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Autore: Nina Ninetta    26/07/2022    2 recensioni
Johanna Mayers è una docente di letteratura inglese in gita con la sua classe sulle Montagne Bianche del Maine. Insieme a lei ci sono gli amici di una vita, nonché attuali colleghi: Monica e James. Qualcosa però non va per il verso giusto e si troveranno ad affrontare le impervie strade innevate della montagna e, inevitabilmente, a fare i conti con i sentimenti e i demoni che si portano dentro da troppo tempo.
[Questa storia partecipa alla Challenge "To Be Writing 2022" indetta da Bellaluna sul forum Ferisce più la penna].
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questo racconto partecipa alla Challenge "To Be Writing 2022" indetta da Bellaluna sul forum Ferisce più la penna.
Ho intrapreso la sfida di Bellaluna con l’intenzione di dedicare ogni mese a un capitolo di Final Fantasy, ma la verità è che l’ispirazione veniva sempre meno, inoltre la tematica di luglio (Friends to Lovers: una storia in cui i due protagonisti da amici sviluppano un interesse amoroso reciproco) mi era così congeniale che l’idea per questa OS mi ha coinvolta subito.

Vi auguro buona lettura,
Nina^^

 


 

I progetti del Destino
(prima parte)

"L’incidente"
 


*
 
Johanna Mayers contò i suoi studenti uno per uno, mentre questi salivano sull’autobus che li avrebbe condotti al prossimo rifugio.
Teneva stretto l’elenco con le dita arrossate a causa del freddo, ma non mollava la presa. Ripassava i loro nomi lanciando ora un’occhiata sul foglio, ora a chi le passava davanti, sussurrandone i nomi, simile a un’anziana che recita il Rosario.
Quando anche l’ultimo dei suoi ragazzi si era ormai accomodato al proprio posto sul veicolo, Johanna lanciò un’ultima occhiata all’ambiente che la circondava. Vide solo grossi alberi dal fogliame appesantito dalla neve e un’immensa distesa di terreno bianco. A est cominciava a lampeggiare.
«Johanna, dai andiamo!» La voce di Cooper affrettò la sua risalita sul bus, dove la temperatura era decisamente più accettabile.
«Non partire ancora!» Disse la donna rivolta all’autista Bob, puntandogli un indice contro. L’uomo la guardò dal suo posto di guida, già pronto a riprendere il cammino verso l’Ulisse Range, dove ad attenderlo ci sarebbe stata una zuppa calda e tanta, tanta vodka.
«Oh, Johanna andiamo! Fai sul serio?!» Cooper si lasciò scivolare lungo il sedile, stanco di quella situazione, intanto che la collega prendeva il microfono e un fischio metallico si diffuse in tutto l’abitacolo. Anche gli studenti sbuffarono.
«Bene, facciamo l’appello» annunciò la Mayers, cominciando a leggere i nomi in ordine alfabetico riportati sul foglio che sembrava essersi incollato ai polpastrelli gelati. «Claire Anderson…»
«Oh, dai prof! Ci siamo tutti! Andiamo via!» Urlò qualcuno dal fondo dell’autobus.
«Claire Anderson!» Ripeté la donna.
«Dannazione, prof! Abbiamo fame!»
«E freddo!»
«Siamo stanchi!»
«CLAIRE ANDERSON! C’è o devo tornare nei boschi a cercarla!?»
«Ci sono! Ci sono!» La ragazza in terza fila sollevò una mano.
«Bene. William Antares…»
«Presente!»
James Cooper sospirò rumorosamente, scuotendo il capo, mentre l’insegnante di sostegno, accomodata dietro di lui, tratteneva a stento un risolino. Si voltò:
«Ogni volta è sempre la stessa storia!» Esclamò. «Di questo passo torneremo a Millinocket con un giorno di ritardo.»
«Che vuoi farci, Jim?! Johanna è fatta così.» Monica non smise di sorridergli.
«Già, maniaca del controllo, giusto?!»
Monica abbassò lo sguardo, ricordando i tempi in cui tutti e tre andavano a scuola insieme. Chi l’avrebbe mai detto che un giorno si sarebbero ritrovati sullo stesso pullman, ancora insieme, ma in qualità di insegnanti?
Sara Drew, seduta al suo fianco, si mosse nervosa, osservando fuori dal finestrino l’immensa distesa innevata scossa dai fulmini che si stavano avvicinando. Li indicò con un dito grassoccio, rivolgendo poi un’occhiata preoccupata verso la sua accompagnatrice.
«Sono solo lampi, tranquilla, non ti fanno niente» le sussurrò Monica, accarezzandole la testa. Sara teneva i capelli scuri molto corti, tanto che di spalle poteva essere scambiata per un maschio.
«Tutto bene?» Chiese James Cooper assistendo alla scena.
Monica gli lanciò uno sguardo veloce, rispondendo:
«Non ama molto i fulmini.»
Proprio in quel momento il bus si mise in movimento e Johanna prese posto accanto a Jim, con un lungo sospiro. Lui la fissò con la fronte aggrottata.
«Che c’è?» chiese l’insegnante di letteratura.
«Ti rendi conto che sei pesante
«Pe-pesante? Davvero? Abbiamo a che fare con venti adolescenti, oltre i 1200 metri di altitudine e io sarei pesante?» Johanna si voltò indietro, guardando Monica. «Ti sembro pesante
Monica accennò un sorriso, mentre avvicinava indice e pollice, nel più comunissimo cenno che indica “un po’”.
Johanna Mayers scosse il capo e tornò a guardare il sentiero che si dipanava davanti a lei: erano solo ragazzi, una bravata, una superficialità e avrebbero potuto perderne qualcuno per strada.
 


 
*
 
L’Ulisse Range li avvolse nel suo tepore accogliente e un buon profumo di minestra calda stuzzicò i loro stomaci. Dopo cena, molti si ritararono nelle proprie stanze, stanchi e rifocillati.
«Buonanotte signorina Mayers.»
«Buonanotte ragazze!» Johanna le osservò muoversi in gruppo mentre salivano le scale, sembravano eccitate, su di giri. Parlottavano fitto fitto, ridacchiavano emettendo versi simili a criceti. Nonostante le temperature rigide, quelle giovani indossavano gonne corte e calzettoni che coprivano fino ai polpacci, con le gambe in bella mostra. Avere quell’età era una cosa unica al mondo, ma lei non era mai stata così. Non aveva mai avuto a che fare con le cheerleader, né si era mai innamorata del gran figo della scuola. Alla loro età, Johanna aveva trascorso interi pomeriggi alla sala giochi, con una coca-cola bevuta a metà e accanto la sua amica Monica, immersa nella lettura di qualche libro fantasy.
«Buonanotte, coach Cooper. Professoressa…»
«Ciao ragazzi!»
Tutte quelle voci maschili, da uomini appena divenuti, distolsero Johanna Mayers dai suoi ricordi di ragazza. Non rispose al saluto dei tre studenti, fissandoli con intensità intanto che seguivano le orme delle alunne.
«Oh, santo cielo, Cooper! E se…» Johanna scattò in piedi, il libro di John Grisham che teneva sulle gambe cadde sul pavimento con un tonfo.
«Ok, Jo, calmati!» Jim raccolse il romanzo e afferrando la collega per un polso la riportò ad accomodarsi sulla sedia a dondolo accanto alla sua.
Monica e l’autista, seduti a loro volta dall’altra parte del tavolino di legno massiccio, sorrisero a quella scena; lui bevve un lungo sorso di vodka.
«Jim, e se… e se quelli… e quelle… oddio!»
«Va bene così, Jo!»
«Va bene così, Jo?! Stai scherzando? E se una di loro rimanesse incinta? I loro genitori ce li hanno affidati.»
«Nessuno rimarrà incinta, Jo! Sono ragazzi, non stupidi!»
Johanna gli lanciò un’occhiata di biasimo.
«Ok, forse un pochino lo sono, ma su queste cose sono preparati. Te lo assicuro.» James Cooper sghignazzò, mentre allungava la sua tazza verso l’autista, il quale gli versò un goccio di alcool aggiungendo:
«Se fossi stato preparato quanto i giovani di oggi, non mi sarei dovuto occupare di un figlio a vent’anni.»  
«Dovreste andarci piano con quella» affermò poi Johanna, indicando il fiasco.
«Sì, mamma!» Jim lasciò la tazza vuota sul tavolino, emettendo un verso esagerato per dimostrare quanto gli fosse piaciuto il sapore forte della vodka.
Il fuoco nel camino scoppiettava, era rilassante, sarebbe rimasto volentieri tutta la notte a scambiare opinioni sui giovani di oggi e quelli di ieri, ma la giornata era stata lunga e faticosa e quella successiva non sarebbe stata da meno. Erano partiti dall’High School di Millinocket tre giorni prima, quando avevano percorso circa trenta chilometri a piedi, fra neve e sentieri rocciosi, fino a raggiungere il primo rifugio. La mattina seguente si erano alzati di buon’ora e Bob li aveva accompagnati al passo successivo, di nuovo si erano incamminati per diverse miglia e di nuovo erano riusciti nell’intento di giungere al punto d’incontro con il bus, poi di corsa fino al secondo range. Quella mattina avevano lasciato il porto sicuro per proseguire la loro gita, attraversando i boschi fitti e innevati del Maine e domani li avrebbe attesi l’ultima sfacchinata, prima di riposare al Penelope’s Range.
Johanna e Monica non lo sapevano, ma Cooper e i ragazzi avevano organizzato una splendida festicciola per chiudere in bellezza quella gita, con l’aiuto del buon Bob che si era dimostrato immediatamente favorevole a festini vari.
James Cooper aveva accettato di accompagnare la III C in gita solo perché gli avevano detto che l’altra accompagnatrice sarebbe stata la signorina Mayers. Lui non si sarebbe dovuto preoccupare di nulla, si sarebbe potuto godere quei giorni sulle Montagne Bianche, attraversare i 130 km di sentieri e natura incontaminata che lo avrebbero condotto da un rifugio all’altro, dove avrebbe trovato ad accoglierlo buon cibo e temperature miti. Perché, cielo, e se in quelle zone il mangiare aveva un altro sapore!
Johanna però si era dimostrata ancor più intransigente di quello che ricordava. Quando avevano concluso la prima escursione e aveva fatto l’appello per ben due volte, accertandosi che non avessero perso nessuno, le aveva detto che era decisamente peggiorata con gli anni. Johanna gli aveva tenuto il muso per tutta la durata del viaggio, durante la cena e anche il mattino seguente a colazione. L’unico momento in cui aveva dato segno di essere consapevole della sua presenza, era stata quando lo aveva visto mangiare bacon e toast a colazione come se fossero le otto di sera. Aveva fatto una smorfia disgustata e quando lui le aveva chiesto cosa ci fosse di male, lei si era alzata ed era andata via.
«Non ci far caso» gli aveva consigliato Monica, pulendo il muso di Sara con un tovagliolo di carta. «È Johanna. È fatta così.»
«Già. Ed è fatta male!»
Monica aveva sorriso.
Si alzò, gli girava appena la testa, quella era vodka di prima qualità, non ne beveva così da decenni, forse qualcuno gliene aveva regalato un fiasco per il matrimonio, adesso faceva fatica a ricordare.
«Dove vai? Ci sono ancora degli studenti nella sala» Gli fece notare Johanna, la quale aveva tassativamente ordinato agli adulti di non lasciare mai da soli i ragazzi, neanche per un momento. Ogni distrazione sarebbe potuta costare cara…
Jim le lasciò cadere in grembo il volume di Grisham che aveva raccolto pocanzi, la voce impastata dal sonno e dall’alcool.
«A letto» le passò davanti, chinandosi appena per sussurrarle all’orecchio. «Vuoi venire?»
La Mayers si tirò indietro, scuotendo il capo:
«Sei ubriaco, Cooper?»
Quest’ultimo buttò la testa all’indietro e rise, allontanandosi a grandi falcate, le mani nelle tasche dei Levi’s. Johanna lo osservò fin quando poté, continuando a scuotere la testa, contrariata, poi anche l’autista si congedò con un lungo sbadiglio e una buonanotte farfugliata.
«Ehi, cerca di riposare!» Gli urlò dietro l’insegnante di letteratura, guardando poi Monica. Le due si scambiarono un’occhiata complice. Si conoscevano da quando erano bambine, le loro case erano vicine e in pratica avevano fatto lo stesso percorso di studi. In fondo, Millinocket era una piccola cittadina del Maine, si conoscevano tutti, presto o tardi le strade degli abitanti si sarebbero incrociate.
«Jim non si è ancora arreso, eh?»
«Cooper è un cretino, lo sappiamo bene!» Johanna chinò lo sguardo sulla copertina del libro, senza vederla davvero, improvvisamente il sorriso era scomparso, lasciando spazio a un’espressione malinconica. Si sentiva come se per lei quel treno fosse passato, o meglio, non avesse trovato posto a sedere e adesso era troppo tardi. Cielo, erano entrambi prossimi ai quaranta, lui aveva una figlia di una decina d’anni. Certo, non vivevano nella stessa casa perché la madre se l’era portata via chissà dove, in giro per l’America, ma era pur sempre padre.
E lei?
Lei aveva i suoi ragazzi a cui badare. Cominciare una storia d’amore – l’ennesima – con James Cooper? No, non aveva la forza interiore per effettuare quel salto nel vuoto.
«Maestra Monica,» entrambe le donne alzarono lo sguardo su Sara Drew, «ho sonno.»
«Sì, sì certo.» Monica adagiò un palmo sul ginocchio dell’amica. «Ti dispiace se vado anche io?!»
«No, no ovvio. Buonanotte. Ciao Sara.»
«Buonanotte Jo. Come si dice, Sara?!»
«Ciao.»
Monica le lanciò un sorriso dolcissimo, poi le osservò salire la rampa di scale che le avrebbe condotte al piano superiore, mano nella mano. Un ceppo nel camino scoppiettò e Johanna quasi urlò per lo spavento. C’era qualcosa che la turbava, una sensazione, ma non avrebbe saputo affermare cosa. Forse era solo stanca, si disse.
 
*
 
 
L’autista Bob arrivò in ritardo e gli studenti lo accolsero con fischi e applausi.
«Ehi, ehi, ragazzi!» Li richiamò la Mayers, rivolgendosi poi all’uomo che stava tentando di aprire la portiera del bus, la mano tremolante. «È in ritardo!»
Il viso dell’uomo era sudaticcio.
«Tutto bene?» La voce della professoressa si era abbassata appena. «Le avevo detto di non esagerare con l’alcool ieri sera!»
«Sto bene. Tutto bene. Adesso partiamo che siamo già in ritardo, non voglio rischiare di guidare senza la luce del sole.»
Johanna Mayers lo studiò assottigliando gli occhi, poi con un cenno ampio del braccio invitò gli studenti della III C a salire a bordo. Come di consueto fu l’ultima a sedersi al suo posto, accanto all’insegnate di educazione fisica, nonché coach della squadra di basket del liceo di Millinocket.
«Problemi?» Le chiese Jim. Lei scosse il capo, notando che due grosse lenti da sole gli coprivano gli occhi.
«Perché porti gli occhiali da sole?»
«Perché, mi stanno male?»
«Non c’è sole, oggi. Le previsioni meteo annunciano nevicate.»
«E allora?» Lui fece spallucce. «C’è una legge che mi vieta di tenere le lenti da sole anche con la neve?»
«Hai continuato a bere, eh Jim?!» Johanna fece per toglierli gli occhiali dal viso. «Ieri sera, quando sei tornato nella stanza…»
Lui la fermò afferrandole prima un polso, poi l’altro, quindi le riportò entrambe le mani sulle cosce.
«Fai la brava, Mayers.»
«Ehi!» Monica scosse Johanna per una spalla. «Ehi, Jo!»
«Hai visto Monica, abbiamo un professore che è peggio dei suoi studenti! Cielo, Jim non sei cambiato di una virgola da…»
«Da…?»
«Ehi, ragazzi!» Monica continuava a scuotere la collega per una spalla, ma quest’ultima era troppo presa a sostenere lo sguardo intimidatorio di Cooper seduto alla sua destra, poi letteralmente gli finì addosso prima di essere sballottata su e giù.
 
Le ruote dell’autobus slittarono sull’asfalto ghiacciato, una, due volte, poi virarono a destra. Il parafango squarciò il guardrail che costeggiava la strada di montagna, il pullman piombò nel precipizio, sradicando alberi e rami ricolmi di neve. Rotolò lungo la parete della montagna, simile a una trottola impazzita, gli specchietti retrovisori volarono via al primo impatto con il terreno, una gomma anteriore scoppiò, i finestrini esplosero e quando finalmente si fermò, atterrando sul terreno innevato del bosco, lo fece con le ruote all’insù e la cappotta ammaccata, dannatamente somigliante a una tartaruga capovolta, con le zampe all’aria.
Johanna Mayers si trascinò fuori dall’abitacolo, attraversando un finestrino infranto. Tossì, camminando carponi sulla neve morbida e fresca, i palmi feriti dal vetro lasciavano impronte insanguinate, si distese con il volto verso il cielo plumbeo: le previsioni annunciavano neve. Respirò a pieni polmoni, avvertendo una fitta quando inspirava, dannazione. Tenendosi premuto il fianco destro si sforzò di mettersi seduta e lo spettacolo che le si parò davanti non le piacque neanche un po’!
Il bus era sottosopra, le tre ruote che non erano scoppiate giravano su se stesse, nel vuoto. La candida neve delle Montagne Bianche era ora macchiata da chiazze rosse sparse tutte intorno al bus, mentre i corpi degli studenti della III C – i suoi ragazzi – traboccavano dai finestrini senza vetri, come bambole abbandonate alla rinfusa in un cesto.
Riconobbe la Anderson, i suoi capelli biondi, trattenuti in una coda sbarazzina, erano sporchi, le pupille spalancate la fissavano senza espressione; poco lontano da lei riconobbe gli stivali fluo di Erika Mongomery, la più eccentrica della classe. Quante volte l’aveva sgridata per il suo abbigliamento poco consono alla scuola? E adesso? Adesso a chi importava se avesse indossato una minigonna durante le ore scolastiche o un paio di shorts attillati?
Ancora completamente rapita da quell’orrore, così assurdo da non sembrare vero, notò con la coda dell’occhio qualcosa sbucare dal muso anteriore del veicolo. Mosse il capo in quella direzione, muovendosi simile a un robot, e quando riconobbe James Cooper, finalmente senza occhiali da sole, si mise in piedi, arrancando.
«Jim!» le labbra si mossero senza emettere alcun suono. «Jim!» Questa volta la voce uscì rauca. «Jim!» Infine, fu più limpida e lui la sentì.
«Jo! Oh, Cristosanto! Jo!» Cooper si mosse verso di lei e la strinse forte. Erano vivi entrambi ed era già un miracolo. «Ascolta Jo, dobbiamo accertarci che ci siano altri superstiti» le disse, tenendola per le spalle. Era più bassa di lui di venti centimetri e pesava almeno la metà.
«Altri superstiti, Jim? Non li vedi…» Johanna Mayers indicò i cadaveri degli adolescenti che sbucavano dai finestrini, continuando a piangere.
«Lo so, ma noi siamo vivi, Jo. E possono essercene altri.»
«Monica!» Johanna si liberò dalla stretta e si mosse verso il posto in cui era seduta la sua amica.
«Monica è…» ma Jim non fece in tempo a finire la frase, semplicemente la sentì gridare dall’altra parte dell’autobus. Si strofinò il volto con un palmo e si diede un leggero buffetto: era tempo di mettersi al lavoro.
 
Johanna rimase ginocchioni accanto al corpo dell’amica, piangendo e urlando insieme il suo nome. Erano cresciute insieme, come sorelle. Sapevano tutto l’una dell’altra e talvolta non c’era neanche bisogno delle parole per comprendersi. Ma adesso Monica non c’era più, morta di una morte violenta. Al collo notò la sciarpa rossa che le aveva regalato qualche Natale fa. La lana si era consumata in diversi punti per quante volte l’aveva indossata. Lei ne aveva una uguale, ma non l’aveva mai messa per paura di ritrovarsi nello stesso luogo – la scuola – con la medesima sciarpa.
Sarebbero sembrate due svitate, no?
Si costrinse a chiuderle gli occhi, non poteva lasciarla così, quando sentì un lamento provenire dall’interno dell’autobus. Si piegò sui gomiti e sbirciò oltre le lamiere e i vetri, sembrava un mondo al contrario.
«Ehi, sono la Mayers! Qualcuno mi sente?»
Ancora quella specie di guaito, poi la vide: era Sara. Sara Drew. Si era raggomitolata in un angolo, tenendo le ginocchia al petto e dondolandosi avanti e indietro, gli occhi persi nel vuoto. Ma non si stava lamentando, stava canticchiando un motivetto.
«Ehi, ehi Sara! Grazie al cielo! Vieni, vieni qui!»
Tuttavia, la ragazza non si mosse né parve vederla o sentirla, completamente assorta nel suo mondo.
«Jim! Jim!»
Cooper arrivò di corsa, seguito a ruota da altri due studenti. Si trattava di Mike Fusco e Thomas Bell. Johanna provò una felicità immensa nel constatare che c’erano altri sopravvissuti a quell’incidente.
«Che c’è?» James si chinò al fianco della collega e guardò dove lei gli stava indicando.
«Sara! Ehi, tesoro! Vieni, è tutto ok! Ci siamo noi!»
«Sara? Sara Drew? Quella handicappata?» Thomas Bell avanzò di qualche passo, aveva la manica del giubbino sporca di sangue e una brutta ferita sulla fronte. «Ma non possiamo lasciarla…» non fece in tempo a finire la frase, poiché l’insegnante di letteratura lo colpì con uno schiaffo in pieno volto. Il ragazzo ruzzolò sul terreno che ormai cominciava a diventare un miscuglio di fango e nevischio, quindi fissò a bocca aperta la professoressa dal basso verso l’alto, tamponandosi la guancia arrossata con un palmo.
«Permettiti solo un’altra volta di definire così la tua compagna di classe e giuro che se non ti ha ammazzato l’impatto lo farò io! Ci siamo intesi?»
«S-si.»
«Non ho capito. Ci siamo intesi?»
«Sissignora!»
«Bene!» Johanna lanciò un’occhiataccia anche a Mike Fusco, per essere certa che anche lui comprendesse la situazione, poi raggiunse nuovamente Cooper che la fissava a sua volta, allargando le braccia come a chiedere spiegazioni.
«Non credi siano già abbastanza provati?»
«Certo che lo sono, ma ciò non significa regredire allo stadio brado.»
Sara era ancora lì, il trambusto di pocanzi aveva attirato la sua attenzione e adesso li fissava con i suoi grandi occhi castani e inespressivi. Johanna Mayers provò ancora una volta a convincerla ad afferrare la sua mano, invano.
«Resta qui» disse rivolta a Cooper, quindi si mise in piedi e con il cuore che batteva all’impazzata raggiunse il cadavere di Monica. La guardò prima di chinarsi e con delicatezza estrema le liberò il collo dalla sciarpa, scusandosi con lei, non era bello riprendersi i regali fatti. Non lo aveva mai fatto neanche con gli ex, figuriamoci con un’amica. Ma la situazione era quel che era e bisognava tentarle tutte. La salutò mentalmente e con uno sforzo enorme capovolse il corpo, in modo da ometterne la vista alla sua alunna Sara.
Tornò da Cooper, sollevata di notare che a Thomas e Mike si erano unite altre due studentesse: Katrine Sullivan e Lorena Munoz. Lanciò loro un’occhiata veloce, adesso la priorità era far uscire Sara allo scoperto. Tornò a sdraiarsi sulla neve e mostrò alla ragazza la sciarpa rossa.
«Ma quella non è di…?» Fece James, restando poi in silenzio.
«Vedi Sara! Questa è di Monica! Lei è andata a cercare aiuto…» la voce le si incrinò e Jim distolse lo sguardo. «Mi ha detto di darla a te, ti proteggerà.»
Sara Drew la fissò e sbatté le palpebre un paio di volte:
«Maestra Monica?»
«Sì, sì! Maestra Monica. Vieni, così andiamo da lei.»
Sara sciolse l’intreccio delle braccia che teneva raccolte intorno alle ginocchia, poi lentamente si mosse carponi e raggiunse Johanna e James, i quali l’aiutarono a uscire dal sarcofago di lamiere, sussurrandole di non guardarsi intorno. Una volta fuori, Johanna le passò la sciarpa rossa intorno al collo e la strinse a sé.
«Sciarpa magica.»
«Sì, sciarpa magica.»
«Sciarpa magica di Monica.»
Johanna lanciò un’occhiata a Cooper e lui ricambiò, sembrava fosse sul punto di piangere. In maniera del tutto incoerente si chiese se l’avesse mai visto piangere?
Sì, una volta.
La volta in cui sua figlia gli era stata portata via…
 
«Coach! Coach Cooper!» La voce di Mike li riportò con la mente al presente. «Kat sanguina dalla gamba!»
I due professori raggiunsero il gruppetto di ragazzi, tenendo Sara per mano. Poi, la Mayers si inginocchiò davanti alla ragazza che continuava a urlare, il viso era una maschera di piccoli tagli di sangue raggrinzito e lacrime.
«Ok, ok! Katrine, mi senti?! Smettila di urlare, va tutto bene! Katrine!»
Ma era inutile, lei non accennava a smettere, così come il sangue a inzuppare il tessuto del pantalone e a sporcare la neve sotto di esso.
Johanna si alzò in piedi e afferrò Jim per il polso del giubbotto, scortandolo qualche metro più in là.
«Penso che la ferita sia profonda.»
«Lo so.»
«Dobbiamo fermare l’emorragia.»
«Lo so. Ce la fai?»
«Ehi, non ho partecipato al corso base di primo soccorso per niente!»
James Cooper sorrise, per quanto quella situazione lo permettesse, quindi le accarezzò la testa.
«Porto via i ragazzi.»
«Sì, meglio.» Johanna fece per tornare indietro, quando lui disse:
«Ricordami di portarti a cena quando tutto questo sarà finito.»
Lei scosse il capo, sorrise amaramente, senza rispondere.
 
«Ok! Ehi, ehi ragazzi! Venite qui!» James Cooper chiamò a raccolta Thomas, Mike e Lorena, chiudendoli a cerchio, come faceva durante un time out di gioco per caricare la squadra. Anche Sara era con loro, tenendo ben stretto un lembo della sciarpa rossa di maestra Monica.
«Ok, ragazzi! Questa è un’emergenza e come tutte le emergenze va gestita bene o diventerà una catastrofe…» come se non lo fosse già, pensò Jim, tenendolo per sé. «I vostri amici non ce l’hanno fatta, ma noi sì e dobbiamo continuare a restare in vita per raggiungere il prossimo rifugio: il Penelope’s Range
Lorena Munoz aveva il volto rigato dalle lacrime, le urla della sua amica Katrine la distraevano in continuazione e tendeva a guardarsi indietro.
«Lory! Ehi, Lory!» Jim la richiamò. «Lo so, è spaventoso! Ma cosa vi dico sempre?»
«Le testa…»
«La testa, esatto! Dovete usare la testa!» Si batté l’indice sulla tempia.
«La testa» ripeté Sara e Cooper le sorrise, annuendo.
 
Katrine Sullivan urlò ancora più forte e il gruppetto non poté fare a meno di osservare la scena: Johanna Mayers le aveva strappato i pantaloni nel punto in cui c’era il sangue, anche da lontano si poteva notare la profonda ferita sulla coscia della compagna.
L’insegnante di letteratura lanciò uno sguardo al collega, poi la videro mettersi in piedi e strappare la parte inferiore del maglioncino bianco che indossava, mostrando per un attimo la pelle candida del ventre.
«Wow! Forte!» Esclamò Mike Fusco, mentre Thomas si lasciava sfuggire un fischio di apprezzamento.
«Niente male!» Aggiunse poi.
«Già, la signorina Mayers è proprio niente male!» ripeté Jim, continuando a osservarla mentre urlava a una spanna dal visto di Katrine di smetterla di gridare, la stava facendo diventare sorda. La ragazza smise davvero.
Cooper richiamò quindi l’attenzione dei suoi studenti battendo le mani.
«Ok, ragazzi! Quello che sto per chiedervi è uno schifo, ma dobbiamo sopravvivere. Prendete dagli zaini dei vostri compagni tutto quello che può servirci: acqua, cibo, torce, medicinali. Forbici. Forza, forza!»
«Ehi, coach! Ma perché non possiamo rimanere qui e aspettare i soccorsi?» La domanda di Thomas era lecita, ma questo dimostrava anche la sua totale immaturità.
«Sono appena le dieci del mattino, nessuno immagina quello che ci è capitato e perciò nessuno verrà in mente di venire a cercarci. Il rifugio ci aspetta per questa sera, ma non possiamo restare qui, fermi. Il freddo di ammazzerebbe e non c’è linea per telefonare. Perciò dobbiamo raggiungere il Penelope’s Range prima possibile.»
Thomas Bell annuì, allontanandosi senza aggiungere altro. Anche Sara fece per muoversi, ma il coach la prese per mano e insieme raggiunsero Johanna. Katrine sembrava stare meglio.
«Non è rotta, ma una scheggia di vetro le era entrata nella carne» spiegò Johanna rimettendosi in piedi dopo averle fasciato la ferita. Barcollò e si sostenne al braccio che Jim le stava offrendo.
«Dobbiamo incamminarci verso il Penelope’s Range prima che faccia notte o saremo finiti.» Disse lui, guardando il bosco dipanarsi a perdita d’occhio.
«Lo so. Il freddo e la neve non ci darebbero tregua.»
«Neanche alci e orsi. L’odore del sangue e della benzina li attirerà come api.»
Insieme si mossero verso l’abitacolo del bus, il corpo senza vita dell’austista era praticamente incastrato nel parabrezza, metà fuori e l’altra dentro. Jim gli posò due dita sul collo e scosse il capo, poi frugò all’interno del cruscotto e trovò una pistola.
«Cooper, che cosa fai?»
«Secondo te?!» Rispose lui, infilandosi l’arma nella tasca del giubbotto imbottito, quindi si mossero uniti in direzione del bosco.


 
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