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Autore: Ikki_the_crow    27/07/2022    0 recensioni
Durante le loro avventure, il necromante Christopher Blackwood e il suo party si ritrovano nel mondo dei sogni per sconfiggere un potente avversario. Una volta vinta la battaglia, è il momento di svegliarsi e proseguire.
Ma forse c'è il tempo per una veloce deviazione...
[per saperne di più sul buon dottore e la sua crociata: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=4012890&i=1]
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il sogno del dottore
 
Con un suono crocchiante che delle vertebre non avrebbero sicuramente dovuto fare, l’anziano mago si raddrizzò.
“Ecco qui. Quando hai fatto, mi troverai lì in fondo.” Fandalg indicò un angolo della sala con un dito talmente sottile da sembrare un ramoscello. “Mi fido di te, dottore. So che non me ne pentirò.”
Poi afferrò il bastone e si avviò con passo traballante. Una volta raggiunto il muro, ci si appoggiò contro con un sospiro e si lasciò scivolare a terra. Nel giro di pochi secondi stava respirando pesantemente, il viso barbuto nascosto sotto la tesa del cappello a punta.
Per un tempo che gli parve eterno, come solo nei sogni poteva capitare, Christopher Blackwood fissò il cerchietto di metallo che il mago aveva appoggiato per terra. Illuminato da una luce inesistente in un sotterraneo che era solo un’illusione, l’anello sembrava essere la cosa più reale lì dentro. Più del mago che dormiva in un angolo con un filo di bava che gli colava nella barba. Più del goliath che, da qualche parte lì vicino, si strafogava rumorosamente con del cibo illusorio. Più del dottore stesso.
Voglio offrirti un po’ del tempo che non hai mai avuto, fosse anche solo nei sogni, aveva detto il vecchio. Cerca solo di non perdertici dentro.
Il gesto di piegarsi sulle ginocchia per raccogliere il gioiello da terra sembrò dilatarsi per un’eternità. Era come se invece che a poco più di un metro dalla sua mano, l’anello si trovasse a migliaia di chilometri. E poi, in un attimo, se lo ritrovò sul palmo, leggermente freddo al tocco, che scintillava appena. Mentre se lo rigirava pigramente tra le dita, il dottor Blackwood non poté fare a meno di notare come sembrasse solido. Come se non fosse fatto di metallo, ma qualcosa di ben più resistente.
E poi, la luce cambiò. Quello che prima era stato un sotterraneo – l’immagine di un sotterraneo in un quartiere in rovina a Luskan – con solo alcune torce fasulle a illuminare fiocamente la pietra, fu invaso di colpo dalla luce del sole. Christopher si voltò verso destra, riparandosi gli occhi con una mano.
Una delle pareti era scomparsa. Al suo posto, di fronte a lui si apriva un prato verdeggiante mosso appena dal vento. Una costellazione di fiori colorati spuntava qui e là tra l’erba, e si potevano quasi sentire il ronzio degli insetti e il frusciare delle foglie. Quasi.
Con cautela, il dottore avanzò verso l’apertura. Non ci fu un passaggio graduale: un attimo prima, i suoi piedi calpestavano la pietra dura e polverosa del sotterraneo, quello dopo erano immersi tra l’erba soffice che si piegava gentilmente di fronte a lui. Quando si voltò, Christopher si accorse che alle sue spalle si estendevano altri prati, foreste e colline invase dal sole dell’estate. Del sotterraneo, nessuna traccia.
Seduto per terra sotto un noce a poca distanza, Fandalg continuava a russare piano. Da sotto il cappello si intravedeva come una bolla, che si gonfiava e si ritirava seguendo il suo respiro.
Il dottore sospirò, poi tese il braccio sinistro verso l’esterno. Immediatamente, un corvo gli si appollaiò sull’avambraccio, gli artigli che bucavano appena il tessuto della mantella.
“Wolfgang. Tieni questo, non perderlo.” Christopher allungò la mano destra, l’anello ancora sul palmo, e lasciò che il corvo lo raccogliesse gentilmente con il becco.
“Resta con lui.” Il dottore indicò con un cenno della testa il vecchio mago addormentato. “E, cosa più importante, non permettere che mi perda qui dentro. Se dovessi… Smarrirmi, fai tutto quel che puoi per riportarmi indietro.”
Il famiglio ruotò la testa per fissarlo con uno dei suoi occhietti neri. Emise un verso interrogativo, l’anello stretto saldamente nel becco.
“Lo so. Ma potrei dimenticarlo.”
Wolfgang gracchiò di nuovo, poi si alzò in volo e andò a posarsi sui rami dell’albero sotto cui riposava Fandalg. Alcune nocciole rimbalzarono sulla tesa del cappello del vecchio e gli finirono in grembo; di lì a poco da uno scoiattolo si arrampicò sulle sue vesti e iniziò beatamente a sgranocchiarle, riempiendo di pezzetti di guscio la tunica violetta del mago.
Christopher sospirò ancora, poi iniziò a camminare tra l’erba. A poca distanza incontrò un sentiero, esattamente dove si aspettava che fosse, e cominciò a seguirlo. Conosceva quel posto. Sapeva dove stava andando.

Il sentiero proseguiva dritto tra i campi fino ad incontrare un torrentello, poi svoltava improvvisamente a destra ed iniziava a costeggiarlo. Il dottore lo seguì, risalendo il ruscello e gettando di tanto in tanto sguardi distratti ai pesci che sfrecciavano tra i sassi, nell’acqua tanto limpida da essere quasi invisibile. I suoi occhi però continuavano a tornare a sbirciare di fronte a sé. Sapeva cosa avrebbe visto di lì a poco, subito oltre quella piccola collinetta boscosa, a cinque minuti di distanza dalla risorgiva da cui partiva il torrente.
E infatti, esattamente dove si aspettava di trovarla, al limitare del boschetto c’era una casupola a un piano di mattoni rossi con il tetto di tegole, circondata da una palizzata di legno che avrebbe avuto bisogno di una ritinteggiata. Christopher non poté fare a meno di sorridere.
A fine mese lo faccio, tranquilla, aveva detto. Per anni e anni. Era diventato una specie di scherzo tra di loro, tanto che alla fine quando lo aveva fatto davvero si erano entrambi sentiti un po’ tristi. Lui non vedeva l’ora che la vernice si scrostasse di nuovo per poter ricominciare a prendersi in giro in quel modo. Purtroppo, quando era finalmente successo era troppo tardi.
Arrivato al cancelletto di ingresso, allungò la mano per aprirlo. Solo allora si accorse che la sua tunica nera era sparita: aveva indosso una camicia bianca a maniche corte e un panciotto leggero chiuso da tre bottoni di ottone. I vestiti che usava per il giro visite quando faceva caldo. Soprattutto, la pelle del suo braccio era liscia, leggermente abbronzata e senza il minimo segno di cicatrici. Era come se la ricordava in quegli anni.
Sentendo il cuore accelerare nel petto, spinse il cancelletto – che cigolò leggermente, come aveva sempre fatto e come sempre avrebbe fatto nei suoi ricordi – ma invece di dirigersi alla porta di ingresso prese il vialetto lastricato che girava intorno alla casa. Passando di fronte alla finestra della cucina, gettò un’occhiata al suo riflesso nel vetro. Un paio di occhi verdi che non vedeva da secoli gli restituirono lo sguardo da dietro le lenti sottili.
Poi voltò l’angolo.
Elisa era seduta al suo tavolino, sotto il piccolo gazebo che avevano costruito per proteggerla dal sole, circondata da cespugli di fiori di tutti i colori dell’iride. Aveva addosso una gonna dello stesso colore dell’erba, una camicetta chiara e un paio di stivaletti. Doveva essere una buona giornata: gli stivaletti erano sporchi di terra, segno che la donna era stata nell’orto. In effetti, era la stagione dei pomodori.
Prima che il dottore potesse aprir bocca, la donna si girò verso di lui e gli sorrise. Non poteva avere più di venticinque anni. Era proprio come lui se la ricordava.
“Ehi. Sei tornato presto oggi.”
Con attenzione, Elisa si alzò in piedi e fece qualche passo verso di lui. Automaticamente, Christopher le andò incontro fino a che lei non gli cadde praticamente tra le braccia. Solo quei pochi passi dovevano esserle costati una fatica immensa. Le braccia di lei però gli si avvolsero saldamente intorno alla vita, stringendolo, mentre gli poggiava la fronte contro il petto. Era parecchio più bassa di lui, un’altra cosa per cui Christopher non mancava mai di prenderla in giro.
Non sei reale, avrebbe voluto dire.
“Avevo voglia di vederti,” disse invece.
Elisa sollevò il viso, e lui le appoggiò un bacio sulla fronte, come faceva sempre. Non si sarebbe mai stancato di quegli occhi azzurri, di quei capelli castani, di quel naso appuntito e forse solo leggermente troppo lungo.
“Scemotto.” Lei gli sorrise, appoggiandosi ancora di più a lui. Sapendo che stare in piedi la stancava, soprattutto di pomeriggio quando faceva più caldo e le forze iniziavano a scarseggiare, Christopher la riaccompagnò al tavolino.
“Come sono andate le visite?” gli chiese una volta che si fu riaccomodata.
“Come al solito,” glissò lui. “E tu? Come ti senti oggi, mia?”
“Come al solito.” Elisa si strinse nelle spalle. “Il vento ha abbassato un po’ la temperatura, quindi non sono stanca come i giorni scorsi. Ma mi sta tornando la nausea.”
“Hai preso le tue medicine?”
“Non ancora. Volevo aspettare che tornassi prima di mettermi a letto.”
“Non c’era bisogno.” Christopher si piegò di nuovo a darle un bacio, questa volta sulla guancia. Prima di raddrizzarsi di nuovo, le diede anche un leggero morso sulla pelle sopra lo zigomo, ed Elisa ridacchiò.
“Certo che c’era bisogno. Come avrei fatto senza vederti fino a domani?”
“Come avrei fatto io?” Il dottore appoggiò per terra la borsa dei ferri – che non si era nemmeno accorto di tenere in mano – e fece un cenno verso casa. “Vuoi che ti prepari una tisana? Ho preso dei biscotti al forno, giù in paese.”
“Solo se mi fai compagnia.”
“Certamente. Torno in un lampo.”
 
Nei sogni il tempo passa in modo strano. Ma per Christopher Blackwood, anche il tempo passato con la propria moglie aveva un modo tutto suo di scorrere. Lui ed Elisa non facevano nulla di particolare, insieme – parlavano, leggevano, magari uno dei due lavorava in giardino mentre l’altro si occupava delle faccende di casa – eppure il tempo sembrava volare. Ogni minimo gesto era prezioso, e il dottore non lo avrebbe scambiato per nulla al mondo.
“Sei sicura?” domandò lui quando il sole era ormai quasi sparito oltre le colline. “Posso aspettare che tu vada a letto…”
Elisa scosse la testa. “Fatti da mangiare. Se no, lo so come finisce: ti metti a lavorare o a leggere e salti la cena. Se va bene mangi solo un po’ di pane senza nulla, o un frutto.”
“Non ti verrà fame?”
Elisa non mangiava mai dopo una certa ora: il suo stomaco funzionava in modo strano, non digeriva quasi nulla, e mangiare troppo tardi avrebbe significato passare la notte a vomitare. Questo però non significava affatto che non le venisse appetito. Anzi, tutto l’opposto: c’erano stati giorni, quando ancora la malattia non era avanzata così tanto, in cui i due erano andati a mangiare da qualche parte e la ragazza aveva divorato la propria porzione e buona parte di quella di lui senza battere ciglio.
Lei scosse la testa. “Non se ti fai quelle verdure che piacciono solo a te.”
“Gli asparagi sono pieni di nutrienti, e ottimi per fegato e reni,” rispose lui con aria offesa.
“E puzzano di fogna,” lo rimbeccò lei. “Falli sparire dalla dispensa: ogni volta che apro l’armadietto li trovo lì a fissarmi e mi viene l’angoscia.”
“Va bene, va bene!” Christopher alzò gli occhi al cielo, e quasi non si accorse che Elisa era rabbrividita. “Hai freddo? Vuoi rientrare? O magari ti porto uno scialle…”
“Una copertina, grazie.” Un sorriso. “E se mi porti anche un po’ d’acqua, inizio a prendere le medicine.”
“Certo.”
Una volta in casa, Christopher si mosse con sicurezza verso un piccolo scrigno di vimini intrecciati appoggiato su un ripiano basso di una delle molte librerie che costellavano l’abitazione. Quello che in una casa normale sarebbe stato un portagioie, o magari avrebbe contenuto lettere o documenti, a casa Blackwood era pieno di medicinali di varia natura. Compresse, polverine, tavolette: c’era solo l’imbarazzo della scelta.
Il dottore scelse con attenzione le medicine che Elisa avrebbe dovuto prendere prima di andare a letto, si annotò mentalmente di preparare qualche nuova compressa di antidolorifici a lento rilascio – ne ha solo cinque, e se le venisse una crisi potrebbe ritrovarsi senza – e poi si diresse verso la cucina per recuperare una caraffa d’acqua. Era quasi tornato alla porta che dava sul giardino quando si ricordò della coperta.
Si guardò intorno. Sul divano di fronte al camino scorse quel plaid di lana che le aveva regalato per Metà Inverno alcuni anni prima – non si ricordava esattamente quanti, ma non era importante. La casa poteva essere fresca, d’inverno, specie visto che non avevano tappeti da nessuna parte: Elisa aveva problemi a sollevare i piedi, spesso li strascicava, e un tappeto avrebbe potuto farla inciampare. Era solo uno dei tanti segni, piccoli e grandi, che la malattia aveva lasciato nella loro casa e nelle loro abitudini. Non impressionante come la collezione di medicinali nel portagioie, non curioso come i corrimani installati nei corridoi o i sostegni inchiodati al muro in posizioni strategiche vicino al letto o alla latrina. Un dettaglio piccolo, che a molti sarebbe sfuggito, come la mancanza assoluta di gradini in tutta la casa o il fatto che quasi ogni oggetto potesse essere raggiunto anche stando seduti. Tutte cose a cui Christopher aveva imparato a prestare attenzione. Insieme a molte altre.
Quando uscì di nuovo, il sole era sparito ormai quasi del tutto. Elisa stava accendendo una lanterna, che aveva appoggiato sul tavolo di fronte a sé.
“Grazie, mio.” Sorrise al marito quando lui le appoggiò la coperta sulle gambe e il vassoio con l’acqua e le medicine di fronte. “Ti spiacerebbe controllare che il pollaio sia ben chiuso? Sai che Liz scappa sempre fuori appena ha la possibilità.”
“Certo, mia. Arrivo subito.”
“E controlla anche se ci sono delle uova. Così te ne puoi fare un paio assieme a quelle robe orribili che chiami verdure!”
 
“Sei sicuro?”
Seduto sul bordo del letto, Christopher annuì con un sorriso. “Resto alzato ancora un pochino. Preparo alcune medicine, organizzo il giro visite di domani e ti raggiungo nei sogni.”
Sepolta sotto le coperte, Elisa gli sorrise di rimando. Sembrava sempre così pallida e debole prima di addormentarsi. Le medicine la stordivano.
“Non fare tardi, però,” si raccomandò con un filo di voce. Con fatica, fece scivolare una mano fuori dalle coperte e la tese verso il marito.
“Manina?”
“Ma certo, mia. Manina.” Le dita di lui, molto più grandi, si avvolsero intorno alla mano di Elisa. Era fredda. Problemi di circolazione.
Per un po’, lei rimase in silenzio, ad occhi chiusi. Christopher era quasi sicuro che lei si fosse addormentata, quando la voce di Elisa, quasi un sussurro, le uscì di nuovo dalle labbra.
“Non te ne andare.” Una pausa. “Resta qui.”
Il dottore sentì un groppo in gola. Le strinse la mano tra le sue, come se avesse paura che potesse scivolargli via tra le dita.
“Non vado da nessuna parte, amore. Sono qui con te.”
Rassicurata, Elisa chiuse di nuovo gli occhi. Il suo respiro rallentò lentamente, fino ad assestarsi su un ritmo lento e profondo. Christopher rimase seduto sul bordo del letto, la mano della moglie ancora tra le sue, gli occhi chiusi e il cervello che vorticava.
Da qualche parte, in lontananza, un corvo gracchiò.
Il dottor Blackwood inspirò un paio di volte, a fondo. Corrucciò le sopracciglia. E dietro gli occhi chiusi, sentì qualcosa cambiare.
Quando riaprì le palpebre, era di nuovo nel sotterraneo. Le colline, la casa e sua moglie erano scomparse. Di nuovo. Il familiare dolore che gli attraversava il cuore ogni volta che pensava ad Elisa tornò in un lampo, più forte di prima.
Con un frullo d’ali, Wolgang gli atterrò sulla spalla coperta dalla mantella nera. Lanciò un altro verso gutturale, questa volta con inflessione preoccupata.
“Sto bene, Wolfgang. Non preoccuparti.”
Il famiglio non parve del tutto convinto. Emise un borbottio e arruffò le penne, prima di far cadere nella mano tesa del suo padrone l’anello che ancora teneva stretto nel becco. Il dottore lo soppesò per un istante, poi chiuse le dita di scatto e si passò rapidamente la mano guantata sotto gli occhi, ad accertarsi di non avere segni rivelatori sul viso, prima di rivolgere le proprie iridi rossicce verso Fandalg. Il mago era ancora profondamente addormentato, e le sue vesti viola erano ancora piene di gusci di nocciole.
“Svegliamo quel vecchio rimbambito e usciamo da qui, prima che quegli altri idioti facciano qualche altro casino.”
Wolfgang gracchiò qualcosa con tono interrogativo.
“Forse. Non credo, però.” Il dottore scosse la testa. “Non è così che la voglio rivedere.”
La prossima volta che ci incontreremo, amore mio, sarà nel mondo reale. Te lo prometto.
   
 
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