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Autore: crazyfred    26/07/2022    2 recensioni
Ritroviamo Alex e Maya dove li avevamo lasciati, all'inizio della loro avventura come coppia, impegnati a rispettare il loro piano di scoprirsi e lavorare giorno dopo giorno a far funzionare la loro storia. Ma una storia d'amore deve fare spesso i conti con la realtà e con le persone che ci ruotano attorno.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sotto il cielo di Roma'
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Capitolo 15

 




Percorrendo le strade movimentate di Roma all’ora di chiusura degli uffici è facile rimanere bloccati nel traffico di via Cristoforo Colombo. Quello che deve essere un veloce spostamento di 10 minuti verso la Garbatella su una strada a scorrimento veloce, si trasforma in un esodo di dimensioni bibliche, sperando sempre che non ci siano imprevisti come incidenti o, perché no, incendi … che a Roma sia mai a farsi mancare qualcosa in repertorio. E quel pomeriggio ad Alessandro era andata proprio male: ambulanza – ambulanza! – ribaltata, palo sulla carreggiata e traffico totalmente paralizzato. O forse non gli era andata poi così male: certo era fermo nel traffico, qualche fenomeno continuava imperterrito a suonare il clacson come se la cosa potesse in qualche modo contribuire a risolvere la situazione, qualcun altro ne approfittava per scendere dall’auto e fumarsi una sigaretta manco fosse il 14 di agosto sulla A1 direzione mare, ma in lontananza in mezzo ai pini il sole stava iniziando a calare timidamente. Con tutto quello che era successo nella sua vita negli ultimi tempi non si era mai fermato un attimo a rendersi conto che le giornate si stavano allungando, preludio della bella stagione.
Una stazione radio locale accesa totalmente a caso per cercare di capire cosa stesse succedendo aveva messo un pezzo di Venditti – fantasia portami via – e gli venne voglia di prendere la moto e partire, andare via e lasciare quella Roma capoccia che tanto amava ma che in quel momento sentiva stretta, claustrofobica. E su quella moto ci si vedeva con una persona che, in quel momento, di certo non sarebbe salita in sella con lui.
E si stupì di sé stesso. Nei colloqui, durante i test attitudinali, da ragazzo, quando gli chiedevano di descrivere sé stesso, c’erano almeno due aggettivi che avrebbe usato: cinico e pragmatico. Ci si riconosceva perfettamente ed aveva continuato a credere che fosse così fino a quel momento.

 

…Certi amori non finiscono

Fanno dei giri immensi e poi ritornano…

 

Così cantava la voce di Antonello alla radio e così sperava che fosse anche per lui. Per la prima volta nella sua vita, pregava per una seconda possibilità. Che l’amore potesse finire senza sentirsi in colpa e accettandolo con dignità, come professava orgoglioso fino a poco tempo prima, ora gli sembrava un’enorme cazzata. Il suo amore per Maya non era finito manco per cazzo. Non poteva.

Quando finalmente la municipale li convogliò su una strada secondaria la sua testa si era riempita di ricordi che facevano sembrare anni quei due mesi passati insieme e si sentì piccolo piccolo, perché flash della sua memoria gli restituivano segnali che avrebbe dovuto notare – sguardi bassi o espressioni imbronciate presto dissipate perché lui, per lei, veniva sempre prima di tutto; e lui non era stato in grado di fare lo stesso con lei.
Con quello spirito non sarebbe stato di grande compagnia al compleanno di Daniele, ma del resto difficilmente il nipote avrebbe preteso che fosse suo zio l’anima della festa: il dj set del locale dove sarebbero andati per la serata era pagato per farlo.

“Già qua?” domandò ad Edoardo, che era già arrivato a casa dei nonni e gli aveva aperto la porta, facendo scendere Giulia, nel suo vestitino azzurro, dalle sue braccia: come sempre quando non lo vedeva per qualche giorno, gli era letteralmente saltata addosso. Claudia aveva insistito per accompagnare personalmente i figli per poter fare di persona gli auguri a quello che, testuali parole, sentiva ancora essere suo nipote.
“Sì, mamma è di sopra con zia” rispose Edoardo; il ragazzo non era ancora al 100% fisicamente, e per concedere il suo sì per la festa, Claudia aveva fatto promettere ad Alessandro di assicurarsi che il ragazzo non si sarebbe buttato nella mischia a ballare. Si spostarono in salotto, dove il festeggiato era con suo fratello, per fargli gli auguri e dargli il regalo.
“Dove sono tutti gli altri?” indagò.
“Nunno è in giardino” spiegò Giulia, tornando a sedere al tavolo da pranzo dove aveva sparpagliato pennarelli e fogli da disegno.
“Sì, quando siamo arrivati improvvisamente si è ricordato di dover innaffiare la siepe” concluse Edoardo, alzando gli occhi al cielo ma con un leggero sorrisetto.
Che non scorresse buon sangue tra suo padre e la sua ex moglie era storia nota, in famiglia ci ridevano tutti su da una vita: inutile dire che con la separazione le cose non erano certo migliorate. Alessandro lasciava correre, per fortuna le occasioni in cui i due si vedevano erano ridotte all’osso. Però avrebbe voluto andare in cucina a vederlo vestito di tutto punto con il tubo per innaffiare tra le mani, rischiando di bagnarsi pur di non avere contatti con la sua ex nuora, ma sapeva che difficilmente avrebbe trattenuto le risate e suo padre non gliel’avrebbe mai perdonato. Così, da bravo zio, prese il biglietto dalla tasca interna del completo e con fare losco, mentre abbracciava il nipote, glielo passò tra le mani. Non era più un bambino, certe cose a suo parere andavano fatte con discrezione, senza troppe smancerie, specialmente tra uomini.

“No vabbeh zì, ma veramente?” domandò Daniele stupito di fronte al biglietto che nascondeva il regalo dello zio.
Alessandro lo aveva iscritto alla scuola guida per prendere la patente e avrebbe sostenuto tutte le spese. Lo aveva fatto con Valerio, era giusto farlo anche con lui.
“Nonno sta invecchiando” gli disse all’orecchio, sghignazzando “sono più tranquillo se guidate voi al posto suo”
“Sto vecchio ce sente benissimo” rivelò Cesare, burbero, le braccia conserte e appoggiato allo stipite della porta del salotto “sfottete sfottete voi, ma si nun ce stavo io a mannà avanti la baracca voglio vedere te come c’annavi all’università e a te e tu fratello chi ve puliva er culo”
“Io starei attento a non dire queste cose di fronte a mamma, papà!”
“Daje zì che figata! Grazie mille!” Daniele non riusciva a distogliere l’attenzione dal suo regalo.
“Però adesso ci manca una cosa” intervenne Valerio, il maggiore. Lo zio lo guardò perplesso. “La macchina. Quando Daniele avrà la patente saremo in 4 con una macchina sola … ahia!”
Cesare aveva appena mollato uno scappellotto sulla nuca del nipote “Ma guarda sto ingrato … è questa l’educazione che t’ho insegnato?”
Ma Alessandro scoppiò a ridere “Intanto c'è la patente che può sempre essere utile, poi ci occupiamo pure di quella questione …”
Conoscendoli, un modello da battaglia, di seconda mano, sarebbe andato più che bene. I nipoti, alla fine, erano dei bravi ragazzi, un po’ grossolani, ma di certo non erano maleducati. Sapevano come farsi voler bene e sapevano dimostrare gratitudine, una cosa rara tra i ragazzi.
Mentre il festeggiato, assieme al fratello e allo zio, provava a convincere il nonno a cedere ad un selfie di famiglia, Anna e Claudia entrarono in salotto. Claudia indossava un abito blu a pois a bianchi. Suo marito lo avrebbe riconosciuto anche a 10 km di distanza: era uno dei suoi brand preferiti, ne aveva l’armadio pieno, ma Alessandro lo odiava; Claudia aveva tanti difetti, ma non si poteva dire che non fosse una bellissima donna eppure spesso si costringeva in abiti rimasti negli anni ’80 che la facevano sembrare più Tata Lucia che una donna dell’alta borghesia capitolina. Sua sorella invece era fasciata in un elegante abitino di pizzo nero, truccata di tutto punto e la chioma ramata che le cadeva morbida sulle spalle: la mamma sull’orlo di una crisi di nervi era sparita; al suo posto, la bellissima ventenne che faceva girare la testa a mezza Roma, solo con qualche anno in più.
“Io vado … vi lascio ai festeggiamenti” tagliò corto Claudia, in evidente impaccio di fronte all’ex suocero che, impettito, aveva proprio l’aria di avrebbe voluto solo accompagnarla alla porta senza troppi complimenti.
“Ma proprio non vuoi venire con noi?” insistette Anna “Guarda che non ci mettiamo nulla ad aggiungere un posto!”
“Dai mamma!!!” la piccolina, che di tutto quello che succedeva tra gli adulti aveva solo una vaghissima comprensione, si fece prendere dall’entusiasmo.
“No amore, non sta bene, la mamma te lo ha spiegato …” le disse allora la madre, inginocchiandosi davanti a lei, comprensiva, ma lanciando uno sguardo verso il marito. Della serie: è tutta colpa tua. Ma Alex era fermo nelle sue decisioni: rapporti amichevoli per bene dei figli, ma per giocare all’allegra famiglia allargata era ancora troppo presto. Specialmente Giulia, doveva capire che le cose erano cambiate e il cambiamento sarebbe stato definitivo.
“Giovanotto” aggiunse Claudia, schioccando un bacio sulla guancia di Daniele “di nuovo tanti auguri!”
“Grazie … zia!” la ringraziò il ragazzo, accennando all’orologio che aveva al polso e aveva appena ricevuto in regalo dalla donna e al contempo guardando lo zio, titubante. Tutti sapevano, del resto, che era anche a causa della zia se tra Alessandro e Anna c’erano delle frizioni; Alex con un piccolo cenno del capo lo tranquillizzò: non era sua intenzione di imporre alcunché a nessuno, ma si aspettava che in una famiglia si facesse fronte comune ed Anna, invece, non lo stava facendo.
Daniele, dopo che Claudia se n’era andata, mostrò il regalo dello zio a sua madre; la donna ringraziò il fratello “Davvero Ale, non dovevi”
“E perché no? Non l’ho fatto per te. L’ho fatto per mio nipote” chiarì l’uomo, freddando immediatamente ogni tentativo di sviolinata, caustico “e poi ho una reputazione da zio figo da mantenere.”
I due ragazzi, all’occhiolino dello zio, risero complici. Se il rapporto con la sorella non era mai stato idilliaco, i nipoti non dovevano entrarci. Sua sorella però lo invitò, con un cenno, a seguirla al piano di sopra con una scusa.
“Vedi che con te fare le persone gentili non serve a niente? Perché devi fare lo stronzo?” lo accusò.
Alex rise nervosamente: era pazzesco come sua sorella fosse capace di ribaltare tutto a suo favore, passando per vittima; ma decise di prendere un lungo respiro e non prendersela più di tanto: era una serata di festa e poi in quel momento lui c’aveva certi cazzi nella sua vita che lei nemmeno poteva immaginare e non voleva aggiungerne altri.
“È per farti provare la tua medicina di tanto in tanto Anna” si limitò a farle notare “così ti rendi conto di che sapore cattivo abbia”
“Eddai Alessà … non c’avete più 10 anni” lo rimproverò sua madre, uscendo dal bagno, anche lei tutta imbellettata per l’occasione; salendo le scale, Cesare tirò uno scapaccione sulla nuca del figlio. I due fratelli, presi dalla loro conversazione, non lo avevano neanche sentito salire le scale.
“Ohi pà! Ma che c’hai oggi co’ sta mano pesante?!”
Cesare, con uno sguardo a cui mancava solo la parola, fece intendere al figlio che sua madre aveva ragione e non doveva protestare, proprio come quando alle medie portò a casa la sua prima insufficienza. Quello sguardo e la ramanzina di sua madre erano stati così difficili da reggere che, per il piccolo Sandrino quella restò la sua unica insufficienza. “Viè n’po’ con me, me devi aiutà a sistemà la cravatta”
I due uomini andarono in camera da letto e Cesare passò una cravatta, l’unica che aveva, quella delle occasioni speciali, al figlio; Alessandro aveva provato a portarlo dal suo sarto, ma si era dovuto accontentare di regalargli qualche camicia di fattura migliore. La risposta del padre era sempre la stessa: dove ce devo da annà?! Non aveva tutti i torti del resto.
“Senti …” esordì, mentre il figlio gli alzava il colletto della camicia e passava la cravatta attorno al collo “oggi passi che è una festa di famiglia, ma quand’è che porti a casa Maya? Un sabato … che tua sorella è tutto il giorno fuori per lavoro. Sono sicuro che tu madre si innamora così” affermò, con uno schiocco di dita “e poi vedi come convince pure tu sorella, sai com’è mamma …”
“Non credo che sarà possibile”
“Perché no? Guarda che co’ Maya c’ho già parlato e secondo me è d’accordo pure lei anche se quella pe’ te dice pure che gli asini volano”
“E quando c’avresti parlato scusa?”
“Il giorno che m’hai chiamato per la perdita al bagno …”
Maya non gli aveva dato nessuna risposta, ma Cesare sapeva che la ragazza difficilmente lo avrebbe contraddetto. Sentiva che tra loro era nata una complicità che non avrebbe tradito.
Quell’ultima frase del padre fece male ad Alessandro come una stilettata. Non per quello che aveva detto, nemmeno tanto per come l’aveva detto, ma perché nei suoi occhi leggeva tutto un lunghissimo sermone moraleggiante che Savonarola spostati…
“Sono cambiate un po’ di cose da allora, pa’!”
“Sarebbe a dire?” domandò, scrutandolo di sottecchi, gli occhi serrati e le mani sui fianchi.
“Ci siamo lasciati” spiegò, conciso.
Un ghigno di disapprovazione e quasi disgusto si stampò sul volto di Cesare che, battendo le mani sulle gambe si voltò di spalle al figlio, esclamando semplicemente un sonoro “Eccallà!”
“Ah pà!”
“Ch’hai combinato?” nervosamente, l’uomo prese ad annodare la cravatta da solo, con pessimi risultati. Si accaniva con quel nodo che non voleva uscire come fosse una fune di corda, di quelle da marinaio.
“Non mi trattare come se avessi 15 anni, sono cose mie. E comunque perché dovrebbe essere colpa mia?”
Immediatamente Alessandro si era sentito catapultato nei panni di Edoardo, durante una delle loro conversazioni e capiva tutto l’imbarazzo del figlio. Cesare, dal canto suo, annuì, ma il figlio intuì che c’era ancora qualcosa che voleva dirgli e non riusciva a tenersi dentro, soprattutto perché l’occhiataccia che gli lanciò era tagliente quanto una stilettata.
“Avanti … che c’è, sentiamo…” sbuffò Alessandro.
“Quella poveretta t’è stata vicino quando nun c’avevi nessuno, e pure quando Edoardo è stato male nun s’è mai lamentata, nun t’ha detto na parola manco quando è passato tutto e nun sapeva dove stavi …”
“Che ne sai te? C’hai parlato?”
“Alessa’ c’avrò pure un pacemaker ar core, ma sti ddu occhi me funzionano ancora bene!”
“Sì ok ho fatto lo stronzo …”
“Io lo so di chi è la colpa ma lasciamo perde vah … e mo?”
“E mo non so da dove provare a ricominciare, ha pure presentato le dimissioni”
In silenzio, Cesare gli rivolse uno sguardo che aveva tutta l’aria di un e te pareva.
“Che te devo dì Alessà … mo so cazzi tua! Vedi che devi fare perché una così non è come la metro, non passa ogni 10 minuti. E mo damme na mano co’ sta cravatta per piacere”
Suo padre l’aveva vista solo un paio di volte eppure l’aveva capita meglio di quanto lui avesse fatto in cinque anni o anche solo nei mesi in cui si erano avvicinati. Maya era speciale: aveva una luce dentro, una limpidezza, che è merce rara. Quella limpidezza e quell’onestà le aveva tradotte nella sua vita, regalandogli forse i momenti più belli: non doveva trovare il modo di riprendersela, no, quello non avrebbe mai funzionato; doveva convincerla che quell’uomo che aveva suonato al citofono quella notte di febbraio, quello con cui aveva fatto il bagno nel mare gelato di aprile non era solo un miraggio. Che era vero ed era lui.



 



Salve a tutti!!! Oggi capitolo breve perché con questo caldo è impossibile stare al computer e come saprà chiunque ha un po' di familiarità con questo sito, pubblicare dal telefono non è praticamente possibile.
Dopo un capitolo più mayacentrico, oggi vediamo cosa combina Alessandro, alle prese con la sua famiglia e con le solite dinamiche. Povero Cesare, suo figlio gli ha proprio rovinato la giornata ahahahah, forse voleva bene a Maya più di Alessandro.
Chiedo scusa se non sto rispondendo alle recensioni, spero che nei prossimi giorni il caldo si attenui e io possa tornare a passare più tempo su EFP. A presto!

Fred ^_^

   
 
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