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Autore: _Zaelit_    24/07/2022    0 recensioni
È trascorso qualche mese dal termine della lotta per la libertà dei guerrieri originati dal Progetto Jenova e Progetto Yoshua.
Sephiroth è partito in cerca della sua redenzione, mentre Rainiel vive con Zack ed Aerith nel Settore 5. Un altro nemico, però, intende portare avanti la guerra che loro credevano terminata. Quando un vecchio amico porterà discordia nelle vite dei due ex-SOLDIER, quando un angelo dalle piume nere tornerà a cercare il dono della dea, Rainiel e Sephiroth, e tutti i loro compagni, dovranno ancora una volta confrontarsi con un male più pericoloso del precedente e che, come se non bastasse, sembra conoscerli molto bene.
Libertà, amore, pace: tutto rischia di essere spazzato via ancor prima di poter essere ottenuto... e il Dono degli Dèi è più vicino a loro di quanto pensino.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genesis Rhapsodos, Nuovo personaggio, Sephiroth, Zack Fair
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Crisis Core, Contesto generale/vago
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- Questa storia fa parte della serie 'Heiress of Yoshua'
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Capitolo 40
NEL TUO ETERNO RIPOSO
 

Per la seconda volta quel giorno, Jadin legò bene la sua preziosa cavia al macchinario che aveva inventato. Il giovane uomo dai capelli argentati sembrava pacato, non perché fosse lieto di essere lì, ma perché probabilmente aveva perso la volontà di combattere. Non si poteva mai essere del tutto certi, però, e questo era il motivo per cui la scienziata lo aveva immobilizzato non solo usando le braccia dello stesso marchingegno, ma anche con dei droni magnetici, per non parlare delle ripetute iniezioni di sonniferi e calmanti a cui lo stava sottoponendo. Con una dose del genere avrebbe potuto stendere persino un elefante, ma il corpo del super-SOLDIER era semplicemente diverso, più resistente di qualsiasi altra cosa al mondo. C'era voluta un'ora intera, prima che iniziasse a dare i primi segni di spossamento.
Ora, finalmente, Sephiroth riposava con le mani aperte a croce e la schiena legata al macchinario. Jadin aveva avuto cura di inserire gli aghi nella sua pelle con le sue stesse mani, e il suo non era un tocco gentile.
Sephiroth percepì un forte senso di nausea. Lì, a petto nudo, immobile e circondato da luci bianche, con in sottofondo i "bip" delle macchine di monitoraggio, si sentì di nuovo quello che era stato da bambino e che, a quanto pareva, era destinato a essere per tutta una vita: un soggetto per esperimenti inumani. Un vero e proprio schiavo.
L'ultimo sensore fu finalmente appoggiato sul suo torace, in prossimità del cuore. Sephiroth strinse le labbra. Non le avrebbe dato la soddisfazione di sentirlo lamentarsi, men che meno urlare, neanche una singola volta.
«Ecco fatto.» Jadin batté una volta le mani e si asciugò il sudore dalla fronte con una manica del camice, «Siamo pronti a iniziare.» terminò, camminando a passo danzante per la vivacità fino al pannello di controllo.
Sephiroth non aveva aperto bocca da quando era entrato in quella stanza. Non aveva risposto a una sola delle domande che lei gli aveva posto, se non con gelide occhiate e silenziose promesse di vendetta. In quel momento si guardò attorno, notando la giovane Turk che un tempo aveva cercato di fermarlo, quando aveva finalmente deciso di eliminare Hojo. Quando l'aveva vista aveva pensato immediatamente che anche lei avesse tradito la fiducia di Rain e che dovesse subirne le conseguenze, ma si era poi ricreduto guardando più attentamente la sua mano bendata e i suoi occhi scavati dal pianto. Si rendeva conto che era stata costretta a essere lì, chissà sotto quale minaccia.
Ora, ebbe il bisogno di porre una semplice domanda. «Cos'hai fatto a Rain?» pronunciò con tono contenuto, guardando di nuovo la sua carnefice.
Jadin non gli prestò più di tanta attenzione. «Lo scoprirai tra poco, non essere impaziente.»
«Lei non mi ha riconosciuto.»
«Non è piacevole, vero? Se può farti star meglio, non è del tutto esatto quel che dici. Ti conosce ancora, ma non come l'uomo che sei oggi. Come molti altri, lei ricorda il grande eroe di guerra Sephiroth, il forte e valoroso Generale che la accolse nella divisione di SOLDIER. Quanto tempo è passato da quel momento? Non pochi anni, mh...» rifletté, per poi fare spallucce, «Be', per lei è come se fosse accaduto tutto solo poco tempo fa. Beata ingenuità.»
Lui ripensò ai cerotti che le coprivano il corpo, alcuni macchiati visibilmente di sangue, e mentalmente ricollegò quella vista alla situazione che lui stesso stava affrontando in quel momento.
«Cosa le hai fatto?» ripeté, buio in viso.
Jadin lo guardò in totale tranquillità, anzi, con una punta di soddisfazione. Davanti a lei aveva una bestia selvaggia finalmente domata. Gongolava dall'attimo in cui lo aveva rivisto.
«Ho fatto pulizia dei suoi ricordi superflui. Per esempio, quelli che riguardano voi due. Non prova più nulla per te, lo sai?» continuò a colpirlo per ferirlo non solo con i fatti, ma anche con le parole. Sephiroth pensò che questo fosse tutto ancora da vedere. «Non ha idea di cosa sia accaduto a Darefall, all'Oasi o nel DRUM. E non sa nulla delle sue origini, o delle tue. O di quelle di Genesis, per quel che importa.»
Gli occhi di Sephiroth si strinsero nell'udire quel nome. «Lui dov'è?» le chiese. Se stava per essere manipolato e torturato, tanto valeva togliersi qualche dubbio.
«Con lei, al momento.»
Il Generale si agitò, e il macchinario tremò al suo minimo spostamento, benché fosse completamente inoffensivo in quello stato.
Jadin sollevò un sopracciglio, calmando le proprie preoccupazioni. «Non le farà del male, non temere. Ora lei è la sua cara, giovane allieva, proprio come decidesti tu, ricordi?» gli sorrise, «Sarà una delle poche cose che ricorderai, tra poco.»
«Perché lavora per te?» domandò di nuovo l'uomo, riferendosi al vecchio amico.
«Vorrei dirti che lo fa perché è spinto dalla sua gelosia, o dal bisogno di dimostrarti il suo valore, ma in realtà... non ha avuto scelta. Genesis è una delle mie tante pedine.»
Questo cambiava le cose. Sephiroth fu scosso da una sensazione. Aveva dato la caccia al suo amico... che in realtà era quasi del tutto innocente. Comprese molte cose, persino i suoi discorsi. Cercava di dimostrarsi forte, ma era terribilmente spaventato.
«Quell'uomo non fa che blaterare di quel libricino e del Dono della Dea. È uno sciocco. Non si è accorto che esistono ben due dèi, e nessuno eccetto loro: Yoshua e Jenova.» Jadin fornì poi la sua versione, «Il tuo potere e quello di Rainiel. Il vostro legame. La vostra forza, unita... questo è il vero dono degli dèi, un dono che non è nato dalla fede... ma dalla scienza. Come qualsiasi altra cosa.»
Scienza, scienza, scienza. Sephiroth aveva imparato a detestare quella parola. Era vero, era stata la scienza il suo punto d'origine, ma ora rischiava anche di essere la sua fine, come lo era stata per suo padre... e probabilmente anche sua madre.
Non avrebbe ricordato più nulla neanche di loro. Tutte quelle scoperte, tutti i mesi trascorsi a superare il trauma di quel che aveva appreso sarebbero svaniti e lui sarebbe tornato a essere una macchina da guerra sopita alla mercé della Shinra. Il loro letale fenomeno da baraccone, con Jadin che tirava i fili di quello spettacolo di burattini preparato con minuzia.
«Ripensandoci...» continuò poi la donna, richiamando la sua attenzione, «Guarda il lato positivo: Rain non saprà mai che hai provato a ucciderla, tu non lo ricorderai...»
Sephiroth strinse le palpebre. Avrebbe perso volentieri la memoria di quell'episodio, ma in realtà sapeva quanto fosse importante nella storia della sua vita con Rain. Quando lui si era perso, e lei lo aveva trovato e riportato sulla via della ragione.
«Scommetto che il pensiero ti attrae. Dimenticare le tue colpe, come se non fosse mai accaduta una cosa simile. Ma non avrai questa soddisfazione, perché voglio rivelarti una cosa.» Jadin mosse qualche passo verso di lui, mentre Vaneja guardava la scena in totale silenzio.
Sephiroth la guardò dall'alto del macchinario, un angelo intrappolato e legato a una croce di metallo. La sua Masamune era scomparsa e lui non poteva muoversi, o l'avrebbe trafitta lì e subito, senza ripensamenti.
«Il tuo attimo di follia non è stato completamente colpa tua. Era stato programmato che accadesse, come voleva Hojo.» parlò però la donna.
In quel momento, l'arroganza di Sephiroth vacillò. La sua espressione dura e pragmatica lasciò spazio per un attimo alla confusione. Gli capita solo quando l'argomento sfiorato era quello, il suo passato, la complessità della sua psiche.
«Come puoi essere in grado di programmare una cosa del genere?» sibilò infatti a bassa voce, infastidito dai suoi tentativi di manipolarlo.
Eppure, Jadin era più sincera che mai. «Noi non possiamo farlo, ma Jenova sì.» mormorò infatti, «So che sei stato a Nibelheim. Dimmi, ti è capitato di sentire il suo richiamo? Anche Rain si sentiva inevitabilmente chiamare da Yoshua. È il vostro corpo a causare quest'attrazione, le vostre cellule, i vostri geni. Siete una parte viva dei mostri da cui discendete.»
La mente di Sephiroth fu scossa, come nel mezzo di una tempesta. Aggrottò la fronte e per la prima volta si sentì davvero stancato dai farmaci che gli scorrevano nelle vene e dalle peripezie di quella lunga notte.
«Jenova non ha potere su di me.» provò a convincerla, o meglio, a convincersi.
Lei scosse la testa. «Sì che ne ha. E più le stai vicino, più continuerà ad averne. Hojo parlava di una Riunione, ma non si riferiva solo a Yoshua. Alla fine, tutto ciò che è suo tornerà a lei, e questa sarà la tua fine.» spiegò con totale naturalezza, «Non abbiamo dovuto fare altro che spostare temporalmente Jenova qui a Midgar. Ho dato il diario di Hojo a Rainiel, e sapevo che non sarebbe riuscita a mantenere il segreto. Quella ragazza parla troppo.» sbuffò, sollevando le spalle, «Dopodiché sei venuto a cercarmi, come mi aspettavo. Ti ho consegnato le chiavi dell'archivio e hai iniziato a scivolare nella follia. Non ti biasimo, lo avrei fatto anch'io, sapendo di essere un mero esperimento. Noi... ti abbiamo solamente dato una piccola spinta. Ho studiato a lungo Jenova, so bene che non perderebbe occasione di corrodere la mente di chi gli sta attorno. Tu le sei andato incontro a braccia aperte, e lei ti ha sussurrato di uccidere Rainiel, l'unica cosa che ti avrebbe permesso di rimanere umano.»
Sephiroth rivisse quei momenti. Era semplicemente sconvolto, forse più del momento in cui aveva appreso del progetto che gli aveva dato la vita, più di quando si era ripreso dalla follia tra le fiamme dell'archivio. Nel giro di qualche breve secondo comprese di aver sbagliato per tutta la vita. La Shinra non era la sua nemesi, non erano i padroni del mondo che pensavano di essere, erano solo un mezzo per uno scopo. A tessere quella grande tela non erano loro, non era stato Hojo né Jadin, ma il vero nemico. E il vero nemico era Jenova.
Quell'essere... Sephiroth aveva dimostrato di avere buon senso, quando si era rifiutato di incontrarla. Probabilmente la creatura aliena avrebbe davvero fatto breccia tra i suoi pensieri, avrebbe consumato quello che di buono c'era in lui, lo avrebbe spinto a uccidere il giovane Cloud, che lo aveva accompagnato, e a dare alle fiamme Nibelheim. Dopodiché, sarebbe toccato a Rainiel, a Zack, a Aerith e Tifa. E al resto del mondo.
Non aveva mai riflettuto in quei termini. Questo cambiava tutto. E, in parte, mitigava il tremendo senso di colpa che lo aveva accompagnato ogni giorno della sua vita, dal secondo in cui aveva fatto del male a Rain nella convinzione di punire l'umanità attraverso di lei, di vendicare un tradimento.
Ora, non poteva assolutamente dimenticare una cosa del genere. Ignaro di quella realtà, sarebbe stato in balia di Jenova più che mai. Avrebbe commesso di nuovo lo stesso errore, forse, e in maniera più grave. Jenova poteva prendere il controllo della sua mente e delle sue azioni, vivere dentro di lui come un parassita letale, che si nutriva della sua rabbia e della sua immensa tristezza, per portare dolore e distruzione. Sarebbe riuscita a farlo, prima o poi, e sulle sue mani egli avrebbe visto il sangue di tanta povera gente innocente.
Lui non voleva essere quel tipo di uomo. Lui voleva essere il Sephiroth buono e giusto che avevano conosciuto Genesis e Angeal, che aveva conosciuto Rainiel e l'aveva addestrata. Aveva bisogno di loro più che mai, ma non li avrebbe visti adesso.
Provò a liberarsi, ma aveva deciso di lasciarsi cedere al peso dei sonniferi e della stanchezza, ed era troppo tardi ormai per tornare indietro. Pregò il suo corpo e il suo cervello di restare lucidi, di non arrendersi proprio adesso. Doveva liberarsi, trovare Rain, fuggire via. E soprattutto, doveva trovare e annientare Jenova prima che lei annientasse lui.
Jadin poteva vedere il panico avere la meglio su di lui, nulla sarebbe stato più gratificante di quella scena.
«Povero, piccolo Sephiroth.» lo schernì, «Ogni volta che sei convinto di aver compreso qualcosa, ti accorgi che la realtà è ben diversa. Che hai inseguito una menzogna dopo l'altra, per tutta la vita. Ma io...» Jadin tornò alla sua postazione, «Io ti darò la pace che cerchi, Sephiroth. Nel tuo eterno riposo. Non puoi soffrire per qualcosa di cui non sei a conoscenza. Risponderai alla Shinra, perché è per questo che sei stato creato, e troveremo un modo per piegare anche Jenova alla nostra volontà, tramite te. Sarai l'arma più pericolosa mai inventata. Midgar conquisterà il mondo grazie ai tuoi sforzi.»
Posizionò la mano sulla pulsantiera. Dall'altro lato della stanza, Vaneja sussultò e i suoi occhi tornarono a luccicare. Alternò la vista tra la scienziata e la sua vittima e, rendendosi conto di non poter fare nulla per evitare quel che stava per accadere, strinse gli occhi con forza e usò entrambe le mani, benché una fosse gravemente ferita, per coprirsi le orecchie. Non voleva assistere di nuovo a quello scempio. Voleva solo sparire.
Sephiroth mostrò i denti cercando di muoversi, ma era tutto inutile. Poté percepire l'adrenalina combattere il siero che lo indeboliva, ma non era abbastanza.
«Stai commettendo un gravissimo errore.» cercò di metterla in guardia, «Se adesso elimini i miei ricordi, forse tra non molto tempo non esisterà più nessuna Midgar.»
Jadin sospirò, tediata dai tentativi di farle cambiare idea di quella sera. «Risparmiati il discorso, ha già tentato Rainiel, e con scarsi risultati.»
Rainiel... avrebbe messo in pericolo persino lei. Soprattutto lei. Aveva appena appreso che non era stata interamente colpa sua quello che le aveva fatto in passato, eppure adesso rischiava di diventare ancora più pericoloso nei suoi confronti. Sapeva benissimo che, nello stato ignaro in cui viveva anni prima, non sarebbe stato in grado di resistere ai dolci richiami di sua Madre. Il suo rancore avrebbe amplificato i poteri della creatura. Il suo essere solo, disorientato, l'avrebbe portato a cercare un appiglio sicuro nell'unica radice che aveva, in assenza di figure genitoriali, di una guida, o di una persona amata. Rischiava seriamente di rivolgersi a Jenova per disperazione. Sapeva bene cosa fosse quel sentimento, e non voleva che lo divorasse, peggio di come aveva fatto in passato.
«Rimpiangerai la tua scelta.» provò ad avvisarla un'ultima volta, ma nemmeno adesso Jadin aveva intenzione di cedere ai suoi avvertimenti. Era convinta di essere in totale controllo della situazione, inconscia del fatto che, forse, stava per firmare una condanna a morte, non esclusivamente sua, ma di molte persone innocenti.
«La mia scelta ci porterà alla grandezza!» replicò infatti, un sorriso in volto che non aveva nulla di lucido. «Sei irritante, Sephiroth, ma soprattutto sei un essere curioso. Ho iniettato a Rainiel una dose massiccia di mako per sostenere il dolore dell'operazione. Tu non ne hai bisogno, sarà solo molto più doloroso.» Piegò la testa come un gatto curioso che osserva la preda, gli occhi ben aperti dietro gli occhialini che teneva sul naso, «E sarà davvero un piacere guardare.»
Non attese oltre, non gli diede il tempo di prepararsi. Pigiò la leva, e aumentò la carica del macchinario al massimo. Fu come se un fulmine si fosse abbattuto su di essa.
Sephiroth si sentì colpire con una forza che non aveva mai conosciuto, peggiore dei colpi da arma da fuoco o di una lama che gli affondava nella pelle, diversa da una scottatura e in sostanza da qualsiasi altra cosa. Avvertì ogni sua cellula tremare in risposta a un dolore così lancinante che, per un istante, pensò di rischiare la morte. Ma la parte di Jenova che viveva in lui lo rendeva resistente. Sarebbe sopravvissuto a questo e probabilmente ad altro, e ora aveva un motivo per farlo.
Non le diede alcuna soddisfazione. Non gridò, non emise un lamento. Quella sofferenza era qualcosa di osceno, quel dolore totalmente sconosciuto e terribile, ma non le diede la possibilità di gongolare mentre lo guardava contorcersi dal dolore.
Aveva appena appreso la verità su Genesis e su Jenova, e sapeva di star per dimenticare tutto. Gradualmente, ogni suo ricordo recente stava svanendo.
L'unico appiglio a cui si rivolse fu il ricordo di Rainiel, che mantenne vivo finché non faticò a ricordare il colore dei suoi occhi o il profumo dei suoi capelli, il suono melodioso della sua voce. Alla fine, non ricordò quasi più nemmeno il suo nome, non il dolce nomignolo Rain che usava per parlarle.
Ma il sentimento che provava per lei era vivo, lo sarebbe stato ancora per un po'. Per sempre, sperava. Nello stato in cui era adesso si disse che una vita senza l'amore di Rain non valeva la pena di essere vissuta, e ne era fermamente convinto.
Le aveva promesso che avrebbero osservato assieme quell'alba dopo aver risolto tutto. Invece, ora i problemi non avevano fatto che moltiplicarsi e, forse, questa volta non esisteva un pulsante di reset o una materia ignota che avrebbe sistemato le cose. Non restava che sperare in Zack e negli altri, o nell'eventualità che lui o Rainiel si svegliassero da quel sonno a occhi aperti.
Mentre i suoi, di occhi, si chiudevano, invece, rivolse all'immagine sbiadita di Rain una silenziosa implorazione.
"Ricordami", le aveva chiesto. Ma c'era qualcosa in più di cui aveva bisogno adesso.
"E aiutami a ricordare."

 

 
 
 
   
 
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