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Autore: Gea_Kristh    23/05/2005    2 recensioni
Una ragazza con un passato misterioso. Tra incubi e visioni, il sogno di non provare più dolore.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ambra Nera

Ambra Nera

 Era una notte caldissima, neppure sul terrazzo era riuscita a trovare sollievo al calore opprimente di quella strana estate. La mezzanotte era passata da un pezzo ma non riusciva a decidersi a rientrare. Fu allora che vide quella strana luce nel cielo e poi il fragore di uno schianto nel bosco… e poi… la paura. Non sapeva bene il perché, ma si ritrovò a correre il più velocemente possibile, lontano da quel posto. Brandelli di un passato dimenticato… sensazioni imprecisate… e quell’urlo straziante…

 Doveva fuggire da tutto questo, scappare da qualcosa che lei non avrebbe dovuto conoscere e ricordare. E ancora quell’urlo, orrido e terribile, si faceva strada nella sua mente; l’immagine nitida di un corpo straziato a terra la opprimeva da dentro: il capo riverso innaturalmente di lato, una cascata di capelli incrostati di sangue a coprire i vitrei occhi senza vita di una giovane madre che troppo presto aveva sentito il soffio vitale scorrere via dalle vene.

 I piedi nudi correvano agili sulla terra, sporchi e feriti per il contatto con l’aspra collina e le sue insidie. Ma lei non se ne curava. Non sapeva dove andare, ma continuava a correre non sentendo la fatica, o, forse, volendo ignorarla.

 Altre immagini sfocate, una voce. Scappa da tutto questo… Riconobbe il dolce timbro della voce di una madre lontana…

 I lunghi capelli corvini le si appiccicavano al volto, madido di sudore. Poteva sentire il battito del suo cuore accrescere ad ogni passo. Da cosa stava fuggendo? Sogno e realtà si confondevano nella sua mente. Agiva d’istinto ora, e sentiva che solo quello sarebbe riuscito a portarla in salvo. Ma in salvo da cosa?

 

 Quanto aveva corso? Non lo sapeva. L’ultima cosa che ricordava era il buio. Un buio ristoratore, un buio dolce, che l’aveva avvolta… era forse morta?

 

 

 Ambra era sempre stata una ragazza strana sotto molti punti di vista.

 Viveva in un orfanotrofio da quando aveva sei anni, poco meno di un terzo della sua intera vita. Non aveva ricordi del suo passato, nessuno sapeva cosa era successo ai suoi genitori. Scomparsi.

 Quando era giunta in quella che sarebbe stata la sua casa fino alla maggiore età era in uno stato pietoso. Indossava una veste lacerata in più punti,  aveva il corpicino sudato ed i piedi nudi feriti. Portava con sé una collanina, con il suo nome inciso nell’argento: Ambra. Era svenuta subito. L’avevano soccorsa, medicata, vestita e nutrita, ma la bambina non riusciva a ricordare nulla di quello che doveva essere successo solo qualche ora prima. La sentivano agitarsi nel sonno, quasi febbricitante, probabilmente nel rivivere ogni notte quegli avvenimenti che le avevano distrutto l’esistenza. Perché allora Ambra sembrava non ricordare? Non sapevano dirselo, così col tempo avevano smesso di pensarci. Intanto lei cresceva, sola, senza nessuno. Perché lei era così. Taciturna, introversa, fredda. Man mano che il tempo passava era diventata quasi invisibile agli occhi di tutti. Stava semplicemente lì, in un angolino, a scrivere o a leggere. Talvolta la vedevano con lo sguardo perso nel vuoto, chissà dove. Ma nessuno se ne era mai preoccupato. E a lei andava bene così. Non avrebbe sopportato la compassione negli occhi di tutti, lei odiava la compassione. E così si era costruita attorno un muro di freddezza ed indifferenza.

 

 

 Aprì lentamente gli occhi rimanendo abbagliata dalla luce dell’alba. Dove si trovava? Era forse nei campi elisi? No. Non era ancora giunta per lei l’ora della morte. Sarebbe arrivata, ma non ora.

Ci mise un po’ ad abituarsi a quella luce abbagliante. Quando finalmente poté tenere aperti gli occhi vide il cielo ancora arrossato da un tramonto insanguinato. Avvertì in sé la spiacevole sensazione di aver già vissuto quella situazione, ma non riusciva, per quanto tentasse, a ricordare quando.

 Quanto aveva dormito? Non lo sapeva. Tentò di portarsi una mano agli occhi per asciugare le lacrime procurate dalla luce, ma si accorse solo allora che i suoi esili polsi erano stretti da pesante cordame. La cosa non la sorprese, e forse se ci avesse riflettuto su si sarebbe chiesta il perché. Rassegnata provò ad alzarsi a sedere ma un dolore lancinante all’addome la fece desistere. Qualche lacrima scivolò lungo le guance procurandole solletico.

 Non tentò di urlare. Una voce nella sua testa le suggeriva che sarebbe stato inutile.

 Rotolò su se stessa e, stringendo i denti, con un colpo di reni si sedette sull’erba. Intorno a sé vedeva solo campi, prati e… sangue. Abbassò lo sguardo e si trattenne dal vomitare. Una ferita profonda almeno un centimetro, tra piccoli graffi, le squarciava l’addome nudo. Di colpo tutto il dolore a cui non aveva fatto caso prima la invase fino alle ossa. Aveva voglia di urlare, aveva bisogno di urlare; squarciare quello straziante silenzio. Non riuscì ad emettere suono alcuno. Sentiva i muscoli intorpiditi che si rifiutavano di compiere qualunque comando venisse loro impartito. La stanchezza la sentiva pervaderla, fin nelle viscere, mentre si mescolava alle altre sensazioni del corpo in un’unica indistinta. Le lacrime le salirono con forza agli occhi ma non voleva piangere. Non più. Contro ogni sua volontà una goccia ancora scese lenta lungo la guancia sporca e sudata, come una straziante afonia che non fece altro che aumentare il dolore che provava. Ormai non riusciva neanche più a pensare, non capiva più niente. Aveva dimenticato anche la stanchezza che fino ad ora aveva lottato per farle chiudere gli occhi.

L’ultima cosa che vide fu una luce. Una luce accecante ma al contempo dolce. E poi un volto di donna, lo stesso volto che aveva visto nei suoi flashback.

 Sua madre?

 Sì, era lei.

 Lei.

 

 Ancora una volta aprì gli occhi e l’unica cosa che vide fu il nulla. La semplice e pura assenza. Assenza di tutto. Si sentiva come persa, cieca. E poi… poi le riapparve davanti agli occhi prepotentemente la solita visione, ma in fondo ne fu lieta.

 Braccia bianche e ali piumate, un volto dolce incorniciato dai lunghi capelli pallidi al vento. Niente le era mai sembrato talmente chiaro e confuso allo stesso tempo. Una figura sfocata, persa nei meandri della sua memoria, ma conosciuta e amata.

 Nella stretta tiepida di quell’abbraccio sentiva crescere l’emozione dentro di sé, dove solo poco prima c’era posto per null’altro che dolore e amarezza.

 È tutto finito, ora ci sono io con te.

 E all’improvviso tutto il resto perdeva di importanza; la sua stessa esistenza, il respiro nei polmoni e il battito del suo cuore. Stava bene. Era al sicuro.

 

 

 Tornò con fatica alla realtà. Era nella sua stanza. Si guardò bene intorno, non capendoci niente. Fuori pioveva a giudicare dal rumore che sentiva. Si voltò verso la finestra: era notte.

Un cerchio le stringeva la testa; cosa era successo? Non ricordava più…

 

 Ambra era senza dubbio una ragazza strana. Ma niente poteva spaventarla ormai.

 Un angelo vegliava su di lei.

   
 
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