Sempre più persone erano rapite dal racconto del giovane, che continuava a parlare con crescente euforia.
   “Lì, in quel dannato luogo, nulla era ciò che sembrava. Le spade si tramutavano in fiori e non vi era traccia neanche di una taverna per poter trovare un meritato ristoro!”
   A quell’ultima affermazione, alcuni uomini si misero le mani alla bocca tanto era il loro turbamento.
   “Già! Come vi dicevo, era il peggior posto che potesse esistere al mondo. Ma, tornando ai nostri eroi, ecco che i due, nonostante i pericoli, avanzavano imperterriti verso il loro amico in difficoltà. Nel loro cammino, però, dovettero affrontare cose a dir poco spaventose: nani scorbutici, fagiani mangia-uomini e viverne assetate di sangue! Ma, alla fine, armati di forza e caparbietà, si ricongiunsero col principe ed insieme a lui riuscirono a trovare il leggendario Tridente dorato. Nulla poterono le avversità incontrate contro le abilità dei nostri tre eroi e contro la loro inseparabile amicizia. La missione, a dispetto di ogni previsione, ebbe quindi incredibilmente successo e Art…, cioè il principe poté finalmente dimostrare al padre di essere degno di diventare re. E con questo, termina la nostra storia. Grazie a tutti.” concluse Galvano, con un inchino finale.
   La folla intorno iniziò ad applaudire, estasiata, mentre tutti alzavano i calici e scolavano l’ennesimo bicchiere stracolmo.
   “Bella storia! Bravo!”
   “Sei grande! Ancora una!”
   Galvano scese dalla sedia e calmò con un gesto chi ancora continuava ad inneggiarlo.
   “Su, su! Troppo gentili!”
   “Ehi! Racconta di nuovo la storia del cavaliere che sconfigge i due impostori in quello strano torneo!”
   “La giostra.” lo corresse Galvano con un sorriso “Certo. Ma lasciatemi prima rinfrescare. Ho la bocca completamente secca dopo aver parlato così tanto.”
   Così dicendo, il giovane si avviò verso il bancone della taverna.
   “Oste! Un'altra pinta, per favore.” disse, cercando con lo sguardo l’anziano che l’aveva servito poco prima. Dopo essersi voltato alla sua destra, però, trovò un bicchiere pieno di liquido dorato già pronto per essere servito.
   “Ottimo!” esclamò compiaciuto mentre lo afferrava e lo scolava in un sorso.
   “Ahhh! Ci voleva proprio!”
   “Che stai facendo?!” domandò con rabbia un uomo, avvicinandosi.
   “Cosa vuoi che stia facendo? Sto bevendo!”
   “Il mio bicchiere, però!” urlò in risposta il tizio.
   Galvano scosse le spalle.
   “Non ci ho trovato il tuo nome scritto sopra, mi dispiace. Poi, hai fatto male a lasciarlo qui!”
   “Maledetto!” esclamò l’uomo furioso.
   Dopo averlo guardato attentamente con gli occhi venati di sangue, portò due dita alla bocca ed emise un fischio. Non trascorsero pochi secondi che diversi uomini tra quelli seduti ai tavoli lo affiancarono prontamente.
   “Oh! Che paura!” esclamò Galvano, con ironia “Noto, comunque, che i tuoi amici puzzano almeno quanto te. Si vede che frequentate lo stesso porcile.”
   A quell’insulto, l’uomo fece cenno agli altri di attaccarlo, che, senza indugi, si misero in azione.
   Il primo venne scartato facilmente da Galvano, che gli assestò un pugno sulla nuca e lo stese a terra. La stessa sorte toccò poi anche al secondo così come al terzo, che non poterono nulla se non incassare i colpi che gli rifilava con gran maestria il giovane guerriero. Ad un certo punto, però, uno strano giramento di testa prese il sopravvento su di lui, probabilmente dovuto ai diversi bicchieri di birra bevuti. Cercando di schivare l’ennesimo colpo, infatti, inciampò una gamba nell’altra e cadde a faccia in giù, sbattendo la fronte.
   Stordito e confuso dalla botta, tentò invano di rialzarsi. D’improvviso percepì due braccia che lo afferravano e lo giravano supino. Aprendo gli occhi, riuscì a malapena a scorgere il sorriso dell’uomo di fronte a lui, lo stesso con cui aveva avuto la disputa. La sua vista era molto annebbiata, ma fu in grado comunque di distinguere i denti anneriti che digrignavano con soddisfazione.
   “Prendetelo! Nessuno si fa beffe di Jarl e la passa liscia!”
 
***
 
    Galvano si ridestò diverse ore più tardi. Strofinandosi con la mano la testa ancora dolorante, notò degli uomini che lo fissavano incuriositi. Messosi subito in piedi, si guardò intorno allarmato. L’unica cosa che vide fu una ventina di persone dall’aspetto trasandato e dai modi piuttosto rozzi che si muovevano a pochi passi di distanza da lui in quell’ambiente angusto. La parete di pietra circolare che delimitava quel posto lo faceva apparire molto simile ad una fossa, anche se era evidente che doveva trattarsi di una specie di prigione.
   “Come va?”
   Un uomo piuttosto alto e dall’aspetto meno bellicoso degli altri si fece avanti verso Galvano.
   “Bene, direi!” gli rispose con un sorriso spavaldo “Dove sono finito? Nelle stanze reali?”
   “No, amico. Sei finito nella palude più putrida che ti poteva capitare.”
   “Oh, dai! Da come ne parli, sembra un brutto posto!”
   L’uomo gli si avvicinò fino ad essergli faccia a faccia.
   “Lo è. Jarl non è un tipo con cui poter scherzare. Dammi retta.”
   “Chi è questo Jarl?”
   “Un mercante di schiavi. Da queste parti ci si tiene alla larga da lui se si vuole vivere a lungo.”
   “Tu non ci sei riuscito, però.” commentò Galvano con un sorriso.
   L’uomo lo fissò male per un attimo prima di rispondere.
   “Mica si può sempre scegliere come far andare le cose! Perché? A te va sempre come dici tu?”
   “Io non pianifico niente, così non ci resto male dopo. Dovresti provare.”
   “Eh! Forse hai ragione. Io sono Berior, comunque.”
   “Galvano.”
   “Bene, Galvano. Non perdere il tuo entusiasmo per la vita. Qui ce n’è un gran bisogno.”
   “Altro che entusiasmo! Qui ci vorrebbe l’intervento del re in persona!” disse un altro uomo di fianco a loro.
   Berior scosse il capo.
   “Re Cenred non muoverà un dito per noi. Stanne certo. È ormai risaputo che è in affari con Jarl.”
   L’uomo sputò per terra.
   “Re Cenred fa schifo come sovrano! Vorrei tanto averlo tra le mani!”
   “Tutti i re fanno schifo.” sentenziò Galvano deciso “È nella loro natura di nobili. Salvo qualche eccezione, non credo ci si possa aspettare di più da loro.”
   Berior stava per controbattere qualcosa, ma dalla postazione sopra quella specie di fossa apparve Jarl.
   “Silenzio, luride fecce!” urlò rabbioso richiamando l’attenzione di tutti “Vedo che iniziamo a stare un po’ stretti lì sotto. Forse è ora di fare spazio. Chi di voi vuole farmi divertire oggi? C’è qualche volontario?”
   Tutti i presenti fecero un passo indietro ed iniziarono a mormorare spaventati, fissando il pagliericcio sul terreno.
   “Ehi, tu!” esclamò Jarl, indicando Galvano “Non fai più lo spiritoso ora che sei in gabbia?”
   “Non sprecare il fiato. Non mi fanno alcuna paura i prepotenti come te. Fate tanto i duri, ma sotto sotto siete dei gran codardi.”
   Jarl gli sorrise in risposta.
   “Però! Quanta vivacità per uno scarafaggio schifoso! Mi hai convinto! Portatelo nell’arena!”
   A quelle parole, un clang di serratura riecheggiò nella cella. La porta si aprì subito dopo e fu oltrepassata da due uomini che, con fare brusco, prelevarono Galvano e lo condussero fuori.
 
***
 
   I due scagnozzi trascinarono Galvano e altri quattro uomini, compreso Berior, fino ad una putrida stanza adiacente alla prigione in cui erano rinchiusi. Le pareti e i pavimenti erano luridi e impolverati e le ragnatele sovrastavano ogni angolo della camera. Una piccola folla si era radunata ad assistere mentre Jarl sedeva su una vecchia sedia malmessa, posizionata di lato. Dal modo in cui poggiava la schiena e teneva incrociate le gambe sembrava come se la considerasse alla pari di un trono.
   “Però! Direi che chiamare questo posto “arena” è un po’ esagerato.” commentò il giovane mentre si guardava intorno.
   “Ben arrivati!” li accolse Jarl con un sorriso beffardo, ignorando le parole del suo prigioniero “Siamo tutti ansiosi di vedervi all’opera.”
   L’uomo gettò quattro spade per terra.
   “Le regole dell’arena sono molto semplici: combattete finché non ne resta in piedi soltanto uno. Avanti! Cominciate!”
   A quel grido, i quattro uomini al fianco di Galvano scattarono subito a raccogliere le armi sul pavimento. Lui, invece, rimase immobile.
   “Che fai, idiota?! Hai troppa paura per riuscire a muoverti?” urlò un balordo che assisteva allo scontro.
   Galvano, però, non badò all’insulto e continuò a fissare gli altri prigionieri, in quel momento anche avversari, che impugnavano l’arma e si attaccavano a vicenda. Berior, afferrata la spada, dovette subito difendersi, parando prima un colpo frontale e poi uno laterale di altri due che lo avevano puntato come bersaglio.
   “Ahhhhh!” gridò l’altro prigioniero che, invece, aveva scelto Galvano come suo obiettivo.
   Lui scartò facilmente l’attacco, chinandosi al momento giusto ed assestando una ginocchiata al basso ventre del suo assalitore. Quest’ultimo boccheggiò dal dolore fino a chinarsi a terra.
   “Questa la prendo io!” esclamò Galvano, disarmandolo.
   Berior, intanto, era riuscito a ferire a morte uno dei suoi due avversari e si apprestava a schivare i colpi dell’altro. Galvano, incerto in un primo momento sul da farsi, decise di accorrere in suo aiuto.
   “È bello grosso.”
   Berior sbuffò con disinvoltura.
   “Anch’io lo sono se non l’hai notato. E poi, non dovremmo combattere da soli?”
   “Non so cosa hai capito tu, ma a me è sembrato che possiamo fare quello che ci pare, purché combattiamo.”
   L’omone di fronte a loro, nel frattempo, partì all’attacco. Con un urlo rabbioso percorse il tratto che lo separava dai due avversari e menò un fendente verticale verso Berior. Quest’ultimo riuscì con fatica a parare il colpo, ma perse l’equilibrio e cadde a terra.
   “Ehi, tu! Fammi vedere che sai fare!” intervenne Galvano, attirando la sua attenzione.
   “Come vuoi!” gridò l’altro in risposta.
   Con una sola falcata gli fu di fronte. Mentre si apprestava a far calare l’arma su di lui, però, Galvano intercettò la lama con la sua spada e, con un movimento circolare, la divincolò dalla presa del suo avversario, facendola balzare in aria ed afferrandola con disinvoltura con la mano libera.
   “Ma come hai f…”
   L’omone s’interruppe all’improvviso. Berior, appena rialzatosi, l’aveva trafitto alla schiena.
   Galvano lo fulminò con lo sguardo.
   “Non si colpisce alle spalle. Non è corretto.”
   “Possiamo fare quello che ci pare. Lo hai detto anche tu, o sbaglio?” ribatté Berior, mentre si avvicinava al primo prigioniero sconfitto da Galvano. L’uomo si divincolava ancora dal dolore.
   “Facciamo pulizia.” commentò, prima di infilzarlo sul torace con la sua spada.
   Galvano rimase attonito nel vedere quella scena.
   “Mi eri sembrato diverso da così. Ma evidentemente mi sbagliavo.”
   “Si fa quel che si può per vivere. Io non faccio eccezione. Te l’ho anche detto, prima.”
   “C’è differenza tra voler sopravvivere e giocare sporco. Ma non credo che tu possa capirlo.”
   “No, infatti non lo comprendo. O si vive o si muore, non ci sono vie di mezzo.”
   Berior, a quel punto, corse in direzione di Galvano. Quest’ultimo non attese il suo avversario e gli andò anche lui incontro. Arrivati uno di fronte all’altro, entrambi colpirono con le loro spade. L’impatto delle due armi emise uno stridio metallico che risuonò per l’intera stanza. Un secondo affondo riecheggiò come il primo, ma fece indietreggiare Galvano di un passo. La forza bruta dell’uomo che aveva di fronte era notevole, tanto da metterlo in difficoltà.
   “Finiamola qui!” esclamò Berior, caricando un altro fendente.
   Nonostante il gesto non fosse molto rapido, Galvano non sembrò in grado di reagire. Il filo dell’arma era ormai prossimo a colpirlo, quando d’improvviso incrociò entrambe le spade che impugnava, fermando appena in tempo la lama. Poi, con una spinta poderosa, spostò indietro il suo sfidante. Quest’ultimo, però, non si lasciò scoraggiare e si portò di nuovo all’attacco con un fendente orizzontale. Galvano parò senza problemi anche quel tentativo, bloccando la lama con l’arma impugnata nella mano sinistra mentre sollevava in alto l’altra brandita nella destra. Con un movimento deciso, calò poi la spada verso l’uomo, trapassandogli l’addome e lasciandolo con un’espressione stupita e sconsolata al tempo stesso.
   “…No.”
   “È così che si colpisce un avversario.” disse Galvano, ritirando l’arma dal corpo di Berior mentre questi si accasciava al suolo, esamine.
   Jarl si alzò in piedi ed applaudì tra le urla fuori controllo dei suoi sottoposti che stavano assistendo alla scena.
   “Ben fatto, mio nuovo campione!” disse, indicando poi un uomo tra la folla esultante “Tu! Vai a prenderne altri. Il divertimento non è ancora finito.”
 
***
 
   Galvano entrò nella cella comune, trascinandosi a fatica. Erano ormai due giorni che veniva usato come “intrattenimento” nell’arena di Jarl ed era allo stremo delle forze. Una volta arrivato vicino al muro, si accasciò a terra e poggiò la testa contro la parete.
   “Ehi, tu! Sei il primo che torna dall’arena per due giorni di fila. Come hai fatto?” chiese un altro prigioniero di fianco a lui.
   “Spera di non scoprirlo.” gli rispose Galvano, infastidito.
   Di solito era sempre avvezzo a fare battute, ma in quel momento non ne aveva proprio voglia. Era stanco di quella situazione. Non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma iniziava a stufarsi anche della vita che faceva. “Ogni giorno è un’avventura” si ripeteva sempre. E a Galvano piaceva molto l’avventura, però da qualche tempo non la pensava più in quel modo. Vivere alla giornata era diventato un po’ più faticoso e lui sapeva anche il perché. Da quel giorno alla taverna in cui aveva aiutato un certo principe e il suo fidato servitore, aveva visto e capito cosa significasse fare la differenza. Dopo quell’incontro, si domandava con sempre maggiore frequenza se non dovesse fare qualcosa di più importante nella sua vita, proprio come suo padre prima di morire in battaglia. Ripensando a lui, Galvano portò istintivamente la mano al ciondolo che indossava al collo, stringendolo e chiudendo gli occhi.
   “Cosa devo fare?” pensò “Sto facendo la cosa giusta, secondo te? Se è così, ti prego, dammi un segno. Uno qualunque…”
   Riaperte le palpebre, però, si sentì improvvisamente stupido. Quindi, scrollando la testa, si appoggiò ancor di più contro il muro e si mise a guardare il soffitto. Rimase diverse ore in quel modo, o almeno così gli sembrò, finché la sua attenzione non fu catturata dalla porta della cella che si apriva. Due scagnozzi di Jarl varcarono la soglia e trascinarono dentro altri due malcapitati, uno dei quali doveva anche essere svenuto. Dalla posizione in cui si trovava, però, Galvano non riuscì a scorgere un granché, anche perché una buona parte dei prigionieri si mise intorno a loro, incuriosita. Stava per tornare a guardare all’insù quando udì delle voci a lui molto familiari.
   “Cosa dicevate riguardo al mio pessimismo?”
   “Non lo ricordo più.”
   Galvano a quel punto scattò in piedi e guardò con maggior attenzione verso i due nuovi arrivati. Un sorriso gli si stampò in volto quando riuscì finalmente a vederli.
   “Grazie, papà.” mormorò a bassa voce, mentre andava loro incontro con rinnovato entusiasmo.
   
 
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