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Autore: Neamh Moonstar    23/07/2022    1 recensioni
Bene e Male non possono toccarsi, letteralmente. Se angeli e demoni provassero ad avvicinarsi gli uni a gli altri, si ferirebbero a vicenda fino a consumarsi: è un dato di fatto. Per questo i Regni del Bene e del Male - con le loro rispettive armate - vivono e lavorano a distanza di sicurezza, affidando a gli umani il compito di combattersi a vicenda in una serie infinita di battaglie.
In questo mondo nettamente diviso e basato su tali certezze - un guardiano distratto, una bestia casinara e un gruppo di umani poco convinti, scopriranno cosa significa stare giusto nel mezzo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Raphael aveva sempre avuto una pazienza infinita, ma la verità è che tutto ha un limite.

Subito dopo il suo sgradevole incontro con il guardiano all'Inferno, volò svariate volte lungo il Confine nell'arco di una sola giornata, sperando di trovare ciò che tanto voleva: qualcuno pronto a dargli una mano. Ovviamente non accadde, e il senso di tradimento iniziò pian piano a consumarlo come una fiamma consuma l'ossigeno: lentamente ed inesorabilmente. Se non poteva contare su Aziraphale, allora avrebbe contato su sé stesso.

Incontrò spesso Michael e Gabriel intanto che andava avanti e indietro, ma non rivolse loro che qualche parola. Non aveva bisogno di quei due: lui sapeva bene cosa fare e avrebbe adempiuto al suo compito. Aveva visto cosa l'Arma era capace di fare ad un angelo anche solo toccandolo, ma aveva visto anche quanto fosse piccola e difettosa. L'aveva seguita in lungo e in largo, studiandone le espressioni e i movimenti, arrivando a tessere un piano per ucciderla. Forse questo non avrebbe fermato l'Inferno, ma lo avrebbe certamente riabbassato allo stesso livello del Paradiso. Allora avrebbero combattuto, certo, ma la minaccia più grande sarebbe stata sventata.

Non avrebbe voluto arrivare a quello, pensò una volta tornato alla base della fortezza celeste. Ma a mali estremi, estremi rimedi. L'unica fetta di umanità che ancora poteva sperare di provare amore era la loro, ed era quella a cui avrebbe dedicato tutti i suoi sforzi, senza se e senza ma. Forse, una volta eliminata la mela marcia, tutto sarebbe stato più facile. E poi, lui da solo era riuscito a scoprire ciò che il Paradiso aveva capito solo una volta vista l'Arma entrare galoppando nel quartier generale nemico, e per farlo gli era bastata una piuma.

Una volta conclusa tutta quella storia, avrebbe fatto una bella chiacchierata con i suoi colleghi per riassestare la piccola piramide gerarchica che c'era tra loro. Anche se forse "piramide" non è il termine più adatto, dato che sulla cima c'erano Gabriel e Michael, mentre sotto - schiacciato - c'era lui.


Quando durante la notte gli arrivarono le voci che annunciavano la ritirata delle truppe umane nemiche, Raphael sentì le piume rizzarglisi: era il suo momento.

    «Vado a dare un'occhiata» disse a Michael, raggiungendolo in un batter d'occhio.

Il guerriero non aveva perso tempo: andava avanti e indietro a grandi falcate, attraendo a sé i soldati con un unico cenno del capo. Il suo compito era suonare le trombe e dare inizio a quella che Raphael già vedeva come l'apocalisse. 

    L'arcangelo dal volto di donna non gli rivolse nemmeno un'occhiata. «Richiama i tuoi» disse solo. «Il tempo di sistemarci e andiamo al Confine.»

    «Avrai un piano, voglio sperare» infierì il guaritore, quasi sperando di creare una breccia nelle impenetrabili difese del collega. «Come pensi di sopraffare il ragazzino?»

    «Senti, Raphael» lo ammonì Michael, lo sguardo duro e la voce risoluta, «io penso al mio e tu pensi al tuo. Ora va' e lasciami lavorare.»

E il guaritore se ne andò con uno sbuffo e uno sbattere di ali volutamente impetuoso. Quasi gli mancava la compostezza di un tempo, ma di nuovo: tutto ha un limite.


Fu durante quel breve periodo di stallo che provò spesso a seguire a ritroso il filo dei suoi ragionamenti. Era sempre stato attento ai dettagli: laddove gli altri si buttavano a capofitto, lui saggiava il terreno, aspettando il momento giusto per agire. Era così anche con certe ferite: devi osservarle, prestare attenzione a come si evolvono e poi decidere come curarle. Per questo aveva capito che l'Arma era un contenitore troppo piccolo per un potere troppo grande. Per questo aveva sempre visto in Aziraphale ciò che gli altri arcangeli ignoravano, fissi com'erano nel seguire strade tutte dritte, tutte calcolate, tutte esattamente conformi, senza mai chiedersi cosa sarebbe successo in caso di imprevisti.

Con il guardiano aveva sbagliato, o meglio: dall'alto della sua sezione di fortezza lo vedeva il modo pensoso, afflitto e svogliato in cui faceva la ronda. Quel fascio di luce sapeva che la gabbia d'avorio in cui viveva non funzionava bene come avrebbe dovuto, l'aveva capito sin dal primo istante. E Raphael se n'era accorto solo dopo qualche sguardo; se n'era accorto già nel modo riluttante in cui Aziraphale aveva accettato la spada con la quale adesso sembrava avere un rapporto fatto di tira e molla. Ma l'arcangelo era rimasto in silenzio perché sapeva bene quanto la fortezza del Paradiso non fosse solo l'etereo edificio in cui lavoravano, ma anche l'invisibile muro che si era formato attorno all'aurea di tutti dopo la Caduta. Vedere coloro che aveva considerato amici finire divorati tra le fiamme lo aveva rattristato all'inizio, ma poi aveva visto le creature grottesche che erano diventati e aveva capito di essere nel giusto.

E poi?

E poi aveva visto l'unico altro angelo con un minimo di sale in zucca andare ad abbracciare il lato oscuro senza Cadere. Non aveva vacillato un secondo, mai, nemmeno affiancando quel demone sull'uscio della porta davanti alla quale avevano parlato. Stava facendo comunella con i distruttori di tutto ciò che Dio amava, eppure le sue ali e la sua aurea brillavano così tanto da far paura al sole.

Era ingiusto. Era dannatamente ingiusto.

Su una cosa, però, Raphael sapeva di avere ragione: l'Arma. Satana era proprio stupido se pensava di usare quel pargoletto dai riccioli dorati contro l'Armata dell'Altissima. Quel bambino poteva anche far esplodere mezzo pianeta, ma sempre un bambino era: una lama ben affondata e tutto sarebbe finito.

Era accaduto già tante volte che giovani umani perissero in guerra. Quella sarebbe stata l'ennesima e, se Dio voleva, anche l'ultima.


~•°•~


La mattina era iniziata in modo particolare. Prima di tutto, Crowley non si sarebbe mai aspettato i ragazzini - e a giudicare dalla faccia, nemmeno Shadwell. Infatti si stupì nello scendere al piano terra e trovare il salotto invaso dai tre della Zona tutti saltellanti attorno alla poltrona in cui Anathema era andata a no, non sedersi, probabilmente il verbo migliore è: ripararsi, ripararsi da quella mini ondata di domande, domande, domande.

Newton, dal canto suo, si era rintanato dietro lo schienale della suddetta poltrona, un po' divertito e un po' intimorito. Al tutto si aggiunsero i due più anziani che, battibeccando, si spostarono in cucina poco prima che il demone potesse arrivare alla base delle scale.

    «Non posso credere che te li sei portati dietro, donna» brontolò Shadwell.

    Tracy sorrise: «Te l'ho detto: vogliono sapere tutta la storia. Sono ragazzini: lasciali fare.»

Non appena furono usciti di scena, Crowley sentì Aziraphale affiancarlo e la sua facciotta inebetita fece aumentare un po' di più il livello di confusione generale. Piccoletti casinari, adulti incapaci di contenerli, punti in più per la coppietta in disaccordo che lascia la situazione alla deriva e bum, la ciliegina sulla torta: un angelo preso alla sprovvista. L'animo del rosso prese a crogiolare di piacere: quello sì che era divertente, accidenti. Una manna dopo gli ultimi eventi.

    Nel vederli sull'uscio del salotto, Anathema tirò un sospiro di sollievo. «Ehi ragazzi, guardate chi c'è» disse ai tre, facendoli voltare di scatto.

    Pepper fu la prima. Si catapultò davanti a Crowley e, senza neanche respirare, chiese: «Hanno cercato di uccidervi all'Inferno?»

    Il tempo di finire di parlare che Brian le arrivò alle spalle: «Satana voleva mangiarvi?»

    Wensley, invece, arrivò con un po' - giusto un po' - più di pacatezza: «Ma, tipo: se un angelo tocca le pareti dell'Inferno, si brucia le dita?»

Come chiunque si sarebbe aspettato, la lite fu immediata: Pepper iniziò a dire che c'era prima lei, Brian a dire che non dovevano per forza rispondere in fila, Wensley a cercare di calmarli solo per essere zittito nel giro di un nanosecondo. Insomma, un gran bel casino.

Un casino che fece sogghignare Crowley abbastanza da essere richiamato con un leggero strattone della manica. Almeno Aziraphale aveva smesso di farlo sobbalzare con tocchetti a tradimento, si disse.

    «Evidentemente la cosa ti diverte» intuì quest'ultimo, le dita ancora ben strette alla stoffa scura della camicia dell'altro, «ma hai qualche idea?»

    Crowley sbuffò senza smettere di sorridere: «Guarda e impara». Oltrepassò il trio, andò a tuffarsi con nonchalance sul lato sinistro del divano, scoccò un'occhiata ai due della poltrona e, dopo un deciso schiarimento di voce, disse: «Sì, hanno cercato di ucciderci.»

Pepper, Brian e Wensley smisero all'unisono di litigare e, veloci come furetti, andarono ad appostarsi tutti sopra al tappeto davanti al divano, il fiato sospeso.

    Allora il demone si raddrizzò giusto un pochino, guardò le piccole pesti una ad una e - con un'ottava di voce in meno perché fa molto storia dalle sfaccettature oscure e pericolose - riprese: «Erano a tanto così dal beccarci, ma li abbiamo battuti sul tempo.»

Fu così che, tra un sussulto e un commento del suo piccolo pubblico, Crowley si mise a raccontare cose che un po' erano vere e un po' erano inventate - un po' tanto, a dirla tutta. Mentre parlava, notò con la coda nell'occhio Aziraphale che andava ad accomodarsi sul lato opposto del divano, ma non poté soffermarsi sul suo volto come avrebbe voluto. Gli sarebbe piaciuto vedere il modo in cui le sue espressioni cambiavano, ma si sarebbe accontentato di quelle dei ragazzini - e quelle di Anathema, che tra le mani sugli occhi e gli sguardi al cielo faceva ridere lo stesso.

Una cosa, però, il rosso riuscì a notare bene anche nel bel mezzo del canto delle sue - delle loro, anzi - gesta. All'angolo della sua visuale, Aziraphale era un macchietta sui toni del crema, piccola e decisamente molto meno luminosa del solito. Ci aveva fatto caso durante la notte: nonostante la loro conversazione gli avesse evidentemente tirato su il morale e nonostante la sua aurea fosse sulla buona strada per tornare ad essere bella raggiante, nel complesso l'angelo gli era sembrato, beh, spento.

Avevano parlato un altro po' dopo la stretta di mano, anche se di nulla di interessante come le galassie o l'Eden. Ma nessuno degli argomenti che avevano toccato aveva fatto illuminare Aziraphale come quella volta con il biscotto, o come davanti alla cella subito dopo averlo trovato, o come quando aveva capito di essere riuscito a "strappargli" la storia della Caduta dalla bocca. Qualcosa non quadrava, anche se Crowley non avrebbe saputo dire come faceva a capirlo.

Vuoi la stanchezza, vuoi tutto quello che ti pare, ma ci aveva messo un po' a rendersi conto che erano Raphael e la spada il problema. Ovviamente, per Aziraphale doveva essere stato un colpo basso ricevere l'affare che più odiava al mondo dall'unico superiore che credeva di poter considerare un porto sicuro. Superiore che adesso lo vedeva come un traditore, una possibile minaccia e chissà cos'altro, d'altronde.

Il problema era che Crowley non aveva avuto il coraggio di affrontare la questione. Un po' si vergognava al pensiero di dover tirare su di morale un angelo, dall'altro non aveva idea di come iniziare. Insomma, non sapeva nemmeno che razza di rapporto avessero quei due - fermo restando che ne avessero mai avuto uno.


    Terminata la grande e pazzesca storia della loro fuga dalla tana del Diavolo - più aggiunte fantasiose - Pepper incrociò le braccia: «Non ci credo che non hai avuto paura nemmeno per un secondo in quella cella.»

    Crowley le rivolse una leggera smorfia, consapevole che se le avesse detto delle frustate l'avrebbe fatta vincere - e probabilmente l'avrebbe traumatizzata, cosa che non avrebbe giovato alla sua crescita o comunque alla sua vita in generale. Così si limitò a ribattere: «Paura? Io? Quando mai.»

Anathema soffocò una risatina, ma al rosso bastò scoccarle un'occhiataccia per farla tornare - più o meno - seria.

    «Sì, come no» rincarò la dose Pepper. «Scommetto che l'angelo ti ha dovuto consolare mentre piagnucolavi.»

    Wow, pensò Crowley, ora sì che si sentiva un po' ferito nel profondo. I bambini sapevano essere tremendi e ciò era tutta legna per il suo falò interiore. Mise su l'aria di sfida più convincente del suo repertorio e fece iniziare quella che già considerava una battaglia da vincere: «E invece no. Tu che ne vuoi sapere?»

    «So che i demoni sono dei gran bugiardi. Perciò per me hai pianto.»

    «E invece no.»

    «E invece sì.»

    «Ti dico di no.»

    La cosa andò avanti almeno altre cinque o sei volte. Fu Wensley ad intromettersi e bloccare quel tira e molla: «Chiediamo ad Aziraphale, no?»

Sei paia di occhi piombarono all'unisono sull'angelo, il quale si strinse un po' nelle spalle come a chiedersi cosa avrebbe dovuto fare in una situazione del genere. Crowley non poté fare a meno di sorridere: la cosa si faceva interessante, forse anche troppo interessante.

    «Beh» prese a dire Aziraphale, raddrizzandosi un po', «considerando che ha passato ore alla mercé di un signore dell'Inferno, se l'è cavata molto bene.»

Non un tremolio, non un'insicurezza, neanche un piccolo torturarsi le dita: era sicuro di quello che aveva detto. Crowley sentì la sua aurea rimescolarsi in modo strano alla luce di quella realizzazione, anche se non avrebbe saputo dire perché.

    Pepper emise un convinto "mh", prima di affermare: «Se lo dice lui, ci credo.»

Il resto del gruppetto fu automaticamente d'accordo con lei, ma il demone non era nelle condizioni di far finta di prendersela - di fare un pochino finta di prendersela. Era troppo occupato a fissare la sua controparte, la quale ovviamente ricambiò lo sguardo, come sempre.

Era come se tra loro si fosse effettivamente sbloccato qualcosa dal giorno prima. Che cosa, Crowley non avrebbe saputo dirlo.


    Ad un certo punto, Tracy sbucò dalla porta del salotto: «A chi va la colazione?» canticchiò.

I tre della Zona balzarono in piedi e fecero a gara a chi arrivava al tavolo per primo, seguiti a ruota da Tracy, mentre gli altri due umani si avviarono subito dopo.

    Poco dopo essersi alzata, Anathema scoccò un'occhiata a Crowley: «Bella storia: potresti scrivere un libro» disse sarcastica.

    Normalmente, il rosso avrebbe trovato il modo di ribattere, ma non stavolta. Balzò in piedi con una spinta delle braccia e le si parò davanti: «Avete intenzione di iniziare a parlare di piani e apocalisse già da adesso?»

    La giovane sbatté gli occhi un paio di volte, confusa. «Beh, aspettiamo che i ragazzi finiscano di fare colazione e poi ne parliamo, sì. Perché?»

    «Bene, allora possiamo prenderci un attimo» affermò Crowley, indicando sé stesso e Aziraphale, il quale aveva fatto giusto in tempo a rimettersi in piedi e guardarlo confuso.

    Anathema sospirò, poi lo prese da parte, andando a mettersi in fondo alla stanza. «Va bene che vi avevo detto di parlare» sussurrò, «ma già vi mettete a fare comunella da soli?» 

    Il sorrisino con cui pronunciò l'ultima domanda fece capire a Crowley di dover usare le maniere forti: «Dacci cinque minuti» ordinò.

Al quel punto, lei non poté che alzare gli occhi al cielo, far ricadere le braccia lungo i fianchi e riavviarsi fuori in silenzio.

    Newton, confuso quanto l'angelo in tutto ciò - se non di più - si sentì in dovere di ridire: «Così non è giusto, però...» mormorò.

    «Lascia stare» lo richiamò Anathema da fuori, «andiamo a mangiare.»

    Una volta rimasti soli, Aziraphale guardò la sua controparte con aria interrogativa: «Qualcosa non va?»

    Crowley si strinse un po' nelle spalle: «Ah, non lo so. Dimmelo tu». Lo osservò per qualche secondo e si disse che, ora che era tornato nella comodità delle stoffe color crema che tanto gli si addicevano, l'angelo sembrava decisamente più tranquillo e a suo agio. Non abbastanza, però.

Aziraphale aggrottò appena la fronte, ma i suoi occhi presero a vagare in giro. Bingo.

    «Senti» riprese il rosso, «abbiamo bisogno della tua testaccia intelligente e quella non funziona se hai ancora delle questioni in sospeso - fidati, lo so.»

    L'angelo sospirò, prendendo a giocherellare con un bottone: «Dici che è stato Raphael a mandarci un mastino alle calcagna?» Chiese in una mezza lamentela che sperava di essere smentita.

    Crowley non aveva considerato quell'opzione, ma effettivamente avrebbe spiegato perché quel cagnaccio avesse puntato anche ad Aziraphale. «Può essere» ammise, «e allora? Ormai è andata. Lascia perdere quello lì.»

Ma l'altro non sembrava molto pronto a lasciar perdere. In un certo senso, il suo punto di vista era comprensibile: era un essere con idee diverse, buone intenzioni e un sacco di incomprensione sulle spalle; l'unico altro suo simile che sembrava gentile con lui non gli aveva nemmeno dato la possibilità di spiegarsi, e ora si sentiva di aver perso quello che considerava un buon appoggio. E se c'era qualcuno che sapeva bene ciò che si prova a perdere il terreno sotto i piedi, quello era Crowley.

    Perciò si avvicinò giusto un pochino, infilò le mani nelle tasche e spostò la testa per incontrare quelle ora lacrimose iridi celesti. «Fammi capire» disse, alzando un sopracciglio, «secondo quale logica io non merito le parole di Raphael e tu sì?»

    L'altro fece spallucce, lo sguardo perso nel osservare le sue dita che si abbracciavano l'un l'altra: «È che ho paura di quello che potrebbe fare adesso» ammise. «Non volevo mettermelo contro.»

    «Tanto ci metteremo contro lui come contro tutti» gli ricordò Crowley. «Se è intelligente come sembra, capirà da solo quello che stiamo facendo.»

    I loro sguardi si incontrarono di nuovo. Aziraphale annuì appena, raddrizzando le spalle: «Giusto, giusto.»

    «Perché è sveglio, no? Gentile, gradevole e tutto il resto.»

    L'angelo continuò ad affermare: «Assolutamente sì.»

    «Quindi sei tranquillo?»

    «Più di prima, sì.»

    Soddisfatto, il demone si raddrizzò a sua volta e - con tutta la nonchalance che non aveva messo nel suo precedente tuffo sul divano - iniziò a dirigersi fuori dalla stanza: «E ci sono voluti meno di cinque minuti» commentò. «Vieni, andiamo a rivendicare quei biscotti che ti fanno andare in brodo di giuggiole.»

Sentì una presa sul colletto della camicia e fu costretto a tornare sui suoi passi. Voltandosi, vide Aziraphale guardarlo con una punta quasi bruciante di gratitudine. Non ci fu nemmeno bisogno che dicesse qualcosa: il "grazie" gli ballava sulle labbra peggio dei suoi ormai soliti sorrisini. Il rosso lo osservò e subito dovette soffocare l'idea che così come stava adesso, con la luce del mattino alle spalle che gli imbiancava ancor di più i riccioli, era quasi, quasi-

    «Non fare il carino, adesso» lo ammonì Crowley, facendosi scappare la parola che aveva cercato di fermare. «Su, colazione, muoviti.»

    L'altro alzò gli occhi al cielo: «Volevo solo essere gentile» disse pacato. Dopodiché lo superò e uscì, aggiungendo: «Comunque, semmai ti venisse davvero voglia di scrivere un libro, sappi che lo leggerei».



Crowley passò tutta la colazione ad osservare mezzo distratto ciò che accadeva attorno a sé.

I ragazzini se ne andarono in giardino con Tracy dopo aver finito di mangiare: avevano il sorriso sul volto e i sacchetti pieni di biscotti. Non avevano fatto domande né sul segugio, né su Adam, ma capì che forse era dovuto al fatto che si erano spaventati abbastanza da decidere di non parlarne più attorno agli adulti. Qualcosa gli diceva che invece tra loro dovevano aver tirato fuori l'argomento, per forza: erano bambini, e i bambini non sono tipi da ignorare avvenimenti del genere.

A Newton venne dato il compito di tornare subito a controllare le voci riguardanti gli eventi al Confine e lui accettò di buon grado, sapendo che quelle erano le informazioni più fondamentali che potessero ricevere al momento. Dallo stato della guerriglia avrebbero capito esattamente quanto tempo avevano - anche se "poco" avrebbe riassunto qualsiasi possibile risultato.

Alla fine rimasero lui, l'angelo alla sua destra intento a capire se gli piacesse più il latte con il miele o senza - alla fine scelse entrambi, comunque - Anathema che mentre finiva di mangiare rileggeva qualche foglio e Shadwell, il quale non aveva ancora stranamente detto una parola da quando la compagna era uscita.

    Fu la giovane a riscuotere l'attenzione generale: «Bene, siamo quasi sicuramente agli sgoccioli, perciò iniziamo a lavorare.»

    «Tutte le volte che proviamo a venire a capo di questa maledetta profezia, succede qualcosa» commentò Shadwell incrociando le braccia sul petto.

    «Appunto per questo direi di non perdere altro tempo». Detto ciò, Anathema mise al centro del tavolo il testo del quale avevano già parlato più volte: quello che riecheggiava attorno a loro come un monito.

Crowley si rese conto di essersi quasi dimenticato le parole, il che in realtà era comprensibile: aveva avuto altro a cui pensare e gatte molto più grosse da pelare.

Lo ripassò con lo sguardo, in silenzio: Quando il mondo si ridurrà ad una grigia battaglia, l'Amore nel male si annerirà e la Luce Alata prenderà in mano la sua Fiamma. Con la bestia dell'Eden al suo fianco, l'Arma forgiata dal fuoco dell'Inferno si spegnerà e rivoli dorati affonderanno l'Intoccabile Dicotomia.

Era stupidamente pomposa, ma questo se lo ricordava. La tradusse seguendo ciò che sapeva: Il Paradiso e l'Inferno se le sarebbero date si santa ragione, e poi l'Amore... Amore? Chi accidenti provava più amore, ormai? Esclusi forse gli umani della Zona Mediatrice.

    Sbuffò e spostò lo sguardo verso Aziraphale: «Idee?». In fondo, se c'era qualcuno capace di capirci qualcosa, quello era lui: già era arrivato ad intuire il significato di "grigia battaglia", il resto altro non era che un altro stupido rebus - un rebus sul quale ora potevano concentrarsi anima e, nel caso dei mortali, corpo.

    L'angelo aveva già iniziato a ragionare, ed era ovvio che le conclusioni che stava traendo non gli piacevano. Ad un certo punto mise su uno sguardo affranto e lo guardò a sua volta. «Cosa sai di Raphael?» Chiese, la voce rotta.

    Ancora lui. Allora era una fissazione. Crowley alzò gli occhi al cielo: «L'arcangelo guaritore dal carattere adorabile fintanto che non gli vai contro?»

    «E protettore dell'amore. L'Amore, Crowley» precisò Aziraphale, ignorando la provocazione e mettendo su l'aria stoica che su di lui sembrava un abito due taglie più grandi.

    Anathema sussultò e si sbatté una mano in faccia: «Sono un'idiota. Come ho fatto a non arrivarci prima?»

Protettore dell'amore, eh? Non era certamente un lavoro che si addiceva ad uno così propenso all'odio come mister ali dorate. Ma c'era di più, si rese conto Crowley rimuginando sul resto della frase: l'Amore nel male si annerirà, l'Amore nel male...

    «Oh, cazzo» mormorò non appena ebbe fatto due più due, unito i puntini, chiarito i collegamenti. Alzò appena la sua ala sinistra e la fissò: era bianca una volta - non bianca quanto quelle di Aziraphale, ma bianca - e adesso era nero-bluastra per almeno un paio motivi. Uno era che gli piaceva così, ma in primis era bruciata, anneritasi durante la Caduta. Era la prima cosa che succedeva: ti andavano a fuoco le scapole e l'ustione si propagava su tutte le piume, una ad una. Era logico: ali malmesse significava impossibilità di volare, e se non puoi volare non ti resta che cadere.

    «No, ma illuminatemi pure con calma» brontolò Shadwell guardandoli uno ad uno con fare sarcastico.

Durante la colazione, Crowley aveva anche colto che la storia della loro breve avventura all'Inferno - quella vera, s'intende - era passata da Anathema a Newton quella stessa notte e da Newton a Shadwell durante le prime ore del mattino. Ovviamente, intanto che erano soli in cucina, Shadwell aveva detto tutto a Tracy. In ciò era implicato anche il siparietto con Raphael, l'idiota che ora Crowley sentiva di detestare indipendentemente da ciò che Aziraphale pensava di lui. In sostanza: i capi della Zona sapevano già tutto.

    «Rischiamo che il guaritore Cada, anzi, a questo punto la vedo come una certezza» riassunse Anathema, accontentando il suo scorbutico collega.

    Shadwell emise un pensoso: "mh". Poi continuò: «Non pensavo che Dio facesse ancora certe cose.»

    «Nemmeno io» mormorò Aziraphale guardando altrove. Neanche il tempo di tirargli su il morale che ora la situazione era tornata a scombussolarlo peggio di prima.

Crowley sentì una specie di ringhio interiore. Non potevano andare avanti in quel modo, si disse afferrando il foglio e iniziando a scandagliare le righe come se volesse dar loro fuoco. Quindi sarebbe semplicemente andata così? Raphael avrebbe fatto un bel voletto di sotto, lui e Aziraphale avrebbero dato il ben servito ad Adam e qualcosa di dorato ci sarebbe finito in mezzo, cambiando le regole che per eoni avevano tenuto angeli e demoni a distanza. 

Rivoli.

    «Che accidenti è un rivolo?» Chiese nervoso. C'erano tante cose dorate che potevano servire da metafora - in realtà neanche tanto - e aveva bisogno di chiarimenti.

    «Un flusso lento e copioso di qualcosa, genericamente liquidi» spiegò Anathema. Poi lo fissò speranzosa: «Idee?»

Oh, oh. Quello cambiava tutto e sì, purtroppo gliene faceva venire in mente troppe di cose.

Crowley sospirò, rimise il foglio sul tavolo, si accasciò sulla sedia e guardò Aziraphale, il quale doveva aver già fatto lo stesso ragionamento che lui stava facendo in quel momento. Si scambiarono uno sguardo d'intesa, leggero ma almeno un minimo rassicurante, un modo per dire che stavano pensando sulla stessa lunghezza d'onda. Non era la prima volta che capitava, ma stavolta il rosso sentì di nuovo la sua aurea oscura saltellare impazzita - non aveva ancora capito cosa diamine dovesse significare quella reazione, ma decise di spostare la questione ad un momento più tranquillo e consono.

    «Smettete di confabulare in quel modo» li riprese Shadwell, che aveva capito a sua volta quel gioco di sguardi. «Che vi è venuto in mente?»

    «Il sangue degli angeli è dorato» disse Crowley tutto d'un soffio, lanciando in campo quell'informazione senza troppi giri di parole.

    «Durante la Ribellione se ne sono visti tanti di, beh, rivoli» concluse Aziraphale.

Altro che rivoli, si disse il rosso, quelli che gli angeli si erano procurati a vicenda durante la Ribellione erano fiumi. Era stata la prima e ultima volta che aveva visto quel fluido quasi brillante innaffiare il terreno, e aveva soffocato il ricordo così tanto da non aver colto prima l'antifona che la profezia gli aveva messo su un piatto d'argento. E a giudicare dal volto mezzo abbattuto di Aziraphale, a lui era successa la stessa cosa.

Gli umani parvero del tutto inebetiti. Crowley arrivò alla conclusione che se neanche Anathema lo sapeva, allora non era esattamente un'informazione di dominio comune. Si chiese perché... forse c'era qualcosa di estremamente sacro ed inviolabile nel cosiddetto sangue di una creatura celeste. Inoltre, guardando le bende ancora ben strette ai palmi dell'angelo, si rese conto di non averle mai viste macchiate. Forse non bastava il semplice contatto per provocare quel tipo di ferita - quello o Aziraphale era effettivamente difficile da buttare giù.

    «Ce ne vuole per far sanguinare un angelo» affermò Shadwell, come se gli avesse letto nel pensiero. «Molti dei demoni con cui ho dovuto lavorare bramavano di ferire a sangue uno dei vostri» spiegò, facendo un cenno ad Aziraphale.

    Questi non disse nulla a riguardo, ma era chiaro che si stesse figurando il concetto. Invece ricacciò indietro il magone che aveva reso i suoi occhi di nuovo lucidi - pratica in cui era bravissimo, si disse Crowley - e affermò: «Ora però dobbiamo capire cosa significa.»

    «Tutto come niente» disse Anathema prendendo appunti. «Magari verranno feriti più angeli che demoni, magari è semplicemente un modo per dire che molti si faranno male intanto che voi vi occupate del ragazzino, non ne ho sinceramente idea.»

    «In ogni caso» rimbeccò Shadwell, rigirando la conversazione, «a me innervosisce il fatto che non ci sia scritto come dovreste far fronte a tutto questo.»

E se per un veterano la strategia di guerra era importante, per Crowley in quel momento era un enorme pezzo mancante che rendeva quell'impresa sull'orlo dell'impossibile. Va bene lo scontro, va bene Raphael - cazzi suoi, sinceramente - va bene Adam - il cane un po' meno - va bene persino il sangue, ma in che modo potevano gestire il tutto loro due soli?

    Fu Aziraphale a rispondere. «Non ne ho idea» ammise, «ma di certo non ho intenzione di alzare un dito su quel ragazzino.»

    Anathema lo guardò con tutta la comprensione di cui era capace: «Sì, lo so. Riguarda quello che mi hai detto, immagino.»

    Crowley prese quasi d'istinto la manica della sua controparte - cosa che si stava rivelando incredibilmente utile e sicuramente non dolorosa - e lo fissò serio. «Sei sicuro che fosse pentito al cento per cento?»

    «Si è messo a piangere, Crowley. E poi è scappato» ribatté l'angelo, un po' contrariato.

    «Credimi, bestia. Se lo dice una creatura celeste, allora è vero» affermò Shadwell. «Questo però non cambia un accidente. Se volete la mia: abbiamo già capito cosa significano queste metafore da quattro soldi, ora si passa all'azione.»

    Anathema non dovette nemmeno farselo ripetere. «Va bene, prendo la cartina e pensiamo ad un modo per risolvere la questione e fare tutti contenti.»

Sarebbe stata un'altra lunga giornata, si disse il demone. Una di quelle che, una volta finito tutto, avrebbe cercato di dimenticare il prima possibile.


~•°•~


Adam sapeva di poter fare quello che voleva, ma la cosa non lo rendeva certo più tranquillo. 

Le sentiva ogni tanto: le voci che gli sussurravano di buttare giù ogni angolo di Terra perché fosse sua e potesse rifarla a suo piacimento. Ma non era del tutto vero, e lui lo aveva già capito: aveva capito che quello era solo un istinto, una specie di caratteristica naturale contro la quale poteva solo imparare a combattere. Nulla sarebbe stato veramente suo, ma di suo Padre. 


Quella mattina aveva lasciato la sala del trono in groppa a Dog - lo aveva chiamato così perché sapeva di semplice, dolce e mansueto; tre caratteristiche che avrebbe voluto insegnare alla bestia nera ora sua. Aveva fatto un giro attorno alla fortezza, osservando i demoni parlottare e prepararsi, felici come se avessero già vinto. Addirittura si allontanavano e si inchinavano quando lo vedevano, come fosse già il principe di tutto, e la cosa gli sembrava parecchio buffa; insomma: erano bestie la cui vera forma superava i limiti del grottesco e si riducevano ad animaletti curiosi ed educati di fronte al padrone.

Aveva poi superato il muro con la scusa di voler andare a giocare, scusa che suo Padre aveva accettato con un sorriso e un buffetto che sapevano solo di: "Tanto sei mio e posso richiamarti a casa quando voglio". Il solo pensiero spronò Adam a far correre Dog il più velocemente possibile verso il Confine, laddove adesso le truppe umane si stavano diradando e lasciando spazio alla Guerra con la "g" maiuscola.

Nel frattempo, la storia di come un angelo fosse riuscito ad entrare nella fortezza di Satana si era espansa in lungo e in largo, veloce come solo una voce tra bocce incorporee può essere. Adam si chiese cos'avrebbe fatto o detto il Paradiso a riguardo, ma forse non importava. Doveva raggiungere quella stessa creatura e doveva farlo in fretta.

Sia lui che Dog sapevano dove andare ed entrambi avevano la capacità di farlo così velocemente da non perdere tempo prezioso. Difatti, raggiunsero la grande area di nessuno in mezzo alla Terra in un batter d'occhio e da lì virarono verso il fitto dei boschi, lontani dai rimasugli delle prime briciole di conflitto. 

Fu lì che vennero bloccati.


In mezzo ad una radura se ne stava un angelo che Adam non riconobbe, alto, dagli occhi dello stesso colore del sangue e un bel paio di ali dorate. Frenò Dog e si mise a guardarlo: la sua aurea era dolce, delicata, cremisi e oro. Non sembrava tranquilla, però: vibrava di tradimento, tristezza e rabbia; si allungava verso l'alto alla ricerca di un aiuto che sembrava non arrivare mai e piangeva in silenzio.

    «Allora sei tu la chiave di tutto» gli disse l'angelo, stringendo tra le mani una spada dalla sottile lama lucida. Sembrava serio, determinato, per nulla intimorito. Non pareva avere buone intenzioni.

    «Non ho intenzione di combattere» affermò Adam, cercando di tenere a freno i ringhi di Dog.

    L'altro alzò la lama: «Meglio per me, allora. La cosa sarà più semplice.»

Erano ad un punto di stallo. Adam era certo di non voler fare nulla di avventanto, per quanto la sua natura oscura stesse già scalpitando impazzita, vogliosa di sbranare quelle belle piume ordinate.

    «Ascolta» disse allora, «la Guerra non inizia se non sono io a dare l'ordine. Ma se mio Padre scopre che non voglio farlo, me la farà iniziare lui e sarà molto peggio.»

L'angelo parve vacillare appena. C'era qualcosa dentro di lui che sapeva di star facendo la cosa sbagliata, ma era una sensazione troppo soffocata per riuscire a smuovere qualsivoglia buona intenzione.

    Difatti, questi strinse di più l'elsa della sua spada, rivolgendo ad Adam un sguardo carico di rabbia: «Mai mi fiderò del figlio del male, ragazzino. Sono stati quelli come te ad allontanarci da Lei, e non permetterò che accada di nuovo.»

Lei, pensò Adam. Dio? Era Dio che l'aura dell'angelo davanti a lui stava cercando di raggiungere? Non ce l'avrebbe fatta mai, non così, e lo capiva persino lui: un essere nato dal fuoco dell'Inferno.

Ma non c'era più spazio per il dialogo.

Finita la frase, l'angelo si gettò in avanti e Dog - causa istinto di protezione - contrattaccò. Adam poté solo vedere i denti del suo cane affondare nelle morbide e candide carni della creatura divina, dopodiché dovette chiudere gli occhi ed iniziare a combattere contro le voci che gli dicevano di attaccare a sua volta, intanto che veniva sballottato su e giù dall'impeto del duello.

Non poteva andare avanti così: bastava un non nulla e già sentiva il suo ipotetico sangue bollire. La prima volta era bastato toccare la testa di Dog e scoprire che gli era stato affidato un ordine, adesso il minimo accenno di conflitto aveva fatto partire una cacofonia di: toccalo, ti basta toccarlo! Bruciargli l'essenza sarà una passeggiata. E un sacco di altre frasi che si accavallavano, si calpestavano e mescolavano.

Ma lui non voleva. Non voleva.


Sentì Dog guaire e riaprì gli occhi. Il segugio aveva un taglio bordeaux e sfrigolante che gli segnava il muso di sbieco; girandosi poi verso il loro angelico aggressore, Adam notò che la ferita del morso aveva preso a fargli fumare il braccio. Nonostante ciò, l'angelo si eresse di nuovo, spada sguainata, pronto ad attaccare una seconda volta.

La lama divina aveva bruciato il suo cane, il morso del suo cane demoniaco aveva corroso l'angelo. Andando avanti così, si sarebbero eliminati a vicenda.

Si sarebbero eliminati a vicenda.

Adam sbarrò gli occhi. Ma certo: si sarebbero consumati perché quella era la loro natura. Ecco perché Paradiso e Inferno non si scontravano mai, perché non avrebbe portato a niente se non alla distruzione di entrambi. Com'è che non lo capivano? Cosa credevano sarebbe cambiato, stavolta? Davvero l'Inferno credeva che lui solo avrebbe potuto stravolgere tutto ciò? Ciò che i suoi stessi abitanti avevano causato, odiando tanto coloro che un tempo avevano considerato amici? E davvero il Paradiso pensava di poter rispondere al fuoco con il fuoco?

No, no, no. Qualcuno doveva metter loro un po' di senno in capo, e lui sapeva chi avrebbe potuto farlo.


Vide l'angelo iniziare a correre nuovamente verso di loro, una spinta delle ali a calibrare il tutto. Fu allora che Adam decise di sfruttare almeno un po' la natura oscura che tanto bramava di uscire allo scoperto.

    Prese un bel respiro e, con tutta la determinazione che riuscì a raccogliere, gridò: «Adesso basta!»

Il tono vibrante, cavernoso, quasi gorgogliante che venne fuori fu abbastanza da atterrare l'angelo, il quale si mise le mani contro le orecchie in un moto di dolore. Persino la sua aurea aveva iniziato a rimescolarsi, cercando di proteggersi dall'effetto di quell'urlo disumano.

Il cielo si rabbuiò, come smosso anch'esso dall'impeto di Adam, e qualche goccia di pioggia iniziò a cadere.

    «Scusami, ma lo faccio anche per te» sussurrò il ragazzino all'angelo in agonia e, con un colpetto rassicurante, spronò Dog a rimettersi in marcia. «Andiamo, bello. Troviamo qualcuno che ti sistemi quel brutto graffio.»

Fu così che l'Arma se ne andò via al galoppo, lasciando l'Amore indietro. In cuor suo, però, sapeva che si sarebbero rivisti.

Era solo questione di tempo.

   
 
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