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Autore: Nina Ninetta    28/07/2022    2 recensioni
Johanna Mayers è una docente di letteratura inglese in gita con la sua classe sulle Montagne Bianche del Maine. Insieme a lei ci sono gli amici di una vita, nonché attuali colleghi: Monica e James. Qualcosa però non va per il verso giusto e si troveranno ad affrontare le impervie strade innevate della montagna e, inevitabilmente, a fare i conti con i sentimenti e i demoni che si portano dentro da troppo tempo.
[Questa storia partecipa alla Challenge "To Be Writing 2022" indetta da Bellaluna sul forum Ferisce più la penna].
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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(seconda parte)
Il Destino

 
 

*
 
Katrine avanzava a saltelli, sorreggendosi ai suoi compagni Mike e Thomas. Lory li seguiva qualche passo più indietro, con lo zaino carico di ogni cosa potesse tornare utile. I due professori si tenevano a qualche metro di distanza, Sara al centro fra i due teneva le mani di entrambi e gli occhi fissi sulla sciarpa che era stata della sua maestra.
Thomas lanciò un’occhiata indietro, osservando la giovane che camminava al passo con gli insegnanti.
«Non capisco perché dobbiamo portarci dietro un peso morto come quello!» Ringhiò.
«Io invece non capisco che problemi hai!» Rispose Mike.
«Ci rallenterà o ci metterà in qualche guaio, vedrete!»
«Sara è autistica, se si sente al sicuro è ok» spiegò Lorena.
«Allora anche io sono un peso, eh Bell?» Il dolore che Katrine stava provando alla gamba le fece uscire il tono affannoso.
«No, bellezza! Tu non sarai mai un peso per me!» Così dicendo Thomas la sollevò da terra e la portò fra le braccia per diversi metri.
«Che coglione!» Esclamò Mike, mentre Lory lo invitava a proseguire.
 
«Che buffone!» La Mayers aveva assistito alla scena. «Quelli come lui non li ho mai potuti digerire!»
«Sì, ho un vago ricordo di te che a 16 anni prendi a pugni Matt Maurry alla festa di fine anno» disse Cooper, strappando un sorriso alla collega.
«Matt era un vero idiota! Credeva di piacere a tutte e il fatto che io non me lo filassi neanche di striscio lo faceva impazzire. Cercò di baciarmi a tradimento e allora… sbam! Un per pugno in faccia!» Johanna mimò il gesto e risero insieme, poi tornarono seri. «Quanto dista il Penelope
«Cinquanta chilometri.»
«Non riusciremo a raggiungerlo entro una giornata, i ragazzi avranno bisogno di riposare e anche noi. Dobbiamo prepararci ad affrontare la notte nel bosco.»
«Lo so. Hai provato a vedere se hai linea sul cellulare?»
«Penso di averlo perso nell’impatto» rispose Johanna, frugandosi nelle tasche del giubbotto.
La prima sosta la fecero per pranzare, un pasto veloce e poco calorico per non appesantire il corpo e tenere la mente lucida. Tra i lamenti di Thomas per la stanchezza e quelli di Katrine per il dolore, ripresero il cammino, sfruttando le poche ore di giorno che ancora restavano.
Verso le 17:30, infatti, il sole cominciò a calare a ovest e le ombre di accorciarono, mentre qualche fiocco di neve prese a venire giù, lento e silenzioso. Decisero di proseguire qualche ora ancora, ma quando il buio li avvolse del tutto e furono necessarie le torce, James Cooper affermò che bastava così.
«Abbiamo le torce, Jim, possiamo camminare ancora.»
«No, è troppo pericoloso.» Jim abbassò il tono di voce. «Ci sono gli orsi.»
Dopo cena, le quattro donne si allontanarono insieme per andare in bagno, poi Lorena e Johanna aiutarono Katrine a sedersi contro un tronco, mentre Sara la copriva con una coperta che avevano trovato nel vano dell’autobus.
Da lontano, il coach Cooper e i due studenti osservavano la scena.
«Quello che ha fatto la signorina Mayers prima è stato fenomenale! Da film d’azione!» Esclamò Mike, mimando il gesto di strapparsi il maglioncino.
«Hai visto, Mike?! Si vedeva il reggiseno!» Sghignazzò Thomas.
Jim inspirò un lungo tiro dalla Camel, giocherellando con il pacchetto di sigarette e senza smettere di osservare la collega mentre aiutava anche Lorena e Sara a distendersi al fianco dell’amica. La vide accarezzare la testa di tutte e tre, dicendo loro chissà quali parole di conforto.
«Chissà com’era da giovane…» sospirò Mike.
«Com’è adesso» rispose l’insegnante mettendosi in piedi e buttando la cicca a metà nella neve. «Forte!» Fece l’occhiolino ai due ragazzi e consigliò loro di risposare e stare vicini. Le temperature non avrebbero dato tregua.
 
James Cooper raggiunse Johanna Mayers seduta su un tronco vicino al falò che avevano acceso, lo stava ringalluzzendo con piccoli rametti secchi.
«Ehi!» La salutò accomodandosi al suo fianco.
«Ehi!»
Senza aggiungere altro le allungò il pacchetto di Camel.
«Fumi ancora quando sei nervosa?»
Johanna guardò prima lui, poi le sigarette, portandosene una alle labbra. Il coach gliela accese e la osservò chiudere gli occhi mentre inspirava e riaprirli espirando. Fumo bianco e denso danzò davanti al suo volto magro e pallido, quindi cominciò a ridere. Jim la fissò stranito.
«Oddio, scusami…» Johanna fece un altro tiro dalla cicca, sforzandosi di tornare seria, ma non le riuscì. «Lo so che non è il momento ideale per…» un altro attacco d’ilarità le fermò le parole in gola. Inspirò profondamente, costringendosi a smettere.
«Lo so che non è il momento di ridere» ripeté, tornando in sé.
«Sei sotto shock. È una reazione normale.» Cooper fissava il piccolo fuoco ai suoi piedi.
«Ti ricordi quando fumammo la nostra prima sigaretta?»
«Accidenti, sì! Per poco mio padre non ci scopriva!» Jim sorrise a sua volta. «Il capo della polizia di Millinocket ci avrebbe sbattuto in prigione seduta stante. “E adesso meditate su ciò che avete fatto” avrebbe detto.»
«Sì. Sì, è molto da lui» rise Johanna, aveva sempre adorato le imitazioni di Jim, secondo lei aveva un talento naturale, ma il collega non era mai stato d’accordo.
«Eravamo in cucina a studiare, tua padre ci disse che era stato chiamato per un’urgenza e quasi mi minacciò di dover tornare di corsa a casa mia» raccontò la Mayers, lo sguardo perso nel vuoto, come se stesse rivivendo fisicamente quel ricordo.
«Lui andò via e noi sgattaiolammo sul retro della casa, dove accendemmo lo spinello che avevo comprato da Jack Joker quella mattina» aggiunse Jim.
«Dio, ho tossito per un quarto d’ora almeno!» Rise di nuovo Johanna, ma questa volta non c’era isteria nella sua risata, solo un pizzico di malinconia per i bei giorni andati. Anche Cooper rise, annuendo. L’aveva presa in giro per giorni per quella storia della tosse dopo il primo tiro.
«Mio padre però tornò indietro, aveva dimenticato la pistola d’ordinanza nella sia camera. Uscì in giardino con una tale foga: “Mayers, sei ancora qui! Ti ho detto che devi tornare a casa!”.» Jim si fermò, soppesando attentamente le prossime parole. «Temeva potessimo fare qualcosa di… sgradito» scherzò.
«Che tu potessi farmi qualcosa di – come l’hai definito? – sgradito
I due insegnanti si guardarono per qualche secondo negli occhi, prima che quelli di lei si riempissero di lacrime e aggiungesse:
«Monica non c’è più, Jim. Monica è morta.»
James Cooper le passò un braccio intorno alle spalle e la strinse a sé, posandole il mento sul capo.
«Lo so, Jo. Lo so.»
D’improvviso, alle loro spalle, sentirono dei passi ed entrambi si voltarono indietro, trovandosi di fronte una Lorena Munoz con i capelli scompigliati e il volto assonnato, mentre tremava dal freddo.
«Sara non c’è più» annunciò.
Jim scattò in piedi, mentre Johanna si sporse in avanti, affermando:
«Che-che significa Sara non c’è più?»
Lorena Munoz si fece da parte per permettere alla sua professoressa di letteratura di guardare il punto in cui le aveva lasciate circa trenta minuti fa. In effetti, adesso c’era solo una Katrine Sullivan addormentata. Johanna spostò poi l’attenzione su Mike e Thomas, anche loro in allerta, dando quindi una rapida occhiata tutt’intorno, infine si mise in piedi. Il cuore le batteva nel petto, le mani cominciavano a sudare freddo, le sembrava di guardare senza vedere davvero.
«Devo andare a cercarla» biascicò, provando a camminare, ma Jim la fermò subito.
«Non ci pensare neanche. Vado io. Tu resta qui con i ragazzi.»
«No.»
«No?» Ripeté lui, la fronte aggrottata.
«Sara è autistica e non so come, non so perché, sono riuscita a instaurare un rapporto di fiducia con lei. Penso sia grazie alla sciarpa di Monica. Le ho fatto credere che sia magica e che la proteggerà.»
«Jo, io non ti mando nel bosco da sola perché hai convinto una ragazzina che indossa una sciarpa magica. Piuttosto me la carico sulle spalle e la riporto indietro!»
«No, Jim!» Johanna lo afferrò per una manica e gli parlò a una spanna dal viso, alzandosi sulla punta dei piedi per essergli il più vicino possibile. «Vado io! Se non dovessi tornare, tu sei in grado di scortare questi ragazzi fino al rifugio. Io no. Non so orientarmi, ma tu sì. Non possiamo rischiare di perdere anche loro.»
«E tu e Sara allora? Dici che non sai orientarti, come pensi di ritrovarla?»
«Seguirò le orme» Johanna illuminò con la torcia le impronte che le scarpe di Sara avevano lasciato sul terreno fatto di fango e neve. «Ma se non dovessimo tornare non venire a cercarci. Me lo prometti, Jim?»
«Jo, dannazione, io…»
«Me lo prometti, Jim?»
James Cooper la fissò dall’alto del suo metro e novanta circa. Conosceva Johanna Mayers da sempre, in pratica, da che aveva memoria. Da bambini vivevano a pochi isolati di distanza e fin dall’asilo c’era stato come una specie di filo a legarli. Si erano scelti fra tanti altri, probabilmente perché erano anime affini. Simili.
Ne era innamorato? Certo che lo era, dal primo istante in cui l’aveva vista, con la sua gonnellina gialla a pieghe e i capelli intrecciati con un nastro dello stesso colore. Johanna non era cambiata poi così tanto, si era solo allungata, mantenendo un fisico asciutto, quasi privo di forme, e tra i capelli castani, ondulati appena oltre le spalle, cominciava a notarsi qualche filo argentato. Jim le accarezzò il capo.
«Non posso prometterti una cosa del genere, Jo. Lo capisci? Devi capirlo…»
Con Monica avevano costituito proprio un bel trio, trascorrendo l’età della ribellione in simbiosi. Monica era stata la prima a comprendere i sentimenti che lui provava per Johanna, sebbene Jim avesse sempre sostenuto di essere solo suo grande amico e intanto si era dato da fare con storie più o meno importanti, fino al giorno del matrimonio.
Anche Johanna Mayers aveva avuto qualche fidanzato, due davvero importanti, entrambi però finiti male nell’arco di tre o quattro anni.
Una volta, mentre erano al college e stavano condividendo una Camel prima di un esame importante – lei fumava sempre quando era nervosa –, Jim le aveva chiesto come sarebbe stato, secondo lei, se si fossero messi insieme. Johanna aveva riso a crepapelle:
«Io e te, James Cooper, non dureremmo neanche un giorno come coppia. La metà delle cose che fai o che dici mi fanno impazzire…» aveva spento la sigaretta sul prato, schiacciandola con le dita, quindi si era alzata. «E poi siamo entrambi innamorati di un’altra persona, no?»
Era stato allora che Jim le aveva confessato dell’imminente matrimonio perché la sua ragazza era incinta. L’ilarità dal volto di Johanna era letteralmente scemata, Cooper l’aveva vista sparire come acqua che gocciola dalle membra del corpo.
«State insieme da tre mesi e…?»
«Sì, lo abbiamo già fatto. Perché, tu non fai sesso con i tuoi fidanzati?»
Johanna si era chinata sulle ginocchia per guardarlo dritto in faccia:
«Non sto dicendo questo, idiota! Mi riferisco al fatto di sposarsi, non credi sia troppo affrettata come cosa?»
Jim aveva distolto lo sguardo. Era ovvio che pensasse che fosse troppo presto, ma come lo avrebbe spiegato alla sua famiglia cattolica? Suo padre poi, capo della polizia di Millinocket, che figura c’avrebbe fatto?
«È incinta» aveva ripetuto lui, come se fosse la giustificazione a tutto.
«Va bene, Jim. Ma promettimi una cosa: se non sarai felice in questo matrimonio, la lascerai. Non puoi sprecare la tua vita. Me lo prometti, Jim?»
Era andato ben oltre dal rendere miserabile la propria esistenza, aveva fatto altrettanto con quella delle persone che gli erano vicine: i suoi genitori, sua moglie, la quale aveva poi avuto un aborto spontaneo durante il quarto mese di gravidanza. Erano rimasti insieme nonostante i continui litigi e trascorsi anni prima di riuscire a concepire nuovamente, quando poi era nata la sua piccola Stella.
«No, Jim, me lo devi promettere. Me lo prometti, Jim?»
La voce di Johanna lo riportò al presente. La guardò ancora qualche secondo, annuendo con il capo. Lei lo allontanò con garbo, poi, torcia in mano, si inoltrò nel fitto del bosco. La sentirono urlare il nome di Sara per un po’, poi il silenzio era calato nel campo che avevano allestito per trascorrervi la notte. Si erano stretti intorno al fuocherello, in attesa.
 
Johanna Mayers teneva la luce fioca della torcia puntata sul sentiero davanti a sé, cercando di scovare le impronte della ragazza, ma non era facile, poiché queste iniziavano già a sparire. La scovò diversi metri più in là, nei pressi del lago Moosehead, seduta a gambe incrociate mentre fissava con il suo solito sguardo piatto l’orso bruno dinnanzi a lei.
A Johanna quasi venne un infarto. Con la massima cautela la raggiunse, chinandosi sulle ginocchia senza distogliere l’attenzione dall’animale grosso quanto un furgone. Lo vide spalancare le fauci verso di loro e per un attimo credette davvero di farsela sotto. Parlò piano, sussurrando nell’orecchio di Sara di andare via, con calma, senza movimenti bruschi, ma la ragazza non parve sentirla. L’orso rugliò, mostrando denti aguzzi e bava.
«Tesoro, dobbiamo andare via.»
Sara si tolse la sciarpa che teneva al collo, l’appallottolò e la lanciò in direzione della bestia. Questo l’afferrò e la stracciò con gli artigli, emettendo un verso terrificante.
«Sciarpa magica di Monica» recitò la ragazzina.
L’orso urlò al cielo la sua rabbia, alzandosi sulle zampe posteriori. D’istinto Johanna abbracciò Sara proteggendola con il suo corpo: mai si sarebbe aspettata di morire trafitta da un artiglio di orso.
Poi udì uno sparo, l’orso tornò con tutte e quattro le zampe a terra, facendo vibrare il terreno. Un nuovo sparo, questa volta più vicino convinse l’animale a fare dietro front e a sparire nel fitto degli alberi.
«Johanna! Johanna, state bene?»
James Cooper si chinò al loro fianco, la pistola ancora stretta nella mano tremolante. La Mayers lo fissò qualche secondo, facendo mente locale su quello che era appena accaduto. Aveva il viso rigato di lacrime e non se ne era neanche accorta. Quando si trovò il volto dell’amico a mezzo metro dal suo, gli si buttò al collo senza pensarci due volte. Per fortuna non le aveva dato ascolto.
 

 
*
 
Quando tornarono alla radura, dove avevano lasciato il resto della scolaresca, non vi trovarono solo i loro studenti, ma due agenti forestali dello Stato del Maine. Non vedendoli arrivare, quelli del Penelope’s Range avevano lanciato l’allarme.
«Un autobus caduto in un precipizio è facile da individuare» aveva spiegato uno di loro, mentre accompagnava i due insegnanti dall’ospedale al rifugio, i cui titolari si erano offerti di ospitarli per quella notte, gratis. Gli studenti invece avrebbero trascorso la nottata in osservazione, in attesa che i genitori andassero a riprenderli.
Johanna Mayers sedeva nei sedili posteriori dell’auto di pattuglia, con addosso una coperta di lana a quadri blu e rossi. Teneva lo sguardo fisso e perso oltre il finestrino, pensando a tutto e a niente. Aveva detto che stava bene, non aveva bisogno di visite mediche, ma gli agenti avevano insistito e alla fine era stata dimessa. James Cooper sedeva accanto all’autista, lei li sentiva parlare dell’incidente, delle cause che avrebbero potuto scatenare un impatto del genere. Supposizioni su supposizioni, solo l’autopsia sul corpo di Bob avrebbe dato le risposte esatte e lei, Johanna Mayers, insegnante di Letteratura Inglese all’High School di Millinocket, le conosceva già. Non riusciva a immaginare come avrebbe fatto a dormire da quella notte in poi, a portarsi sulla coscienza tutti i suoi amati alunni per il resto della sua vita. Lei, che era sempre stata così attenta a tutto, anche a ogni minimo cambio di umore, adesso…
«Jo. Ehi, Johanna!»
La donna sbatté le palpebre un paio di volte, fissando con uno sguardo ebete il volto anonimo dell’agente Logan che le teneva la portiera dell’auto della Guardia Forestale e quello preoccupato di Jim, qualche metro più indietro.
«Grazie di tutto» disse lei, scendendo dall’auto e avviandosi nel rifugio.
 

 
Εpilogo
 
All’interno della stanza trovò un cambio pulito (una tipica tuta da sci) e biancheria nuova. C’era anche un pasto sigillato sulla scrivania, ma non considerò minimamente di mangiare. Si lavò via il fango incrostato e il sangue asciugato sulle ferite, strofinandosi i capelli fino a farsi dolere il cuoio capelluto. Quindi indossò l’accappatoio e tornò nella camera, le cui assi di legno erano accoglienti e tiepide. Cercò nel minibar qualcosa che potesse aiutarla a dimenticare, a dormire, almeno per quella notte. C’erano lattine di Coca-cola; Fanta, Sprite e… Rum. Di quest’ultimo c’erano ben tre bottigliette mignon. Non era una grande appassionata di alcolici, ma doveva riconoscere che in ogni momento importante della sua vita erano lì, a sostenerla. Coraggio liquido lo aveva definito la Rowling, o qualcosa del genere. Ne prese una e la bevve d’un fiato, sentendo il liquido bruciare oltre la gola, fin nello stomaco vuoto, poi afferrò le altre due e uscì dalla stanza. Il corridoio era deserto, l’unica cosa che si udiva erano gli scricchiolii del tetto causati dal vento. Si mosse a piedi nudi sul tappeto spesso, i passi attutiti, l’accappatoio chiuso dalla cinta alla bell’è meglio, i capelli bagnati e spazzolati gocciolavano ancora acqua dalle punte.
Si fermò davanti alla porta della camera di James, fissandola.
Certo che la vita era strana, pensò. Una volta era stato lui a sostare sullo zerbino di casa sua, mentre una delle tempeste più tremende della storia di Millinocket si abbatteva sulla cittadina.
Johanna ricordò di quanto si fosse spaventata vedendo un’ombra di quasi due metri immobile davanti casa propria, mentre scostava le tendine dalla finestrella della cucina per osservare la pioggia battente. Quando si rese conto che si trattava di James Cooper, era corsa alla porta e trascinato letteralmente dentro l’amico. Era bagnato fradicio, con una bottiglia di vino scadente stretta per il collo, ormai quasi finita.
«Santo cielo, Jim! Cosa è successo?» Gli aveva chiesto. «Ti prendo un asciugamano, non muoverti.»
Ma lui l’aveva fermata per un braccio, con foga, solo quando aveva parlato si era resa conto che stava piangendo.
«Stella se n’è andata. Me l’ha portata via.»
Senza aggiungere altro, Johanna l’aveva abbracciato e pianto con lui. Gli aveva permesso di dormire a casa sua, ma quella non era una novità. Era già successo altre volte, decine forse, soprattutto quando lui e sua moglie litigavano e andava via di casa. Non sapeva dove andare, diceva, dai suoi non ci pensava neanche, non avrebbe dato a suo padre la soddisfazione di vederlo cadere in rovina. Johanna gli aveva detto che la porta di casa era sempre aperta per lui, ma questo era stato uno dei punti di rottura della sua ultima storia d’amore, dopo ben quattro anni di fidanzamento.
James Cooper, a quei tempi rangers forestale – proprio dove lo voleva suo padre – era rimasto per una settimana intera sdraiato sul suo divano, in uno stato catatonico. Si era licenziato, o meglio, l’avevano licenziato per le continue assenze, fin quando un giorno, tornando da scuola, Johanna non lo aveva costretto ad alzarsi, rasarsi e lavarsi: gli aveva trovato un lavoro come docente.
«Io? Docente? Ma mi hai visto?»
«Tranquillo, non dovrai fare granché. Solo insegnare il basket.»
«Io non so giocare a basket!»
«Non c’è bisogno che tu lo sappia giocare.» Johanna Mayers gli aveva lanciato un manuale grosso quanto la Divina Commedia, la cui copertina citava “Manuale di Basket per principianti” «Ti basta conoscere le regole. Sai leggere, no?!»
 
E ora, quella mezza brilla, con i capelli bagnati e i piedi umidi era lei. Fece per bussare, ma prima ingollò anche un’altra bottiglietta di Rum, poi alzò il pugno, pronta a batterlo sulla porta, la quale si aprì ancor prima che potesse sfiorarla.
James Cooper rimase interdetto, il nome di lei a fior di labbra, indossava un paio di pantaloni da tuta puliti, il torace nudo, mostrando un po’ di pancetta da uomo sedentario.
«Johanna?» Possibile che anche lei avesse avuto la sua stessa idea?
«È colpa mia, Jim. È tutta colpa mia!» Gli si buttò contrò, cominciando a piangere disperatamente. Lui richiuse la porta e insieme si sedettero sul bordo del letto.
«Ehi, ehi! Non è colpa tua, ma che dici?» Cooper le tolse di mano le piccole bottiglie, una piena e l’altra vuota, mettendole sul ripiano della scrivania, accanto a quelle che aveva già bevuto lui.
«Io l’ho visto, Jim! Ho notato i suoi tremori, la fronte sudaticcia… come ho fatto a non capire che stesse avendo… non so… un infarto, un ictus?!» Johanna si prese la testa fra le mani, mentre Jim la osservava.
Era lei quella brava a dire la cosa giusta al momento giusto, non lui. Dannazione!
Lui era quello problematico, quello con un divorzio alle spalle e una figlia in giro chissà dove che probabilmente non ricordava neanche più il volto di suo padre. Lei era quella equilibrata, la tosta, la coraggiosa, l’intelligente del gruppo. Certo, poi c’era Monica… la saggia, la mediatrice.
«Ehi, ehi!» Jim le scostò le mani dal volto prendendole con delicatezza i polsi, quindi le asciugò le lacrime con i polpastrelli. «Stavo venendo da te per accertarmi che stessi bene e soprattutto per dirti che mi ha telefonato l’agente Logan – quello che ci ha accompagnato qui.»
Johanna lo guardava con gli occhi lucidi e il cuore pulsante nel petto.
«Non hanno ancora fatto l’autopsia del corpo, ci vorrà qualche giorno per quella, ma dalle prime analisi è molto probabile che fosse ubriaco.»
«Ubriaco…» ripeté lei.
«Sì, ubriaco. Non è stata colpa tua, Jo. La colpa è solamente sua. Ammesso che qualcuno abbia colpe in incidenti come questi. A volte le cose devono succedere e basta.»
Johanna si alzò dal letto, chiudendosi meglio la scollatura dell’accappatoio sul seno, come se si fosse accorta solo allora di indossare quello e nient’altro.
«Sei fatalista.» Disse poi.
«No, penso solo che al destino non si può porre un freno.»
«Anche gli dei greci lo dicevano, sai? Nonostante il loro grande potere, nulla potevano contro il Fato.»
«E penso che sia uno spreco di tempo quello che stiamo facendo io e te.» Jim si alzò e la raggiunse, abbracciandola da dietro. Lei s’irrigidì, ma non lo allontanò. «Le cose succedono, la vita finisce, ma io e te siamo ancora qui, vivi e in salute. È un miracolo? Sì. Perché proprio a noi? Non lo so…» La voltò verso di lui, gli sembrava una bambolina fatta di carne e ossa. «Ma è così e, davvero, non dovremmo più perdere tem-».
Johanna si alzò sulle punte dei piedi, afferrandogli il volto con entrambe le mani e baciandolo a stampo sulle labbra. James le passò le braccia intorno alla vita e le schiuse le labbra con le proprie, assaporando il suo retrogusto di Rum e lacrime.
«Ho avuto così tanta paura che fossi… oddio, Jim! Mi vergogno anche solo a pensarla una cosa del genere.»
Lui le posò la fronte contro la sua.
«Anche io ho avuto paura che tu fossi rimasta sotto le lamiere, Jo. Quando ti ho visto lì a terra, che stavi bene…» la strinse ancor più forte.
 
Johanna Mayers non ebbe la forza e il coraggio di confessare ad alta voce il sollievo che aveva provato a saperlo – a vederlo – vivo e vegeto e, nonostante il dolore di aver perso la sua grande amica, non avrebbe barattato la vita di James Cooper con quella di nessun’altro. Né di Monica, né degli studenti.
Alla fine, entrambi avevano compreso che era inutile tentare di separare ciò che il Destino aveva in serbo di unire.

 

Ƒine
  
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